4.
Vari tipi di
voci
Crescendo
insieme a sei fratelli maggiori, Ginny Potter si era abituata a vedere
le cose
più assurde, soprattutto di prima mattina. Dagli esperimenti
esplosivi di Fred
e George alle esibizioni canterine di suo padre durante la doccia
mattutina,
nulla ormai riusciva a coglierla di sorpresa.
Anche
se, quella mattina suo fratello Ron e suo marito Harry ci andarono
molto
vicino.
“CHE
COSA È SUCCESSO QUI?”.
Aveva
appena sceso le scale, superando il salotto per dirigersi verso la
cucina,
quando con la coda dell’occhio vide qualcosa che la fece
bloccare sul posto.
Sul pavimento c’erano fogli stracciati e bottiglie di
Burrobirra e Whiskey
Incendiario che avevano macchiato il pavimento, il tappetto e buona
parte della
poltrona che una volta era di colore bianco. Il divano non era sporco
ma Ginny
non riusciva a togliere il suo sguardo da lui e chi lo occupava: Ron e
Harry,
sdraiati e abbracciati l’un l’altro, profondamente
addormentati. Il suo urlo
riuscì a svegliare Harry, che emise una specie di rantolo
mischiato a uno
sbadiglio. Harry cercò di alzarsi, ma si accorse troppo
tardi che Ron era sdraiato
sul suo petto, e lo buttò a terra con un grosso tonfo. Sul
momento non accadde
nulla; poi Ron s’issò di scatto, girandosi verso
Ginny.
“Non
è come sembra!” biascicò Ron.
“Non
hai cercato di tirare su il morare a Harry facendogli bere litri di
alcol e
distruggendo tutti i suoi documenti e il mio salotto?” disse
con tranquillità
Ginny.
“Esatto!”
rispose fermo Ron.
“Allora”
continuò Ginny “devo presumere che tu sia venuto
qua ieri sera con queste
bottiglie, hai fatto ubriacare Harry, gli hai confessato il tuo eterno
amore
per lui e avete passato una notte di passione selvaggia, pur sapendo
che io
dormivo un piano sopra di voi”.
Ron
si grattò il collo, mentre le sue orecchie
s’imporporavano insieme al viso.
“Qual
era la prima?”
“Cameratismo
nei confronti di Harry”
“Aggiudicata!”
esclamò Ron. Harry cercò di soffocare una risata,
senza però riuscirci.
“Tu
zitto, dopo arrivo anche da te” disse Ginny puntandogli il
dito contro. “Tu sei
in grado di tornare a casa?” chiese a Ron.
“Certo”
disse Ron. E non si mosse di un millimetro verso la porta,
né cercò la sua
bacchetta per materializzarsi.
“Riformulo
la domanda” disse Ginny cercando di non ridergli in faccia
“Hai la forza e il
fegato per tornare a casa da Hermione?”.
Ron
abbassò lo sguardo verso il pavimento, ancora più
rosso di prima.
“No”
disse Ron, e lo fece con la voce da cane bastonato. Ginny
sospirò esasperata,
mentre si chinava a raccogliere un foglio non troppo malridotto e
qualcosa con
cui scrivere. Trovato tutto l’occorrente, levò
qualche bottiglia dal tavolino
da caffè vicino al divano e scribacchiò
velocemente qualcosa. Una volta finito
si alzò e diede il foglio a Ron.
“Dallo
a Hermione, avrà pietà di te”.
Ron
mormorò un grazie, levò la bacchetta dalla tasca
e sparì in un pop.
Harry
continuò a fissare il punto in cui Ron era scomparso. Non
stava più ridendo e
Ginny costatò con tristezza che stava riprendendo lo stesso
umore nero che da
giorni lo appestava. Harry sapeva quanto facesse male alla moglie
vederlo in
quelle condizioni, ma non riusciva più a sopportare lo
stress che gli si era
accumulato sopra e questo, purtroppo, si rifletteva anche nel suo
comportamento
a casa.
“Conosci
un incantesimo per ripulire i fogli?” chiese Ginny. Si
sedette accanto a Harry,
che stava cercando la bacchetta in mezzo ai cuscini del divano.
“Io
no, ma Hermione sì” disse Harry. Recuperata la
bacchetta, fece un colpo secco
col polso, e le bottiglie sparirono. Un altro gesto, e i fogli si
raggrupparono
sopra il tavolino, spiegazzati e macchiati.
“Erano
molto importanti?”
“Sono
solo le novità arrivateci dagli Auror ancora sotto il
Ministero riguardo quello
che sta succedendo in Romania” rispose Harry.
“Quindi no, non sono importanti,
posso tranquillamente sostituirli con un foglio del mese scorso, o di
quello
prima ancora, non ci sarebbe differenza”.
A
Ginny stringeva il cuore sentirlo parlare così: rassegnato,
stanco, depresso.
L’Harry che aveva davanti era un uomo che nessuno che lo
conoscesse avrebbe mai
pensato di vedere. Un uomo senza speranza.
“Io
ho poche certezze nella vita, Harry” incominciò
Ginny. Strinse la mano di suo
marito, ma lui non diede segno di essersene accorto. “So che
non cucinerò mai
bene come mia madre, che mio fratello Ron non ha spina dorsale a
sufficienza da
affrontare sua moglie” e qui vide un accenno di sorriso nel
volto di Harry “e
so che tu non sei in grado di arrenderti. Sei troppo testardo per
gettare la
spugna”.
“C’è
chi la definirebbe perseveranza” mormorò Harry.
Strinse più forte la mano di
Ginny, e si voltò a guardarla. A volte non gli serviva
altro: se sentiva la sua
forza andarsene, se aveva bisogno di sentirsi meglio, se semplicemente
voleva
un po’ di conforto, doveva solo guardare Ginny. E basta.
Niente parole, scambi
di baci o carezze amorevoli. Gli occhi di sua moglie erano in grado di
riempirlo di conforto, senza dover aggiungere altro.
“O
meglio ancora coraggio” aggiunse Ginny, dandogli un bacio a
fior di labbra. Poi
un altro, più lungo. E un altro ancora. Forse quei baci
sarebbero sfociati in
qualcos’altro, ma furono interrotti da un coretto di acute
esclamazioni.
I
loro figli James, Albus e Lily stavano ammirando il caos del salotto
dalla
porta che lo collegava al corridoio, con le bocche spalancate dallo
stupore.
“Chi
è stato?” chiese sbalordito James. Di solito era
lui quello che combinava guai
del genere.
“È
stato papà?” domandò Lily.
“Per questo ha dormito sul divano?”
Ginny
rise, notando che sua figlia era molto vicino alla realtà.
“Diciamo
di sì” rispose Ginny, ridendo, e trascinando con
sé anche Harry.
***
Erano
già due settimane che Emily viveva in casa Weasley e
nonostante le iniziali
difficoltà, ormai si era adattata a quella nuova vita,
così diversa e migliore
alla precedente sotto tantissimi aspetti. Non era mai da sola, ma non
lo
trovava asfissiante come Rose, anzi lo adorava; i suoi genitori rumeni
le
mancavano, ma Ron e Hermione non le facevano mancare nulla,
né attenzioni né
altro; e soprattutto, non doveva rimanere chiusa in casa. A volte
passava il
pomeriggio sdraiata sul prato di casa a fissare le nuvole per ore,
senza
pensare a nulla tranne che a quanto si sentisse felice e libera in
quella casa.
Anche questa mattina si era alzata con questi sentimenti, ma le persone
attorno
a lei non rispecchiavano lo stesso umore. Hugo, con cui aveva legato
molto dopo
l’incidente dell’erre moscia, era seduto accanto a
lei tecnicamente per fare
colazione. In pratica stava dormendo con la guancia schiacciata contro
il
tavolo. Hermione invece era molto agitata, tanto che non riusciva a
rimanere
seduta due secondi senza poi scattare in piedi a prendere qualcosa o a
passeggiare nervosa attorno alla sedia. Infine, Ron non era ancora
sceso a
mangiare, cosa che aveva dell’incredibile, o così
aveva comunque imparato in
quei giorni.
“Mamma,
perché sei così agitata?” chiese Emily
intimorita. Hermione si voltò verso di
lei, senza però guardarla davvero.
“Nulla,
nulla… Non è successo niente… Non
è più un Auror, non è in
pericolo…” Continuò
a farfugliare finché la porta dell’ingresso non si
aprì. Emily la vide
spalancare gli occhi e scattare verso l’entrata.
Sentì il nome di Ron urlato
con forza, e la curiosità di vedere cosa stava succedendo la
spinse a sbirciare
i due adulti. Nascosta dietro una porta, vide Hermione furiosa e Ron
terribilmente dispiaciuto. Notò che aveva un foglio tra le
mani e anche
Hermione lo vide. Glielo strappò via con violenza e lo lesse
mantenendo quel
cipiglio seccato; ma una volta finito di leggere il foglio
sospirò triste e
abbracciò il marito. Emily si stupì del repentino
cambiamento d’animo, e si
stupì di sentirla dire: “Vai sopra a farti una
doccia, io avverto George che
arriverai in ritardo”. Ron la lasciò qualche
secondo dopo, e salì moscio verso
il secondo piano. Lo seguì con lo sguardo sporgendosi di
più, tanto che
Hermione si rese conto della sua presenza.
“Rose!”
esclamò Hermione “Hai origliato?”
“Ecco,
io…” balbettò Emily
“Sì, ma perché ero preoccupata per
papà, tu hai urlato, e
mi sono spaventata”.
Hermione
le sorrise dolcemente.
“Chiama
Hugo, prima di andare a scuola dobbiamo passare da casa di zio Harry e
zia
Ginny” le disse. Emily tornò velocemente in cucina
e diede un pizzicotto a
Hugo.
“Ahi,
Vose, mi hai fatto male!”
strillò il
bambino “Che vuoi?”
“Dobbiamo
andare dai cugini Potter, sbrigati!” esultò
estasiata Emily. Adorava i piccoli
Potter, soprattutto James. Per Rose era il contrario, ma
pensò che lo odiasse
soprattutto perché erano davvero simili. Albus e lei
passavano molto tempo
insieme solo perché doveva far finta di essere Rose: era un
ragazzino
simpatico, ma lei avrebbe voluto poter intensificare il rapporto con il
‘cugino’
più grande.
Era
ancora immersa in quei suoi giudizi quando Hermione suonò al
campanello di casa
Potter. Ginny aprì loro la porta con un sorriso vispo ma con
gli occhi stanchi.
“Ciao
ragazzi” disse allegramente “Che fate
qua?”
“Oggi
ho pensato di accompagnare io i ragazzi a scuola” disse
semplicemente Hermione
“Non è il mio turno, ma non ho voglia di arrivare
puntuale. Ogni volta poi mi
ritrovo da sola, è seccante”.
Ginny
li fece entrare, ed Emily credette di sentire un
‘grazie’ sussurrato
all’orecchio di Hermione.
“James
e Al stanno finendo di vestirsi” disse Ginny rivolta a Rose e
Hugo “Mentre
aspettate, potete andare in cucina, ci sono Lily e dei muffin ancora
caldi che
vi aspettano” Hugo sfrecciò senza dare il tempo di
dire altro. Emily invece
rimase un po’ indietro ad ascoltare le due donne.
“Harry
come sta?” bisbigliò Hermione.
“Bene,
ora è sopra a farsi una doccia” rispose Ginny
“Non è che potresti dare una
sistemata ai suoi documenti?”
“Certo!”
disse Hermione con un sorriso.
Emily
decise di dirigersi in cucina dove Hugo, tutto contento, stava
mangiando un
muffin al cioccolato. Lily invece sembrava fissare il vuoto. Non era la
prima
volta, ricordò Emily, che la ritrovava in questa posizione e
ogni volta che
distoglieva lo sguardo, faceva qualcosa di strano, come spostare le
persone o
cambiare la posizione degli oggetti nella stanza. Quando finalmente
smise di
contemplare le macchiette sulla parete, sembrò accorgersi
dei cugini.
“Ciao
Lily” disse educatamente Emily.
Lily
le lanciò uno sguardo confuso e spaventato. Svelta, scese
dalla sedia, le
strinse il braccio e la fece uscire dal salotto. Continuò a
trascinarla fino al
sottoscala, che aprì con la magia. Entrarono nella stanzetta
piena di polvere,
Lily richiuse tutto e accese una piccola lampada che pendeva dal
soffitto.
“Ti
ho sognata” disse tutto d’un fiato Lily
“Eri con una bambina uguale a te, vi
stavate scambiando i vestiti e volevate ingannare qualcuno”.
Emily
spalancò la bocca, scioccata, e cominciò a sudare
freddo.
“Era
solo un sogno Lily” cercò di spiegare Emily
uscendo dalla bocca una vocina più
acuta del solito “Non significa niente…”.
“Succederà
qualcosa di brutto se ascolterai quella bambina”
continuò agitata “Per favore,
non ascoltare quella bambina, va bene?”
Emily
vide che Lily era rimasta terrorizzata da quel sogno e anche lei ora si
sentiva
turbata. Annuì promettendo che non avrebbe dato ascolto a
nessuno che le
somigliasse, ma solo Lily si tranquillizzò con quelle
parole. Emily, invece,
ebbe il terribile presentimento che le sue parole potessero
corrispondere a
verità.
***
Un
corpo cadde a terra agonizzante dal dolore. Si rigirava, non riuscendo
neanche
a urlare per l’intensità della maledizione che
stava ricevendo. Attorno a lui
diversi uomini lo osservavano, impassibili, freddi e immobili.
“Basta
così” sentenziò una voce piatta fuori
dal cerchio formatosi attorno all’uomo.
L’uomo
si fermò e si sdraiò di schiena, ansimando forte,
gli occhi chiusi e la mano
sul petto. Dalla fronte scendevano piccole perle di sudore che
scivolavano giù
fino al pavimento di pietra. Un piccolo varco si aprì in
mezzo al gruppo di
spettatori e la voce di prima si avvicinò al centro.
Camminò, facendo
riecheggiare i suoi passi, unico suono insieme agli ansiti
dell’uomo a terra.
Arrivato ai suoi piedi, si chinò su di lui, uscendo la sua
bacchetta dalla
manica.
“Facciamo
un gioco, ti va?” domandò con la stessa
inespressiva voce. L’uomo continuò ad
ansimare ma lui fece come se niente fosse.
“Ora
ti farò delle domande, e tu dovrai rispondere con
sincerità” continuò
puntandogli la bacchetta alla gola “Prima domanda: come ti
chiami?”.
L’uomo
non smise di ansimare ma si voltò verso il suo carnefice e
lo squadrò da testa
a piedi.
“Forse
non sono stato chiaro con le regole di questo gioco. Se non rispondi
alle domande,
ricevi una penitenza”.
E
dalla sua bacchetta partì un raggio rosso che
inondò tutto il corpo dell’uomo a
terra, facendolo inarcare gemente.
“Ripeto
la domanda” disse ponendo fine all’incantesimo
“Come ti chiami?”
Dopo
qualche secondo ci fu una risposta: “Ryan…
C-clayton”.
“Vedo
che cominci a ragionare, Ryan” gli diede una pacca sulla
spalla, come fosse un
vecchio amico che ti fa i suoi complimenti quando gli parli dei
traguardi
raggiunti negli anni in cui non vi siete visti.
“Ora
ti faccio un’altra domanda facile: chi sono io?”
“Michael
Sparks, un lurido bastardo!” gridò riprendendo un
briciolo della sua forza.
“La
darò per valida” disse Michael, ora con voce
leggermente innervosita. Si alzò e
diede le spalle a Ryan, cominciando a girargli intorno.
“Terza
domanda: tu lo sai, dove ti trovi?”.
Ryan
riuscì a sollevarsi poggiandosi sui gomiti, così
da riuscire a guardarlo negli
occhi.
“A
casa tua, il tuo covo segreto”.
“Quarta
domanda: sai cosa cerchiamo?”.
“La
Corona di Sarah, un potente artefatto in grado di rigenerare le
ferite…”.
“…
e di centuplicare il collegamento tra il mago e la sua
bacchetta” terminò
Michael al suo posto “Ora ti farò
un’ultima domanda, quella che deciderà se
potrai andare a casa oppure no”.
Michael
si fermò di fronte a lui, in modo da guardarlo
dall’alto verso il basso, senza distogliere
lo sguardo dalla sua vittima.
“Dove
si trova la donna che la nasconde?”
Ryan
continuò a fissarlo dritto nelle pupille e ghignò.
“Per
questa temo che dovrò chiedere l’aiuto del
pubblico”.
Michael
scoppiò in una risata stridula e agghiacciante, che
levò definitivamente il
sorriso dal volto di Ryan. Continuando a ridere scagliò un
incantesimo contro
di lui, che cadde a terra con un tonfo secco.
“Questo
aveva davvero senso dell’umorismo!”
esclamò continuando a ridere “Portate via
questo cabarettista e andate a prendere un altro prigioniero”.
“E
i giganti?” pigolò uno degli uomini in mezzo al
gruppo. Non aveva la stazza
proporzionata alla voce che gli era uscita. “Eravamo sicuri
di trovare oggi la
Corona e…”.
“Mandateli
a distruggere qualche villaggio” disse agitando una mano con
noncuranza “Magari
uno confinante con qualche altro Stato, per spaventare un
po’”.
L’uomo
annuì e si allontanò di corsa, mentre Michael
riprendeva a ridere e ripeteva: “L’aiuto
del pubblico! Ah!”.
***
Rose
continuava a rigirarsi tra le coperte. Erano state le due settimane
più lunghe
della sua breve vita. La vita in Romania era monotona e grigia e, per
il
momento, non aveva visto neanche l’ombra di un drago.
Cominciava anche a
sentire la mancanza della sua famiglia. I signori Dragan erano davvero
molto
affettuosi, soprattutto Angel ma non erano i suoi genitori. Anche Hugo
e i suoi
cugini le mancavano, e i suoi zii e tutta la sua grande famiglia. Stava
davvero
cominciando a pentirsi di quello che aveva escogitato quando
sentì un suono
strano.
Da
lontano veniva un ruggito cavernoso, inumano. Rose si alzò
dal letto e si
affacciò alla finestra, per cercare di vedere qualcosa. Vide
una figura alta e
dalla forma strana, con attorno a sé delle fiamme
altissime…
Corse
fulminea fuori dalla cameretta e sfrecciò nella stanza dei
signori Dragan, che
dormivano profondamente. Rose non si scoraggiò e si
buttò di peso sopra Boris.
L’uomo, come risposta, disse una parola rumena
dall’aria poco pulita.
“Emily”
brontolò Boris, grattandosi la folta barba “Che
fai ancora svelia?”
“C’è
un drago là fuori” disse entusiasta Rose
“Posso uscire fuori a vederlo meglio?”
Boris
spalancò gli occhi e lanciò con poca
grazia Rose addosso alla moglie, svegliandola. Angel stava ancora
cercando di
capire qualcosa che sentì Boris urlare: “Dobiamo
andare, ora!”
Sollevò
Rose dal letto e la portò con sé nel salotto di
casa. La bambina sentì le urla
del drago più forti ma a esse si aggiunsero altri suoni:
urla, pianti e crolli.
“Che
succede papà?” domandò spaventata Rose.
Boris
la guardò altrettanto spaventato, incerto su cosa dire.
“No
paura, Emily, io qua, va bene?” Rose annuì poco
convinta. Angel li raggiunse
poco dopo, ora completamente sveglia.
“Dove
andiamo?” chiese a Boris mentre prendeva una scatola piena di
Polvere Volante.
“Da
Rosso, lui ci aiuta” rispose lui convinto. Prese un
po’ di polvere ma una
scossa lo fece cadere a terra, insieme alla polvere e al resto della
sua
famiglia. Un altro scossone fece cadere buona parte
dell’intonaco del soffitto,
imbiancando i capelli color fiamma di Rose e Angel.
“Emily,
qua!” urlò Boris e lei gli corse incontro,
terrorizzata. Anche Angel si
avvicinò a lui e lo abbracciò, coprendo insieme
il corpo della bambina. Rose
respirava a fatica, sia per il poco spazio che per il terrore che le
mozzava il
fiato. Sentì un’altra scossa, molto diversa dalla
precedente, e un rumore
assordante le riempì le orecchie. Da un piccolo spiraglio
tra le braccia dei
Dragan, vide che gran parte del soffitto era scomparso, così
come la canna
fumaria e la parete di fronte a loro. Ciò che aveva fatto
questo li osservava
con sguardo furente, e non era di certo un drago, si disse. Era un
gigante
dalla pelle grigia e grinzosa, con il capo pelato e piccolo come quello
di un
neonato. Lo vide muovere le sue enormi mani verso di loro, e Rose
urlò
terrorizzata, così forte da non sentire altro che la sua
voce terrorizzata.
N.P.
Salve
a tutti! So che è passato un po’ di tempo
dall’ultima volta che ci siamo
sentiti (ancora era il 2014!) ma vi prometto che, anche se lentamente,
finirò
questa storia! Anche perché se la interrompessi proprio ora,
potrei scatenare
qualche folla inferocita…
Prima
di salutarvi, vorrei ringraziare chi mi segue: BlackandLupin, C l a i r
e s,
Lux_Potterhead, Rebs96, tribute_potterhead e devina, che è
anche l’unica ad
aver recensito per ora :D
Perché
non seguite il suo esempio? Su, su…