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Autore: _Pulse_    26/01/2015    2 recensioni
[Dal Capitolo 2]
«Come sta?», gli chiese Alex, rompendo quel silenzio che l’avrebbe fatta diventare matta se sommato all’innocente bellezza degli occhi di Merlino.
«Molto meglio. Ora dorme».
«Bene. Come hai detto che si chiama?».
«Artù».
«E tu e lui… vi conoscete da molto?».
«Da sempre».
Alex sollevò di scatto gli occhi e trovò i suoi luminosi, anche se velati di lacrime. Si chiese se fosse il caso di continuare con quell’interrogatorio o se fosse più opportuno aspettare che fosse Merlino a parlarle di lui. Dopotutto l’aveva soccorso – se non salvato – e l’aveva ospitato a casa sua: qualche informazione in più era un suo diritto, se la meritava.
Ma forse l’unica vera ricompensa che desiderava era proprio quella che Merlino le offrì, prendendole inaspettatamente una mano e stringendola forte tra le sue, facendo sì che i loro occhi si incatenassero.
«Ti sei tuffata nel lago per aiutarlo, vero?».
Genere: Fantasy, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Merlino, Nuovo personaggio, Principe Artù
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Nel futuro
Capitoli:
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Buongiorno! :)


Volevo rapidamente ringraziare chi ha letto il primo capitolo e stritolare in un abbraccio virtuale chi ha messo questa storia tra le ricordate, le seguite e le preferite. Troppo buoni, veramente!
E poi volevo spiegare una cosuccia che l’altra volta mi sono dimenticata di dirvi… Forse qualcuno l’avrà già notato, ma per chi se lo fosse perso voglio precisare che i titoli dei capitoli saranno più o meno ispirati ai titoli degli episodi della serie TV, non in ordine cronologico ovviamente e adattati in base agli argomenti trattati nei vari capitoli.
Credo sia tutto! Vi auguro buona lettura e mi raccomando, aspetto i vostri pareri! ;)

Vostra,

_Pulse_

 

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     2. The sins of the father

 

Il suo corpo tremò violentemente, come se fosse appena stato attraversato da una potente scossa elettrica, e la vista gli si oscurò del tutto prima di mostrargli chiaramente il lago di Avalon, la pioggia battente che si schiantava sulla sua superficie increspata e da cui saliva una nebbia quasi impenetrabile, e la figura che vi si agitava, muovendo freneticamente le braccia alla ricerca di un appiglio qualunque. Avrebbe riconosciuto quella figura in qualsiasi luogo e in qualsiasi epoca: Artù.
«Merlino!», urlò una voce iraconda ad un soffio dal suo orecchio, riuscendo a riportarlo al presente.
Il ragazzo abbassò gli occhi e si rese conto che a causa di quella visione aveva combinato un vero e proprio disastro: tutti i piatti, le tazze e i bicchieri che poco prima aveva raccolto su un vassoio ora erano frantumati a terra – non si era salvato nulla. Ci sarebbe voluta un’eternità per pulire, ma in quel momento non aveva nemmeno un secondo a disposizione.
«Mi dispiace, giuro che ripagherò tutto», esclamò, togliendosi frettolosamente il grembiule e lasciandolo tra le mani della padrona della caffetteria, pasciuta ed irascibile esattamente come la cuoca reale di Camelot.
La donna lo fissò sbigottita per un paio di secondi, abbastanza perché Merlino saltasse i cocci di ceramica e i pezzi di vetro sparsi a terra e corresse verso la porta. 
Quando la rabbia le fece ritrovare la voglia di gridare improperi contro quel ragazzo combina guai che aveva avuto la sfortuna di assumere, Merlino stava già pedalando a più non posso sotto la pioggia fredda.

 
Saltò giù dalla bicicletta e, stremato ed infreddolito, con le tempie che gli pulsavano dolorosamente, corse verso la sponda del lago.
Era quella la prospettiva che aveva avuto nella sua visione, eppure non c’era niente oltre la pioggia e la nebbia. Che con il tempo avesse dimenticato come distinguere le visioni del presente da quelle del futuro?
Col cuore che batteva a mille per la corsa in bici e il nervosismo, si scostò i capelli bagnati dalla fronte, camminando avanti e indietro nel vano tentativo di capire cosa stesse succedendo.
Aveva visto Artù emergere dalle acque di Avalon, risorgere come era stato predetto da Kilgharrah, e sentiva che era davvero accaduto, ne era certo com’era certo di aver vissuto mille e passa anni in attesa del suo ritorno, avvertendo uno straziante vuoto all’interno della propria anima, quello che solo la sua presenza era in grado di riempire e che ora pulsava in modo doloroso, ma vivo. Ciononostante, di lui non c’era traccia.
Merlino provò ad immaginare diversi scenari in cui Artù riusciva ad uscire dall’acqua e si allontanava dal lago, magari alla ricerca di un posto asciutto in cui ripararsi e chiedere aiuto. In ogni caso, non sarebbe stato difficile trovarlo: non sapeva come fosse uscito dalle acque di Avalon, ma un giovane uomo rimasto agli usi e costumi del Medioevo avrebbe attirato l’attenzione di chiunque.
Deciso a fare il giro dell’isolato, nella speranza che non si fosse allontanato troppo e che soprattutto non si fosse cacciato in qualche guaio, tornò dalla bici che aveva malamente abbandonato sul ciglio della strada.
Non fece in tempo a mettere entrambi i piedi sui pedali però che un oggetto, lasciato sull’erba tagliata di recente accanto ad un muretto in pietra, attirò la sua attenzione. Solo avvicinandosi riuscì a capire di che cosa si trattava: un mp3 di un bel rosso vivo e con l’adesivo di una ranocchietta incollato sul retro. Lo riconobbe subito. Se lo infilò nella tasca del giubbotto e senza pensarci su due volte tornò da dov’era venuto, pedalando con una nuova energia che gli scorreva nelle vene.

 

***

 

Sentiva gli occhi di suo padre bruciarle addosso, ancora.
Lo avevano fatto quando aveva fermato l’auto sul ciglio della strada ed era corso ad aiutarla per tirare fuori dall’acqua del lago il misterioso ragazzo; quando Alex si era seduta sui sedili posteriori per tenere la testa dello sconosciuto sulle proprie gambe e controllargli costantemente il polso; quando insieme l’avevano trasportato dentro casa ed entrambi, pur non volendolo, avevano esclamato che tutta la ferraglia che aveva addosso era davvero pesante, oltre che ingombrante.
Ora, inginocchiata sul letto e china sul corpo privo di conoscenza del ragazzo, sapeva che suo padre la stava osservando con quei suoi occhi tristi ed apprensivi. Se solo avesse saputo quanto l’avrebbe messa a disagio vederlo in quello stato avrebbe davvero chiamato l’ambulanza: al diavolo quell’assurda situazione in cui si era trovata coinvolta, quell’assurda armatura e anche quel ragazzo! Non era affar suo, dopotutto, e non era lei che doveva preoccuparsi, bensì…
«Merlino».
Alex strabuzzò gli occhi, osservando le labbra appena dischiuse del ragazzo. Non poteva essere stato lui, non nelle sue condizioni. E se anche fosse stato lui non avrebbe potuto invocare il suo Merlino. Oddio, era sicura che pochissimi genitori sani di mente avrebbero dato il nome di un mago leggendario al proprio bambino, ma era impossibile che il Merlino che conosceva lei conoscesse il ragazzo emerso dal lago. Come avrebbe potuto?
«Dovremmo…», provò a dire suo padre, a bassa voce, ma Alex lo interruppe immediatamente, brusca: «Sono una dannata infermiera, so che cosa devo fare!».
Doveva togliergli i vestiti bagnati e tenerlo al caldo, ma con gli occhi di suo padre addosso non riusciva a concentrarsi: le tremavano le mani e le si appannava la vista. O forse suo padre non c’entrava niente ed era solo la stanchezza che la stava per sopraffare.
Stava per dirgli di andarle a prendere delle coperte, cosicché si allontanasse e lei potesse pensare ad una cosa per volta, quando qualcuno iniziò a giocare con il pulsante del suo campanello, facendolo suonare così a lungo e in modo così insistente che Alex temette per un momento che la sua testa sarebbe esplosa.
«Chi diavolo è a quest’ora?», chiese, respirando nervosamente a causa di quella maledetta armatura che non aveva alcuna intenzione di slacciarsi dalla spalla del ragazzo.
Suo padre andò alla porta e con un orecchio teso Alex giurò di sentire la voce di Merlino al piano di sotto. Si voltò di scatto verso le scale e vide proprio lui, bagnato come un pulcino e col fiato grosso, gli occhi sgranati che si posarono sul ragazzo steso sul letto e non lo abbandonarono più.
Alex strabuzzò gli occhi e cercò quelli di suo padre, il quale si morse l’interno della guancia e, mortificato, chiese: «Non dovevo aprirgli?».
La ragazza lo ignorò per concentrarsi su Merlino. Aprì la bocca per chiedergli perché fosse lì, se conoscesse quel misterioso ragazzo che – ora era evidente – aveva chiamato proprio il suo nome, e mille altre cose che le frullavano nella testa da quando quel maledetto fulmine si era schiantato sull’isola al centro del lago, ma non un suono uscì dalla sua gola.
Merlino infatti le passò accanto, senza prenderla minimamente in considerazione, per cadere in ginocchio al capezzale del ragazzo, con le mani che gli scostavano i capelli bagnati dal viso e la fronte quasi contro la sua, e mormorare frasi che lei non riuscì ad afferrare, tanto era lo shock e il freddo che ora sentiva fin dentro le ossa. Una sola parola le giunse chiara e nitida alle orecchie, un nome: Artù.

 

***

 

Merlino non poteva crederci. Artù era davvero risorto, ed era a casa di Alex.
L’aveva a malapena guardata, preoccupato com’era per la salute del suo re, e non era stato affatto gentile con lei, facendo irruzione in casa sua senza darle alcun tipo di spiegazione ed aggredendola come aveva fatto quando si era reso conto delle condizioni in cui riversava Artù, tremante e con addosso i vestiti ancora fradici, ordinandole di portargli degli asciugamani e delle coperte anziché starsene lì ferma impalata.
Sotto i suoi occhi sempre più increduli aveva spogliato il re di Camelot, ricordando ancora perfettamente, come se non avesse fatto altro per più di mille anni d’attesa, dove mettere le mani per sfilargli l’armatura.
Ora che Artù era più che sufficientemente al caldo, anche se nudo sotto le coperte perché nessuno aveva pensato a procurargli dei vestiti di ricambio, Merlino, ancora seduto al suo capezzale, ripensava a tutto questo e si sentiva più che in colpa per come si era comportato con Alex, specialmente da quando aveva realizzato che era stata lei a tirare fuori Artù dalle acque di Avalon. Non riusciva nemmeno ad immaginare che cosa sarebbe successo se lei non si fosse trovata nel posto giusto al momento giusto: il minimo che si meritava erano delle scuse e dei ringraziamenti.
Si alzò dalla sedia che aveva portato accanto al letto, sentendo le membra irrigidite per il freddo che dopotutto aveva preso anche lui, pedalando sotto la pioggia fino al lago e poi fino a casa di Alex. Esitò ancora un attimo, accarezzando con gli occhi il viso di Artù, poi si diresse verso la porta.
«Merlino…».
Il mago si pietrificò sul posto, con una mano stretta intorno alla maniglia. Quella voce… Pensava che non l’avrebbe mai più sentita e che un giorno ne avrebbe dimenticato anche il ricordo.
Si girò lentamente, sentendo le lacrime affluire agli occhi, dietro i quali si celava più tempo di quello che si sarebbe mai potuto immaginare, e vedendo quelli di Artù semiaperti, fissi su di lui, il suo cuore perse un battito.
«Merlino, che cos’è successo? Dove mi trovo?», domandò con voce impastata, ancora debole, sforzandosi di tirarsi su.
Lo stregone lo raggiunse con due rapide falcate e gli posò delicatamente le mani sulle spalle, costringendolo a tornare sdraiato.
«Dovete riposare, Sire. Domani mattina vi spiegherò tutto ciò che mi sarà possibile, ve lo prometto».
Artù lo guardò negli occhi intensamente e alla fine cedette alla stanchezza, abbandonando di nuovo il capo tra i cuscini.
«Non allontanarti», biascicò, già in dormiveglia.
Merlino accennò un sorriso mentre una lacrima di gioia gli rigava la guancia, quindi gli rimboccò le coperte fin sotto al mento. «Lo sapete che senza di me non durereste un giorno».
Inaspettatamente, anche Artù sorrise, e Merlino provò l’ennesima fitta al cuore gonfio di felicità.
Rimase in silenzio per un po’, aspettando che il re si addormentasse profondamente, poi spense la luce dell’abat-jour sul comodino.
«Bentornato, Sire», sussurrò ancora, prima di chiudersi delicatamente la porta alle spalle.

 

***

 

Alex osservò la tazza di camomilla che suo padre le aveva preparato e si passò stancamente le mani sul viso, gettando un’occhiata all’orologio appeso al muro.
Dopo essersi tolta i vestiti fradici per indossarne altri puliti ed essersi asciugata alla bell’e meglio i capelli si era seduta al tavolo della piccola cucina, a gambe incrociate sulla sedia ed avvolta in una pesante coperta di lana. Quindi aveva chiamato una sua collega dell’ospedale, spiegandole che aveva avuto un imprevisto e aveva bisogno che le coprisse il turno, promettendole che le avrebbe restituito il favore appena possibile.
Suo padre, seduto accanto a lei, era rimasto in silenzio per tutto il tempo, fino a quando non aveva trovato il coraggio di chiederle: «Perché l’hai portato qui? Non lo conosci nemmeno».
Alex aveva sollevato appena gli occhi, girando il dito sul bordo in ceramica della tazza. Aveva scrollato le spalle, rispondendo con sincerità: «Pensavo fosse la cosa giusta da fare».
«E l’altro ragazzo, Merlino… è un tuo amico?».
Alex aveva incurvato ironicamente un angolo della bocca. «Non ci vediamo da sei anni e il tuo primo pensiero è che tipo di ragazzi mi porto a casa?».
«Sei pur sempre la mia bambina, ho il dovere di…».
«Proteggermi?», aveva concluso per lui la frase, ridacchiando apertamente. «Detto da te, è il colmo».
L’uomo aveva chinato il capo, fissandosi le mani unite sul tavolo. «Non avrei mai voluto farti soffrire. Né te né tua madre lo meritavate».
«Già. Dovevi pensarci prima, temo».
Suo padre aveva sospirato, sistemandosi gli occhiali sul naso, e senza troppi convenevoli si era alzato e si era diretto verso la porta. Alex sapeva di non essere come lui, perciò l’aveva raggiunto, tenendosi la coperta sulle spalle come un mantello, e lo aveva trattenuto.
«Mi hai davvero delusa, papà. Non so se riuscirò mai a… Ma un grazie per ciò che hai fatto oggi te lo devo».
Suo padre aveva accennato un sorriso e aveva allungato una mano per accarezzarle i capelli biondi ancora un po’ umidi, per poi ritrarla all’ultimo momento, con gli occhi di nuovo cupi di dolore.
«Non mi devi niente», aveva sussurrato, andandosene senza più guardarsi indietro.
Da quel momento, Alex non era riuscita a pensare ad altro, stretta nella sua coperta e con quella tazza di camomilla che non aveva ancora toccato tra le mani. E avrebbe dovuto pensare a Merlino, a come appena qualche ora prima aveva pensato che mai e poi mai ci sarebbe stato un motivo abbastanza valido che lo avrebbe spinto ad entrare in casa sua ed ora sapeva che c’era, ed era un ragazzo che da quello che aveva capito si chiamava Artù ed era emerso dal lago del loro tranquillo paesino con indosso l’armatura di un cavaliere medievale. Questo avrebbe dovuto interessarla più di ogni altra cosa, ma forse era tutto troppo assurdo perché la sua mente si arrendesse all’evidenza e la smettesse di credere che prima o poi si sarebbe svegliata sul suo divano e quello strano sogno sarebbe finito.
Sentì un lieve rumore di passi e si voltò sulla sedia, scorgendo Merlino emergere dalla scalinata buia. Sembrava imbarazzato e un po’ dispiaciuto, ma le regalò comunque un sorriso carico di tenerezza, prendendo posto al suo fianco.
«Come sta?», gli chiese Alex, rompendo quel silenzio che l’avrebbe fatta diventare matta se sommato all’innocente bellezza degli occhi di Merlino.
«Molto meglio. Ora dorme».
«Bene. Come hai detto che si chiama?».
«Artù».
«E tu e lui… vi conoscete da molto?».
«Da sempre».
Alex sollevò di scatto gli occhi e trovò i suoi luminosi, anche se velati di lacrime. Si chiese se fosse il caso di continuare con quell’interrogatorio o se fosse più opportuno aspettare che fosse Merlino a parlarle di lui. Dopotutto l’aveva soccorso – se non salvato – e l’aveva ospitato a casa sua: qualche informazione in più era un suo diritto, se la meritava.
Ma forse l’unica vera ricompensa che desiderava era proprio quella che Merlino le offrì, prendendole inaspettatamente una mano e stringendola forte tra le sue, facendo sì che i loro occhi si incatenassero.
«Ti sei tuffata nel lago per aiutarlo, vero?».
Alex non riuscì ad articolare una risposta di senso compiuto, mentre sentiva le guance arrossarsi come sarebbe successo ad una dodicenne alla prima cotta. Si limitò ad annuire con un cenno del capo.
«Sei stata coraggiosa, Alex, più di quanto avresti dovuto. Se ti fosse successo qualcosa…».
«Ho fatto ciò che ritenevo giusto», disse bruscamente, interrompendolo.
Merlino le rivolse un altro di quei suoi caldi sorrisi e si alzò, invitandola a fare lo stesso tenendo le dita delle loro mani ancora intrecciate.
«Mi dispiace per come ti ho trattata, prima. Sono stato un vero maleducato».
«Eri preoccupato, non c’è nulla di cui essere dispiaciuti».
«Come ti senti?».
«Ahm…». Alex deviò il suo sguardo, sentendo il cuore batterle forte in gola, e pensò che se si fosse avvicinato ancora un po’ sarebbe crollata tra le sue braccia, provata dagli sforzi fisici ed emotivi che aveva patito quel giorno. In ogni caso, sapeva che Merlino non l’avrebbe lasciata cadere.
«Bene, sto bene».
«No, invece. Dovresti riposare anche tu, sei distrutta».
«Sì, ma… Artù si è preso il mio letto».
Merlino ridacchiò, alzando gli occhi al cielo. «Sì, è una cosa che fa ogni tanto. Scusalo».
Alex gettò un’occhiata alle sue spalle e Merlino la imitò, guardando il divano arancione addossato contro la parete.
«È un divano-letto».
«Non credo che dormirò», rispose il ragazzo con una scrollata di spalle, scostandosi per esaminare il divano e capire come aprirlo.
Alex avrebbe voluto dirgli che con quell’affermazione non aveva voluto sottintendere nulla – non era di certo sua intenzione invitarlo a dormire con lei! – ma lasciò perdere ogni tentativo: aveva già raccolto la sua bella dose di figuracce per quel giorno.
Lo aiutò ad aprire il divano-letto e gli augurò la buonanotte, dicendogli che nel caso avesse voluto cenare poteva servirsi da solo, come se fosse stato a casa sua.
«Il cibo è proprio il mio ultimo pensiero», le rispose. «Buonanotte, Alex. E grazie».
«Ma figurati», mugugnò, abbracciando il cuscino sotto la testa. «Artù e Merlino, eh? Come nelle tue favole…».
«È solo una coincidenza».
«Certo che lo è. Che cos’altro potrebbe mai essere?».
Alex ridacchiò e l’ultima cosa che vide prima di abbassare le palpebre pesanti e cadere in un sonno profondo e senza sogni fu Merlino rivolgerle un piccolo sorriso e poi voltarsi per tornare da Artù.

   
 
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