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Autore: Rov    22/01/2015    1 recensioni
"Le ombre sono creature sfuggenti, fedeli al proprio padrone che seguono per tutta la vita, dal grembo alla tomba."
Genere: Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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~~Alla fermata dell'autobus c'era una bambina delicata con un fermaglio non solo sulla testa, circa dell'età di Lili. Se ne stava immobile guardando oltre il bordo della strada, in attesa che quella carcassa dell'automezzo tutto giallo e urlante di bambini comparisse da dietro l'angolo.
Lili la salutò con la mano, come se la conoscesse, ma lei si limitò semplicemente a sorridere e a distogliere timidamente lo sguardo.
"La conosci?" Domandò chiara la sorellina.
"E' nella classe accanto alla mia. Con la signorina Fort"
Poi anche Lili si mise a guardare verso la strada, senza aggiungere altro.
Chiara decide di prendere quel momento per focalizzarsi sui propri pensieri: l'aria era pesante e tutto intorno a lei sembrava opprimente, mentre gli alberi sussultavano intimiditi dal vento.
Ripensò allo sguardo di Nathaniel e al suo tono modulato e controllato, mentre ribadiva che la decisione di cambiare casa era già stata presa e non c'era nulla da fare.
Colpì un sasso con la punta della scarpa e lo fece rotolare saltellando in un tombino; ebbe quasi una sensazione di oppressione quando lo vide sparire tra quelle tenebre, come se l'avesse condannato ad una fine ignota. Proprio come la sua.
"Traslocare non è una tragedia." aveva detto il suo patrigno, questo semplicemente perché per lui era semplice e non aveva niente da perdere. Nella nuova città avrebbe trovato un bel lavoro ad aspettarlo, probabilmente uno di quei posti in ufficio che lo faceva sentire tanto importante; uno in cui è importante avere una bella cravatta e una spillatrice per etichettare per bene tutti i tuoi fascicoli inutili.
Mentre Chiara si mise a tastare la propria tasca, alla ricerca del pacchetto di sigarette, comparve oltre la strada lo scuolabus per la scuola elementare.
"Eccolo!" Esclamò Lili, iniziando a tirarla per il braccio perché la sorella l'accompagnasse proprio davanti all'apertura delle porte. Quando fu ormai seduta sull'autobus, vicino al finestrino, Chiara la salutò con la mano e la guardò allontanarsi oltre la strada, mentre il vento le scompiglio leggermente i riccioli scuri.
Aspettò qualche minuto, immobile sul marciapiede, per decidere il da farsi: forse sarebbe stato meglio evitare di presentarsi a scuola e aspettare una manciata di amici a cui avrebbe la brutta notizia. Magari qualcuno sarebbe pure venuto a salutarla mentre montava su quel furgone che l'avrebbe portata via.
Chiara prese tra le mani il cellulare, iniziando a camminare, immersa in quei pensieri: non c'era nessuna chiamata persa, tantomeno nessun messaggio. Nessuno l'aveva cercata, non che fosse una novità, ma in quel mentre ebbe paura.
Iniziò a realizzare che, se non avesse messo piede a scuola, a dirle addio non ci sarebbe venuto nessuno.
Nemmeno Luca.

È buffo che, nel momento in cui viene portato via, l'unico posto che mai avresti detto che ti sarebbe mancato diventa l'unico in cui vuoi continuare a stare.
Il corridoio della scuola puzzava di detersivo, ed era ancora leggermente umido dal turno delle pulizie del mattino; gli studenti avevano già iniziato ad appendere i loro cappotti agli attaccapanni al di fuori delle aule, qualcuno a sfogliare un libro, mentre altri rimanevano appoggiati ai termosifoni a gruppetti di tre o quattro, mentre scherzavano su qualcosa.
Chiara passò davanti alla porta della sua classe, ma non entro. Andò alla fine del corridoio, fino a girare l'angolo, nel punto in cui l'estintore nella cabina a muro era stato sfondato.
Luca era lì, con il suo solito cappotto di pelle e i jeans strappati sulla coscia, mentre parlava con un gruppo di amici che lei non conosceva.
"Hey, ciao!" esclamò timidamente, facendosi strada tra gli sconosciuti, ma Luca non le sorrise.
Si sentiva svuotata, ansiosa. Se qualcuno avesse dovuto descrivere Chiara, la prima cosa che avrebbe detto era che aveva una personalità incattivita, a volte rabbiosa senza motivo, e piuttosto attaccabrighe. Ma non con lui.
Luca, ai suoi occhi, era come una di quelle montagne immense davanti alle quali è impossibile non sentirsi piccoli insignificanti; se ne stava in piedi, a fissarla imponente, con le spalle larghe, mentre i suoi amici si allontanavano tirandosi pacche sulle spalle.
Forse Chiara l'aveva disturbato, e l'insicurezza si dipinse nei suoi occhi scuri mentre li abbassava, guardando per terra.
"Io non..."
"Non preoccuparti." la interruppe lui.
Luca prese a rollarsi una sigaretta, concentrandosi sulla mossa delle sue mani che velocemente modellavano il bastoncello. Chiara cercò di sorridergli e di avvicinarsi, anche se lui sembrò non accorgersene, o comunque non darle importanza.
Stavano insieme da più di un anno e mezzo, tra un bacio e l'altro e qualche uscita di tanto in tanto; non che Luca fosse mai stato un tipo affettuoso, lo aveva sempre saputo, tuttavia Chiara si sentì bruciare la gola al pensiero di dover annunciare la notizia della sua partenza. Aveva paura che lui non dicesse niente.
Poi chiuse gli occhi, e respirò forte; forse quello non era esattamente il momento giusto, prima che iniziassero le elezioni, a scuola, senza neanche un momento per stare da soli e potersi abbracciare in intimità ancora per un po'.
"Ti va di vederci questa sera?" domandò poi distrattamente, appoggiandogli lievemente una mano sul giubbotto di pelle.
"No, questa sera c'è la partita." rispose lui infilandosi la sigaretta nella tasca e finalmente guardandola negli occhi.
"Devi dirmi qualcosa?" continuò.
"E' importante."
"Se è importante puoi parlarmene anche quì."
Chiara aggiustò uno dei riccioli portandoselo dietro all'orecchio, come per prendere tempo; ma sentiva che le parole erano troppo lontane, come se non le appartenessero.
"E' che dopo avrei voluto passare un po' di tempo con te."
Non ce la fece. Non riuscì a farsi affiorare le lacrime agli occhi dicendogli che probabilmente non ci sarebbero più state altre occasioni per stare ancora un po' insieme, ma lui aveva preso a guardarla con gli occhi sgranati e la bocca leggermente aperta, come se si aspettasse che dalla bocca di Chiara sarebbe uscita un'affermazione stupida.
"Che palle, Chiara! Non sai fare altro che lamentarti del tempo che non ti dedico!"
"Ma io non mi stavo lamentando! Volevo solo..."
"Adesso te lo dico io quello che voglio: questa sera voglio andare a vedere la partita con Greg e gli altri e voglio smetterla di sentirti dire certe stronzate!"
Il viso di Chiara si ruppe in una smorfia di tristezza; quello schiaffo morale risuonava nella sua testa impedendole di raggiungere qualsiasi altra cosa. Avrebbe voluto parlare e dirgli che c'erano cose più importanti di una partita o di una serata con gli amici, ma poi pensò che forse lei non era nessuno per insegnargli che cosa fosse realmente importante. Forse non lo era nemmeno lei.
La bocca le si aprì leggermente ed iniziò a tremarle il labbro inferiore, poi d'un tratto suonò la campanella dell'inizio delle lezioni.
"Devo andare, amore. Ti telefono io." disse Luca a quel punto, premendo le proprie labbra su quelle di Chiara.
Lei si sentì immediatamente meglio, come se fosse bastato quel gesto d'affetto a cancellare l'orrore che intravedeva oltre l'orlo di quella porta nera e sbiadita che era l'arroganza di Luca. Era come una stanza con un interruttore difettato: quando entrava non sapeva mai se avrebbe trovato l'oscurità ad attenderla, o se si sarebbe accesa la luce. Quel giorno la stanza era buia, ma la luce era tornata per uno sprazzo, ed era bastato per darle la speranza che la prossima volta in cui ci sarebbe tornata, l'avrebbe trovata di nuovo illuminata.
Chiara gli sorrise, poi lui sparì oltre la porta dell'aula.

   
 
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