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Autore: Leysarya    27/01/2015    1 recensioni
«Che succede?» chiede la mia amica, non consapevole di ciò che sta accadendo poiché molto occupata a pilotare il veicolo, ma sembra anche lei turbata da qualcosa.
«Le comunicazioni hanno smesso di funzionare. Siamo tagliate fuori, dovremo aspettare di arrivare a Coruscant per riportare al consiglio ciò che è accaduto.» Rispondo dandole le spalle.
«Vie-Gan vieni qua, c’è un altro problema, forse più grave.»
«Definisci “più grave”» e avvicinandomi capisco cosa intende. La mappa è scomparsa, le coordinate anche. Non sappiamo più in che zona siamo e non possiamo di certo tornare su Pria III. Anche se potessimo in ogni caso non sarebbe la mia prima scelta, l’ambiente è umido e poco ospitale, benché la popolazione non sia così male, ma è pure poco sviluppato dal punto di vista tecnologico, e non troveremmo di certo lì la soluzione ai nostri problemi.
«Dobbiamo tentare un atterraggio di emergenza sul primo pianeta che troviamo»
«Ma siamo lontani dai territori della Repubblica» dice ingenuamente lei.
«Non credo che quei Cloni siano stati mandati da qualche altra organizzazione, potrebbe essere sia la nostra fortuna che la nostra sfortuna trovarci così lontani. Possiamo solo tentare.»
Genere: Avventura, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio, Qui-gon, Un po' tutti, Yoda
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Esitai prima di scendere dalla navicella. Mi sembrava che a poggiare i piedi sul suolo di Erai III avrei compiuto un’azione definitiva e irrevocabile. Vie-Gan osservava comprensiva, quasi accorata. 

 «Va tutto bene?» mi domandò con una punta di preoccupazione. 

 «Ho una strana sensazione…» mormorai. Stavo per spiegarle cosa sentissi esattamente, ma mi morsi la lingua. Probabilmente mi considerava già una mocciosa petulante e irritante, era meglio non peggiorare la situazione. 

Non era affatto colpa mia se lei era così scorbutica! Avevo provato in tutti i modi a fare amicizia, ma evidentemente lei voleva essere lasciata in pace.

L’avevo guardata di sfuggita per tutto il viaggio - breve, a dir la verità. Ogni tanto abbassava lo sguardo: i capelli, di un rosso carota, le ondeggiavano ai lati del viso, forse involontariamente, o forse per coprire la tristezza che le sgorgava dagli occhi. E più il tempo passava, più torturava il bordo di quel guanto bizzarro, con le dita agitate da scatti nervosi che incanalava in quel tic misterioso per non lasciare che si impadronissero di lei. 

Io al contrario ero sull’orlo del collasso totale. Ho lungamente avuto il dubbio di non possedere l’autocontrollo che si addice a una jedi, allora ne ebbi la conferma. 

Il maestro Myrasu dovette richiamarmi a un certo punto, e allora decisi che chiudere gli occhi e meditare fino all’atterraggio sarebbe stato l’unico modo utile per restare zitta. 

Avevo avvertito l’aumento di pressione e lievi sussulti che erano conseguiti al nostro ingresso nel campo gravitazionale del satellite. La velocità del battito del mio cuore si era triplicata, ma mi ero concentrata per regolarizzarlo. 

Il luogo in cui eravamo diretti era a poca distanza da Naboo. Lo scopo del nostro atterraggio su quella luna era una semplicissima missione di controllo. Erai III apparteneva all’omonimo pianeta che ne rivendicava testardamente il possesso, ed era un famoso luogo d’estrazione di cristalli Eralam per le spade laser. 

Udito ciò, annuii per dissimulare il brivido che mi corse lungo la schiena. I cristalli erano un argomento tabù, così come le lune dalle quali venivano estratti.

Come Padawan del maestro Myrasu avevo parecchie informazioni in merito e sapevo che non sempre l’estrazione avviene in satelliti isolati e inospitali per un puro caso, come molti vogliono far credere. Nel mercato dei cristalli per le spade laser la lista delle speculazioni veniva aggiornata alla velocità della luce, ma gli Eralam erano tra i migliori, usati dalla stessa Accademia. 

Il maestro era un esperto in quel campo. D’altra parte, era lui che… 

No, non dovevo rifletterci troppo. Non mostrare nessuna paura. Quindi nessuna esitazione. 

 

Erai, il pianeta madre faceva parte della repubblica, ma aspirava senza la minima discrezione all’indipendenza. Di conseguenza c’era il sospetto che potesse aver collaborato segretamente con la Confederazione dei Mercanti, mettendo a disposizione proprio le vie di Erai III.

Missione di controllo, avevano detto. Bene. L’importante era che non fosse auto-controllo. Stavo tremando in modo indecente. E per quale motivo, poi? Sognavo quel momento da anni. 

Mi sentivo come aggrovigliata in fili invisibili, che mi tiravano qualsiasi cosa facessi. Il maestro Myrasu mi osservava da lontano? Qualcosa mi si aggrovigliava alle caviglie e mi faceva inciampare. Vie-Gan si guardava intorno con aria esperta? Una rete mi afferrava lo stomaco stritolandolo in una morsa. 

Cosa avrei dovuto fare? Mi sembrava di non essere all’altezza. Controlliamo, dunque, che l’ecosistema si mantenga intatto indipendentemente dalla guerra civile che sta per scatenarsi. Mi sembra che sia tutto a posto, torniamo a casa? 

Non fraintendetemi, avanzavo con tutti i sensi all’erta. Ma erano più o meno quelli i pensieri che si affacciavano nel mio subconscio. 

Nel frattempo il maestro Carrick continuava a illustrarci le caratteristiche del luogo con una voce da oratore che sarebbe stata più adatta per una lezione da Younglings, una di quelle che trascorrevo dormendo o facendo levitare aeroplanini di carta. 

 «Sapevate che il satellite è in gran parte deserto a causa di un’antica attività vulcanica che l’ha reso a lungo inospitale? Come sapete, Erai è un gigante gassoso, e fornisce gran parte dei gas nobili in uso nella Galassia…»

Per un po’ mi parve educato voltarmi ad ascoltare e annuire coscienziosamente a ogni pausa, ma poi mi resi conto che il maestro Myrasu guardava altrove e che Vie-Gan aveva le sopracciglia così aggrottate che pareva avesse inghiottito un limone intero, perciò mi sentii autorizzata a ignorarlo. 

Catturavo soltanto nozioni e cifre a caso, come “città fluttuanti”, “78%” e “irraggiungibile da ogni sistema di comunicazione”.

 «Secondo le previsioni, la prossima tempesta si trova in questo stesso emisfero, ma a due giorni e mezzo di distanza» disse Carrick, il maestro di Vie-Gan. 

Tempesta? Quale tempesta? 

 «E torneremo prima di sera, per cui non c’è assolutamente da preoccuparsi» concluse il maestro Myrasu, appoggiandomi una mano su una spalla «come va, Ana-Rei?» 

Sussultai e mi sentii raggelare. Avevo avuto l’aria troppo assente, o insolente? Mi ero persa qualcosa di fondamentale per la missione?

 «Bene, maestro, anche se…» 

 «Senti qualcosa o è solo l’odore di zolfo dei gas vulcanici?»

Arrossii. 

 «Veramente lo avverto anch’io» intervenne Vie-Gan, spostando lo sguardo tra i due maestri alternativamente «pensavo fosse una conseguenza delle tempeste, o dell’attività del pianeta, dato che lo sentivo avvicinarsi, ma adesso che siamo fermi…» 

Sgranai gli occhi. C’era qualcosa in arrivo? Sentii l’adrenalina scorrermi nelle vene. 

Il maestro Myrasu sollevò un sopracciglio; la sua espressione era in buffo contrasto con la calma totale del maestro Carrick.

 «E giusto caso il radar è fuori uso» commentò il mio maestro con serietà.

Deglutii, domandandomi se anche Vie-Gan fosse attraversata dal mio stesso dubbio. 

 «Perdonate l’insolenza, ma un bersaglio mobile non è più difficile da colpire?» intervenni ansiosamente. 

 «Indubbiamente» convenne il maestro.

 «E se il qualcosa che si avvicina fosse ostile… be’…» 

 «Perché non decolliamo?»

Mi voltai verso Vie-Gan e la guardai con riconoscenza. Era incredibile come entrambe completassimo i reciproci pensieri. Le sorrisi, ma lei non mi guardò neppure. Uffa. 

 «Che acume, care Padawan» si complimentò il maestro Carrick. 

Sorrise bonariamente verso Vie-Gan, e lei rispose con un altro sorriso tirato, che trasformò in una smorfia non appena il maestro si voltò. Ebbi un attacco di risatine incontrollabili e mi tappai la bocca con una mano. 

 «Cosa vi diverte, cara Ana-Rei?» domandò il maestro Carrick. Mi ricomposi, abbassando gli occhi. 

 «Non c’è tempo di discutere!» protestò Vie-Gan con decisione. 

Aveva leggermente alzato il tono di voce rispetto al solito. Il che voleva dire che era particolarmente alterata, e col senno di poi, non l’avrei vista perdere la calma per molto altro tempo. 

Come diamine ci riusciva?

Raggiungemmo correndo l’astronave e Carrick si mise subito ai comandi. Decollammo, e Myrasu gli disse qualcosa all’orecchio. Carrick annuì e spinse la cloche verso l’alto.  

 «Ci stiamo allontanando dal campo gravitazionale» disse Vie-Gan. Nessuno dei due Jedi rispose, ma poco dopo l’astronave tornò a inclinarsi verso il basso, dopo che Carrick ebbe tirato una leva per frenare. 

Trattenni il fiato, sentendo il sangue pulsarmi nelle vene. Tre caccia neri, dal profilo affusolato, sfrecciarono sotto di noi, facendo un’ampia curva e procedendo quasi radenti al suolo.

 «Sono droidi avvoltoi?» domandai timidamente, credendo di riconoscerli.

 «Esatto» rispose il maestro Myrasu «sono molto agili e veloci e hanno un’indipendenza limitata. Vorrà dire che siamo vicini a una base, ma quel che è più importante, sono utilizzati solo dalla Federazione dei Mercanti.» 

 «Non hanno pilota, ma un cervello droide integrato» soggiunse Vie-Gan «il che dimostra perché non si sono accorti di noi, non siamo nel loro campo visivo, e sono impostati per fare sempre lo stesso percorso.» 

Il maestro Carrick tacque, visibilmente irritato dal fatto di non poter aggiungere nient’altro a quanto era già stato detto. 

 «Be’, dovremmo seguirli» non trovò nulla di meglio da dire. 

Ci mantenemmo a quella quota, tenendo dietro ai caccia, verso l’orizzonte. Da una tale altezza, mi resi conto delle dimensioni irrisorie del satellite. La base dei droidi poteva trovarsi anche nell’emisfero opposto: la superficie del pianeta era visibilmente curva contro il cielo scuro. 

Il cuore mi balzò in petto quando altri due apparvero in vista, sovrapponendosi a quelli che stavamo seguendo, ma andando in direzione opposta. Presto li vedemmo affollarsi come uno sciame, incrociarsi sterzando all’ultimo minuto e fare giravolte disegnando volute vertiginose. 

 «Come si vede che nessun essere vivente li pilota» commentai tra i denti «cosa facciamo?»

L’astronave procedette imperterrita e silenziosa - aggettivo applicabile anche ai passeggeri.

Mordicchiandomi l’interno di una guancia, un po’ contrariata, osservai il maestro Carrick superare la base e atterrare parecchio più in là.

«Useremo dei passaggi sotterranei?» ipotizzò Vie-Gan, ma ciò che vedemmo bastò come risposta. 

C’era quello che sembrava un antico cratere di fianco a noi, ma in realtà su un fianco si apriva una galleria in discesa. Carrick condusse lì l’astronave, così che fosse nascosta a droidi di passaggio. 

Ed io non avevo ancora capito cosa intendessimo fare. 

Il maestro Myrasu si alzò in piedi e mise le braccia conserte. 

 «I caccia separatisti agiscono seguendo unicamente i comandi della base. Se stanno pattugliando tutta la superficie del pianeta, sarà perché la Confederazione ha intenzione di occuparlo.» 

Cercai di mantenere un atteggiamento tranquillo e risoluto, ma l’impulso di esprimere in qualche modo la tensione era quasi irrefrenabile.

 «Non abbiamo il tempo di consultarci con i Maestri dell’Accademia su Coruscant» obiettò Carrick con aria preoccupata. 

 «Per confermarci che non abbiamo altra scelta oltre a disattivare la base, immagino» proseguì Myrasu. 

 «Non possono aver lasciato il satellite completamente privo di esseri dotati di intelletto» intervenne Vie-Gan «come giustificherebbero altrimenti tutto questo viavai?» 

Stimolata dalla conversazione, anche la mia mente iniziò a lavorare. Oltre al fatto che non mi sarebbe dispiaciuto dire qualcosa di intelligente, avevo la sensazione che ci sfuggisse qualcosa. 

 «Il pianeta madre permette che astronavi della Repubblica atterrino su Erai III?» domandai. 

Fu Vie-Gan a rispondermi, dopo una veloce riflessione.

 «No» esclamò, come illuminata «è come se fossero gelosi dei giacimenti.»

 «In realtà collaborano segretamente con la Confederazione» completò Carrick «un’ottima copertura.» 

 «Allora possiamo smascherarli» concluse Myrasu «nel momento in cui non denunceranno la nostra intrusione.» 

Rimasi basita a osservare la trama dell’imbroglio che si distendeva come una spoletta saltando da una deduzione all’altra dei nostri maestri. Sapevo di avere molto da imparare, e l’impegno non mi mancava, ma a quando i risultati?

 «Bene, definiamo i termini della missione, sei d’accordo, maestro?» riprese Myrasu. Carrick annuì.

 «Ana-Rei, è arrivato il momento di mettere in pratica tutto ciò che conosci» disse il mio maestro «se ti trovi in difficoltà non esitare a chiedere aiuto e mantieni la calma. Non allontanarti mai da me o dal maestro Carrick e da Vie-Gan, a meno che non ti sia ordinato diversamente. Siamo intesi?» 

 «Sì maestro.» 

Lessi il resto nello sguardo che ci scambiammo. Non avevo motivo di dubitare. Ero pronta, capace, reattiva, la Forza scorreva in me. Mi mancava solo una piccolissima dose di fiducia. 

Lasciammo la nave al sicuro sotto uno sperone di roccia; all’interno rimase un droide astromeccanico di nome R3-D8, per contattarci in caso di emergenza. Comunicava attraverso un codice composto da suoni elettronici, fischi e schiocchi, che dopo anni di allenamento ero riuscita a capire in gran parte. Certo, quando si sperticava in termini tecnici annuivo e gli davo ragione. Avevo già sperimentato la sua reazione nei confronti di chi gli chiedeva di ripetere. 

Nello scendere nuovamente dalla nave, ebbi come una sensazione di abbandono. Si andava marcando il mio distacco dalla mia vecchia vita. 

 «Come ci orienteremo?» chiese Vie-Gan.

Ma perché accidenti faceva lei tutte le domande intelligenti?

 «Abbiamo in memoria una mappa delle gallerie. Questa informazione in teoria non è segreta, e il fatto che l’Accademia ne sia in possesso non attesta che stiamo facendo alcunché di male» disse con calma il maestro Myrasu. Era palese che riuscisse a orientarsi meglio in una miniera piuttosto che nelle vie di Coruscant. 

L’illuminazione era debole nei corridoi più in superficie, dove i cristalli erano ormai esauriti. Quello che stavamo percorrendo doveva essere in disuso da tempo, e le lampade ancorate ai soffitti erano opache e ricoperte di ragnatele. 

Presto il percorso curvò verso il basso e le pareti di roccia vennero inghiottite da un rivestimento di metallo bullonato. C’erano varie diramazioni, ma noi procedevamo sempre dritto. Il maestro Carrick si teneva in contatto con R3-D8 con un microfono, e si faceva dettare istruzioni. 

Non dovevamo farci scoprire prima di essere penetrati nel cuore della struttura, e se possibile neanche essere riconosciuti. Ufficialmente eravamo innocenti, ma ultimamente la Confederazione dei mercanti si atteneva pochissimo anche alle leggi comuni a tutti i popoli della Galassia. 

Quando sentivamo la presenza di droidi di sicurezza ci rifugiavamo in una galleria secondaria aspettando che passassero avanti, evitando ogni scontro diretto.

Mi resi conto che c’era una rete di controlli paralleli, sottoterra come in superficie, allo scopo di impedire l’avvicinamento, oltre all’accesso. 

 «Mani-in-alto. Chi-siete? Gettate-le-armi.»

Wooom.

Un lampo verde e abbagliante mi saettò a un soffio dall’orecchio, e la testa del droide più vicino saltò via con un’esplosione di scintille. Vie-Gan roteò la spada laser e si mise in posizione di attacco, con l’arma sollevata alla sua sinistra. 

 «Allarme. Cavalieri-Jedi. Lanciare-l’allarme-alla-bas-» 

I droidi si erano mossi in un principio di schieramento per circondarci, ma oltre che stupidi erano anche lenti. 

Il maestro Myrasu sguainò la spada laser, ma rimase in posizione di guardia, per lasciare che fossi io a combattere. Mi sentivo il cuore in gola, ma rimasi impassibile. 

Tirai fuori la mia spada, la feci roteare alla mia destra una, due volte; i droidi, sbigottiti e impressionati, arretrarono di appena qualche passetto. Ne falciai un paio, e ammisi che fare a pezzi gli avversari dava un impulso straordinario. 

Quando non ci furono più droidi in piedi, premetti il pulsante che faceva ritrarre la lama all’interno dell’impugnatura. Osservai soddisfatta ciò che restava delle mie vittime, ma il mio orgoglio sprofondò alla vista del massacro causato da Vie-Gan. 

Forse però lei si accorse del mio sconcerto e mi lanciò uno sguardo tagliente.

 «Che c’è da guardare?» 

 «Wow» mugugnai a voce bassa, sperando che bastasse come risposta. Lei alzò le spalle. Il complimento non l’aveva nemmeno minimamente lusingata. 

Procedemmo con più cautela e più fretta. Il comandante non aveva fatto in tempo ad avvertire la base della nostra presenza, ma non ci sarebbe voluto molto prima che qualcuno trovasse una dozzina di droidi affettati. 

Dopo un paio di altri incontri spiacevoli - ostacoli di cui ci liberammo in fretta - raggiungemmo uno spazio più aperto, quello che sembrava qualcosa a metà tra un hangar e un magazzino. 

Scivolammo dietro una serie di container per osservare da lì la situazione. Droidi ovunque, non mi sarei aspettata altro. Sospirai per scaricare la tensione. Li osservai meglio: erano… 

 «Droidi da battaglia!» sussurrai concitata. Il battito del mio cuore accelerò. 

I droidi si muovevano schierati in righe, a gruppi di qualche decina, e sotto la sovrintendenza dei droidi comandanti marciavano dentro astronavi da guerra. Strinsi i denti, amareggiata. 

 «Non possiamo assolutamente affrontarli» disse il maestro Carrick. Fece un cenno a Vie-Gan e le sussurrò qualcosa all’orecchio. Lei annuì, lanciandomi un’occhiata di traverso.

 «Che succede?» mormorai, stringendo la mano sull’elsa della spada laser «Cosa facciamo?» 

Osservai il microfono passare dalle mani del maestro Carrick a quelle della sua Padawan. Neanche allora il sospetto di cosa stesse accadendo mi sfiorò.

 «Mi raccomando, Ana-Rei» disse il maestro Myrasu, nel momento in cui le dita di Vie-Gan si chiudevano attorno al mio polso. 

 «Datti una mossa» sussurrò lei, sfrecciando nel passaggio tra due container. 

Non ebbi il tempo di reagire: i miei piedi si staccarono da terra in quella corsa meccanica e disperata. Sentii il ronzio di due spade laser e il caos generato dalla loro azione diversiva. E allora compresi la dinamica del piano. Ma parlarmene prima no, vero? 

La mia mente era come in uno stadio di elaborazione dati: le informazioni da analizzare erano troppe e si susseguivano troppo velocemente, rischiando di impallare il sistema. 

 «Prova a fermarti e ti infilzo» disse Vie-Gan, quando accennai a rallentare prima che abbandonassimo la sala, per vedere come i nostri maestri se la stessero cavando. 

Accelerai il passo senza replicare, mentre lei continuava a tenermi stretta per il polso, senza strattonarmi con violenza, ma neanche allentare la presa. 

 «R3!» mormorò lei nel microfono «Stiamo uscendo dall’hangar, dacci la nostra posizione rispetto all’unità centrale!» 

A stento udii la risposta, che fu tra l’altro coperta dai miei ansiti. Non avevo il respiro affannoso per la stanchezza, ma per l’adrenalina, cosa comunque non consigliabile. Ricevevo una buona dose di occhiatacce anche per questo. 

 «Non siamo lontane» disse Vie-Gan tra sé, voltandosi a guardarmi «ci sei?»

 «Sì» risposi con convinzione, lusingata dalla sua attenzione. 

 «Bene.» 

E finalmente mi lasciò andare. Urrà!

Dubitava forse che non avrei seguito il suo passo? 

Droidi accorrevano in massa verso il magazzino che c’eravamo lasciate alle spalle, ed io iniziavo ad essere sempre più preoccupata per i nostri maestri. Avevo fiducia in loro abbastanza da essere certa che non avrebbero cercato uno scontro con tanti avversari sapendo di non riuscire a prevalere, ma mi chiedevo quanto tempo la loro misura ci avrebbe garantito. 

Dopo qualche minuto, Vie-Gan si arrestò all’improvviso, davanti a una serie di ascensori. Di fianco alle porte automatiche, delle lucette pulsavano a intermittenza. Erano in funzione. 

 «Oh, no, R3!» protestò lei, arretrando «Ana-Rei, svelta, corri!» 

Possibilmente quelle porte si sarebbero aperte a breve per riversare nel corridoio altri rinforzi. Eppure fuggire senza essere inseguite era impossibile. 

Mi guardai intorno alla ricerca di una soluzione. Mi formicolavano le mani per la frenesia. 

 «Spostati» dissi a Vie-Gan, estraendo la spada laser. 

Lei esitò e mi guardò stranita, prima di farsi da parte, incuriosita. Io sperai solo che la mia idea funzionasse. 

Con la lama fusi il quadro dei comandi dell’ascensore.

 «Ormai niente più anonimato» aggiunsi, tra gli sfrigolii dei circuiti che collassavano. 

Vie-Gan emise un verso di approvazione e di sollievo insieme. Poi anche lei alzò lo sguardo, e indicò la scala di emergenza. Be’, ma la mia idea era buona comunque, no?

Mi fece cenno di andare per prima, ed io non contestai la sua decisione. Salii più rapidamente che potevo, anche se quei pioli sembravano non finire mai. Non mi ero resa conto che fossimo scesi così in basso; probabilmente eravamo già sopra la superficie terrestre. 

Piccolo problema tecnico: gli ascensori bloccati avevano congestionato anche i piani superiori, i quali ora brulicavano di droidi confusi che andavano scontrandosi l’uno contro l’altro balbettando frasi sconnesse. Peccato che la loro menomazione non gli impedisse di estrarre i blaster alla nostra apparizione. 

 «Eliminare-intrusi.» 

Vediamo se il Soresu funziona, fu il mio primo pensiero. 

Non mi concentrai su altro che non fosse respingere i loro proiettili. Una volta preso il ritmo non era difficile e con i colpi di rimbalzo facevo fuori parecchi droidi. Forte! 

Vie-Gan balzò al mio fianco poco dopo, e si servì per un po’ della mia stessa tecnica. Quando la folla si fu un po’ smaltita, passò all’attacco, menando fendenti in ogni direzione e lasciandosi andare in azioni acrobatiche da togliere il fiato. Con questo si avvicinava sempre di più alla porta scorrevole - sì, l’avevo vista anch’io - che si trovava in fondo a quello stesso ambiente. 

Io non mi mossi. Non ero minimamente alla sua altezza nel combattimento, ma dovevo raggiungerla in qualche modo. I droidi stavano per accerchiarmi, e il panico mi risalì in gola come un acido. 

Fu in quel momento che staccai una mano dall’impugnatura della spada e, con il palmo in direzione dei miei avversari, mi concentrai su un’ondata di Forza, quanto più potente possibile. 

Non spezzai lo schieramento in due, ma se non altro feci inciampare un paio di droidi, il che mi ridiede il coraggio e anche la possibilità materiale di aprirmi un varco dietro Vie-Gan. 

 «Ben fatto» si complimentò lei quando la raggiunsi «stavo quasi per venire a salvarti.» 

Le feci il broncio, ma considerando che probabilmente non le importava, decisi che non valeva la pena di rimanere arrabbiata. 

Di guardia alla porta c’erano altri droidi che lei aveva già messo al tappeto. Io le coprii le spalle, mentre lei esaminava il sistema di chiusura. 

 «Dimmi quando hai finito» dissi con una punta di ansia, continuando a roteare la spada.

 «Ho appena iniziato» replicò lei aspramente «dammi un minuto.»

Tra un minuto potresti finire arrostita. Non lo dissi, chiaramente.  

Sentii alle mie spalle un penetrante odore di bruciato e un’ondata di calore raggiungermi.

 «Via libera!» esclamò Vie-Gan.

 «Aspetta un attimo, hai fuso una porta?» obiettai, sbigottita. 

 «Be’, stiamo distruggendo un po’ tutto, perciò scateniamoci» e corse verso il quadro dei comandi. Io mi voltai, la bocca spalancata in una smorfia di terrore. Avevo ancora una quarantina di droidi alle calcagna. Premetti il pulsante della chiusura di emergenza e sorrisi salutando con la mano mentre le porte scorrevoli si chiudevano. 

 «Cos’è che dobbiamo mettere fuori uso?» chiesi, avvicinandomi, mentre il mio umore migliorava decisamente. 

 «Tu spegni tutto quello che trovi» rispose lei, abbassando levette, tirando via cavi e friggendo monitor «tutto potrebbe essere utile.» 

 «Ma è possibile che non ci sia nessuno?» protestai, confusa. 

 «Assolutamente no.» 

Rimasi pietrificata. Una squadra di guardie, viventi, questa volta, ci puntava le armi contro. A parlare era stato colui che identificai come il responsabile, un uomo dalla faccia totalmente anonima e con un’uniforme a righe verdi e gialle. 

 «Mie giovani Padawan, mettete giù quegli affari, potreste farvi male. E spiegateci perché state sabotando e seminando zizzania nella nostra base operativa su Erai III. È disdicevole che i vostri maestri non vi abbiano insegnato il rispetto per il lavoro altrui.» 

Anche senza consultarmi con lo sguardo con Vie-Gan, capii che il capitano pensava che fossimo lì da sole, per chissà quale motivo, e aveva attribuito a noi anche la confusione provocata dai nostri maestri. Ma soprattutto, stando al tono con cui ci si rivolgeva, ci considerava delle bambine. 

Eppure non avevo considerato una possibilità del genere. Attesi istruzioni da Vie-Gan, senza abbassare le armi, perché mi resi conto che farlo sarebbe stato un grande errore. Il comandante non era granché qualificato, e in quanto semplice ufficiale, temeva due apprendiste Jedi e cercava di nasconderlo con la spavalderia.

 «Noi non abbiamo alcuna cattiva intenzione» disse Vie-Gan, tranquillissima. Sollevò una mano e fece un movimento circolare in direzione del viso del comandante.

 «Voi non avete alcuna cattiva intenzione» ripeté quello, non troppo convinto, con gli occhi vacui.

 «Ci lascerete andare via senza trattenerci e non direte a nessuno che siamo stati qui» continuò Vie-Gan, acquistando sicurezza. Persuasione con la Forza! Non c’è niente di più mitico. 

Il comandante annuì.

 «Certo. Vi lasceremo andare.» 

 «Darete disposizioni per l’autodistruzione della base tra dieci minuti.» 

 «Ehi, aspetta, cosa?» farfugliai, inorridita.

 «Daremo disposizioni per l’autodistruzione della base tra dieci minuti. L’ordine è irrevocabile, iniziare le procedure di evacuazione.» 

 «Bene, adesso andiamocene» disse Vie-Gan soddisfatta, imboccando la porta «Vieni, Ana-Rei.» 

La sua impulsività mi aveva sorpresa. 

 «Dieci minuti non sono abbastanza!» protestai, correndole dietro, mentre urtavamo droidi a destra e a manca senza che questi reagissero minimamente alla nostra presenza.

 «Sì che lo sono» rispose lei «andiamo direttamente all’astronave.»

Corremmo fino a restare senza fiato, respirando a boccate avide l’ossigeno che ci bastava al passo successivo. Dieci minuti non mi erano mai parsi più lunghi, e a ogni secondo la schiena mi si andava riempiendo di sudore gelido. A entrare ci avevamo messo molto di più. 

Vie-Gan rallentò, e afferrò il microfono. Le tremava la mano, e capii che anche lei era in tensione. 

 «Se c’è una cosa che non dobbiamo fare» borbottò, smanettando con qualche pulsante «è perderci. Dove dobbiamo andare, R3?» disse, scandendo bene le parole. 

Il droide rispose, ed io vidi al rallentatore le pupille di Vie-Gan dilatarsi, il sangue defluire dal suo volto già pallido. 

 «Cos’ha detto?» la incalzai, con la voce stridula per la paura. 

 «Mantieni la calma, Rei, a ogni costo» disse lei, serissima. Era la prima in assoluto che usava un diminuitivo per chiamarmi. 

 «Certo» balbettai «ma perché?» 

 «Perché… dobbiamo tornare indietro.» 

 

Sapevo che prima o poi la morte sarebbe arrivata anche per me, ma non che mi avrebbe colta a diciassette anni, nei sotterranei di un satellite remoto, perché la mia compagna di missione non aveva fissato il nostro limite di tempo qualche minuto più avanti. Per lo meno l’agonia sarebbe stata breve. Un boato, un’onda incandescente e poi stop, sipario chiuso. 

Allora perché chiedere tanto al mio corpo? Non mi sentivo più le gambe, e sentivo costanti stilettate di dolore al fianco sinistro, mentre le mie vie respiratorie si contraevano implorando aria. 

Anche Vie-Gan era stanca quanto me. A ogni curva vacillava, e si lasciava sfuggire gemiti ogni volta che inspirava. 

Non avevo neanche la forza di chiederle cosa dovevamo fare, tanto sapevo che non ci saremmo riuscite. 

Mi parve quasi un miraggio quando raggiungemmo l’hangar. In alto, sopra la porta che avevamo appena oltrepassato, c’era uno schermo gigante che prima non avevo notato, con delle cifre rosse luminose che pulsavano, come un cronometro. 

Un minuto e quarantasette secondi. Un bel po’ per ripercorrere tutta la mia breve vita. 

Sorprendentemente, anche Vie-Gan si fermò. Ansimava, curva con le mani sulle ginocchia. Io avevo una grandissima voglia di accasciarmi a terra, ma mi costrinsi a restare in piedi. Avrei avuto tutta l’eternità per fare la bella addormentata. 

Sentimmo un rombo avvicinarsi gradualmente, fino a divenire quasi assordante. Cos’era quello, il suono della nuvola di detriti sollevati dall’esplosione? Ma l’esplosione non era ancora avvenuta!

 «Rei» esalò Vie-Gan, con il fiato che le restava. Mi indicò il portello per le astronavi, e si diresse lì. La seguii senza capire, almeno finché con un cigolio, uno spiraglio nero si aprì tra i cardini di metallo. 

Mancavano un minuto e venti secondi circa. 

Ne mancavano altri trenta quando Vie-Gan mi trascinò dentro la nostra astronave, e poi crollò sul pavimento, tirando a terra anche me, che non ebbi la forza di oppormi. 

Chiusi gli occhi e lasciai che il ronzio dei motori mi rigenerasse. La pressione mi schiacciava la fronte e mi faceva pulsare le orecchie. Poco dopo, ci fu una vibrazione più forte. 

 «Boom» mormorò Vie-Gan, distesa accanto a me, anche lei con gli occhi chiusi. 

Io mi morsi l’interno delle guance. Le mie spalle erano scosse da sussulti. Vie-Gan socchiuse un occhio, ed io non ce la feci più. Scoppiai in una fragorosa risata liberatoria.

 «Ana-Rei!» esclamò il maestro Myrasu. Quanto ero felice di sentire la sua voce! 

Mi spiegò in breve che R3-D8 aveva detto a Vie-Gan di tornare indietro perché gli ingressi sotterranei erano crollati subito dopo il loro passaggio, ed erano venuti a prenderci, per così dire, dall’entrata principale. 

 «Suppongo che ora siate voi a doverci spiegare perché Erai III si è appena disintegrato» soggiunse il maestro Carrick. 

Il cuore mi salì in gola. 

 «Disintegrato?» dicemmo in coro io e Vie-Gan. 

Ci avvicinammo allo schermo tutto attorno al quadro comandi, che dava sull’esterno dell’astronave. Detriti di varie misure ci sfrecciavano accanto. 

 «Ops…» mormorai. Stavo ancora tremando, ma non per il freddo. Sospettavo che avrei avuto gli incubi per un paio di notti prima di abituarmi al pensiero di aver rischiato la vita per una stupidaggine. E l’aver fatto saltare in aria un satellite intero senza dubbio non aiutava. 

Voltandomi, vidi un pianeta, avvolto da una sottile atmosfera striata da nubi bianchissime, costellato di macchie verdi e azzurre. 

 «Ragazze, quello è Naboo» intervenne il maestro Myrasu, intuendo che fosse il pianeta che stavo fissando. 

 «Davvero?» commentai, quando mi fu riferito «Non era anche la destinazione della missione del maestro Jinn?» 

A queste mie parole, Vie-Gan trasalì e sbiancò. 

Il maestro Myrasu mormorò una sintetica risposta affermativa e non trattenne un sorriso sornione. 

 «E non abbiamo ancora sue notizie?» insistetti, allo scopo di ricevere chiarimenti. 

Vie-Gan girò la testa di scatto, e i suoi arti si irrigidirono in un moto di insofferenza. 

 «Non ancora purtroppo» tagliò corto il maestro Carrick «Vie-Gan, allontanati da lì.» 

Lei strinse i pugni e suo malgrado obbedì. 

 «Tutto bene…?» esordii, esitante. 

 «Zitta.» 

Ci rimasi un po’ male. Pensavo che quell’avventura ci avesse unite almeno un po’, o fosse servita per stipulare una tregua. Evidentemente no. 

Andai a sedermi nella parte opposta dell’astronave, senza aggiungere altro. Fossi stata un po’ più suscettibile, le avrei ricordato per colpa di chi Erai III era un cumulo di macerie. Ma dato che la mia esistenza sembrava sempre peggiorare le cose ovunque, decisi che far finta di essere un soprammobile avrebbe aiutato di più. Mi rannicchiai in un angolo e immaginai con tutte le mie forze di essere un vaso. 



Pregate per me, sono una povera peccatrice.
Ringraziate che ci sia lady Leysa, perché in caso contrario sareste stati affidati alla mia memoria (ovvero abbandonati al vostro destino). Il capitolo era pronto un mese fa e ho dimenticato di postarlo. Accendetemi una decina di candele in chiesa se siete magnanimi. 
In compenso spero che vi sia piaciuto, e mi auguro vivamente di avervi fatto sorridere (ridere è già un obiettivo troppo complesso per la mia menomazione cerebrale).  
Il prossimo capitolo arriverà in tempi di attesa decisamente più ridotti, in quanto sarà la mia compagna e collega Leysa a scriverlo. Insomma, spero di aver ricevuto il vostro perdono (più che altro il suo...) e con questo vi saluto!

Vostra smemoratissima lady Arya.

   
 
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