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Autore: L o t t i e    23/01/2015    1 recensioni
«Sei una cretina», iniziò lui accomodandosi sul letto ad una piazza e mezza: aveva ancora la giacca. «Puoi accusarlo di tutto, tranne che non ti voglia bene... a modo suo.»
Ah, ecco.
William sottolineò, a mente, «a modo suo» un paio di volte, in rosso. Ripassandolo più volte.
Quelle semplici frasi stesero un velo scuro sul viso di porcellana della vampira, la quale preferì stare in piedi; se si aspettava la comprensione faceva prima a gettarsi dalla finestra, l'umano. Non dopo aver parlato al cellulare con una fanatica, non dopo aver ricevuto un bacio dal suo creatore ubriaco e con chissà quali sensi di colpa venuti a galla.
«Non ti permetto di parlarmi così», si impose pacatezza, danzando verso l'armadio per prelevare dei vestiti più leggeri. Vide il ragazzo schiudere le labbra, forse per parlare ancora, protestare. Fu più veloce.
[Da revisionare!]
Genere: Fantasy, Malinconico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Vampire - the series.'
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Se non apri, non lo saprai mai.








Era venuto a soffiare un forte vento, quel pomeriggio e la preoccupazione che regnava sovrana sul viso dell'albina non era certo invisibile ― Trevor, seduto accanto a lei in auto, almeno provava a consolarla; Claude guidava, maledettamente silenzioso ed inquietante nei suoi sorrisi di circostanza che riusciva a somigliare vagamente ad un uccellaccio del malaugurio, verso la graziosa abitazione color cielo per accompagnare Yoshiko all'aeroporto.
La donna, fatta accomodare sul lato del passeggero mentre la valigia nel portabagagli, ringraziò il tedesco per il passaggio, anche perché «non avrei avuto a chi lasciare la mia auto». Scambiati i convenevoli, quali bacio sulla guancia e breve racconto delle magnifiche giornate che passavano in villa, anche Trevor venne presentato come un amico dei due, colui che dava quelle sorta di ripetizioni alla vampira.
Le capacità di interagire con qualcuno quale si aveva un legame affettivo nell'albina si erano notevolmente atrofizzate, se Yoshiko rivolgeva la parola solo al vampiro. Beh, sì, doveva ammettere che non aveva molto da dirle, e ciò che voleva davvero dirle veniva censurato dalla presenza di Claude.
Non fece caso al tempo che passarono in auto, la presenza di Trevor, in un modo o nell'altro, rendeva il tutto più leggero e piacevole; che sia per i strani disegnini sul vetro appannato o per l'espressione del suo viso, le donava un sorriso. In definitiva, era fortunata che ci fosse.
L'aeroporto, l'albina, come la donna che doveva intraprendere il viaggio, poteva affermare di conoscerlo discretamente bene ― frutto di tutte le sue partenze verso il paese del Sol Levante. Claude fermò l'auto e Trevor si incaricò di aiutare Yoshiko con il bagaglio mentre madre e figlia scendevano dal mezzo ed il vampiro, straordinariamente pieno di fiducia nei confronti dei due, si allontanava per un posteggio.
I raggi del sole erano splendidamente pallidi e sopportabili, complice la stagione invernale non completamente passata ― il frenetico via vai delle persone con valigie e bambini imbronciati, la riportavano ai giorni frenetici nei quali si preparavano per incontrare i nonni in Giappone. Già, era alquanto nostalgico ed il suo giapponese arrugginito.
Prima di fare il chek-in, poi, la donna si fermò per ringraziare il britannico e prendere con sé il bagaglio.
«Wathashi no chīsana1», iniziò la donna, carezzando il viso gelido di William; incredibile che non si preoccupasse o facesse domande. «questa chiave... tienila come un tesoro, non farla vedere a lui
A William, non si può dire che le si gelò il sangue nelle vene, ma ci andò vicino quando la madre le consegnò la sopracitata chiave, non più grande del suo palmo, avvolta in un foglietto di carta. Ella annuì velocemente prima di vedere la madre confondersi con altra gente.
«A che ti serve?», s'intromise il britannico aggrottando la fronte.
«Nulla di interessante», bofonchiò l'altra riponendo il tutto nella tasca posteriore dei pantaloni. Per quanto le riguardava, Trevor era completamente alla mercé di Claude e se ciò che pensava aprisse quella chiave era corretto era un cosa che riguardava solo lei ― il biglietto l'avrebbe studiato in seguito. Le doleva il petto, ma non poteva fidarsi completamente del ragazzo. Lui la guardava un po' offeso, come se fosse stato tradito, ma senza insistere; piuttosto le rivolse uno sguardo, interrogandola sulle prossime mosse.
«Possiamo anche andarcene, arrivata lì mi farà sapere quando venire a prenderla.»
«Uhm, va bene. Faccio uno squillo a Claude per sapere dove si ha posteggiato.»

Mentre camminavano verso l'uscita, nuovamente, la sensazione di bruciore al petto si ripresentò, più intensa di prima. La corrodeva ― il perché, evidentemente non si collegava a Trevor. Voltò il viso a sinistra, osservando la spalla di quest'ultimo, poi a destra, scorgendo, tra i vari passeggeri che tornavano, chi da una vacanza, un viaggio di studio o lavoro; fra le varie teste castane, bionde e grigie un fiocco di neve. Lo sguardo le brillò di una strana luce. Era come se stesse proprio cercando quella persona ― immobile fra tante. La testa abbassata a controllare chissà cosa su un foglio di carta, la sciarpa immacolata che gli dava fastidio, eppure sorrideva, spostandosi il ciuffo bianco dalla fronte.
«Will? Ohi, vieni!», la spronò la voce di Trevor ― lo stesso Trevor che la prese per un braccio e la tirò a sé.
«U-un attimo!», protestò lei non riuscendo più ad individuare la figura del ragazzo; era lui, il suo profumo, a stuzzicarle l'olfatto, a far inquinare di cremisi il celeste dei suoi occhi?
«Non è il momento di farsi venire gli attacchi di fame», gli intimò l'altro. Che era allarmato, dalla voce si capiva, ma William non comprendeva di cosa stesse parlando.
All'esterno lui la osservò ben bene: parve come stonata. Trevor si passò una mano tra i capelli, asciugando anche quelle minuscole goccioline di sudore che gli imperlavano la fronte.
«Beh? Che ti prende?»
«Betsuni... Niente, a-andiamo. Prima che gli beleni qualche insensato sospetto e faccia una strage», non nascondeva che era alquanto sorpresa: la sete era improvvisamente scomparsa insieme a quell'odore ― lasciandole come souvenir un bellissimo senzo di insoddisfazione.

«Alleluja, iniziavo a preoccuparmi», sibilò il tedesco, quasi minacciosamente osservando con un sogghigno William dallo specchietto retrovisore, mentre Trevor si accomodava nel posto davanti.
«Paranoico», sbuffò la ragazza spostando lo sguardo sul finestrino.
L'umano non osava fiatare e si sarebbe detto tranquillo, ad una prima occhiata, un quasi perfetto attore ― dentro si chiedeva cosa fosse successo in quel breve frangente alla vampira; che dopo tutto quel tempo l'istinto da vampiro si fosse ripresentato non era strano, specialmente in presenza di tutta quella gente, ma che tutto sia finito appena usciti, lasciando l'albina completamente tranquilla... no.
«'Che pensi, Trev?», incalzò Claude, facendolo emergere dai suoi pensieri.
«Ma il gatto, alla fine, è vivo o morto?2»







* * *









“Alle otto a casa mia, domani si marina la scuola; poi ti spiego”, era questo il corto e coinciso SMS inviato da William a Samantha intorno all'una di notte del giorno prima. In risposta, quella mattina alle sette e mezza un bell'okay dall'amica. Il minimo era stato fatto, ora sarebbe dovuta uscire di casa senza Claude, per quello contava sulla mezz'ora di anticipo che aveva prima che l'innata capacità del vampiro di far andare tutto male si attivasse: cavolo, quello lì aveva una sveglia incorporata! Indossando una felpa bianca con cappuccio e dei jeans neri, scese le scale a piedi nudi per fare meno rumore. Teneva in mano le converse nere.
Arrivata alla fine di quelle scale dannatamente lunghe, lasciò andare quell'aria che aveva iniziato a trattenere chissà quanto tempo fa ― di voltò per accertarsi che nessuno la seguisse e spedita, con passo di canarino, uscì dalla porta principale.
Portò un braccio sul viso, scorgendo la luce tanto temuta, per coprirsi gli occhi; quindi calò il cappuccio, lasciando che l'esagerata chioma albina fuggisse da quell'angusto spazio per posarsi lungo le sue curve. Si sarebbe fatta una corsetta.

Aveva dovuto chiedere a suo fratello ― quello sporco ricattatore, di coprirla mentre usciva di casa e convincere la madre che fosse andata a scuola. Diamine, ora avrebbe dovuto sistemargli il letto per una settimana! Ma va be', la cosa era alquanto elettrizzante: il messaggio di Will, lei che non doveva farsi scoprire... Sembrava quasi una serie TV! Raggiunse la (ex-)casa dell'amica in quasi un quarto d'ora e la stava aspettando poggiata al cancelletto scuro, le mani nelle tasche. Poco dopo, scorse la figura dell'albina agitare un braccio verso di lei; ricambiò il saluto.
«Hey. ~»
«Come mai questo appuntamento alla “agente segreto”?»
«Devo controllare una cosa», ridacchiò l'albina armeggiando con la serratura del cancelletto, fino ad aprirla. «Da quanto non andiamo in mansarda?»
«Un bel po' di tempo», mormorò la rossa seguendola, chiudendosi il cancello alle spalle. «Ci tenete ancora le cose di tuo padre? Dobbiamo fare una seduta spiritica?»
«Pft, Sam!», la spintonò l'altra abbozzando una risata genuina. Già, il tatto di quella scalmanata non era dei migliori, ma sapeva quando tirare fuori le frasi peggiori in sua presenza. «Affatto», scosse appena il capo, «voglio vedere se questa», e prese la chiave che le diede sua madre insieme al foglietto, mostrandola a Samantha, porgendogliela, «apre uno dei suoi bauli.»
«Uhh, interessante! E... questi? Sono kanji3
«Da quando studi?», scherzò William, annuendo in seguito. «Kyūjūgo, nanajūgo to nanajūgo4
«Oh, giusto! Lo dico sempre, no? Will?», affrettò il passo su per le scale. «Mi fai la traduzione?»
«Sono numeri», le rispose pacata raggiunta la propria camera: il letto era stato rifatto e tutto era in ordine. Ovviamente mancavano i libri scolastici ed i vestiti.
«Ah, sul serio?»
«Mh-mh.»
Spostò la tenda con le spille a forma di farfalla ed aprì la portafinestra ― ricordava bene che nel balcone il sole non iniziava a splendere prima delle quattro di pomeriggio, così uscì senza problemi seguita da Samantha. Salirono le scale esterne in metallo fino a raggiungere la mansarda. Rimaneva solo da capire quale dei bauli in cuoio era quello giusto. Si passò velocemente una mano sulla nuca.
«Non dirmi che...»
«...sì, devo controllarli tutti.»
Dalle labbra della rossa uscì uno sbuffo, quello classico da teiera; mentre studiava i bauli, si accorse che non avevano serratura dove mettere una chiave, pensò che doveva essersene accorta pure William, visto che aveva aggrottato la fronte, pensierosa. L'albina percorse a grandi falcate la stanza, chinandosi arrivata ad un angolo. Il che era fantastico, in quanto lei stava per rompersi l'osso del collo inciampando in una vecchia bambola; ma perché non avevano acceso la luce?
«È questo?»
«L'unico, sì. Apro?»
«Apri.»
Sarebbe stato carino se il cuore le avesse iniziato a battere forte per l'emozione o le mani avessero iniziato a sudare, ma dovette accontentarsi della vaga sensazione di tremore. Inserì la combinazione ai due lucchetti di lato, poi inserì la chiave in quello centrale ― non sapeva che immaginarsi, cosa aspettarsi da suo padre a quel punto, poiché nemmeno ricordava quel baule e cosa vi fosse stistemato dentro. Perché poi scoprirlo ora? Girò la chiave due volte e lo scoccare della serratura fece sussultare entrambe.
Alzando il coperchio... non era difficile capire a cosa servisse ciò che vi era dentro, anzi. Ma il problema era, in mezzo a tutte quelle improvvise domande che le sia affollavano in mente, capire cosa ci facesse suo padre. Quel benedetto uomo all'apparenza persino stupido, troppo buono, cosa..?
«Gesù, sembra l'armamentario di Alaric Saltzman5






Deliri Note dell'autrice:
[...] «Wathashi no chīsana1» [...]: letteralmente, piccolo/a mia.
[...] «Ma il gatto, alla fine, è vivo o morto?2» [...]: se non lo avete capito vi bacchetto; Trevor fa una chiara allusione al paradosso del Gatto di Schrödinger. Non ha alcun collegamento con la loro discussione, difatti serviva solo a far star buono Claudio.
[...] kanji3 [...]: dalla wiki; I kanji (漢字 "caratteri Han", cioè "caratteri cinesi") sono i caratteri di origine cinese usati nella scrittura giapponese in congiunzione con i sillabari hiragana e katakana. OVVERO QUELLI CHE MI STANNO FACENDO PENARE IN QUESTO PERIODO.
[...] Kyūjūgo, nanajūgo to nanajūgo4 [...]: novantacinque, settantacinque e settantacinque.
[...] Alaric Saltzman5 [...]: per chi segue The Vampire Diaries non sarà difficile capire questa fantastica uscita di Samantha, ma se non vi ha suscitato nulla dovete sapere che il suddetto Alaric è (o era?) “un cacciatore di vampiri, ha una buona conoscenza del loro mondo, è abile nel combattimento corpo a corpo e nell'uso di armi, e ne sa costruire alcune, come le granate alla verbena.”

Giuro che le note sono finite. ewe"
Questo doveva essere insieme al capitolo scorso, in verità, ma siccome ne era uscita qualcosa di... troppo l'ho diviso in due facendone uscire queste piccole parti, già. Ora penso che non sia stata una buona idea, but who cares. Scopriamo che Yoshiko serve a qualcosa, sì, confondere ancora di più le idee a William e che il padre anche se morto continua a rompere gli attributi.
Chi è il ragazzo-ciuffo-bianco all'aeroporto? ZAN ZAN ZAN. Vbb, dai, spero tanto che si capisca.
Mando un bacetto a U k e c c h i, sperando che tu reperisca un pc nuovo, so che vuol dire. *shiver ♡
―L o t t i e.
  
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