Eh sì, è già qui, la mia nuova ficcy
che Minako aspettava con tanta ansia... Allora, prima di iniziare credo sia
necessario dare un paio di avvisi. Questa non è una storia facile né
divertente come Hanno rapito i Jobros, anzi, sarà
molto drammatica, dato che la mia intenzione è trattare almeno tre temi
abbastanza scottanti. Non saranno, ovviamente, i soliti Jonas quelli di cui
leggerete qui: sono più grandi e il tempo e gli eventi li hanno cambiati non
poco. Visto che la decisione di far rompere il voto a Kevin in Gabrielle ha
suscitato tanto scalpore, ci tengo a dirvi che qui almeno uno dei protagonisti
del voto se ne sbatterà allegramente per una serie di motivi che si capiranno
lungo il racconto.
Basta, credo sia tutto qui... spero mi seguirete comunque!!!
Infine, viste le tematiche piuttosto forti, trovo
particolarmente importante specificare che i
Jonas Brothers non mi appartengono e non voglio in alcun modo rappresentare la
loro vita o il loro carattere. La storia, chiaramente, non è scritta a fini di
lucro.
Temperance
-Capitolo Uno-
Non
deve essere facile perdere un fratello.
Io
non lo so, non mi è mai successo.
A
loro invece sì, loro che sono laggiù, ormai da cinque anni senza di me.
Ma
voi non ci state capendo niente e forse è il caso di cominciare dall’inizio e
non dalla fine. È una storia lunga, ma io non ho fretta… l’eternità è un tempo…
beh, eterno, ed infinitamente monotono, quindi, se vi va di ascoltarmi, sarò
ben felice di parlare un po’ per voi.
Bene,
iniziamo… è passato quasi un anno, ormai da quel giorno, il giorno in cui la
nostra storia prende forma.
He
was my North, my South
My
East and West
My
working week and my Sunday rest
My
noon, my midnight
My
talk, my song
(H.Auden,
Funeral Blues)
Sedici
di settembre.
Il
cimitero era verde come da ormai più di sei mesi autunno e inverno non gli
permettevano. Verde e colorato dai petali di mille fiori che, avessero potuto
scegliere, probabilmente avrebbero preferito stare in qualsiasi altro posto.
Non
dev’essere bella la vita di un fiore al cimitero, ci avete mai pensato? I gambi
recisi stretti in quei tristi e verdognoli vasetti di rame a cono, fissati
giorno e notte da mille occhi di persone che non esistono più stampati su
mattonelle di ceramica, regali inutili che non fanno altro che rattristare noi
poveri morti.
Che
poi, se non fosse per le troppo frequenti e forzate visite ai cimiteri, essere
morti non sarebbe neanche male. Insomma, non è che cambi tanto dall’essere
vivi… cambia di più per quelli che sono lasciati indietro, per quelli che vivi,
in effetti, ci rimangono.
Come
loro, appunto.
La
ragazza dai lungi capelli rossi camminava piano sui corridoi di ghiaia bianca,
circondati dalle lapidi. Quegli stessi occhi che i fiori tanto odiavano la
seguivano, cercando di decifrare la strana bellezza del suo viso tondo, di
quello sguardo contrito.
In
mano, un mazzo di grosse margherite arancioni.
Eliza
mi porta sempre e solo margherite arancioni, anche se non sono proprio convinto
che lo faccia per me. La conosco da quando sono nato, non è mai stata ipocrita
al punto da portare un dono a chi non lo può ricevere.
Quei
fiori sono per mio fratello, per ricordargli che non è l’unico a soffrire.
Come
se non fosse sufficiente Kevin a mostrarglielo.
Kevin
che, in quel momento, stava in piedi all’imbocco del corridoio che porta alla
mia tomba, guardando fisso davanti a sé qualcosa che solo lui poteva vedere,
una sera di quattro anni prima.
“Fantastici! Non
potevamo fare un concerto più bello!”
Joe guardò il
fratello maggiore riflesso nello specchietto retrovisore, scuotendo la testa
alla linguaccia che Nick, seduto al suo fianco, gli rivolse.
“E quando mai
noi non siamo fantastici, Joy?”
“Ciao.”
Kevin
si voltò verso Eliza, quasi sorpreso che una semplice voce fosse riuscita a
strapparlo dai suoi ricordi.
“Ciao.”
La salutò con un sorriso triste, stringendosi di più nel lungo cappotto grigio
scuro.
Non
nero, nero mai.
“E
così è di nuovo quel giorno, eh?”
“Sì…
meno male che capita una sola volta all’anno, di più non lo sopporterei. E lui
men che meno.”
“Non
migliora?”
Kevin
si strinse nelle spalle.
“Dopo
quattro anni, Liz?”
“Può
darsi… il tempo cicatrizza le ferite.”
“Oppure
le infetta.”
“Sapete che
pensavo?”
“Perché, tu
pensi, pure?”
“Sempre
spiritoso, Kev, mi raccomando. Seriamente, io penso che dovremmo…”
“Joe…”
“Non ora, Nick,
sto creando.”
“JOE, FRENA!”
Joe
scosse la testa, riscuotendosi dalla trance che lo aveva colpito proprio lì,
inginocchiato davanti alla mia lapide di marmo grigio.
Grigio,
eccolo, il colore della morte.
Quell’urlo
non lo abbandonava, non ne voleva proprio sapere. La voce di Kevin,
terrorizzata, gli risuonava nella testa ogni giorno, quando meno se lo
aspettava, riportandolo a quel sedici di settembre ormai lontano nel tempo,
eppure ancora così vicino a lui.
L’urlo
di un fratello che poteva vedere ogni giorno e che non faceva altro che
ricordargli l’altro, quello che gli si mostrava soltanto in sogno e in
fotografia.
Che
non faceva altro che ricordargli me.
“Scusami.”
Mormorò, chinandosi a baciare la mia fotografia, per poi tornare alla posizione
iniziale.
Non
si sarebbe mosso di lì finché Kevin non lo avesse chiamato e, anche allora,
avrebbe fatto molta fatica a lasciarmi.
“Nome.”
“Kevin Jonas.
Dove sono i miei fratelli?”
“Età.”
“Ventuno. Mi
dice dove cazzo sono finiti i miei fratelli?”
“Non si agiti,
il suo braccio è fratturato.”
“Me ne fotto del
mio braccio! Voglio vedere i miei fratelli!”
“Potrà vederlo
quando arriveremo in ospedale.”
“Vederlo?”
“Forse
dovresti chiamarlo…”
“Forse
non tocca a me.”
“Kevin…”
“Liz,
sei la sua migliore amica, a te dà ascolto.”
“Kev,
io ho paura di lui. Sì, spesso mi ascolta, ma l’ultima volta che non lo ha
fatto mi ci sono voluti tre strati di fondotinta per risparmiargli la
denuncia.”
“Lo
so, lo so…”
“Mi sa dire come
si chiama?”
Bianco. Non
capiva.
Perché era tutto
bianco?
“Signor Jonas,
ricorda il suo nome?”
“Joseph.”
“Molto bene.
Segua la luce…”
“Sono in
ospedale?”
“Sì, Joseph.”
“Joe. Anche
Kevin e Nick sono qui?”
“Potrà vedere
suo fratello appena avrò finito i controlli. È stato fortunato, sa? Al volante
e solo tre costole spezzate.”
“Io ho due
fratelli…”
“Mi dispiace,
Joe… mi dispiace davvero tanto, ma non c’è stato nulla da fare.”
Una
mano si posò sulla sua spalla.
“Ancora
qualche minuto, Kev, ti prego.”
“Dobbiamo
andare a casa.”
Non
era mai stata fredda, prima, la voce del mio fratellone. Lui era quello sempre
pronto ad aiutare, lui quello che aveva una parola gentile anche nei momenti
più brutti, lui che ci sosteneva nei successi e nei disastri.
Ma
questo era prima, appunto.
La
verità era che Kevin Jonas non era in grado di sopportare il dolore e ogni
minuto passato in quel cimitero era per lui letale.
Joe,
invece, sembrava buttarsi contro la sofferenza a braccia aperte, stringendola
forte a sé, come se gli fosse servita a rimanere ancorato alla realtà.
Diversi,
semplicemente e completamente diversi.
“D’accordo.”
Lentamente,
Joe si alzò in piedi, lanciando un’ultima occhiata alla mia fotografia.
Un cielo sereno,
un prato verde, un gruppo di persone tra le lapidi grigie, la sicurezza a
tenere un’orda di ragazzine chiuse fuori dal cancello.
Joe era
esterrefatto... come era possibile che non capissero?
L’unica cosa che
i famosi Jonas Brothers volevano quel giorno era essere lasciati in pace, senza
fan, senza giornalisti. Che poi, c’era ormai ben poco per cui sgolarsi e
sorridere: senza Nick il gruppo era finito.
“Coraggio...”Sussurrò
Eliza, stringendosi al suo braccio.
Lui si scostò.
Non aveva
bisogno di lei.
“Ciao,
Joe.” Lo salutò Eliza, quando i due giovani uomini si trovarono nuovamente
accanto a lei.
“Ciao,
Liz.” Rispose lui, passando oltre, senza nemmeno guardarla.
Kevin
le accarezzò piano un braccio, fermandosi un istante ad analizzare quegli occhi
tristi come i suoi, ma per un motivo che certo non era la mia morte o, per lo
meno, non lo era più.
“Si
renderà conto di quanto sei importante per lui.”
“Ciò
che conta è che si renda conto che non è lui quello morto in quell’incidente.”
Kevin
annuì, chinandosi a posarle un bacio sulla guancia.
“Saluta
Nick per me... e digli che mi dispiace se io non riesco mai a farlo.”
“Non
ti preoccupare, Kev, ti conosce, sa che hai bisogno dei tuoi tempi.”
Con
un sorriso, la donna ricambiò il bacio, accompagnandolo con un debole
abbraccio, e lasciò che Kevin raggiungesse suo fratello con quattro rapidi
passi di corsa.
Kevin
e Joe Jonas... i suoi amici del cuore dai tempi dell’asilo ridotti a delle mere
immagini di ciò che erano stati.
Sospirando,
si avvicinò alla tomba e vi si inginocchiò davanti, prelevando dal suo
contenitore il piccolo vaso di vetro che lei stessa aveva portato in
sostituzione di quello di bronzo.
Eliza
è fatta così, ha sempre un pensiero in più degli altri e così la mia tomba è
l’unica del cimitero ad avere un vasetto di Murano al posto di quell’orrendo
conetto di metallo.
Con
gesti rapidi e nervosi rovesciò sul marmo della lastra gli scheletri delle
vecchie margherite, poi riempì di nuovo il contenitore d’acqua e vi sistemò i
fiori nuovi, identici a quelli vecchi.
“Non
dovresti lasciare che quei due si sentano così in colpa, sai?” Con un
po’dell’acqua rimasta inumidì un fazzoletto e prese a lucidare la mia
fotografia. Non le importava che mi madre già lo facesse una volta a settimana,
era un suo piccolo rituale al quale, presumibilmente, non avrebbe mai
rinunciato. “Dopotutto, non sono stati loro ad ucciderti... è stato il caso e
tu dovresti davvero fare qualcosa per
farli sentire meglio. Non so se li guardi, da ovunque ti trovi, ma sono,
perdonami l’allusione, niente più che due cadaveri ambulanti. Tutti e due, Nick,
anche se, come sempre, è Joe quello che non sa nascondere i propri sentimenti, Kevin
è distrutto quanto lui, lo so. Io ci ho provato ad aiutarli, ma ci ho
guadagnato solo qualche livido qua e là... non so se riuscirò mai a rimanere di
nuovo da sola con lui... ma probabilmente sì, sai come sono fatta, lui per me è
tutto. Dagli qualcosa in cui credere di nuovo, fagli trovare un lavoro, una
donna, un cane, qualsiasi cosa possa farlo sentire meglio. Ti prego, Nick,
facci uscire da questo incubo.”
Sospirando,
Eliza si alzò in piedi e, a fatica, riportò sul suo viso ciò che poteva, almeno
da uno sconosciuto, essere scambiato per un sorriso.
“Anche
Frankie ti saluta, dice che verrà più tardi, perché ora è fuori con la sua
ragazza. La sua ragazza, Nick... È bella, sai, ti piacerebbe, credo, e lui sta
diventando un magnifico giovane adulto. Senza considerare che sembra l’unico in
grado di condurre ancora una vita normale. Lo invidio, sai? I suoi diciotto
anni li sta vivendo nel miglior modo possibile, mentre io ne ho ventisette e mi
sento come se fossero cinquanta...”
I
suoi occhi scuri si soffermarono ancora un istante sui bei fiori arancioni, per
poi spostarsi sulla foto e sull’epigrafe.
Nicholas Jerry
Jonas, amato figlio, fratello e amico.
Banale,
o almeno, questo è quello che io ho sempre pensato.
“Bene,
tra dieci minuti inizia il mio turno. Ciao, Nick, ci vediamo presto. Ti voglio
bene.”
Dopo
aver soffiato un bacio leggero come il vento in direzione della lapide, Eliza
si voltò, lasciando che i boccoli ramati si avvolgessero con delicatezza
intorno al suo collo latteo e si avviò verso l’uscita del cimitero.
E
io rimasi lì, ancora una volta solo in mezzo a centinaia di fantasmi che, come
me, avevano mille storie da raccontare e nessuno disposto ad ascoltarli.
Mi
facevano sempre sentire in colpa, le parole di Liz. In colpa per aver ridotto
così i miei fratelli, in colpa per non poter dare a Frankie consigli su questa
nuova e bellissima ragazza, in colpa per aver abbandonato la mia famiglia.
In
colpa, perché mi era impossibile realizzare anche uno solo dei desideri della
mia amica.
Perché
i morti sono morti, non divinità e non hanno nessun potere sul corso degli
eventi.
Anche
noi, come i vivi, dobbiamo adattarci ad un destino che non possiamo
controllare.
La
differenza?
Noi
siamo spettatori, possiamo solo guardare e sperare.
I
vivi no, loro sono gli attori e il copione lo possono cambiare.
Semplicemente,
rendersene conto per loro non è poi così facile.
Continua...