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Autore: _Pulse_    03/02/2015    2 recensioni
[Dal Capitolo 2]
«Come sta?», gli chiese Alex, rompendo quel silenzio che l’avrebbe fatta diventare matta se sommato all’innocente bellezza degli occhi di Merlino.
«Molto meglio. Ora dorme».
«Bene. Come hai detto che si chiama?».
«Artù».
«E tu e lui… vi conoscete da molto?».
«Da sempre».
Alex sollevò di scatto gli occhi e trovò i suoi luminosi, anche se velati di lacrime. Si chiese se fosse il caso di continuare con quell’interrogatorio o se fosse più opportuno aspettare che fosse Merlino a parlarle di lui. Dopotutto l’aveva soccorso – se non salvato – e l’aveva ospitato a casa sua: qualche informazione in più era un suo diritto, se la meritava.
Ma forse l’unica vera ricompensa che desiderava era proprio quella che Merlino le offrì, prendendole inaspettatamente una mano e stringendola forte tra le sue, facendo sì che i loro occhi si incatenassero.
«Ti sei tuffata nel lago per aiutarlo, vero?».
Genere: Fantasy, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Merlino, Nuovo personaggio, Principe Artù
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Nel futuro
Capitoli:
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Ciao a tutti!
Allora, questo è il terzo capitolo ed entriamo un po’ più nel vivo della storia. Come se la caverà Artù nel mondo moderno?
Beh, come si suol dire… Non vi resta che leggere! :D
Ringrazio chi ha letto e recensito lo scorso capitolo, spero che anche questo vi piaccia!
Un abbraccio.

Vostra,

_Pulse_

 

 

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3. The once and future king

 

Un fruscio aveva attirato la sua attenzione, svegliandolo dal torpore in cui era piombato di continuo, durante la notte, ogni volta che provava ad alzarsi per rendersi conto di quello che stava accadendo intorno a lui. Aveva infatti la sensazione di essere nel posto sbagliato al momento sbagliato e voleva capire perché.
Girò il viso verso la sua sinistra e vide la ragazza che lo aveva soccorso china su un mobile di legno chiaro, che frugava in uno dei cassetti.
Era vestita in un modo che a lui risultava strano, in quanto i pantaloni, così particolarmente aderenti poi, e le camicie non erano indumenti consoni ad una ragazza. I capelli biondi e mossi erano legati in una coda alta sulla testa, arrotolati in un morbido chignon, e sul naso portava un paio di grandi occhiali da vista dalla montatura nera.
Artù si schiarì la gola e la ragazza si voltò di scatto, regalandogli un sorriso dolce e al contempo sbarazzino. Dedusse che non poteva avere più di trent’anni, anche se i tratti del suo viso e i suoi occhi luminosi la facevano sembrare molto più giovane.
«Ehi», esclamò tenendo un tono di voce basso, sedendosi sul letto accanto a lui. «Scusami, non volevo svegliarti. Come ti senti?».
«Bene, credo».
Si puntellò sui gomiti e guardandosi intorno per la prima volta capì di essere nella camera della ragazza. Il fatto che l’avesse costretta a rinunciare al suo letto era l’ultimo punto di una lunga lista di motivi per cui avrebbe dovuto ringraziarla. Quella ragazza infatti, pur non conoscendolo, si era tuffata nell’acqua gelata del lago per aiutarlo, l’aveva portato a casa sua e si era presa cura di lui. Accodandosi a quei pensieri, le parole sgorgarono dalle sue labbra senza che potesse fermarle: «Non so nemmeno il tuo nome».
«Già, ieri non abbiamo proprio avuto tempo per i convenevoli, eh?». Gli porse una mano, sorridendo: «Alexandra Greenwood».
Artù gliela strinse delicatamente e la fissò per il tempo necessario ad intuire che una mano morbida e curata come la sua non era abituata ai lavori manuali e che, quindi, Alexandra doveva avere per forza sangue nobile nelle vene. Se la portò alle labbra, chinando un poco la testa.
«Il mio nome è Artù Pendragon, re di Camelot, e vi sarò eternamente debitore per tutto quello che avete fatto per me, Lady Alexandra».
Alex, con gli occhi sbarrati per l’incredulità, ci impiegò qualche secondo per ritrovare la propria espressione gioviale ed affabile. Ridacchiò e si alzò in piedi per sollevarsi i lembi della camicetta e rivolgergli un mezzo inchino: «My lord, offrirmi un bel boccale di birra basterà a sdebitarvi».
Artù corrugò la fronte, preso in contropiede e vagamente insospettito dal tono scherzoso con cui si era rivolta a lui. Avrebbe sicuramente chiesto spiegazioni se Lady Alexandra non si fosse nuovamente girata verso il cassettone, riprendendo la propria ricerca da dove l’aveva interrotta.
Solo in quel momento, udendo gli uccellini cinguettare fuori dalla finestra, si rese conto del silenzio che regnava nella casa della ragazza. Sbuffò, sentendosi tanto infastidito quanto allarmato, e le chiese: «Sai dov’è Merlino?».
«È andato a recuperarti dei vestiti puliti, dovrebbe tornare a momenti».
«E vi ha lasciata qui da sola, con un perfetto sconosciuto?».
La ragazza lanciò un urletto di trionfo ed agitò tra le mani uno strano oggetto che brillò alla luce del sole, tanto che Artù credette per un attimo che si trattasse di un pugnale, rimpiangendo di non avere il proprio a portata di mano per difendersi. Guardandolo meglio, capì che aveva ben poco in comune con qualsiasi arma che lui avesse mai visto, ma questo non lo tranquillizzò, anzi, lo mise in allerta.
Lady Alexandra posò gli occhi verdi luminosi su di lui, portandosi le mani sui fianchi. «Smettila di essere così formale e dammi del tu, per favore. Puoi anche chiamarmi semplicemente Alex, lo fanno tutti. Comunque conosco Merlino e mi fido di lui: non mi avrebbe mai lasciata da sola con uno sconosciuto qualunque».
«Che cosa intendete dire, con questo?», le chiese, accigliato e, al contrario di lei, per nulla abituato a dare del tu a qualcuno che aveva appena conosciuto.
«Intendo dire che non ho mai visto Merlino così preoccupato. Tiene davvero molto a te, è palese, perciò non puoi che essere un suo carissimo amico, uno senza il quale non riuscirebbe a stare nemmeno per un giorno».
A disagio a causa del terreno su cui quella conversazione li aveva portati, Artù rimase in silenzio e spaziò ancora con lo sguardo, soffermandosi sui particolari oggetti che ornavano le pareti e i mobili della stanza: una collezione di piccole sfere di cristallo in cui erano stati riprodotti paesaggi imbiancati dalla neve; stranissime boccette con dentro liquidi densi e dai colori più sgargianti, altre di ogni forma e dimensione che sembravano contenere acqua; un insignificante dipinto, completamente nero, sorretto da un cavalletto così sottile da sfidare le leggi della fisica; degli animali impagliati, tra cui un cagnolino davvero minuscolo e un altrettanto piccolo cucciolo d’orso, che da sopra l’armadio lo fissavano immob–
«Ah!», urlò all’improvviso, facendo spaventare la ragazza che aveva iniziato a pettinarsi i capelli di fronte allo specchio.
«Che c’è?», chiese, gli occhi leggermente sgranati.
«C’è qualcosa che si muove lassù! Lo vedete?».
Lady Alexandra si alzò sulle punte e scoppiò a ridere prima di prendere una sedia e di accostarla all’armadio.
«Non vi preoccupate, my lord, è solo Artù!», esclamò divertita, allungando le mani per afferrare un piccolo gattino nero e portarselo al petto teneramente. «Ieri sera deve essersi spaventato a causa di tutto il trambusto che abbiamo fatto e deve essersi rifugiato quassù, senza più sapere come fare a scendere. È ancora piccolo, sai».
Artù, col naso arricciato e la fronte aggrottata, evitò di chiedere perché tenesse in casa un animale che non aveva alcuna utilità in assenza di topi da stanare, pensando che magari sarebbe stato offensivo, e preferì concentrarsi su un’altra questione, ben più strana: «Perché il vostro gatto si chiama come me?».
La ragazza smise di accarezzare il pelo del micio e di sussurrargli dolci parole nelle orecchie per poter fissare lui, mentre il viso le diventava sempre più rosso. 
«È un nome come un altro», tagliò corto, chinandosi per lasciare che l’animale zampettasse agilmente fuori dalla stanza.
Artù tornò a fare ciò che stava facendo prima che quel tenero micino lo spaventasse; tornò a guardarsi intorno, sempre più stranito.
Sullo scrittoio addossato alla parete, vicino alla porta, c’era uno strano oggetto allungato, con una base d’appoggio e una mezza sfera rivolta verso il ripiano ricoperto di libri ed altri oggetti che non riuscì a riconoscere, tra cui una specie di sottile vassoio nero opaco e senza manici.
Tutto in quella stanza, fatta eccezione per il letto, i mobili e i libri ordinati sugli scaffali, gli sembrava strano e senza uno scopo ben preciso, ma non si azzardava ad ammetterlo ad alta voce, dicendosi che probabilmente erano accessori con cui non aveva familiarità perché quella ragazza doveva appartenere ad una famiglia nobile straniera, i cui usi e costumi si differenziavano da quelli a cui era abituato a Camelot.
Non poté più stare in silenzio, però, quando i suoi occhi si posarono sulla parete accanto allo scrittoio, su cui era appesa una cornice con all’interno tanti piccoli ritratti che non potevano essere altro che opera di stregoneria: tante persone, tra cui molti bambini senza capelli, sorridenti oppure colte di sorpresa, erano intrappolate in quei ritratti, bloccate nell’attimo in cui la magia li aveva colpiti, chissà quanto tempo prima e per quale scopo malvagio.
«Ehi, qualcosa non va?», gli chiese all’improvviso Lady Alexandra, guardandolo col naso arricciato in un modo che avrebbe trovato grazioso se non avesse appena realizzato di trovarsi nel covo di una strega.
Era evidente ora perché tutto ciò che lo circondava non avesse senso: erano tutti strumenti magici, a lui sconosciuti. Anche l’oggetto che teneva tra le mani, quella specie di pinza gigante con l’esterno color della pece e l’interno argentato, doveva essere un’arma magica e potente, dato l’affanno con cui l’aveva cercata.
Forse l’aveva riconosciuto, in mezzo all’acqua del lago, e l’aveva salvato nella speranza di ottenere la sua fiducia e quella di Merlino, per poi...

Merlino, pensò atterrito. Lady Alexandra gli aveva detto che era andato a prendergli dei vestiti puliti, ma come scusa non valeva un granché: la sera prima il suo servo gli aveva promesso che non si sarebbe allontanato e poi perché mai avrebbe dovuto aver bisogno di vestiti puliti? Bastava aspettare che la sua tunica e i suoi pantaloni si asciugassero e poi sarebbero tornati a Camelot.
In qualche modo Lady Alexandra doveva averlo messo fuori combattimento per stare da sola con lui e portare a termine il suo piano. Ma Artù non gliel’avrebbe permesso, no, e avrebbe ritrovato Merlino, ad ogni costo.
«Artù?», lo chiamò ancora, preoccupata, e il re di Camelot le rivolse un pallido sorriso.
«Scusatemi, ma avrei proprio bisogno di mettere qualcosa sotto i denti: sto morendo di fame».
La ragazza sorrise imbarazzata. «Scusami, avrei dovuto pensarci prima. Ti porto subito qualcosa».
Quando uscì dalla stanza, lasciando la propria arma sul mobile, Artù si alzò in piedi, nonostante il giramento di testa dovuto dal protratto digiuno, ed iniziò a cercare la propria armatura, sperando che quella strega non fosse stata tanto astuta da nasconderla da qualche parte.
Sogghignò vittorioso quando trovò tutti i suoi pochi averi abbandonati sul pavimento in fondo al letto. I vestiti erano ancora umidi – quello stolto di Merlino non li aveva stesi ad asciugare – ma li indossò comunque: sempre meglio che affrontare una strega nudo. Non aveva tempo per l’armatura e detto in tutta onestà non l’avrebbe di certo protetto dalla magia, perciò si accontentò della sola cotta di maglia sopra la casacca imbottita, dei pantaloni e degli stivali. Quindi estrasse il pugnale dalla cintura e si appiattì contro la parete per sbirciare giù dalle scale.
Stava per avanzare, cauto, quando si ricordò dell’arma che Lady Alexandra aveva lasciato sul cassettone. La osservò da lontano per qualche istante, poi la toccò con la punta del pugnale e quando intuì che era innocua nelle mani di persone non dotate di poteri magici si azzardò ad impugnarla e a spezzarla usando una gamba come appoggio.
Soddisfatto, lanciò sul letto i due pezzi della pinza magica e si preparò a combattere quella strega che se non altro aveva avuto il buon cuore di offrirgli l’ultima colazione della sua vita.

 

***

 

Sentì un forte schiocco, simile a quello che avrebbe fatto una tavoletta di cioccolato se rotta a metà, e con la testa rivolta verso la scalinata rimase in ascolto. Non sentendo più nulla d’insolito, tornò a concentrarsi sulla colazione di Artù, canticchiando e ripensando a quella mattina.

 
Il cielo fuori dalla finestra si era appena tinto di rosa e Alex, stropicciandosi gli occhi, capì che nonostante la stanchezza non sarebbe riuscita a dormire ancora, non con tutte le domande che, da lei abbandonate prima di addormentarsi, erano tornate a frullarle nella mente.
Le sue narici vennero subito stuzzicate dal profumo del caffè appena fatto, un aroma che fu in grado di farla alzare in quattro e quattr’otto e di guidarla fino in cucina, dove trovò Merlino intento a spalmare un po’ di marmellata su una fetta biscottata già ricoperta di burro.
«Ben svegliata», la salutò, sorridendole. «Fame?».
«Moltissima».
Merlino annuì, per nulla sorpreso. Si voltò verso il ripiano della cucina e le mise di fronte al naso un piatto di pancakes ancora caldi, con un aspetto ed un profumo da far venire l’acquolina in bocca.
«Avanti, dillo», la incalzò, sorridendo con uno scintillio di furbizia negli occhi.
Alex lo guardò e preoccupata si chiese se fosse così evidente il suo crescente stato di adorazione nei confronti di Merlino. Non solo era un ragazzo dolce, con la testa sulle spalle e di buon cuore, ma sapeva anche cucinare! Era decisamente l’uomo della sua vita.
«So che cosa stai pensando».
«Davvero?», squittì, strozzandosi con la sua stessa saliva.
«Sì, che sono pieno di talenti nascosti. Beh, è così». Le fece l’occhiolino e prima di voltarsi verso la caffettiera le disse: «Assaggiali e dammi la tua onesta opinione. Sono secoli che non cucino per il re e…».
Alex corrugò la fronte, con la forchetta sollevata a mezz’aria. «Per il
re?», ripeté, scandendo bene le parole.
Merlino, con le spalle rigide e gli occhi fissi sui fornelli, impiegò qualche secondo a rispondere, sorridendo nervosamente.
«Scusa, forza dell’abitudine. Artù non fa altro che parlare di Cavalieri della Tavola Rotonda, duelli all’ultimo sangue, missioni e quant’altro… Ha una specie di disturbo della personalità e spesso è convinto di essere il re di Camelot. E io lo assecondo, per farlo contento. Mi considera il suo valletto».
Alex abbandonò la forchetta nel piatto, senza curarsi dei brontolii di protesta che si innalzarono dal suo stomaco, e si strinse le braccia al petto, in un inconscio meccanismo di difesa.
«Ma tranquilla, non farebbe male ad una mosca!», si affrettò a dire il ragazzo, cercando di rendere meno tragica la situazione in cui si trovava Artù. Alex però non prestò attenzione ai suoi sforzi, troppo concentrata a mettere al loro posto i vari pezzi del puzzle.
Le nebbie si stavano lentamente diradando, ma era sicura che Merlino le stesse dicendo solo lo stretto necessario, e avrebbe voluto almeno saperne il motivo.
«È per questo che ieri si trovava nel lago?», gli chiese, gettandogli un’occhiata penetrante. «Pensava di dover abbattere un mostro marino, di recuperare il Graal o chissà cos’altro?».
Lo sguardo di Merlino si fece improvvisamente cupo e con voce atona rispose: «Una cosa del genere, sì».
«Sembra un tipo piuttosto incasinato».
Accennò un sorriso, quasi divertito, annuendo prima di tornare a darle le spalle.
L’immagine di Artù che emergeva dalle acque del lago si ripeteva in loop nella sua mente, ormai sempre più sfocata e distorta da ciò che le suggeriva la logica. Non poteva essere davvero
emerso e basta, come se fosse sempre stato sul fondo del lago, in attesa di chissà che cosa. Ma qualcosa – qualcosa di potente, anche – le diceva che doveva credere a ciò che i suoi occhi avevano visto.
Per questo si prese il volto tra le mani e, puntando lo sguardo su Merlino per non perdersi nemmeno un dettaglio della sua reazione, esclamò: «Non ti ho mai sentito parlare di lui. Sembra quasi sbucato fuori dal nulla, all’improvviso».
Il ragazzo si irrigidì ancora una volta ed iniziò a balbettare: «Oh no, lui… fino a poco tempo fa…». Si passò anche una mano sul viso, come per cercare di frenare l’emozione, e Alex sobbalzò sulla sedia, colpita all’improvviso da un’idea che le fece portare entrambe le mani sulla bocca, tremendamente dispiaciuta.
«È stato in un ospedale psichiatrico, non è così? Perdonami Merlino, non avrei dovuto… Sono stata indelicata».
«Non c’è problema», rispose il ragazzo, accennando un sorriso mesto e quasi sollevato.
Alex decise di non fargli più domande: ne aveva poste fin troppe e tirando le somme tutto ciò che aveva fatto era stato riaprire vecchie ferite sul cuore di Merlino.
Finalmente il ragazzo la raggiunse al tavolo, sedendosi al suo fianco dopo averle consegnato la sua tazza di caffè fumante, e le rivolse un lieve sorriso.
Mangiarono in silenzio, sentendo entrambi il peso della tensione sulle loro spalle, e dopo quella che le era sembrata un’eternità fu Merlino ad aprire bocca, tirando fuori dalla tasca davanti della felpa il suo mp3 e posandolo di fronte a lei.
«L’ho trovato sulla strada davanti al lago. Se non l’avessi perso, non avrei mai capito che Artù si trovava con te».
In effetti Alex si era più volte chiesta come avesse fatto Merlino a rintracciare l’amico così in fretta. Il suo mp3, che aveva lasciato cadere a terra quando aveva deciso di tuffarsi, era stato un indizio chiave, ma i conti non le tornavano ancora.
«E come sapevi che Artù si sarebbe cacciato nei guai al lago?».
«Io… Mi ha lasciato un biglietto, voleva che lo raggiungessi per una delle sue
avventure».
«Carino da parte sua».
«Molto».
I loro sguardi si incrociarono ed entrambi scoppiarono in una leggera risata, mentre il caffè e i pancakes si raffreddavano davanti a loro.

 
Prima di uscire le aveva raccomandato di tenerlo d’occhio e di dargli corda nel caso avesse iniziato a blaterare a proposito del suo regno, di sua moglie la regina oppure dei suoi cavalieri, e lei l’aveva rassicurato, rispondendogli che se la sarebbe cavata fino al suo ritorno. Poi era successo l’imprevedibile: Merlino le aveva preso il volto tra le mani e l’aveva attirata a sé per posarle un bacio sulla fronte, sussurrandole l’ennesimo «Grazie».
Alex non aveva risposto, si era limitata a guardarlo andare via e successivamente a fissare la porta, in trance. Quando era riuscita a metabolizzare il fatto che Merlino l’avesse baciata – non importava dove, né come: l’aveva fatto! – era corsa in bagno per darsi una sistemata prima che tornasse, vergognandosi profondamente di come si era lasciata vedere da lui: i capelli gonfi e spettinati sulla testa, gli occhi piccoli dietro gli occhiali e la maglietta sformata che metteva ben poco in risalto i suoi punti forti.
Così si era cambiata, mettendo una camicetta carina e un paio di jeans attillati, e si era intrufolata nella sua stanza, in punta di piedi, per recuperare la piastra per capelli. Era stato allora che aveva fatto l’ufficiale conoscenza di Artù, il ragazzo del lago che si era dimostrato tanto incasinato come aveva immaginato.
Come previsto si era presentato come il re di Camelot, poi aveva utilizzato i termini e le formalità che avrebbero contraddistinto un vero e proprio cavaliere del Medioevo, dandole del voi e appellandola persino Lady Alexandra.
Lei aveva seguito il consiglio di Merlino e gli aveva retto il gioco, scoprendo che Artù, mettendo da parte quel suo piccolo disturbo di personalità, non era niente male come tipo. Ovviamente era un bel ragazzo, con quei capelli color del grano, quegli occhi blu come il mare e quelle spalle possenti, ma era una bellezza del tutto diversa da quella di Merlino, anche se sospettava che avesse anche lui le sue buone qualità.
Forse era solo davvero una questione di abitudine e presto anche lei, come Merlino, non ci avrebbe più fatto caso, permettendole di apprezzarlo appieno e chissà, forse diventargli anche amica.
Pensava a tutto questo, mentre preparava un vassoio con la colazione del re e non vedeva l’ora che Merlino tornasse per raccontargli quant’era stato facile e sorprendentemente divertente chiacchierare con Artù.
Alex avvertì all’improvviso una sgradevole sensazione, come se qualcuno alle sue spalle la stesse osservando, e smise di canticchiare. Cercò di tranquillizzarsi, dicendosi che probabilmente era solo Artù che aveva deciso di sgranchirsi un po’ le gambe e aveva dimenticato di annunciarsi.
Accennò un sorriso e fece per girarsi, ma un braccio muscoloso e con una stretta d’acciaio si strinse intorno al suo addome e un corpo altrettanto ben piazzato, premuto contro la sua schiena, la immobilizzò contro il lavello della cucina, togliendole per un attimo il fiato.
Smise del tutto di respirare – e di sua spontanea volontà – quando sentì la lama fredda di un coltello ad un soffio dalla pelle del suo collo e il respiro caldo di Artù sull’orecchio destro.
«Dimmi che cosa ne hai fatto di Merlino, strega, e forse ti risparmierò la vita».
Alex sentì la paura crescere dentro di lei, ma in qualche modo riuscì a metterla da parte e, appellandosi a tutto il coraggio che aveva in corpo, disse con voce rassicurante: «Artù, va tutto bene. Merlino sta per tornare».
«Non ti conviene mentirmi, Alexandra».
«Te lo giuro, non ti sto mentendo. È andato a prenderti dei vestiti nuovi, sarà già di ritorno a quest’ora…».
La lama si avvicinò pericolosamente al suo collo e Alex si concesse un respiro profondo, chiudendo gli occhi.
«Non hai scampo», disse ancora Artù, in modo quasi dolce, caritatevole. «Non è mia intenzione farti del male, nonostante tu sia una strega, perciò non costrin–».
«Io sarei una strega? D’accordo, ma tu sei proprio un imbecille!», urlò, ora davvero incazzata.
Se doveva morire okay, sarebbe morta, ma non senza prima aver provato a combattere. Non dandogli il tempo di prevedere le sue mosse gettò la testa all’indietro, colpendolo tanto forte sul naso da fargli mollare la presa, con gli occhi sbarrati per la sorpresa.
Alex non sprecò un attimo del proprio vantaggio ed afferrò per il manico la padella con cui Merlin aveva cotto i pancakes, poi gli corse incontro e gliela sbatté in testa, mandandolo al tappeto.
La ragazza lo osservò, riverso in maniera scomposta sul pavimento, senza realizzare appieno ciò che aveva fatto e come si sarebbe dovuta comportare quando si sarebbe svegliato. Se si sarebbe svegliato.
Per scrupolo e deformazione professionale si chinò cautamente su di lui, tenendo ancora ben stretta la padella, per sentirgli il battito con due dita premute sul suo collo. In quel momento la porta di casa si aprì di colpo, mostrando un Merlino affannato e con gli occhi fuori dalle orbite, e Alex trasalì per lo spavento.
«Ho sentito urlare, cosa…?», iniziò a dire, ma la voce gli morì in gola quando il suo sguardo, attraversato da un lampo di terrore, si posò sul corpo immobile di Artù e sul pugnale che teneva ancora stretto nella mano destra.
Merlino lasciò cadere a terra lo zaino che portava sulle spalle e lo raggiunse di corsa, inginocchiandosi sul pavimento e tastandogli furiosamente il polso e la carotide, con l’orecchio ad un soffio dalle sue labbra.
«È solo svenuto», spiegò Alex.
Merlino alzò di scatto gli occhi su di lei e la guardò in attesa di altre spiegazioni, fino a quando non si accorse della padella che impugnava.
«Non l’avrai colpito con quella, spero», esclamò, più che sconvolto.
Alex si mordicchiò le labbra, gli occhi fissi in quelli azzurrissimi di Merlino, capaci di farla sentire terribilmente in colpa. Ma le bastò scorgere di nuovo il pugnale con cui Artù le aveva quasi tagliato la gola perché la tensione e la rabbia tornassero a circolarle nelle vene, così dirompenti che ebbe voglia sia di piangere che di urlare.
All’ultimo momento la rabbia prevalse sulla paura che aveva provato e lanciandogli un’occhiata truce urlò: «Non ho avuto scelta! Il tuo amico qui non è semplicemente incasinato, è un fottuto psicopatico! Credeva fossi una strega e stava per sgozzarmi, che cos’altro avrei potuto fare?!».
Il ragazzo boccheggiò come un pesce fuor d’acqua, guardando lei e poi Artù, incapace di formulare una frase di senso compiuto.
Ad un tratto Alex si stufò di star lì ad aspettare che dicesse qualcosa e si sbatté le mani sulle gambe, sospirando con rassegnazione: «Cambialo, lo portiamo in ospedale per accertamenti. L’ho colpito forte, potrebbe avere un trauma cranico».
Merlino si limitò ad annuire e la seguì con lo sguardo mentre si avviava verso il piano superiore.

 

***

 

Sapeva che Artù avrebbe potuto dare di matto non appena fosse entrato in contatto con il mondo moderno, non poteva essere diversamente, ma mai avrebbe potuto immaginare uno scenario peggiore di quello.
Mentre si dirigevano verso l’ospedale, Alex, al volante della sua piccola utilitaria, gli spiegò nei minimi dettagli tutto quello che era successo nel breve lasso di tempo che aveva impiegato ad andare a casa per prendere un po’ di vestiti per Artù e tornare indietro.
Alla fine del suo racconto, Merlino si sentì malissimo: non solo perché non si sarebbe mai perdonato se fosse successo qualcosa ad Alex a causa di una sua imprudenza, ma anche e soprattutto perché realizzò che era stata tutta fatica sprecata.
Aveva speso un’eternità attendendo il ritorno di Artù, pianificando ogni cosa per il grande giorno: il modo in cui gli avrebbe spiegato la situazione, come l’avrebbe introdotto alle novità dell’epoca in cui sarebbe risorto, alla storia che gli avrebbe fatto imparare per mantenere nascosta la propria identità e mille altri particolari. Ciononostante, in quei due giorni niente era andato come si aspettava, partendo dal fatto che era stata Alex a ripescare il re del passato e del presente dal lago di Avalon e non lui.
Da quando il suo cammino aveva incrociato di nuovo quello di Artù non aveva fatto altro che improvvisare e così avrebbe continuato a fare, visto che ogni suo programma era stato stravolto, lasciandolo impreparato e senza la più pallida idea di come comportarsi.
Quando finalmente raggiunsero il pronto soccorso, davanti al quale le infermiere e i dottori in pausa bevevano il caffè e fumavano godendosi il sole e un’ambulanza a sirene spente marciava lentamente verso il parcheggio, Merlino iniziò a temere che quella fosse stata l’ennesima cattiva idea.
Che cosa sarebbe successo se Artù si fosse svegliato accerchiato da uomini e donne con strani camici bianchi e azzurri, con in mano strani strumenti e ai comandi di attrezzature il cui scopo ed utilizzo sarebbe sempre rimasto un mistero inspiegabile ai suoi occhi abituati ad un passato così… passato? Sarebbe stato un miracolo se fosse andato in panico, ma conosceva bene Artù e rimanere paralizzato dalla paura non era nel suo stile: avrebbe combattuto, come faceva sempre, e nel caso in cui non fosse riuscito a fronteggiare tutti i suoi avversari sarebbe fuggito, pensando sicuramente ad un complotto per uccidere il re di Camelot.
«Merlino, per l’amor del cielo, esci dall’auto».
Alex lo fissava piuttosto irritata, con le mani sui fianchi e gli occhi stretti dietro gli occhiali. Lui stiracchiò un sorriso, stringendosi nelle spalle.
«Sono sicuro che non l’hai colpito così forte. Insomma, come avresti potuto?».
«Stai dicendo che sono una pappamolle?».
Merlino aprì la bocca per replicare, frettolosamente, che non era assolutamente quello che voleva dire, ma Alex gli puntò minacciosamente un dito contro.
«Stai zitto, Merlino. Altrimenti il prossimo ad essere messo K.O. con una padella, appena ne avrò una in mano, sarai tu».
Il mago annuì mestamente, abbassando gli occhi sul viso inespressivo di Artù, rannicchiato sui sedili posteriori e con la testa sulle sue gambe.
Non poteva permettere che Artù reagisse ancora in modo sconsiderato, rischiando di fare del male a persone innocenti.
Non sapeva come avrebbe fatto né come lui l’avrebbe presa, ma meritava di conoscere la verità, o almeno di sapere quel tanto che bastava a non farlo apparire un vero e proprio psicopatico agli occhi di tutti.
«Scusami, hai perfettamente ragione: dev’essere visitato», disse, facendo sospirare Alex di sollievo.
«Finalmente hai rimesso in moto il cervello».
Merlino ignorò il suo ultimo commento ed indicò con un cenno del capo un paio dei suoi colleghi, appena usciti dalle porte scorrevoli per prendere un po’ d’aria.
«Perché non vai a chiedere una barella? Non possiamo trasportarlo ancora».
«Giusto, rischieremmo di fare altri danni. E poi sta diventando una specie di abitudine, trasportarlo di qua e di là mentre è privo di conoscenza», esclamò, rivolgendogli il sorriso sincero e sbarazzino che di solito le incurvava le labbra, il primo dopo lo spiacevole e quasi tragico episodio di quella mattina. Per Merlino fu un vero sollievo vederlo di nuovo, perché stava a significare che aveva qualche speranza di poter essere perdonato, col tempo.
Alex si allontanò e lo stregone aspettò qualche secondo, poi balzò fuori dall’auto e si avvolse un braccio di Artù intorno al collo per far uscire anche lui dall’abitacolo. Il re mugugnò lamentosamente e Merlino lo insultò, incitandolo a svegliarsi: non sarebbe mai riuscito a trascinarlo a peso morto e di certo non poteva farlo volteggiare al suo fianco, non con tutti quegli occhi addosso.
«Merlino…».
«Artù, dovete camminare. Vi guido io».
Il sovrano si fece forza ed iniziò a muovere le gambe lentamente, lasciando che Merlino lo portasse via, ma non alzò mai la testa, ciondolante sul petto, per vedere dove stessero andando.
Merlino lo condusse nel parchetto di fronte al pronto soccorso e non appena vide la grossa quercia che offriva ombra e quiete a volontà, lontana dagli scivoli e dalle altalene, pensò che avrebbe concesso loro un po’ di tempo. Forse non tutto quello che avrebbe voluto, ma quello necessario a convincere il suo re che doveva fidarsi di lui ancora una volta.
Appoggiò Artù contro l’imponente tronco della quercia e lo fece sedere con delicatezza, per poi inginocchiarsi al suo fianco e prendergli il volto tra le mani.
«Artù. Artù, dovete ascoltarmi attentamente».
«È un ordine, Merlino?», gli chiese debolmente, faticando a tenere gli occhi aperti.
«Sì, Sire, è un ordine».
«Tu non puoi…».
«Ascoltatemi e basta, testa di legno».
Artù racimolò tutte le proprie energie e riuscì a tenere gli occhi blu aperti, fissi in quelli del suo servitore. Merlino deglutì, rendendosi conto che Artù l’aveva guardato in modo così sincero ed aperto solo nei momenti più cruciali, tra cui proprio ad un passo dalla morte. Quel ricordo straziante tornò a bruciargli nella mente e nel cuore, ma si fece coraggio con un respiro profondo ed iniziò a raccontare.
«Voi siete stato ferito mortalmente da Mordred durante la battaglia di Camlann, nell’anno 537 del VI secolo. Anch’io ho combattuto, utilizzando la magia, ma non sono riuscito a proteggervi. Ho fatto del mio meglio per salvarvi: ho cercato di portarvi ad Avalon, il lago in cui dimoravano i Sidhe, gli unici in grado di poter contrastare la magia nera di cui era impregnata la spada di Mordred, ma siamo arrivati troppo tardi».
«Perché mi dici queste cose, Merlino?». Il re tremava contro la quercia, gli occhi sbarrati e il cuore che gli batteva dolorosamente nel petto, iniziando a rendersi conto che quel pulsare non era naturale.
Merlino continuò, imperterrito: «Ricordate il drago che vostro padre aveva imprigionato e che è riuscito a liberarsi dalle catene? Si chiamava Kilgharrah ed è stato lui a rivelarmi che il mio destino era ed è tutt’ora quello di affiancarvi e proteggervi, a qualsiasi costo. È stato un prezioso consigliere in molte occasioni, solo ora me ne rendo conto, e forse non l’ho mai ringraziato abbastanza per tutto quello che ha fatto per me, per noi, per Albione. Voi non l’avete mai sconfitto, Sire. A dire la verità è stato proprio Kilgharrah ad accompagnarci ad Avalon, e prima che i nostri cammini si separassero per sempre mi ha lasciato un’ultima profezia: “Nel momento in cui Albione avrà più bisogno, Artù rinascerà.”».
Artù sbatté le palpebre e due lacrime perfette, due gocce simili a diamanti, rotolarono sulle sue guance, ma non fece nulla per nasconderle.
«Siamo nell’anno 2014, questo è il XXI secolo, e voi, solo ed unico re, il più grande che abbia mai messo piede su questa terra, siete finalmente risorto. Vi ho aspettato per più di millequattrocento anni, Artù».
Merlino fece un respiro profondo, al contempo esausto e sollevato, e cacciò indietro le lacrime intrise dei rimpianti del passato e della gioia del presente, gettando uno sguardo oltre la quercia: Alex si era accorta da un pezzo della loro fuga e aveva mandato un paio di infermieri a cercarli proprio lì, nel parco, mentre lei era corsa verso l’incrocio.
«Non abbiamo molto tempo», esclamò. «Il mondo è molto cambiato nel corso dei secoli e non sarà facile abituarsi, lo so, ma dovete sforzarvi e fingervi un uomo di quest’epoca. Io sarò sempre al vostro fianco, non dovete preocc–».
Merlino sgranò gli occhi, ritrovandosi stretto tra le braccia di Artù. Ancora una volta non aveva previsto abbastanza bene il futuro: aveva immaginato che Artù sarebbe stato sconvolto, arrabbiato, disperato, ma non che lo sarebbe stato a tal punto da aver bisogno di un suo abbraccio.
Il ricordo degli ultimi minuti di vita di Artù lo colpì nuovamente, facendogli male con la stessa intensità di sempre e se possibile ancor di più. Ricordava che cosa gli aveva chiesto con la voce spezzata dal dolore, il frammento della magica spada ormai già penetrato nel suo cuore: «Solo… Stringimi e basta. Per favore».
Lui non l’aveva fatto, col tempo si era reso conto di non averlo fatto: lo aveva sorretto, aveva continuato a pensare ad un modo per potergli salvare la vita, ma non gli aveva donato l’ultimo contatto umano di cui il suo re aveva bisogno, spaventato dalla morte come ogni uomo. Era stato uno dei suoi più grandi rimpianti, uno dei motivi per cui aveva versato le lacrime più amare. Non avrebbe fatto lo stesso errore, non esaudendo quella richiesta per la seconda volta.
Gli avvolse le braccia intorno alla schiena e lo strinse forte, accarezzandogli anche i capelli biondi, dimentico dell’anno e del luogo in cui si trovavano, di Alex e degli uomini e le donne che li cercavano, di tutto ciò che non c’entrasse con Artù, l’altro lato della medaglia, la metà che lo rendeva completo.

   
 
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