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Autore: Figlia di un pirata    26/01/2015    0 recensioni
- Perché le hai cancellato la memoria, eh? Perché? Su, muoviti, spiega.
- Sta’ calmo, Har. Era solo per proteggerla.
- Proteggerla? Proteggerla? Zayn, ti rendi conto di cosa hai fatto?
- Starà molto meglio così.
- Non sa neanche che esistiamo, adesso.

Siamo sempre stati abituati a pensare che il sovrannaturale sia tutto un frutto della nostra immaginazione. Ci divertono libri e film su licantropi, vampiri, demoni e quant'altro, a noi sempre presentati come dei bellocci sensuali e affamati di verginelle pudiche. Ma vi siete mai chiesti da cosa sia nata l'ispirazione per scrivere queste storie? Alcuni mi hanno risposto, con ovvietà "Dalle leggende". E, non so a voi, ma a me hanno insegnato che le leggende hanno sempre un fondo di verità.
Avevo sempre sostenuto di non essere impaurita dalle storie di fantasmi, ma non mi ero resa conto che, a volte, la verità può essere ben più spaventosa delle storie che leggiamo.
Genere: Mistero, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Niall Horan, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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L'oscuro tentatore - Capitolo 11: Di tonno e uova

 
I giorni passavano veloci in quella casa così strana. Mi sembrava di partecipare a un campo estivo, con tutte quelle persone che bazzicavano per quel luogo che conoscevo così poco. Avevo scoperto, mio malgrado, che la mia compagna di scuola Rebecca lavorava lì e che era un licantropo anche lei, rarissimo per una ragazza. Tutto sommato però, non potevo non esserle grata per quello che stava facendo, per quello che tutti loro stavano facendo. Purtroppo mi sembrava che tutto fosse accaduto troppo in fretta, facevo ancora fatica a mettere insieme i pezzi di tutto quello che mi avevano raccontato e, ciò che era peggio, non mi era concesso di rivedere la mia non-madre per chiederle spiegazioni, né per poter capire perché gli episodi degli anni precedenti erano da lei stati affrontati in maniera così dolorosa. Non sapevo per quale motivo avesse deciso di adottarmi e, anche se avevo litigato con lei per una cosa stupida come quell’emerito cretino del suo secondo marito, sarei stata persino disposta a dire che avevo sbagliato (anche se non lo credevo affatto, sia chiaro) se questo avesse potuto aiutarmi a capire. Capire. Quella la parola chiave degli ultimi giorni, passati in una casa estranea tra persone estranee che non facevano altro che fissarmi o che, nel caso dei miei amici, semplicemente mi ignoravano perché avevano di meglio da fare. Nell’aria si avvertiva un’atmosfera di attesa, non potevo che ammirarli per tutto il lavoro cui si dedicavano ogni giorno, e continuavo a sentirmi decisamente inutile a muovermi in quell’ambiente come un’ameba. Facevo di tutto per trattenermi il più possibile a scuola sebbene non potessi più di tanto perché Charlie mi faceva pressioni, visto che dovevo tornare al quartier generale con lei. Non ero comunque mai sola, il che era consolante anche se il più delle volte finivano per affibbiarmi qualche sconosciuto che non aveva mai sentito parlare di doccia. Tuttavia, le ore passate in compagnia di Niall, Charlie, Louis, e più raramente Liam e Zayn erano più che piacevoli. Di Harry nessuna traccia, sembrava divertirsi a evitarmi di nuovo e io lo lasciavo divertirsi. Quella casa era un continuo viavai di gente, la porta d’ingresso si apriva ad ogni ora del giorno e della notte, e anche se mi era proibito accedervi mi era stato raccontato che l’edificio era dotato di un’enorme libreria che sospettavo contenesse tutti i documenti che le persone tenevano sempre sott’occhio. Il problema era al mattino, quando una massiccia dose di studenti doveva condividere quei quattro bagni che, per una famigliola, sarebbero stati ottimi, ma che per tutti noi erano troppo, troppo pochi. Mi era comunque proibito sostare all’esterno dell’abitazione più dello stretto necessario quindi erano state, con mia somma vergogna, Charlie e Rebecca a recarsi alla mia vera casa per prelevare dei vestiti per me, biancheria intima compresa. Un giorno, la svolta.
 
Ero nella solita sala dei materassi, stavo sfogliando distrattamente il manuale di letteratura consapevole che anche se non avessi studiato avrei comunque ottenuto un buon risultato, mentre la ragazza accanto a me e di cui mi ero già scordata il nome sonnecchiava. Doveva aver lavorato tutta la notte, lo testimoniava l’espressione stanca che aveva nel momento in cui era entrata. Qualcuno, però, bussò alla porta e mentre lei si ridestava un ragazzo si precipitò nella stanza, senza nemmeno lasciarmi il tempo di dire “avanti”. Sembrava trafelato, come se avesse corso per ore.
- Styles, l’educazione. - lo ripresi chiedendomi cosa diavolo volesse.
Lui era quello che avevo visto lavorare di più. Ogni tanto sentivo i miei amici discutere su come staccarlo dal computer e chiedersi perché tenesse così tanto a quel lavoro. Non che loro non facessero altrettanto, si giustificavano, ma lui passava anche due notti senza dormire e bla bla bla.
Sembrò decisamente infastidito, come appariva sempre quando mi vedeva ed era costretto a rivolgermi la parola, del resto. - Non ho chiesto il tuo parere. Ora devi sbrigarti a seguirmi. Lena - oh, ecco come si chiamava la ragazza! - puoi tornare di là, ci penso io a lei.
L’altra annuì, probabilmente seccata che il suo sonno fosse stato interrotto, e uscì dalla stanza lasciandoci soli.
- Curioso che mi parli ancora. - commentai. - Cosa c’è?
Alzò gli occhi al cielo e mi sembrò che stesse pregando. - C’è che bisogna fare una cosa e dovrebbe farla Charlie ma ho pietà di lei e so che non reggerebbe, è già abbastanza scossa dopo aver saputo tutto quello che ti è successo, quindi devo farlo io perché sono l’unico qui, a quanto pare, che non ti giurerebbe amore eterno o che non rimarrebbe scosso da tue rivelazioni scioccanti, l’unico problema sarà la tua fiducia. - pronunciò queste parole così in fretta che dovetti ripetermele più volte nella testa prima di dare un senso a quella frase.
- Se può esservi d’aiuto lo faccio, ma prima devi rispondere a una domanda.
Ora o mai più, pensai. Finalmente avevo modo di rivolgergli quella domanda, quindi dovevo cogliere il momento al volo.
- Sono io qui quello che fa le domande. - affermò, nella perfetta imitazione di un agente di polizia del più squallido film giallo.
- Se sei un Umano - chiesi invece, senza prestare attenzione. - come facevi a sapere della P.A.U.R.A.? E perché collabori?
Mi aspettavo una risposta articolata, considerando la complessità della mia domanda e in virtù del fatto, oltretutto, che gliel’avevo chiesto solo per metterlo in difficoltà, invece si limitò ad ignorarmi, lasciandomi completamente indignata. - Se hai finito con le tue solite stupidaggini da ragazzina, adesso devi rispondermi. E no, non è una cosa che serve ai fini dell’indagine, considerala più una cosa personale tra te e i tuoi amici. I tuoi amici e me. - rettificò, prima di sedersi accanto a me.
Mi scansai, cercando di mantenere più distanza possibile. - Perché dovrei risponderti quando tu non lo fai a me?
Lui parve rifletterci un attimo prima di alzare lo sguardo verso di me con aria trionfante. - Fallo per Charlie. Hai presente quante cose ha fatto e sta facendo per te, no? Io credo che dovresti ripagarla in qualche modo, soprattutto visto che sta male per te ogni santissimo giorno e ha paura di quello che potrebbe succederti. Tiene a te più di quanto credi, non fare l’egoista.
Mi domandai perché ogni parola che pronunciasse, che avesse sempre pronunciato, sembrasse articolata apposta per somigliare a un insulto. - Non sono un’egoista e smettila di parlarmi come se io fossi l’essere più disgustoso sulla faccia della terra. Cosa c’è? - era subdolo e meschino e altri infiniti aggettivi negativi che in quel momento non mi venivano in mente.
- Devi raccontarmi tutto quel che hai visto la sera in cui il Demone ti ha attaccato. Tutto, o almeno ciò che ti ricordi.
Non avevo idea di quale avrebbe dovuto essere esattamente la mia reazione, se si aspettasse che scoppiassi a piangere e mi rifugiassi tra le sue braccia, se volesse farmi deprimere o se pensasse che il mio cervello non avesse già svolto abbastanza attività in quei giorni. - Stavo studiando letteratura. - replicai, perché ormai il ricordo di quell’attacco era, secondo la mia testolina, sepolto, insieme a tutto quello che proprio quel mostro aveva rievocato.
- Ellen. - mi ammonì, facendosi più vicino.
- Sono cose - ammisi in un sussurro. - che non sa nessuno. Oltre me, ovviamente.
Sembrò confuso. - Nessuno ti giudica per i tuoi segreti.
- Non è quello. - replicai. - Non sono come quelle che ogni due secondi ti dicono che hanno paura di essere giudicate e che hanno disperatamente bisogno di qualcuno al loro fianco, non mi chiamo mica Mary Sue - quella riflessione mi fece pensare a Niall e avvertii lo stomaco contorcersi. - però sono cose private. Non mi va di scoppiarti a piangere in faccia come quella sera, mettila così. - e le immagini del giorno di cui si parlava iniziarono a susseguirsi davanti a me, come dei flash. Non dell’attacco, avevo cercato di rimuoverle con tutta la forza che avevo, ma del dopo, e mi sentii terribilmente patetica. Non bisognava mostrarsi mai deboli, figurarsi mostrarsi deboli al nemico che era Styles. Mi Cruciai mentalmente per la reazione completamente non da me che avevo avuto quell’orribile sera, annotandomi mentalmente che, se mai avessi realizzato il sogno comune di costruire una macchina del tempo, l’avrei utilizzata per non farmi compatire da Harry.
E a proposito di lui, si mordicchiò il labbro inferiore con aria pensosa, prima di sorridere stupidamente, facendomi soffermare su quelle fossette che, come gli avevo ripetuto tante volte, non gli si addicevano affatto, visto che lo facevano quasi sembrare dolce. - Fingi che io non ci sia stato quella sera. Fingi che ti abbia salvato... - fece una pausa. - be’, facciamo Niall. Io non ti ho mai visto in quelle condizioni, sono semplicemente la persona che odi di più al mondo o meglio, che fingi di odiare di più al mondo, perché io lo so che mi ami, Fox.
Rinunciai alla mia espressione scettica abbandonandomi a una risata. - Come vuoi. E non insisterò solo perché altrimenti mi daresti della bambina, come al solito.
Fu così che gli raccontai di come fossero andate le cose nella fatidica sera in cui tutto ebbe inizio. Forse con un po’ troppa semplicità, forse solo perché avevo un gran bisogno di parlarne con qualcuno. Mi sentii un pochino stupida nel riversare tutto il veleno che mi ero portata dentro per tanto, era la mia parte oscura, e se lo era stata fino ad allora c’era sicuramente un motivo, ma sentivo che dovevo farlo. Credo che sapessi, in fondo, che Harry mi aveva mentito, che era qualcosa che serviva per la loro indagine, ma scacciai quel pensiero perché non volevo credere che lui mi dicesse solo bugie. Mi sentii come se qualcuno mi avesse svuotato di tutte le parti essenziali di me, come se mi avessero tolto gli indumenti più pesanti in una fredda giornata d’inverno. Gli descrissi con dovizia di particolari la figura del clown, con la sensazione che si sarebbe messo a ridere da un momento all’altro e con una grande sorpresa quando non lo fece. Gli parlai dei piccoli segreti che avevano invaso la mia visuale, a partire dalle giornate passate, nascosta, a osservare un bambino che mi piaceva fino ad arrivare alla volta in cui avevo sentito i miei genitori fare l’amore nell’altra stanza e li avevo sbirciati dalla serratura, stupita dell’anatomia dell’uomo, che avevo sempre creduto completamente differente. A quel punto, ridacchiai stupidamente, perché sapevo che stavamo arrivando alla parte più complicata, e lì rise anche lui.
- L’ultima cosa… - esitai. - Be’, a dire la verità è un po’ complicata. - ammisi.
Lui era stato strano durante tutto il mio racconto, come attento. Mi sembrava che sul suo volto fosse stampata l’espressione che aveva avuto il mio terapeuta  in seguito all’episodio che stavo per raccontargli, una distaccata aria professionale, anche se lui aveva un tocco di colore donato dal naturale interesse che pareva nutrire per le mie parole. Fu con mio grande stupore, infatti, che parlò dopo non avermi interrotto durante quella mia confessione. L’unico segno della sua presenza, infatti, era dato dal battere ritmico del suo piede per terra o dal rumore che faceva spostandosi leggermente. - Non importa, prenditi il tempo che ti serve. Purché non sia troppo, - aggiunse dopo un attimo. - ho anche una vita, io.
- Non si direbbe. - commentai, lieta di quel ritorno alla normalità di uno Styles fin troppo anormale. - E comunque, io non ne ho mai parlato con nessuno.
- Neanche di quello che mi hai appena detto e hai visto la mia reazione, non devi sentirti intimidita. Lo so che sono bello e posso fare quest’effetto, me lo dicono in tante…
Lo interruppi, lanciandogli addosso il cuscino che era accanto a me. - Ma non ti crede nessuno!
Lui prese il cuscino con aria disgustata, tenendolo fra pollice e indice e lo reindirizzò alla mittente, ridendo un attimo dopo. - Non è con questo coso che riuscirai a flirtare con me.
Quelle parole mi suonavano terribilmente familiari. - Niall… - mormorai, prima di riscuotermi. Dovevo aver avuto un lapsus. - Nemmeno se fossi l’unico uomo possibile per ripopolare la terra dopo un’epidemia mortale. - affermai, gesticolando ampiamente per dare enfasi alle mie parole.
La sua risata si fece, se possibile, ancora più forte. - Preferiresti lo sterminio della razza umana?
- Sì. - annuii vigorosamente
- Sono lieta di disgustarti così tanto. È sempre stato il mio obiettivo, Fox.
- Hai raggiunto il tuo obiettivo, Styles. - mi premurai di mettere l’accento sul suo cognome. Perché doveva sempre chiamarmi per cognome?
Dopo un attimo di silenzio, scosse la testa per poi passarsi una mano tra i capelli per sistemarli. - Allora, questa cosa complicata? È ora di raccontarmela, credo.
Chiusi gli occhi, sapevo che prima o poi rivivere quel momento sarebbe stato inevitabile, speravo solo nel “poi”. - Quando avevo dieci anni, vivevo con mia madre Emma e con mio padre, Lucius, anche se adesso so che non sono i miei genitori li considero comunque tali. Eravamo una famiglia normalissima e io ero una bambina normalissima. Un giorno stavo andando a farmi la doccia prima del compleanno di una mia compagna di scuola e nella doccia ho visto una persona. Ho pensato fosse un amico di mamma. - feci una pausa, per evitare che la mia voce si spezzasse. - Purtroppo non lo era, si è avvicinato a me e ha iniziato a parlarmi e a chiedermi di venire con lui. Mi ricordo bene che mi aveva detto che se lo avessi seguito mi avrebbe portato a Hogwarts, evidentemente sapeva che ero una grande fan di Harry Potter. - ricordai immalinconita. - Mamma però mi aveva insegnato a non dar retta agli sconosciuti. Allora ho gridato ed è arrivato mio padre, perché mia madre era al lavoro. Quel tipo è diventato aggressivo e dopo essersi insultati sono arrivati alle mani. Mi ricordo che mio padre perdeva molto sangue dalla testa e quel signore se n’è andato subito dopo aver visto la sua ferita, dimenticandosi di me. Ho aspettato lì con lui, pensavo stesse scherzando, non avevo capito che fosse morto. - mi morsi con forza il labbro inferiore per poi sorridere nostalgicamente al vuoto ripensando al momento. - Quando mia madre è tornata mi sono arrabbiata tantissimo perché non mi aveva portato alla festa della mia amica. A marzo ho litigato con lei perché si è sposata con un uomo che non sopporto, ma questa è un’altra storia. Il demone mi ha fatto rivedere la scena di mio padre morto nel piatto della doccia e dell’uomo che scappava, mentre io piangevo perché non si decideva ad alzarsi e a dirmi che stava scherzando. - la mia voce si spense pian piano, mentre mi sistemavo sul materasso. - Mi ricordo ancora dello psicologo che mi hanno affibbiato dopo quell’episodio, era veramente antipatico.
Il silenzio regnava sovrano in quella stanza, si sarebbero sentiti i grilli frinire, se solo ci fossero stati dei grilli. Fortunatamente non c’erano, o Charlie non avrebbe reagito molto bene, visto il suo odio insito per ogni non mammifero.
Dopo pochi secondi, una strana consapevolezza si fece dolorosamente largo dentro di me. - Harry - mi portai le mani alla bocca, incredula. - quello poteva essere…
- Un membro della P.A.U.R.A., lo credo anch’io. Non me lo descriveresti vero?
- No. - la voce che parlò però non era la mia. O meglio, ero io ad aver parlato, ma non ero io. - Harry, io volevo dire che… - che te lo descriverei volentieri, voglio sapere chi diamine ha fatto questo al mio non padre. - non te lo descriverò mai. - mi spaventava quello che mi stava succedendo, perché parlavo dicendo tutto il contrario di quello che, in realtà, avrei voluto rispondere.
Un sorrisino consapevole sostituì la sua fredda espressione. - Te l’ho detto, non puoi collaborare con noi. Anche se finora l’hai fatto, allora funziona la tecnica di Zayn di non renderti consapevole ci ciò che fai.
Sorrisi a mia volta, sentendo le guance andare a fuoco per la frustrazione. - Sono un’inutile idiota, scusami.
Alzò lo sguardo di scatto, posandolo su di me. - Non dirlo. Non dev’essere stato facile.
- In realtà l’ho presa piuttosto bene. - ammisi. - Voglio dire, meglio di quanto potrebbero fare molti altri, almeno così mi hanno sempre detto. I poliziotti hanno preparato schede su schede di questo signore, ma dopo un po’ hanno abbandonato il caso, credo non volessero immischiarsi in cose oscure.
- Possibile, sì. - sembrò valutare l’ipotesi per un attimo. - Va tutto bene, sicura?
- E tu sei sicuro di essere Harry Styles? - domandai ridendo, perché quel comportamento non era assolutamente da lui.
- Sei un’ingrata, Fox. - ribatté, piccato. - Non mi preoccuperò mai più per te.
- Sai che novità. - risposi facendo spallucce e causandogli una certa indignazione.
- Tu non sai proprio niente! - esclamò, riprendendo il famoso cuscino e lanciandomelo addosso.
Inarcai un sopracciglio. - Ora chi è che flirta con chi? - chiesi, con la vittoria in pugno.
- Va’ al diavolo, Fox. - sbuffò.
Gli scompigliai i capelli, stupendomi di come i suoi ricci fossero più morbidi e meno modellati dei miei. - Oh, sei proprio come i bambini. - lo ripresi, utilizzando le parole che ultimamente lui e Niall usavano fin troppo spesso.
- E tu sei…
Ma non fece in tempo a finire la frase perché un suono che avevo imparato a riconoscere negli ultimi giorni si palesò, annunciandoci l’ora di cena. - Oh, era ora! - mi alzai molto velocemente, il cibo era ormai il mio migliore amico. Be’, lo era sempre stato a dire la verità. - Sto morendo di fame. - mi giustificai, ma prima che potessi aprire la porta la voce di Harry mi immobilizzò.
- Sembrerei un completo cretino se ti abbracciassi in questo momento, vero? - una risatina nervosa.
Corrugai le sopracciglia, non capendo dove volesse andare a parare, che ce l’avesse ancora con me per quella storia del cuscino e del flirt? - Styles, ti ricordo che tu sei un completo cretino. - sottolineai.
Non sentii la sua risposta, ma mi voltai verso di lui e lo vidi avvicinarsi a me.
Quando annullò con la sua stretta la già troppo corta distanza che passava tra noi, avevo solo una domanda che mi popolava la testa. Perché diavolo quest’idiota mi sta abbracciando? Se mi desse fastidio? Non proprio, non direi. Era solo strano. Ma era un tocco che, me ne rendevo conto solo in quel momento, mi era mancato. Aveva qualcosa di rassicurante, lo stesso aggettivo che gli avevo attribuito il giorno dell’attacco che gli avevo appena raccontato. Non solo di rassicurante, era un abbraccio così caldo, così accogliente, che in quel momento mi sentii come da bambina, quando dormivo in mezzo a mia madre e a mio padre nel letto perché avevo paura a stare da sola, e sentivo quel profumo inconfondibile di mamma e papà ed ero felice, perché niente poteva farmi del male. Ecco, la sensazione era quella, ma lui era Harry Styles, e costituiva da sempre il mio nemico numero uno. Ecco perché quella sensazione era completamente sbagliata.
 
Mentre piluccavo un po’ di tonno in scatola, seduta assieme a Niall, Harry e un altro ragazzo di cui avevo, tanto per cambiare, appena dimenticato il nome, maledicevo la ridicola organizzazione di quella casa che imponeva dei turni anche per mangiare, il che significava che non passavo decentemente del tempo con Charlie da secoli. Era completamente immersa nel lavoro, le poche chiacchiere che scambiavamo nella sala dei materassi erano spesso spente in fretta dal suo russare, perché era troppo stanca per imitare le volte in cui eravamo state sveglie tutta la notte a parlare del più e del meno, incuranti della sveglia del giorno dopo.
- Rispiegatemi perché non posso mangiare ancora. - chiese Niall forse per l’ennesima volta.
- Concordo con l’irlandese! - esclamai, cercando di razionare il tonno fino all’ultimo e masticandolo piano, per gustarlo a fondo. Mi pareva di non mangiare da anni, e non scherzo.
Ragazzo non identificabile sbuffò. - Perché le nostre famiglie non hanno soldi infiniti e questo è quello che possiamo permetterci.
- Come sei noioso! - sbuffai  a mia volta, evitando di pronunciare il suo non identificabile nome. - Sei sicuro che lo mangi tutto quello? - indicai con l’indice l’uovo che pareva stesse sezionando.
Quello annuì e, per tutta risposta, Niall rise. - Se non fossi sicuro che non accetteresti, ti sposerei, El.
Non la smetteva più di fare quelle battutine che per lui e me avevano un significato incomprensibile per gli altri. Nessuno sapeva di noi due, ma alla fine non  è che noi due fossimo chissà cosa. Ci eravamo scambiati due baci, presi forse dall’elettricità di quei momenti, lui continuava ad essere la mia cotta dei diciassette anni (“Ogni anno di vita è caratterizzato da una cotta”, ero solita ripetere), ma a parte quello nient’altro. Dubitavo persino di piacergli un quarto di quanto lui piacesse a me, ma avevo problemi più grandi a cui pensare al momento.
Harry spostò la sedia con un rumore secco, prendendo il suo piatto vuoto e riponendolo nella lavastoviglie. - Lo abbiamo capito che vi amate. - borbottò seccato, tanto che pensai di essermelo sognato.
- Io sono fedele solo al cibo. - affermai con sicurezza, mentre il biondo di fronte a me mi faceva un occhiolino, mandandomi in pappa il cervello. Oh, no, nessuna Mary Sue s’impadronirà di me, mi ripetevo mentalmente, ossessionata dalla paura di diventare come tutte le altre, come una spudorata undicenne alla prima cotta che perde completamente la propria personalità. Dicevo che mi fece un occhiolino che non mi provocò alcun effetto.
- Non vorrai rinnegare così la nostra relazione segreta, non è vero Ellen? - chiese appunto lui, alzandosi a sua volta.
- Sapete - s’intromise Ragazzo non identificabile. - inizio a credere che voi due abbiate davvero una relazione segreta.
- Non è abbastanza furba per averne una. - commentò Harry, indicandomi col pollice.
- Ehi! - protestai e la frase che sentii pronunciare all’unisono da Irlanda e da Cambio-umore-come-una-donna-mestruata mi fece venir voglia di ridere e urlare allo stesso tempo.
“Sei proprio una bambina” furono infatti le parole di entrambi, l’uno affettuoso e l’altro disgustato, che si guardarono straniti per un attimo prima che il loro sguardo si posasse di nuovo su di me che, spaesata, non sapevo cosa fare.
- Quando la finirete con questa storia? - optai per sospirare infine, mentre mi alzavo insieme a Ragazzo non identificabile e riponevo sia il mio piatto sia il suo, passando fin troppo vicino a Niall, che non perse l’occasione per toccarmi il braccio in un gesto che, all’esterno, sarebbe dovuto sembrare casuale, ma che non era casuale affatto.


 

Aria.
   
 
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