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Autore: MillyMalfoy    27/11/2008    1 recensioni
“Ma tu saresti?” le chiese. “Hinata, la maestra di Minaku!”rispose lei timida come al suo solito, ma lui le afferrò la mano e la scosse energicamente. “Piacere io sono Naruto..” incominciò a dire lui, ma Hinata lo interruppe In un asilo due anime sole, ma complementari s'incontrano, ma per imparare ad amare ci vorranno i colori giusti. Scritta per celebrare la giornata di oggi, per rendere onore al NaruHina Day! NaruHina is love! Pubblicato l'ultimo capitolo!
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Hinata Hyuuga, Naruto Uzumaki
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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Madre con bambino malato. Pablo Picasso

 

 

 

 

L’inverno tardava a venire quell’anno e il sole continuava a scaldare i bambini che correvano felici lungo il giardino, saltando e ridendo.

Minaku aveva finalmente smesso di restare seduto in un angolo, era stato invitato da un altro bambino a giocare a nascondino.

Hinata seduta sul muretto davanti alla porta della classe. Ino appena arrivata e Sakura seduta accanto a lei.

“Hinata dobbiamo chiederti una cosa?” incominciò l’insegnante bionda, mentre si andava a sistemare accanto alla amica e collega.

Hinata capì immediatamente a cosa si stavano riferendo le colleghe e le mani incominciarono a tremarle. Abbassò lo sguardo e disse: “Ditemi pure”.

“L’altra sera è venuto Naruto il fratello di Minaku e ha chiesto una cosa strana e particolare, voleva sapere se potevamo spostarti da Minaku” disse Sakura, nessun giro di parole, diretta e sincera come era sempre.

“Ci chiedevamo quindi se tu sapessi il perché?” continuò Ino.

Hinata sospirò e pensò a cosa rispondere, dire tutta la verità, parlare alle due colleghe del bacio oppure fingere di non sapere, di non soffrire.

“Io..” “Ahia!” un grido. “Aiuto” un altro urlo. “Maestra” gridarono in coro due bambine correndo verso le insegnanti.

“Minaku” disse una bambina cercando di prender il fiato.

“Ahia” ancora una volta e un pianto disperato.

Hinata riconobbe subito la voce di Minaku e con il cuore in gola si sollevò e incominciò a correre verso la fonte del pianto.

Il piccolo Minaku a terra, il polso piegato in una posizione innaturale.

“Hinata” gridò il bambino in lacrime e lei si lanciò per terra al suo fianco. “Minaku sono qui, con te, stingi forte la mia mano” la testa di Minaku sul suo petto, una mano che gli accarezzava la testa, l’altra stretta nella  mano sana di Minaku.

“Chiamate un ambulanza” disse alle due colleghe appena sopraggiunsero.

“Minaku ora vedrai che lo faremo passare, vedrai che il dolore finirà. Scusami Minaku, scusami tanto” continuava a ripetere Hinata spaventata, disperata.

 

“Capito arrivo subito. Pronto soccorso ortopedico, primo piano sulla destra. Arrivo. Grazie” e sbatté il telefono.

“Naruto dove vai così di corsa, cosa è successo?” chiese una bella donna bionda dietro al bancone.

“Tsunade! Minaku ha avuto un incidente, è in ospedale” il terrore negli occhi del ragazzo.

“Corri!” fu l’unica cosa che la donna gli disse, prima di vederlo sparire dietro la porta.

 

 

Il corridoio era lungo ed infinito a gli occhi di Naruto.

Su una sedia a metà corridoio c’era lei seduta. Le mani sulle gambe, il torace scosso dai singhiozzi, cercò di andare da lei, ma un’infermiera lo fermò e gli chiese se era il padre di Minaku Ukumaki.

“No, sono il fratello maggiore, il suo tutore” rispose lui, e probabilmente questo le bastò, perché lo condusse in una sala dove un medico gli spiegò le condizioni di Minaku.

“Sì è rotto un polso, nulla di grave, dovrà tenere il gesso per tre settimane, poi tornerà qui che valuteremo se l’osso si sarà riformato, e gli toglieremo il gesso” spiegò l’uomo con il camice bianco.

“Ora posso vederlo?” chiese Naruto.

L’infermiera invitò a seguirlo e lo condusse in una stanza adiacente.

Minaku tranquillo, seduto su un lettino, un giocattolo in mano e un infermiera intenta  a parlare con lui.

“Minaku” lo chiamò Naruto.

“Ciao fratellone” rispose Minaku “Hai visto che gesso bello che ho!” esclamò Minaku.

“Lo hai scelto tu il colore blu?” chiese Naruto.

“Sì!” rispose il bambino scuotendo il capo.

“Ora ti va se andiamo a casa?” chiese Naruto.

“No!” rispose Minaku.

“Dobbiamo andare, queste gentili signore hanno molto lavoro da fare” cercò di convincerlo Naruto.

“Sì, ma io voglio vedere Hinata” esclamò Minaku.

“Credo che sia già andata a casa” rispose Naruto. Una bugia per il suo bene.

“Ora mentre tu saluti queste gentili signore, io esco un attimo e ti aspetto qui fuori ok?” disse Naruto.

“Va bene, magari possiamo telefonare a Hinata” cercò di insistere Minaku, ma capì che era tutta fatica sprecata dal volto di suo fratello.

 

“Hinata” la chiamò Naruto, l’espressione del suo volto dura.

“Naruto” le lacrime di Hinata continuavano a scendere copiose e lei non tentava nemmeno di nasconderle.

“Come sta Minaku?” chiese lei, la voce tremante.

“Bene, solo un polso ingessato, ma di certo non per merito tuo!” rispose lui, il suo tono era calmo ma fermo.

“Scusami” cercò di scusarsi lei.

“Non c’è nulla che puoi dire o fare per farti perdonare, il tuo comportamento è imperdonabile, io te lo affido perché tu lo protegga e invece al tuo fianco è in pericolo. Sei una pessima maestra” gridò lui.

Tutta la rabbia e la rassegnazione che aveva in corpo uscirono in quelle parole.

Lei era lì di fronte a lui, distrutta e ferita e lui non riusciva a fare altro che aggiungere senso di colpa a quel fuoco che già la stava divorando.

Avrebbe voluto stringerla a e se, dirle che non era colpa sua, che non era successo nulla di grave, che insieme avrebbero superato anche questo, che le mancava, e l’avrebbe voluta baciare, ma riusciva invece solo a gridarle tuta la sua frustrazione, perché non poteva fare quello che voleva, che desiderava.

“Scusami” cercò ancora una volta di dire lei, il pianto sempre più forte.

“Lasciaci stare” concluse lui. I suoi occhi così grandi e dolci, infuocati, il suo sorriso così luminoso, contratto in una smorfia rabbiosa. Girò le sue spalle e scomparì dietro ad una porta vetri.

Lei sola in piedi in mezzo ad un corridoio bianco, con la sua solita solitudine dentro al cuore.

“Naruto” sussurrò, ma erano parole dette a nessuno, una supplica che mai nessuno avrebbe ascoltato:

“Perdonami”.

  
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