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Autore: Elle Sinclaire    31/01/2015    1 recensioni
E poi un giorno era stato lui a non volerlo più e dimenticare quelle notti e April nel lettone tra di loro. Dimenticare le stelle e il lago con le papere e le domeniche senza droga in circolo a dormire con lui invece che sul vialetto, tra l’immondizia e la cassetta delle lettere.
E glielo direbbe quasi, adesso, sdraiato sul divano del suo salotto, telecomando in mano e occhi chiusi, torna, Luke, che le foto che faccio ora sono tutte in bianco e nero e forse ho ammazzato qualche papera tirando sassi nel lago invece che pane. Ma non lo fa, si siede su una poltrona lontano da lui. Non ha più importanza, e sembra quasi convinto mentre lo pensa, perché ad ammettere di sentire la sua mancanza, Adam non è per niente bravo.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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A chi ha tolto colore
alle mie foto,
dandolo a tutto il resto.
Alla faccia di chi dice
che Londra è grigia.
A chi vive nel disagio
e non sa neanche dove girarsi,
ma poi lo fa
e si trova le spalle coperte.

 

a

Ad amanda,
e il nostro primo anno.
Ai bambini tutti.
Che questo sia meglio
di limone e zenzero.

Parte 2

Hanno detto che era programmata. Che Maille voleva un bambino prima dei venticinque anni e poi forse un altro prima dei trenta, o dei trentacinque, non lo sapeva, ma aveva sempre desiderato essere madre.
Adam sapeva che non era vero.
Luke era volato da lui a New York ed Adam l’aveva trovato sulla porta di casa sua accucciato contro il muro e le pupille ridotte a due spilli dalla droga e aveva pensato che fosse morto qualcuno. Aveva scoperto solo il giorno dopo che Maille voleva abortire e Luke non si sentiva pronto a essere padre, ma voleva esserlo. Adam si era morso l’interno della guancia e aveva ascoltato. Rispetta la sua decisione, diceva, ma Luke urlava e finivano per litigare e alla fine Adam per poco non aveva pianto davanti a lui. Ma si era trattenuto finché Luke non era ripartito, il giorno seguente, ed era tornato a Croydon, in quella villa dove Adam sperava di andare a vivere con lui, in cui ora stava Maille che aveva cambiato idea e avrebbe partorito in primavera, la stagione preferita di Luke.
Se la immaginava con il pancione e i tatuaggi sformati dalla gravidanza e pensava che forse i suoi lineamenti si sarebbero addolciti e magari sarebbe stata anche una buona madre e Luke avrebbe amato quel bambino più di ogni altra cosa nel mondo, anche più di quanto avrebbe mai potuto amare lui. Ed era stato geloso, e poi orgoglioso, e poi arrabbiato, e aveva capito di averlo perso e niente più stelle da guardare in giardino o foto da scattare sul letto.
Che Luke sarebbe cresciuto senza di lui e lui sarebbe dovuto restare un po’ bambino lontano da Luke e non era possibile, pensava, perché lui bambino non lo era mai stato. Aveva smesso di ridere e le clavicole avevano perso spessore e gli occhi sembravano più grandi, e sembrava si cibasse solo di quello che loro vedevano. Solo le foto che scattavano avevano preso colore.
Ma a lui non piacevano più e l’anno dopo, a Londra per la fashion week, non ci era voluto tornare. Aveva aperto una galleria, aveva cominciato a esporre. I vecchi amici modelli lo avevano aiutato, chi posando per lui, chi pubblicizzando i suoi eventi e le esibizioni. Al centro di Manhattan, tra i grattacieli di acciaio, davanti al via vai impazzito di persone dell’ora di punta, la galleria campava di sovvenzioni statali e dei primi riconoscimenti. Qualche foto pubblicata su qualche giornale, qualche evento importante.
Adam sembrava aver riacquisito serenità, proprio lì, dove era impossibile anche solo scorgerle, le stelle. Aveva smesso di pensare ad Luke, se lo era imposto. Aveva sbirciato le foto di April, una volta, su internet, ma poi aveva chiuso tutto, incazzato, e aveva fatto di lui e di quella meravigliosa bambina un tabù.
Ad agosto, però, era stato Luke a tornare.

“Ma insomma, la mia cazzo di foto dov’è?”
Lo aveva visto da fuori, magro, troppo magro, forse più magro di prima. Gli occhi enormi, le clavicole sporgenti sotto la maglietta, le braccia ciondolanti e la macchina fotografica in mano. Quel fottuto anoressico, aveva pensato ed era entrato.
Adam aveva sgranato gli occhi – enormi, inquietanti, vitrei – ed era rimasto fermo. Ma non guardava lui, guardava April e forse non era stata una grande idea portarla da Adam, aveva pensato in quel momento, ma voleva che si conoscessero. Lo voleva davvero.
Sua figlia aveva biascicato qualcosa di incomprensibile, probabilmente un abbozzo di bestemmia, e Luke aveva pensato che avesse paura di lui; poi però aveva sorriso e si era sporta verso di lui per toccare quelle labbra giganti.
“Quale foto?”
Lo aveva quasi sputato, mentre toccava la mano di April. Faceva il vago come sempre, Adam cazzo di James, ma Luke sapeva che poi piangeva quando non c’era, ma davanti a lui non si era fatto vedere preoccupato neanche una volta. Lo guardava sempre con gli occhi sbarrati e liquidi e Luke ogni volta glieli avrebbe strappati, quegli occhi, e ci avrebbe giocato a bocce in giardino, ma poi il suo piglio da stronzo cadeva sempre.
“Ciao April…”
Aveva sentito gli occhi bruciare un po’, quando aveva pronunciato il nome di sua figlia, perché significava che non aveva dimenticato chi fossero. Che da qualche parte nella vita di Adam, c’era stato spazio per entrambi.
Era uscito poco dopo dalla galleria e non sapeva se lo avrebbe rivisto. Poi il giorno seguente era tornato da solo e quello dopo ancora di nuovo con April.
Non parlavano di Maille, non parlavano di loro, passavano solo del tempo insieme. A volte Luke neanche parlava, perché a New York le stelle non si vedono, e lui avrebbe voluto prendere Adam e portarlo a Heast Hills, conoscere sua nonna, piangere davanti a quegli occhi, perché lui non era pronto a Maille e a April e a smetterla con le cazzate, perché lui viveva di quelle e delle ossa di Adam che pungevano ovunque e le sue costole dure contro la pancia quando facevano sesso.
Alla fine era tornato a Londra ed Adam era rimasto lì, e non era riuscito neanche a dirgli che – cazzo ­– gli mancava da morire.

Nella sua casa di Hampstead, Adam era tornato poche settimane dopo. Aveva bisogno dell’aria umida di Londra e delle papere fuori dal giardino di casa, del charity shop all’angolo che da anni aveva in vetrina la stessa maglietta dei Doncaster Rovers, delle foto in bianco e nero appese alle pareti e la cassetta delle lettere giallo canarino. Aveva bisogno di Luke.
Lo aveva chiamato subito, appena atterrato, e lui si era fatto trovare sul vialetto, April nel passeggino e una busta piena di vestiti.
Avevano guardato le stelle e parlato di Maille e di April e del fatto che le cose non andavano bene, che Maille voleva la custodia della bambina e che forse era ora di smetterla di fare il cazzone e provarci veramente. Luke non voleva provarci più, voleva prendere sua figlia e vivere davanti al laghetto con le papere, andiamo, Adam, io, te, April e comprare il cazzo di pane a tre sterline solo per dar da mangiare a quei pennuti di merda, anzi meglio andiamo a vivere a Dalston o Bethnal Green, lì si che si vive bene, tra la gente vera. Adam voleva, voleva davvero, anche comprare un lettino e metterlo negli spazi risicati di un monolocale che puzza di curry e gli omogenizzati e i pannolini e fare piano durante il sesso per non svegliare April. A lui andava bene pure raccogliere il vomito di Luke una sera sì e l’altra pure, fotografarli la mattina insieme nel lettone, dormire scomodi, i cartoni animati e le litigate furiose tra le mura colorate di verde acido da Luke.
Erano rimasti lì due settimane, prima che Maille tornasse dalla sua vacanza. Aveva guardato Luke uscire di casa e aveva pianto, alla fine. Davanti a lui, per la prima volta e lo aveva inseguito, baciandolo lì, davanti alla cassetta giallo canarino, con April tra di loro che si aggrappava alla sua maglietta e aveva pensato che neanche lei volesse andarsene. Che erano giusti lì, loro tre, ma che avevano sbagliato qualcosa durante il tragitto, forse tra una stella e l’altra, mentre parlavano di ogni cosa, ma non di loro due, si erano persi la strada verso l’isola che non c’è.

Maille puzzava sempre di stucchevole Chanel n. 5 e shampoo al cocco. Anche quando era nuda, dopo la doccia o dopo il sesso, non c’era nessuna traccia di sudore o assenza di profumi artificiali. Puzzava di poveraccia arricchita ogni secondo del giorno e Luke combatteva ogni fottuto momento contro la sua voglia di cospargere di odori nauseabondi anche loro figlia.
Una volta era uscito di casa senza dirle niente ed era tornato ubriaco a notte fonda, vomitando sul divano di pelle. Un’altra volta non era rientrato fino a mattina, quando aveva portato April a scuola e poi era sparito per ore. Maille non sapeva dove fosse e si incazzava e Luke si incazzava e April piangeva.
Aveva cominciato a bere di più e a risvegliarsi le domeniche mattina sul vialetto di casa di Adam, senza dirgli niente, mezzo nudo sotto la cassetta delle lettere giallo canarino. Nessun buongiorno, nessun saluto, si alzava e recuperava qualche vestito che se era fortunato si era trascinato fino a lì, poi tornava a casa.
A volte neanche si incrociavano e Adam aveva smesso di mandarlo a fanculo, dopo un po’, lo osservava solo con un caffè in mano, un vinile nel giradischi, e la voglia di ridere fino a sentirsi male, se non gli fosse che gli mancava così tanto da pungersi sempre con le proprie lacrime.
Alla fine una volta l’aveva fatto entrare, perché la vicina aveva veramente chiamato la polizia. Gli aveva posato una coperta sul culo e lo aveva preso a calci finché non si era svegliato, bestemmiando. Poi si era zittito di colpo vedendolo e lo aveva seguito in casa. Aveva occupato il divano per ore senza dormire né parlare, guardando sopra il camino le foto di lui e Maille, il bianco che rincorre il nero tra le ombre delle sue clavicole e negli spazi tra i suoi tatuaggi. Dopo qualche ora si era alzato ed era uscito senza dire niente, senza ringraziare, senza salutare. Completamente nudo.
Alla fine Adam aveva deciso di ridere a vederlo così. E un po’ quel fastidio pruriginoso tra gli occhi era passato. Aveva comprato una birra, delle uova e il caffè italiano. La domenica mattina successiva aveva versato tutto nel frullatore e lo aveva lasciato sul tavolo della cucina, così, quando era andato a dargli un calcio sullo stinco, Luke aveva ripreso colorito.
Hanno detto che c'è un uomo sdraiato sul vialetto. Lo hanno detto una volta, poi due, tre, che quello è un quartiere rispettabile; che non vogliono drogati davanti alla cassetta delle lettere giallo canarino, che i loro bambini non devono vedere il pene tatuato di quella mangusta sformata dalla testa ai piedi. Adam ha riso a lungo, perché in quel quartiere nessuno dice mai una parolaccia e pene è ciò che di più trasgressivo abbia mai sentito; nessuna lite a notte fonda, nessun pianto, nessuna puzza di vomito e alcol ed erba.
Forse ha ragione Luke, dovrebbero prendere una casa nell’East London e svegliarsi con l’odore di cibo indiano e addormentarsi con la musica per la preghiera; alzarsi la domenica mattina in un letto che puzza di coriandolo e cannella, April nella stanza accanto che gioca con i lego, Maille che chiama per assicurarsi che non abbiano dato fuoco alla casa e la bambina stia bene. Magari non in quest’ordine, magari dimenticandosi che Maille esista, ogni tanto, perché April sta bene anche solo con loro a disegnare sui muri e sulla moquet, per ridare colore a tutto quanto, e toglierne un po’ alle sue foto.
Anche oggi ad Adam hanno detto che c’è un uomo nudo sul vialetto di casa. Che deve farlo entrare
Adesso la signora Rundle lo chiama anche per nome: c’è Luke, e nella sua voce Adam la sente quella nota di tenerezza. Vienilo a prendere che tra un po’ passa il camion della spazzatura. Non se lo spiega come a un certo punto tutti provino affetto per quella testa di cazzo oblunga. Più volte ha pensato che semplicemente, quando la gente ci parla cinque minuti, lo pensa ritardato, e non è bene parlar male degli ritardato. O forse è solo che a un certo punto della propria vita tutti amano Luke Stymest.
Lui, per esempio, a volte lo ama ancora.

   
 
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