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Autore: Horror_Vacui    27/01/2015    0 recensioni
Dalla Caduta il mondo aveva iniziato un lento ed inesorabile processo di cambiamento.
Quel lembo di terra ai confini del Grande Oceano, avvolto da miti e leggende, era finalmente accessibile al resto del mondo. Un agnello circondato da lupi.
A Ovest, sulla sponda opposta dello Stretto di Indrion, sorgeva il Regno di Vronagos. Si diceva possedesse la più grande e micidiale flotta navale del continente, ma poche e aride terre, che l’avevano costretto per secoli a intrattenere una fitta rete di rapporti commerciali.
A Sud, il Regno di Liseria, da anni alla ricerca di uno sbocco, una via inaspettata per sorprendere i nemici.
E, al di là del Deserto della Distruzione, il glorioso impero di Shalira, governato dai potenti Sharalith, figli degli elfi silvani e degli elfi oscuri, esperti di magia elementale e sprezzanti guerrieri.
Quanto tempo sarebbe passato prima che la Penisola divenisse il nuovo campo di battaglia delle potenze oltre la barriera?
Quanto tempo sarebbe bastato a far diventare i trattati di pace carta straccia?
Le monarchie peninsulari cominciavano a mettere da parte le antiche rivalità per creare un nuovo sistema di alleanze, mentre loro erano solo pedine di un disegno più grande.
Genere: Avventura, Drammatico, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Amelia, Gourry Gabriev, Lina Inverse, Personaggio originale, Zelgadis Greywords
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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cap 3 - distacco

Capitolo III - Distacco

La flebile luce del mattino filtrava attraverso le tende di pizzo, colpendo il viso pallido coronato da lunghe ciocche corvine. I segni scuri sotto gli occhi e la fronte aggrottata rivelavano la sofferenza che si celava dietro le palpebre chiuse.

La principessa Amelia giaceva nel suo letto come una bambola di porcellana, dai cui occhi non smetteva di sgorgare dolore in calde gocce salate.
I medici avevano rilasciato un comunicato ufficiale, in cui veniva annunciato che la futura regina, troppo preoccupata per le sorti del suo regno, si era indebolita e ammalata, ma che sarebbe presto guarita grazie al loro tempestivo intervento.
Lina sospirò sprofondando nella poltrona. Era una delle poche persone fidate a conoscere la verità sulla crisi isterica di Amelia, così era rimasta al suo fianco per impedire a qualche curioso di ficcanasare. Non aveva però pensato all'aspetto pratico della faccenda. L'abito le stringeva le costole in una morsa d'acciaio e, nonostante i vari tentativi, non era riuscita ad allentare le stringhe del corpetto che rischiavano di ucciderla.
Non sopportava neppure il pizzo che si allargava dalle maniche dell'abito, penzolando molle giù per l'avambraccio. Lo tirò su, provando a strapparlo via, ma una fitta alla mano le impedì di continuare. Osservò la zona dolente e si accorse del livido violaceo che, come un braccialetto, le avvolgeva il polso e parte del dorso della mano.
Zelgadis.
Non lo vedeva da quel famigerato pomeriggio e non sapeva neppure dove si trovasse. Aveva provato a fermarlo, ma lui l'aveva scacciata via come un insetto molesto.
Come avesse ascoltato i suoi pensieri, la principessa si mosse, mentre un lamento sommesso le gorgogliava nel petto. Il nome dell'amato, ripetuto più volte in deboli sussurri, iniziò a perdere senso e significato, un insieme di sillabe sconnesse che si rincorrevano febbrili.
Un singulto strozzato, due pugni battuti sul letto e un lungo sospiro: Amelia aveva aperto gli occhi.
La vide fissare apatica il soffitto attraverso le palpebre gonfie, le braccia aperte in segno di resa.
Non era da Lina lasciarsi andare a plateali manifestazioni d'affetto e, tuttavia, sentiva di voler fare qualcosa per l'amica, ma le parole erano solo erbaccia in un giardino bruciato.
Si limitò allora a stendersi accanto alla principessa, quasi con la paura di romperla.
Amelia sembrò rendersi conto solo in quel momento della presenza della maga, la guardò inerte e poi la sua attenzione venne catturata dai riflessi infuocati dei capelli scarlatti. Ne afferrò una ciocca con indolenza e prese a rimirarla come fosse una pietra preziosa.

«Da quanto tempo mi trovo qui?» chiese in un sussurro rauco.
«Ieri pomeriggio» Lina si sforzò di eliminare ogni traccia di emozione dalla propria voce, ma era difficile dimostrare pura solidarietà senza sporcarla con altri sentimenti.
«E tu invece?» rigirò la ciocca rossa tra le dita «sei stata sempre con me?»
«Sì, certo.» Lina accennò un sorriso per spezzare la tensione, ma la principessa non colse l'occasione.
«Mi dispiace, non avresti dovuto...» la guardò di traverso «...hai fatto la veglia ad un cadavere.» le lacrime avevano lasciato il posto ad una cupa rassegnazione.
Lina non trovò la forza per contraddirla o rassicurarla e quel muto assenso la incoraggiò a proseguire «La felicità non mi appartiene più, da oggi e per sempre» sospirò, lo sguardo ancora fisso al soffitto e il volto sempre più scavato, come se ogni parola la consumasse.
Le strinse la mano, come faceva sua sorella quando da piccola le capitava di avere degli incubi.
Aveva sconfitto demoni superiori, affrontato la morte a viso scoperto, vincendo ogni partita. Eppure non c'era niente che potesse fare per andare contro le decisioni di un misero essere umano.



«Sollevi le braccia... ecco, così. Ora trattenga il respiro... Dana! Forza, non startene lì impalata! Afferra un nastro e tira!»
La cerimonia di vestizione della principessa era un rituale mattutino a cui ogni cameriera di corte aspirava di poter assistere e partecipare. Significava dedicarsi a stoffe pregiate e gioielli preziosi smettendo per sempre di occuparsi della manutenzione del castello: nessuna mano rozza, infatti,  aveva il permesso di toccare la famiglia reale.
«Dana! Ti ho detto di tirare, non di spezzarle il busto!» strepitò una delle più anziane verso una giovane cameriera rossa in volto.
In tutto quel caos di stoffe e merletti, la principessa era una marionetta dal volto imperturbabile, seguiva le direttive in silenzio e senza entusiasmo. Si muoveva con lentezza, persino le palpebre si alzavano e abbassavano fiacche sugli occhi di zaffiro. Eppure si sentiva una bomba pronta ad esplodere, riusciva quasi a percepire l'energia soffocata anelante lo scoppio, che premeva contro le pareti del proprio essere come una fiera dietro le sbarre.
Il rito si era concluso, Amelia era perfettamente impacchettata in seta e pizzo blu cobalto, i capelli raccolti in una delle solite complesse acconciature e il volto serafico truccato a dovere per mascherare le occhiaie.
Era una vittima sacrificale, un'offerta al dio della guerra, e presto sarebbe stata reclamata. A lei, però, non importava: non avrebbe scansato il pugnale, ma aiutato l'assassino a prendere la mira.
La paladina della giustizia era un guscio vuoto di sogni infranti e i cocci del suo cuore erano polvere nel vento.
«Sua Altezza, è bella come un angelo!» esclamò l'anziana domestica che dava le direttive. Amelia rispose con un sorriso appena accennato e con un gesto della mano invitò tutte ad abbandonare la stanza.
La disperazione l'aveva fatta prigioniera, ma il tempo aveva continuato a scorrere inesorabile.
Quarantasei erano i membri della Dieta imperiale. Quarantasei era il numero delle province dell'impero. Quarantasei erano i giorni che intercorrevano tra la firma dell'accordo matrimoniale e il giorno in cui lo sposo avrebbe fatto visita alla sposa.
Elmekia era un impero fondato sulla numerologia esoterica, ad ogni numero era assegnato un preciso valore simbolico da cui non si poteva prescindere. Il quarantasei era un numero sacro e inviolabile, di auspicio per la buona riuscita di un evento.
Amelia aveva vissuto quei giorni con angoscia, segnandoli sul calendario con la stessa solennità di un condannato a morte.
«Sarà grossolano e volgare, del tutto privo di classe o bellezza. Ho già conosciuto molti nobili di Elmekia... dei veri barbari misogini, incapaci di prendere una decisione prima di aver consultato il sacerdote.» disse trattenendo le lacrime «Ma io sarò la regina di Saillune e potrò imporgli le mie usanze, giusto?» rivolse a Lina un sorriso che però non fece in tempo a raggiungere gli occhi.
L'amica si alzò, con un gesto ormai abituale lisciò le pieghe del vestito avorio, e si avvicinò alla principessa. «Certo!» le sorrise intrecciando le mani alle sue. «La donne più forti e combattive nella storia della Penisola appartenevano tutte alla casata Remington, non lo dimenticare.» le carezzò una guancia con fare materno «Tua madre era forte e fiera e tu, che sei sua figlia, non sarai da meno!»
«Hai ragione. Abbiamo vinto molte battaglie...» disse incerta.
«Esatto!» le afferrò entrambe le mani «ora andiamo, la corte aspetta solo te.» disse aiutandola a mettersi in piedi. Amelia sapeva che quel finto entusiasmo era solo un mero palliativo, ma vi si abbandonò, troppo stanca per combattere ancora una volta contro sé stessa.



Rilesse la stessa pagina per l'ennesima volta, senza mettere a fuoco il vero significato del testo, negli ultimi tempi gli capitava spesso e provava sempre lo stesso fastidioso senso di smarrimento.
Immergersi nella lettura significava non pensare, perdere la concentrazione, invece,  rituffarsi nel mare di melma che era diventata la sua vita.
Aspirò una densa boccata di fumo dalla piccola pipa e si lasciò andare contro lo schienale della poltrona. La stanza era spaziosa, al centro vi era il lungo tavolo di legno massiccio al quale era seduto; vicino alla finestra un letto singolo e dal lato opposto una libreria, riempita con vari libri selezionati dalle molte biblioteche del castello; in generale, l'arredamento poteva dirsi più da servitore che da ospite, ma a lui andava bene.
Il fatto che lo studio improvvisato si trovasse in una torre lontana dal cuore pulsante della reggia lo faceva sentire al sicuro, da Amelia e da se stesso.
Stava osservando le volute argentee risalire fino alla lampada, quando la porta venne spalancata e richiusa con violenza, tanto che poté sentirla tremare sui cardini.
Le tende erano tirate e l'unica luce della stanza bastava a malapena ad illuminare il tavolo da lavoro, ma nell'oscurità riuscì a distinguere il profilo di un abito femminile.
Una bagliore giallognolo si irradiò dalla porta a tutte le pareti, in una ragnatela di raggi luminescenti che scomparvero nel giro di pochi attimi.
La figura allora si mosse, ma aveva il fiato corto e lui la riconobbe ancor prima di averla vista.
La gonna di organza blu catturò il debole chiarore della stanza, mentre i piccoli fermagli d'argento tintinnavano ad ogni passo. Zelgadis osservò rapito la linea del collo sottile come un giunco, ma non ebbe il coraggio di incontrare il suo sguardo per paura di trovarvi odio e rancore.

«Che ci fai qui?» chiese e il suo tono risultò più brusco di quanto volesse davvero.

«Volevo vederti...» la voce della principessa tremò come la fiamma di una candela.

Zelgadis mise da parte la pipa e si alzò «E perché mai?» disse senza guardarla, con i palmi aperti poggiati sul tavolo, come se stesse studiando la cartina geografica davanti a sé.

Ti ignorerò e tu, troppo ferita nell'orgoglio per restare, te ne andrai...

Un'altra sarebbe fuggita via da quel gelo, ma lei era Amelia ed era sempre stata disposta ad affrontare la bufera pur di stare con lui. Si avvicinò al tavolo e pose le piccole mani bianche su quelle ruvide di pietra.
Quel breve contatto gli chiuse la gola e quasi si sentì soffocare e risucchiare nel buio della stanza, mentre il cuore rimbalzava come una palla impazzita nel torace. Si permise di sostenere lo sguardo della principessa, per trasmetterle una gelida indifferenza, poi si allontanò esibendo una smorfia nauseata, e con uno strappo deciso scostò le pesanti tende rosse dalle finestre.
La luce del giorno penetrò nello studio, così intensa da ferirgli gli occhi. Avrebbe preferito darle le spalle e continuare a guardar fuori piuttosto che fronteggiarla.

Sono solo una vile chimera. Aveva bisogno d'aria...

«Non aprirla!» disse allarmata la principessa e lui non aveva resistito alla tentazione di voltarsi nella sua direzione «Ho fatto un incantesimo insonorizzante» si spiegò Amelia arrossendo.

Il cuore gli si era spaccato e già cominciava a sanguinare, ma Zelgadis ghignò sprezzante.
«Il pericolo non le si addice, sua altezza» rise amareggiato «se scoprissero...»

«Non lo faranno! Lina mi coprirà, me l'ha promesso» lo interruppe decisa aggirando il tavolo.
Zelgadis si ritrasse ancora di più, mentre lei provava a colmare la distanza che li separava.

Amelia aggrottò le sopracciglia contrariata e sbuffò «Vigliacco!» disse battendo un piede per terra.

«Prego?» spalancò gli occhi e la bocca, mentre un altro sentimento si faceva largo tra la folla ed emergeva prepotente.

«Hai sentito bene! Sei diventato anche sordo?» Amelia stava ritrovando improvvisamente il suo cipiglio.

«Sei un dannato vigliacco! Dove credi di andare?» alzò le braccia ad indicare l'intera camera. «Vuoi scappare dalla finestra? Accomodati! Non farai molta strada... ci sono arcieri appostati ad ogni angolo della città, con l'ordine di colpire ogni animale, persona o oggetto dall'aria sospetta!» il respiro in affanno e le gote arrossate, la principessa aveva urlato con tutto il fiato che aveva in corpo, stringendo i pugni e battendo di nuovo i piedi.

«Ti sei sfogata?» la guardò come si guarda una bambina sciocca e capricciosa.

Amelia non rispose, rimase a fissarlo furiosa e poi, come una leonessa, sferrò l'attacco a sorpresa. Si avventò contro di lui, nonostante il peso del vestito e dei gioielli, con l'intenzione di schiaffeggiarlo, ma il ragazzo era più veloce e prestante. Le bloccò entrambe le mani dietro la schiena, tirando giù con forza le braccia, senza curarsi dei lividi che la sua stretta di pietra avrebbe potuto procurarle.
Aveva fatto di tutto per tenerla lontana, per quarantasei giorni non era uscito da quella torre solitaria se non per brevi passeggiate e saltuarie visite al parco, ma quella improvvisa vicinanza aveva annullato ogni sforzo. Poteva sentire il battito frenetico del suo cuore e il ritmico alzarsi del suo petto contro di sé, era inebriato dal profumo di pesca e vaniglia e rapito dai riflessi che il sole donava a quegli occhi blu come l'oceano.
Non sapeva cosa le passasse per la testa, se i loro pensieri collimassero, ma il totale abbandono che lesse nel suo sguardo e la resa che percepì attraverso il tessuto, furono sufficienti a fargli perdere il controllo. Con poche falcate la spinse contro la scrivania, mentre le loro labbra si scontravano, ancora una volta in preda alla disperata passione. La stoffa leggera del vestito e quella pesante delle sottovesti era troppa e ingombrante, Zelgadis provò più volte a sollevarla senza successo, ma il gemito frustrato della principessa lo convinse a scegliere la via più drastica. Estrasse il pugnale dal fodero che teneva sempre legato alla cintola e lacerò l'abito, uno strato alla volta. Quando finalmente intravide le gambe candide, le afferrò senza grazia e sollevò la ragazza fino a metterla seduta. Amelia gettò la testa indietro, aggrappandosi alle spalle solide, mentre il ragazzo iniziava la sua personale tortura.
Lei era lì, di nuovo sua come se nemmeno un giorno fosse passato da quel fatidico pomeriggio. Poteva toccarla, baciarla e morderla senza riguardi, poteva di nuovo razziarle il respiro e lasciarsi strappare il cuore dal petto, ma il pensiero che quella potesse essere l'ultima volta quasi lo annientò.
Era stato stupido a credere che la lontananza avrebbe spento la loro fiamma, perché era bastata un'unica scintilla a farla divampare impetuosa.
Aveva la mente appannata, mentre i battiti accelerati gli rimbombavano nelle orecchie mischiandosi al rincorrersi dei loro respiri e al rumore degli oggetti che cadevano giù. Nemmeno lo schianto della lampada riuscì a distoglierli mentre si avviavano verso l'oblio, morendo uno nella braccia dell'altra.
Amelia si strinse di più al suo petto e lui poggiò il mento nell'incavo del collo pallido, lasciandosi cullare dal ritmo crescente dei loro corpi, i fianchi della ragazza come unico appiglio per non precipitare nell'abisso.
La sentì tremare sotto di sé e, nonostante nessuno potesse sentirli, si affrettò a far suo l'ultimo sospiro, rubandolo alle labbra rosse e gonfie in un estremo atto possessivo. La spinse contro il tavolo, schiacciandola con il suo peso contro i fogli su cui prendeva appunti da più di un mese.
Senza staccarsi, prolungando la dolcezza di quel contatto, baciò i seni imprigionati nel corsetto, risalì la linea del collo, le guance, il naso e le palpebre chiuse. L'acconciatura era ormai un lontano ricordo e lui bramava di poter affondare le dita tra le ciocche corvine, così tolse i fermagli e con minuzia sciolse ogni singola treccia, finché il manto dei capelli non ricoprì il ripiano.
Amelia lo guardava con il volto disteso, carezzando ogni pietruzza sul suo viso e sul suo petto e sospirando di tanto in tanto.
Quella pace illusoria non era destinata a durare a lungo.

«Come lo spiegherai?» mormorò mordicchiandole il lobo di un orecchio.

«Cosa?» forse troppo confusa dall'inaspettata sequenza di eventi, la ragazza non sembrò capire.

Zelgadis arretrò di un passo, avvertendo il freddo penetrare la scorza dura della propria pelle e raggiungere le ossa. Quando la vide, smarrita, coprirsi con vergogna, capì che l'incanto era finito, dissolto da poche semplici parole.

«Non ho bisogno di giustificarmi, se è questo che intendi» disse piccata, castando un incantesimo riparatore sull'abito. «Io sarò la regina e lui è soltanto l'ultimo di tre figli maschi» la ascoltò stupito, non avendo mai sentito la sua voce colorata di arroganza.

Era deciso a guardare oltre quella nuova maschera, l'avrebbe distrutta sul nascere.
«E quindi?» la imprigionò di nuovo tra lui e il legno liscio.

«E quindi si dovrà accontentare di un giocattolo di seconda mano» gli sussurrò a fior di labbra.

Il pensiero che qualcun'altro l'avrebbe avuta, toccata e fatta sua lo riempì di disgusto e sentì la bile salire a incendiargli la gola. Per quanto lei potesse fingere cinismo, le lacrime la tradirono luccicando inopportune sulle ciglia.
Zelgadis indietreggiò ancora, lasciandosi andare contro la poltrona alle sue spalle, lo sguardo perso nel vuoto e le mani avvinghiate ai capelli.

Amelia, che era riuscita invece a mantenere un certo contengo, gli si inginocchiò accanto posandogli le mani sulla gambe «Oggi è il giorno...» si fermò per non piangere, ma Zelgadis non aveva più bisogno di parole.

La avvolse in un abbraccio che voleva essere rassicurante, non badando alla posizione scomoda o all'eventualità di ferirla, incapace com'era di dosare la sua forza.

«Ho paura» un soffio leggero che non gli sfuggì.

Amelia aveva paura e lui non sarebbe stato lì a proteggerla dal barbaro elmekiano: era questo il pensiero che lo tormentava. Non importavano i suoi desideri e le sue volontà, il fatto di volerle stare egoisticamente accanto era solo un aspetto secondario. Come poteva accettare di saperla sola e indifesa nella gabbia della tigre?

«Non devi averne» le disse aumentando la presa «Ovunque io andrò, in qualunque angolo della Terra o del Mare del Caos, ti amerò...» gli si incrinò la voce e fece una pausa per ritrovarne il controllo «e tu, non sarai mai da sola perché questo pensiero ti terrà per sempre compagnia» deglutì a stento.

«E poi» sospirò «io e Gourry abbiamo parlato di recente. Gli ho chiesto un... favore.»

Amelia fu colpita da quelle parole, tanto da staccarsi per poterlo guardare «Che favore?» sgranò gli occhi «Aspetta! Vuoi dire che si è...» le parole le morirono tra i denti.

«Non ancora, ma probabilmente lo farà a breve e lui è in debito con me» disse grave. «Ma non credere che lo farà solo per questo. Aveva i suoi secondi fini quando ha accettato e, se lo conosci bene, sai già a cosa mi riferisco.»

La principessa aggrottò la fronte, sforzandosi di liberare la mente dalla confusione per pensare con lucidità ai motivi che avevano spinto l'amico ad un tale sacrificio.
«La spada!» esclamò di colpo «Alle guardie reali forniamo spade con lamina in vantablack.» continuò scioccata dalla sua stessa scoperta.

Chiedere a Gourry quel favore gli era costato molte notti insonni, sapeva già che avrebbe accettato senza riserve e per questo il senso di colpa lo aveva divorato fin da subito.
Il fatto che l'amico fosse alla ricerca di un'arma lo aveva in un certo senso rassicurato, anche se continuava a sentire una nota stonata ronzare come una mosca nella sua mente.

«E Lina...» provò a dire Amelia, ma lui la interruppe all'istante prendendole il volto tra le mani.

«Lei non deve sapere niente! È una questione che non ci riguarda.»

«Ma Zel, cerca di capire, lei è mia amica e io non...» provò a divincolarsi senza successo.

«Lui ha accettato, sa a cosa deve andare incontro, e se Lina venisse a saperlo prima di sicuro si metterebbe in mezzo» aveva messo da parte ogni scrupolo per proteggerla, non le avrebbe permesso di mandare tutto a monte.

«Come potrò guardarla in faccia senza sentirmi in colpa?» aveva ripreso a piangere come una bambina. I pesi sul suo cuore erano diventati una catasta di pietre che non riusciva più a tenere in equilibrio tra le braccia.

Zelgadis stava per risponderle ma il suono intenso e prolungato di un corno reale irruppe nella stanza facendo tremare i vetri delle finestre.

Amelia lo guardò smarrita e lui a sua volta si sentì crollare il pavimento sotto i piedi.
«Sono arrivati» squittì la principessa portandosi le mani alla bocca.

Qualcuno bussò alla porta dello studio con veemenza. Il sangue defluì dalle guance della principessa e un brivido di puro terrore le percorse la schiena al pensiero della fine che avrebbe fatto Zelgadis se l'avessero trovata lì.
Si affrettò a raccogliere i fermagli d'argento e a rassettare il vestito come meglio poteva, mentre Zelgadis urlava di non essere presentabile in quel momento. Peccato che l'incantesimo scagliato dalla principessa fosse ancora attivo, così l'ospite inatteso forzò la serratura con un colpo secco.

«Scusate, scusate, scusate. Spero di non aver interrotto nulla!» Lina si fece largo a braccia alzate e occhi chiusi all'interno della stanza.

«Puoi aprire gli occhi!» la rimproverò esasperato il ragazzo.

«Meglio così, non è ora di farvi trovare nudi! Gli elmekiani sono sulla via di Saillune e il loro arrivo è previsto per questa sera.»

Amelia tirò un sospiro di sollievo e allentò la presa sui fermagli che già avevano iniziato a lasciare segni rossi sui palmi.
«Quindi la cerimonia non si terrà questa notte?» chiese rinfrancata.

«No, gli elmekiani celebrano riti notturni solo per compiere azioni offensive o cose del genere.»

«E tu come fai a conoscere così tanti dettagli?» le domandò scettico Zelgadis «Anzi no, non dirmelo. Hai minacciato un valletto?»

«La cuoca» ammise rimirandosi le unghie con aria soddisfatta.

«Mi sembra giusto.»

«Ora però non c'è più tempo... Amelia, ti aspetto fuori, fai in fretta.»

Alla fine era giunto il fatidico momento del distacco. Le avrebbe detto addio per sempre e di lei non gli sarebbe rimasto nient'altro che una manciata di ricordi, troppo miseri per potergli riempire il buco nel petto.
Erano uno di fronte all'altra a guardarsi, per imprimere nella mente dettagli all'apparenza insignificanti. Di lei avrebbe conservato il profumo dolce di gelsomino, le pagliuzze verdi che gli capitava di intravedere quando si trovavano in penombra, la morbidezza della sua pelle e la risata argentina che nasceva spontanea quando era allegra e felice.
La abbracciò con gentilezza, inspirando il profumo dei capelli scuri e lucenti, e la baciò senza fretta, per poter assaporare per l'ultima volta il suo sapore, affidandole l'ultimo pezzo del proprio cuore.

   
 
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