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Autore: Alexia96    28/01/2015    1 recensioni
Mentre un nuovo Male getta la sua oscura ombra sopra l'Europa, una straordinaria amicizia nasce fra due bambine. Due bambine simili, molto simili...
Dal primo capitolo:
“Cos’è quello?” disse Rose indicando una macchiolina sulla pelle.
“Mamma dice che è una voglia” spiegò Emily “Secondo mio papà assomiglia alla fiamma di un drago, mi chiama ‘Piccola Draghessa’, anche se mamma di che quella parola non esiste. Tu non ce l’hai?”
“No, non ho voglie” rispose Rose, allargando il colletto della T-shirt per mostrare la spalla sinistra.
Dal secondo capitolo:
“Ok, quindi ora dobbiamo spiare l’ufficio di tua mamma e aspettare che i miei genitori escono” disse Emily “Poi io entro nell’ufficio, mentre tu vai dai loro, esatto?”
“Giusto!” disse Rose. “e poi tra un mese tu devi fare in modo di essere qui al Ministero, così da poterci scambiare di nuovo”.
Era un piano geniale. E sebbene non fosse tutta farina del suo sacco, Rose non riusciva a non compiacersi della sua capacità di escogitare nuovi modi per disubbidire ai genitori.
Genere: Avventura, Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Albus Severus Potter, Hugo Weasley, Nuovo personaggio, Rose Weasley | Coppie: Ron/Hermione
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace, Nuova generazione
Capitoli:
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4. Vari tipi di voci

 

Crescendo insieme a sei fratelli maggiori, Ginny Potter si era abituata a vedere le cose più assurde, soprattutto di prima mattina. Dagli esperimenti esplosivi di Fred e George alle esibizioni canterine di suo padre durante la doccia mattutina, nulla ormai riusciva a coglierla di sorpresa.
Anche se, quella mattina suo fratello Ron e suo marito Harry ci andarono molto vicino.
“CHE COSA È SUCCESSO QUI?”.
Aveva appena sceso le scale, superando il salotto per dirigersi verso la cucina, quando con la coda dell’occhio vide qualcosa che la fece bloccare sul posto. Sul pavimento c’erano fogli stracciati e bottiglie di Burrobirra e Whiskey Incendiario che avevano macchiato il pavimento, il tappetto e buona parte della poltrona che una volta era di colore bianco. Il divano non era sporco ma Ginny non riusciva a togliere il suo sguardo da lui e chi lo occupava: Ron e Harry, sdraiati e abbracciati l’un l’altro, profondamente addormentati. Il suo urlo riuscì a svegliare Harry, che emise una specie di rantolo mischiato a uno sbadiglio. Harry cercò di alzarsi, ma si accorse troppo tardi che Ron era sdraiato sul suo petto, e lo buttò a terra con un grosso tonfo. Sul momento non accadde nulla; poi Ron s’issò di scatto, girandosi verso Ginny.
“Non è come sembra!” biascicò Ron.
“Non hai cercato di tirare su il morare a Harry facendogli bere litri di alcol e distruggendo tutti i suoi documenti e il mio salotto?” disse con tranquillità Ginny.
“Esatto!” rispose fermo Ron.
“Allora” continuò Ginny “devo presumere che tu sia venuto qua ieri sera con queste bottiglie, hai fatto ubriacare Harry, gli hai confessato il tuo eterno amore per lui e avete passato una notte di passione selvaggia, pur sapendo che io dormivo un piano sopra di voi”.
Ron si grattò il collo, mentre le sue orecchie s’imporporavano insieme al viso.
“Qual era la prima?”
“Cameratismo nei confronti di Harry”
“Aggiudicata!” esclamò Ron. Harry cercò di soffocare una risata, senza però riuscirci.
“Tu zitto, dopo arrivo anche da te” disse Ginny puntandogli il dito contro. “Tu sei in grado di tornare a casa?” chiese a Ron.
“Certo” disse Ron. E non si mosse di un millimetro verso la porta, né cercò la sua bacchetta per materializzarsi.
“Riformulo la domanda” disse Ginny cercando di non ridergli in faccia “Hai la forza e il fegato per tornare a casa da Hermione?”.
Ron abbassò lo sguardo verso il pavimento, ancora più rosso di prima.
“No” disse Ron, e lo fece con la voce da cane bastonato. Ginny sospirò esasperata, mentre si chinava a raccogliere un foglio non troppo malridotto e qualcosa con cui scrivere. Trovato tutto l’occorrente, levò qualche bottiglia dal tavolino da caffè vicino al divano e scribacchiò velocemente qualcosa. Una volta finito si alzò e diede il foglio a Ron.
“Dallo a Hermione, avrà pietà di te”.
Ron mormorò un grazie, levò la bacchetta dalla tasca e sparì in un pop.
Harry continuò a fissare il punto in cui Ron era scomparso. Non stava più ridendo e Ginny costatò con tristezza che stava riprendendo lo stesso umore nero che da giorni lo appestava. Harry sapeva quanto facesse male alla moglie vederlo in quelle condizioni, ma non riusciva più a sopportare lo stress che gli si era accumulato sopra e questo, purtroppo, si rifletteva anche nel suo comportamento a casa.
“Conosci un incantesimo per ripulire i fogli?” chiese Ginny. Si sedette accanto a Harry, che stava cercando la bacchetta in mezzo ai cuscini del divano.
“Io no, ma Hermione sì” disse Harry. Recuperata la bacchetta, fece un colpo secco col polso, e le bottiglie sparirono. Un altro gesto, e i fogli si raggrupparono sopra il tavolino, spiegazzati e macchiati.  
“Erano molto importanti?”
“Sono solo le novità arrivateci dagli Auror ancora sotto il Ministero riguardo quello che sta succedendo in Romania” rispose Harry. “Quindi no, non sono importanti, posso tranquillamente sostituirli con un foglio del mese scorso, o di quello prima ancora, non ci sarebbe differenza”.
A Ginny stringeva il cuore sentirlo parlare così: rassegnato, stanco, depresso. L’Harry che aveva davanti era un uomo che nessuno che lo conoscesse avrebbe mai pensato di vedere. Un uomo senza speranza.
“Io ho poche certezze nella vita, Harry” incominciò Ginny. Strinse la mano di suo marito, ma lui non diede segno di essersene accorto. “So che non cucinerò mai bene come mia madre, che mio fratello Ron non ha spina dorsale a sufficienza da affrontare sua moglie” e qui vide un accenno di sorriso nel volto di Harry “e so che tu non sei in grado di arrenderti. Sei troppo testardo per gettare la spugna”.
“C’è chi la definirebbe perseveranza” mormorò Harry. Strinse più forte la mano di Ginny, e si voltò a guardarla. A volte non gli serviva altro: se sentiva la sua forza andarsene, se aveva bisogno di sentirsi meglio, se semplicemente voleva un po’ di conforto, doveva solo guardare Ginny. E basta. Niente parole, scambi di baci o carezze amorevoli. Gli occhi di sua moglie erano in grado di riempirlo di conforto, senza dover aggiungere altro.
“O meglio ancora coraggio” aggiunse Ginny, dandogli un bacio a fior di labbra. Poi un altro, più lungo. E un altro ancora. Forse quei baci sarebbero sfociati in qualcos’altro, ma furono interrotti da un coretto di acute esclamazioni.
I loro figli James, Albus e Lily stavano ammirando il caos del salotto dalla porta che lo collegava al corridoio, con le bocche spalancate dallo stupore.
“Chi è stato?” chiese sbalordito James. Di solito era lui quello che combinava guai del genere.
“È stato papà?” domandò Lily. “Per questo ha dormito sul divano?”
Ginny rise, notando che sua figlia era molto vicino alla realtà.
“Diciamo di sì” rispose Ginny, ridendo, e trascinando con sé anche Harry.
 

 

 

***

 

 

 

Erano già due settimane che Emily viveva in casa Weasley e nonostante le iniziali difficoltà, ormai si era adattata a quella nuova vita, così diversa e migliore alla precedente sotto tantissimi aspetti. Non era mai da sola, ma non lo trovava asfissiante come Rose, anzi lo adorava; i suoi genitori rumeni le mancavano, ma Ron e Hermione non le facevano mancare nulla, né attenzioni né altro; e soprattutto, non doveva rimanere chiusa in casa. A volte passava il pomeriggio sdraiata sul prato di casa a fissare le nuvole per ore, senza pensare a nulla tranne che a quanto si sentisse felice e libera in quella casa. Anche questa mattina si era alzata con questi sentimenti, ma le persone attorno a lei non rispecchiavano lo stesso umore. Hugo, con cui aveva legato molto dopo l’incidente dell’erre moscia, era seduto accanto a lei tecnicamente per fare colazione. In pratica stava dormendo con la guancia schiacciata contro il tavolo. Hermione invece era molto agitata, tanto che non riusciva a rimanere seduta due secondi senza poi scattare in piedi a prendere qualcosa o a passeggiare nervosa attorno alla sedia. Infine, Ron non era ancora sceso a mangiare, cosa che aveva dell’incredibile, o così aveva comunque imparato in quei giorni.
“Mamma, perché sei così agitata?” chiese Emily intimorita. Hermione si voltò verso di lei, senza però guardarla davvero.
“Nulla, nulla… Non è successo niente… Non è più un Auror, non è in pericolo…” Continuò a farfugliare finché la porta dell’ingresso non si aprì. Emily la vide spalancare gli occhi e scattare verso l’entrata. Sentì il nome di Ron urlato con forza, e la curiosità di vedere cosa stava succedendo la spinse a sbirciare i due adulti. Nascosta dietro una porta, vide Hermione furiosa e Ron terribilmente dispiaciuto. Notò che aveva un foglio tra le mani e anche Hermione lo vide. Glielo strappò via con violenza e lo lesse mantenendo quel cipiglio seccato; ma una volta finito di leggere il foglio sospirò triste e abbracciò il marito. Emily si stupì del repentino cambiamento d’animo, e si stupì di sentirla dire: “Vai sopra a farti una doccia, io avverto George che arriverai in ritardo”. Ron la lasciò qualche secondo dopo, e salì moscio verso il secondo piano. Lo seguì con lo sguardo sporgendosi di più, tanto che Hermione si rese conto della sua presenza.
“Rose!” esclamò Hermione “Hai origliato?”
“Ecco, io…” balbettò Emily “Sì, ma perché ero preoccupata per papà, tu hai urlato, e mi sono spaventata”.
Hermione le sorrise dolcemente.
“Chiama Hugo, prima di andare a scuola dobbiamo passare da casa di zio Harry e zia Ginny” le disse. Emily tornò velocemente in cucina e diede un pizzicotto a Hugo.
“Ahi, Vose, mi hai fatto male!” strillò il bambino “Che vuoi?”
“Dobbiamo andare dai cugini Potter, sbrigati!” esultò estasiata Emily. Adorava i piccoli Potter, soprattutto James. Per Rose era il contrario, ma pensò che lo odiasse soprattutto perché erano davvero simili. Albus e lei passavano molto tempo insieme solo perché doveva far finta di essere Rose: era un ragazzino simpatico, ma lei avrebbe voluto poter intensificare il rapporto con il ‘cugino’ più grande.
Era ancora immersa in quei suoi giudizi quando Hermione suonò al campanello di casa Potter. Ginny aprì loro la porta con un sorriso vispo ma con gli occhi stanchi.
“Ciao ragazzi” disse allegramente “Che fate qua?”
“Oggi ho pensato di accompagnare io i ragazzi a scuola” disse semplicemente Hermione “Non è il mio turno, ma non ho voglia di arrivare puntuale. Ogni volta poi mi ritrovo da sola, è seccante”.
Ginny li fece entrare, ed Emily credette di sentire un ‘grazie’ sussurrato all’orecchio di Hermione.
“James e Al stanno finendo di vestirsi” disse Ginny rivolta a Rose e Hugo “Mentre aspettate, potete andare in cucina, ci sono Lily e dei muffin ancora caldi che vi aspettano” Hugo sfrecciò senza dare il tempo di dire altro. Emily invece rimase un po’ indietro ad ascoltare le due donne.
“Harry come sta?” bisbigliò Hermione.
“Bene, ora è sopra a farsi una doccia” rispose Ginny “Non è che potresti dare una sistemata ai suoi documenti?”
“Certo!” disse Hermione con un sorriso.
Emily decise di dirigersi in cucina dove Hugo, tutto contento, stava mangiando un muffin al cioccolato. Lily invece sembrava fissare il vuoto. Non era la prima volta, ricordò Emily, che la ritrovava in questa posizione e ogni volta che distoglieva lo sguardo, faceva qualcosa di strano, come spostare le persone o cambiare la posizione degli oggetti nella stanza. Quando finalmente smise di contemplare le macchiette sulla parete, sembrò accorgersi dei cugini.
“Ciao Lily” disse educatamente Emily.
Lily le lanciò uno sguardo confuso e spaventato. Svelta, scese dalla sedia, le strinse il braccio e la fece uscire dal salotto. Continuò a trascinarla fino al sottoscala, che aprì con la magia. Entrarono nella stanzetta piena di polvere, Lily richiuse tutto e accese una piccola lampada che pendeva dal soffitto.
“Ti ho sognata” disse tutto d’un fiato Lily “Eri con una bambina uguale a te, vi stavate scambiando i vestiti e volevate ingannare qualcuno”.
Emily spalancò la bocca, scioccata, e cominciò a sudare freddo.
“Era solo un sogno Lily” cercò di spiegare Emily uscendo dalla bocca una vocina più acuta del solito “Non significa niente…”.
“Succederà qualcosa di brutto se ascolterai quella bambina” continuò agitata “Per favore, non ascoltare quella bambina, va bene?”
Emily vide che Lily era rimasta terrorizzata da quel sogno e anche lei ora si sentiva turbata. Annuì promettendo che non avrebbe dato ascolto a nessuno che le somigliasse, ma solo Lily si tranquillizzò con quelle parole. Emily, invece, ebbe il terribile presentimento che le sue parole potessero corrispondere a verità.

 

 

 

***

 

 

 

Un corpo cadde a terra agonizzante dal dolore. Si rigirava, non riuscendo neanche a urlare per l’intensità della maledizione che stava ricevendo. Attorno a lui diversi uomini lo osservavano, impassibili, freddi e immobili.
“Basta così” sentenziò una voce piatta fuori dal cerchio formatosi attorno all’uomo.
L’uomo si fermò e si sdraiò di schiena, ansimando forte, gli occhi chiusi e la mano sul petto. Dalla fronte scendevano piccole perle di sudore che scivolavano giù fino al pavimento di pietra. Un piccolo varco si aprì in mezzo al gruppo di spettatori e la voce di prima si avvicinò al centro. Camminò, facendo riecheggiare i suoi passi, unico suono insieme agli ansiti dell’uomo a terra. Arrivato ai suoi piedi, si chinò su di lui, uscendo la sua bacchetta dalla manica.
“Facciamo un gioco, ti va?” domandò con la stessa inespressiva voce. L’uomo continuò ad ansimare ma lui fece come se niente fosse.
“Ora ti farò delle domande, e tu dovrai rispondere con sincerità” continuò puntandogli la bacchetta alla gola “Prima domanda: come ti chiami?”.
L’uomo non smise di ansimare ma si voltò verso il suo carnefice e lo squadrò da testa a piedi.
“Forse non sono stato chiaro con le regole di questo gioco. Se non rispondi alle domande, ricevi una penitenza”.
E dalla sua bacchetta partì un raggio rosso che inondò tutto il corpo dell’uomo a terra, facendolo inarcare gemente.
“Ripeto la domanda” disse ponendo fine all’incantesimo “Come ti chiami?”
Dopo qualche secondo ci fu una risposta: “Ryan… C-clayton”.
“Vedo che cominci a ragionare, Ryan” gli diede una pacca sulla spalla, come fosse un vecchio amico che ti fa i suoi complimenti quando gli parli dei traguardi raggiunti negli anni in cui non vi siete visti.
“Ora ti faccio un’altra domanda facile: chi sono io?”
“Michael Sparks, un lurido bastardo!” gridò riprendendo un briciolo della sua forza.
“La darò per valida” disse Michael, ora con voce leggermente innervosita. Si alzò e diede le spalle a Ryan, cominciando a girargli intorno.
“Terza domanda: tu lo sai, dove ti trovi?”.
Ryan riuscì a sollevarsi poggiandosi sui gomiti, così da riuscire a guardarlo negli occhi.
“A casa tua, il tuo covo segreto”.
“Quarta domanda: sai cosa cerchiamo?”.
“La Corona di Sarah, un potente artefatto in grado di rigenerare le ferite…”.
“… e di centuplicare il collegamento tra il mago e la sua bacchetta” terminò Michael al suo posto “Ora ti farò un’ultima domanda, quella che deciderà se potrai andare a casa oppure no”.
Michael si fermò di fronte a lui, in modo da guardarlo dall’alto verso il basso, senza distogliere lo sguardo dalla sua vittima.
“Dove si trova la donna che la nasconde?”
Ryan continuò a fissarlo dritto nelle pupille e ghignò.
“Per questa temo che dovrò chiedere l’aiuto del pubblico”.
Michael scoppiò in una risata stridula e agghiacciante, che levò definitivamente il sorriso dal volto di Ryan. Continuando a ridere scagliò un incantesimo contro di lui, che cadde a terra con un tonfo secco.
“Questo aveva davvero senso dell’umorismo!” esclamò continuando a ridere “Portate via questo cabarettista e andate a prendere un altro prigioniero”.
“E i giganti?” pigolò uno degli uomini in mezzo al gruppo. Non aveva la stazza proporzionata alla voce che gli era uscita. “Eravamo sicuri di trovare oggi la Corona e…”.
“Mandateli a distruggere qualche villaggio” disse agitando una mano con noncuranza “Magari uno confinante con qualche altro Stato, per spaventare un po’”.
L’uomo annuì e si allontanò di corsa, mentre Michael riprendeva a ridere e ripeteva: “L’aiuto del pubblico! Ah!”.

 

 

 

***

 

 

 

Rose continuava a rigirarsi tra le coperte. Erano state le due settimane più lunghe della sua breve vita. La vita in Romania era monotona e grigia e, per il momento, non aveva visto neanche l’ombra di un drago. Cominciava anche a sentire la mancanza della sua famiglia. I signori Dragan erano davvero molto affettuosi, soprattutto Angel ma non erano i suoi genitori. Anche Hugo e i suoi cugini le mancavano, e i suoi zii e tutta la sua grande famiglia. Stava davvero cominciando a pentirsi di quello che aveva escogitato quando sentì un suono strano.
Da lontano veniva un ruggito cavernoso, inumano. Rose si alzò dal letto e si affacciò alla finestra, per cercare di vedere qualcosa. Vide una figura alta e dalla forma strana, con attorno a sé delle fiamme altissime…
Corse fulminea fuori dalla cameretta e sfrecciò nella stanza dei signori Dragan, che dormivano profondamente. Rose non si scoraggiò e si buttò di peso sopra Boris. L’uomo, come risposta, disse una parola rumena dall’aria poco pulita.
“Emily” brontolò Boris, grattandosi la folta barba “Che fai ancora svelia?”
“C’è un drago là fuori” disse entusiasta Rose “Posso uscire fuori a vederlo meglio?”
 Boris spalancò gli occhi e lanciò con poca grazia Rose addosso alla moglie, svegliandola. Angel stava ancora cercando di capire qualcosa che sentì Boris urlare: “Dobiamo andare, ora!”
Sollevò Rose dal letto e la portò con sé nel salotto di casa. La bambina sentì le urla del drago più forti ma a esse si aggiunsero altri suoni: urla, pianti e crolli.
“Che succede papà?” domandò spaventata Rose.
Boris la guardò altrettanto spaventato, incerto su cosa dire.
“No paura, Emily, io qua, va bene?” Rose annuì poco convinta. Angel li raggiunse poco dopo, ora completamente sveglia.
“Dove andiamo?” chiese a Boris mentre prendeva una scatola piena di Polvere Volante.
“Da Rosso, lui ci aiuta” rispose lui convinto. Prese un po’ di polvere ma una scossa lo fece cadere a terra, insieme alla polvere e al resto della sua famiglia. Un altro scossone fece cadere buona parte dell’intonaco del soffitto, imbiancando i capelli color fiamma di Rose e Angel.
“Emily, qua!” urlò Boris e lei gli corse incontro, terrorizzata. Anche Angel si avvicinò a lui e lo abbracciò, coprendo insieme il corpo della bambina. Rose respirava a fatica, sia per il poco spazio che per il terrore che le mozzava il fiato. Sentì un’altra scossa, molto diversa dalla precedente, e un rumore assordante le riempì le orecchie. Da un piccolo spiraglio tra le braccia dei Dragan, vide che gran parte del soffitto era scomparso, così come la canna fumaria e la parete di fronte a loro. Ciò che aveva fatto questo li osservava con sguardo furente, e non era di certo un drago, si disse. Era un gigante dalla pelle grigia e grinzosa, con il capo pelato e piccolo come quello di un neonato. Lo vide muovere le sue enormi mani verso di loro, e Rose urlò terrorizzata, così forte da non sentire altro che la sua voce terrorizzata.  

   

   

  

 

 

 

 

 

 

N.P.

Salve a tutti! So che è passato un po’ di tempo dall’ultima volta che ci siamo sentiti (ancora era il 2014!) ma vi prometto che, anche se lentamente, finirò questa storia! Anche perché se la interrompessi proprio ora, potrei scatenare qualche folla inferocita…

Prima di salutarvi, vorrei ringraziare chi mi segue: BlackandLupin, C l a i r e s, Lux_Potterhead, Rebs96, tribute_potterhead e devina, che è anche l’unica ad aver recensito per ora :D

Perché non seguite il suo esempio? Su, su…

 

 

 

 

 




  
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