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Autore: Aurelia major    28/11/2008    2 recensioni
“Avevo tutto e a molto altro avrei potuto aspirare ancora… sarebbe bastato un cenno e la mia vita sarebbe stata completamente diversa… ma io scelsi di non scegliere, ed è qui che comincia la mia storia.” Spin-off da “Ipotesi per un ritratto a colori”, chi era Alexandra van der Post prima di diventare Siddharta?
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mancavano ancora una dozzina di giorni alla riapertura delle scuole e Alexandra ne approfittò per impegnarsi in molteplici attività, non ultima quella di migliorare il suo italiano, il quale, sebbene fosse abbastanza buono, conservava intonazioni eccessivamente auliche per essere scorrevole come avrebbe dovuto. Inoltre il suo accento tedesco risultava piuttosto marcato,  tanto che Claudia le impose di leggere ad alta voce libri e giornali mentre via, via la correggeva. Un’attività che impegnò loro parecchie serate, risultando un imprevisto deterrente alla noia, in quanto l’esercizio si trasformò rapidamente in un piacevole passatempo, visto che lo studio veniva inframmezzato da molteplici chiacchierate e pause per prendere il caffè.  

Raus, raus fraulen!

Motteggiava Claudia sfottendola quando si bloccava incerta su di un congiuntivo ostico e per tutta risposta Alexandra replicava, facendole il saluto militare, enfatizzando uno stentoreo: Jawoll!

Naturalmente il problema linguistico non era la sua unica occupazione, di regola era già fuori dal letto alle sette per andare a fare jogging lungo la costa. Amava il mare, la cui vista per tanto tempo le era stata preclusa, e appagata si crogiolava nella  frizzante aria salmastra. In seguito, dopo essersi abbigliata in un modo che in collegio non le sarebbe stato mai consentito, sebbene si trattasse di un jeans sovrastato da una semplicissima t-shirt, girava per la città allo scopo di farsi un’idea del centro urbano e familiarizzare con quell’ambiente così diverso da quello a cui era abituata. Pranzava frugalmente, evitando sistematica i locali alla moda a favore di un sandwich da consumare nel parco, per poi ammazzare il tempo fino a sera andando a cavalcare o semplicemente guardando le vetrine che esponevano i primi capi della stagione autunnale. Cosa che le ricordava che quanto prima avrebbe dovuto rinnovare il suo guardaroba, poiché finalmente poteva mandare in malora la pletora tutta del suo  abbigliamento formale.

Quest’andazzo andò avanti finché  non  arrivò il giorno del suo debutto scolastico, avvenimento che per la verità non l’emozionava più di tanto, infatti come di consueto si  alzò e andò  a correre, anche  se  un po’ prima del solito. Una volta a casa si lavò e  vestì  con noncuranza e, dando gli ultimi colpi di spazzola alla folta chioma, osservò spassionata  la sua immagine riflessa meditando sull’impressione che avrebbe dato.

Si esaminò da capo a piedi scevra da qualsivoglia presunzione, finché ne concluse che esteticamente poteva ritenersi immune da imperfezioni e che, al di là del piacere o meno,  risultava comunque un bell’esemplare umano.

Forse, pensò mettendosi di profilo e osservando perplessa la silhouette del naso e della mascella, l’uno era un po’ eccessivo e l’altra decisamente squadrata, ma essendo la totalità della sua fisionomia marcata, nell’insieme non apparivano troppo pronunciati.

“Beh, togliamoci il pensiero.”

Concluse, a metà strada tra il serio e il faceto, infilando la porta e buttandosi la cartella su di una spalla. La scuola non era troppo lontano dal suo appartamento, tanto che se ne scorgeva la sommità. Stava procedendo ad andatura svagata, presa com’era dall’osservazione della costruzione imponente che man a mano si rivelava, ed era quasi arrivata al cancello d’entrata, quando  una bici in corsa rischiò di travolgerla. D’istinto scartò di lato, rovinando  atterra, mentre l’incauto ciclista terminava la sua corsa sul solido muro di cinta.

Mein gott!“

Imprecò scuotendo il capo ancora sorpresa dall’accidenti che le era capitato addosso, quindi si voltò a fronteggiare il suo investitore, per rendersi conto sorpresa di non trovarsi innanzi ad un motociclista spericolato come aveva immaginato, bensì ad una normalissima bici da passeggio. Al che le venne da ridere, poiché, per un’appassionata di sport estremi quale lei era, rischiare di finire con l’osso del collo spezzato per via di una comune bicicletta, sarebbe stata una bella beffa.

“Che mi dannino!”

Esclamò avvicinandosi a rapidi passi verso la figura che giaceva scomposta sul selciato e, notando i piedi calzati da ballerine, nonché una gran massa di capelli scuri, ne dedusse sollevata che quell’alterco non si sarebbe concluso con una scazzottata, a meno che l’incauta ciclista non fosse a caccia di rogne. Per il momento non sembrava, in quanto era occupata a raccogliere il contenuto della sua borsa che s’era sparpagliato tutt’intorno, ma al suo approssimarsi sbottò stranita:

“Accidenti, perché non fai attenzione a dove metti i piedi?”

Stupita da tanta faccia tosta Alexandra non replicò subito, preferendo attardarsi ad accendersi una sigaretta mentre osservava incuriosita quell’estranea che, sebbene fosse palesemente nel torto marcio, aveva pure l’ardire di rivolgersi in quel modo a lei. Intanto la sconosciuta, conclusa la sua cernita, le piantò addosso uno sguardo dai toni bruni come una tazza di cioccolato caldo e continuò a strepitare.

“Si può sapere che diavolo stavi cercando di fare piantata giusto in mezzo al viale?”

Per tutta risposta, stupendo persino sé stessa la benevolenza del gesto, Alexandra le tese la mano tirandola su senza alcuno sforzo, tanto questa era leggera, quindi lievemente ironica si diede la pena di risponderle.

“Aspettavo che una nana su una bici tre volte più grande di lei mi tirasse sotto!”

Fece squadrandola da sotto in su, giacché, adesso che si fronteggiavano, la differenza era notevole. In effetti al suo cospetto appariva ulteriormente minuta, oltre al fatto che i suoi colori chiari stridevano con la carnagione zingaresca che aveva davanti.

Inoltre, pensò Alexandra viepiù interessata da quest’aspetto inconsueto, non che fosse  brutta, ma neppure la quint’essenza dell’avvenenza. Di certo non si sarebbe fatta notare in mezzo alla gente, pure se ne stava lì a fissarla senza riuscire a risolversi ad andarsene. Né questa pareva ne avesse intenzione, la stava sottoponendo al medesimo scrutinio infatti, quantunque di sottecchi, mentre si spazzolava la giacca sbaffata di polvere di gesso.

Per la verità, essendosi presa una bella paura, Lara aveva reagito involontariamente all’imprevisto, ma ora che aveva realizzato la dinamica dell’accaduto, per riflesso titubava alquanto e non sapeva come superare l’impasse. Le spiaceva proprio averla assalita a quel modo e spontaneamente le fece un sorriso imbarazzato, fidando sull’istintiva simpatia che solitamente suscitava.

Neppure Alexandra parve risultarne immune, ciò nonostante ritenne fosse il caso di mettere i puntini sulle i.

“Senti, ero di spalle e non potevo certo vederti, ma tu sì.”

Puntualizzò accennando ironicamente alla bici che dopo l’impatto risultava sbilenca, in effetti aveva la forcella completamente storta, e sulla stessa falsariga continuò: “Chi ti ha messo in mano quest’arnese avrebbe dovuto metterci un paio di freni in più, oltre che delle rotelle. Comunque, ti sei fatta male?” Si degnò di chiederle infine e, ricevutone un segno d’assenso, fece per incamminarsi ma Lara la trattenne.

“Mi spiace, scusami.“ Rispose conciliante. “Posso offrirti un caffè per farmi perdonare? Stanno per arrivare i miei amici, si potrebbe andare tutti insieme.”

Propose invitante senza poter immaginare che, se solo avesse evitato d’includere altre persone, Alexandra avrebbe accettato volentieri. Invece non appena intese che le sarebbe toccato d’interagire con quello che considerava un eccesso d’individui, piuttosto che la confidenziale conversazione a due che avrebbe preferito, si ritrasse in tutta fretta.

“Magari la prossima volta.”

Replico lasciandole volutamente aperto uno spiraglio, poiché, e dio solo sapeva perché, quella cozza nera aveva qualcosa che l’impediva di chiuderle tutte le porte. Ridacchiò, a dispetto di sé stessa e di tutti i propositi che s’era fatta in precedenza, e facendole un segno di saluto si avviò verso l’ufficio scolastico per appurare in quale classe fosse finita.

Lara restò a fissarla assorta, ma non ebbe l’agio di formulare alcun pensiero poiché in pochi istanti fu raggiunta da due dei suoi più cari amici, i quali da lontano avevano potuto  assistere a tutto quanto era accaduto. La prima ne rideva, mentre l’altro appariva piuttosto  preoccupato.

“Ma che è successo?“

Le chiese ansioso fissando in malo modo la figura che s’allontanava adagio, ché lo sviluppato istinto di protezione che sentiva nei riguardi di Lara, nonché la vista della bicicletta deformata, non lo disponevano favorevolmente nei riguardi di quella, che a tutta prima pareva proprio avesse aggredito la ragazza di cui era innamorato.

“Nulla Luigi, è stato uno scontro inevitabile.”

Replicò quest’ultima misteriosa, sorridendo tra sé e sé. Cosa che aumentò notevolmente la latente antipatia che già cominciava a nutrire.  Si trattava di un sentimento a pelle, d’una avversione istintiva, viscerale, attecchita al vago ed inspiegabile timore che potesse sottrargli qualcosa. Poiché, quando Lara cominciava a comportarsi in un certo modo, significava che si stava intrigando e non gli piaceva affatto.

“Chi è?”

Si limitò a chiedere l’altra,  la quale, pur avendo rovistato nel vasto archivio delle sue conoscenze, non aveva trovato tracce della persona in questione. E va sottolineato che Steffi faceva il paio con l’anagrafe per la quantità di gente che conosceva, fosse pure solo di vista.

Per tutta risposta Lara scosse il capo, per poi farsi una bella risata, strizzarle l’occhio e aggiungere: “Non ne ho idea, ma intendo scoprirlo!”

Dopodiché i tre si avviarono verso la loro classe, ognuno animato da sentimenti contrastanti: Steffi era alquanto riottosa alla prospettiva di un altro barboso anno scolastico, Luigi invece s’era immusonito davanti all’ennesima amichevole infatuazione di Lara, mentre quest’ultima non vedeva l’ora di andare incontro a quanto la vita le riservava, poco importava di cosa si trattasse nello specifico.

Nel frattempo Alexandra, che aveva appurato di non essere nella stessa classe di Claudia, e si era diretta verso la sua con l’intenzione di dare un’occhiata in giro, favorita dal fatto che aule e corridoi apparivano ancora semideserti. Le classi si dimostrarono esattamente come se l’era aspettate, un po’ retrò, dalle finestre alte, i banchi sgangherati e le mura zeppe di scritte e graffiti  lasciati là a beneficio dei posteri. Ad ogni modo non si perse in preamboli e andò ad accomodarsi all’estremità della stanza nell’ultima fila, giacché le passate esperienze le avevano insegnato che inevitabilmente ci sarebbe finita.

Non passò tempo che cominciarono ad arrivare alla spicciolata altri studenti, i quali non poterono evitare di lanciarle più d’uno sguardo inquisitore. Non gli diede nessun peso e continuò ad attendere che gli eventi procedessero, persino quando si vide entrare Lara in classe e si scambiarono un cenno di reciproco riconoscimento, anche allora continuò a restarsene impassibile. Quantunque la sua fosse tranquillità e non freddezza come poteva sembrare  suggerire il suo contegno.

Al suono della prima campanella arrivò un professore, forse quello di matematica stimò, valutandone l’atteggiamento sussiegoso, e non sbagliava perché iniziò immediatamente  l’ouverture del più tedioso discorso d’inizio d’anno che le fosse mai capitato d’ascoltare. Lungamente illustrò come, quanto e cosa li avrebbe attesi nei mesi a seguire, come pure quel che si aspettava in merito all’impegno e al rendimento di ciascun elemento lì presente. Fu solo dopo un paio d’ore, con grande gioia di tutte quelle menti votate allo studio, che  finalmente si decise a farla finita e dar luogo all’appello e,  quando arrivò al cognome van  der Post, Alexandra si tenne pronta per quel che ne sarebbe seguito.

“Sono io.”

Si presentò con semplicità, senza imbarazzi, alzandosi e incarnando,  inconsapevolmente,  tutto l’opposto di quel che avrebbe desiderato. Avrebbe voluto apparire neutrale e invece, ergendosi in tutta la sua altezza, evitando di far smorfie e restandosene immobile, risultò arrogante e piena di sé come un uovo.

“Straniera?”

Chiese il professore con uno sguardo, di evidente disapprovazione, al di  sopra degli spessi occhiali. Alexandra annuì e probabilmente commise un altro errore, in quanto questo impermalì ancora di più l’uomo, cui quella sicumera gli suggeriva tutti gli  elementi del classico piantagrane.

“Voce van der Post. E’ belga?”

Insisté severamente e questo mandò definitivamente a puttane la buona disposizione d’animo della nostra ché, d’accordo che se n’era venuta fin lì per cambiare vita e tentare di temperare gli eccessi del suo comportamento, ma Alexandra era pur sempre un’abbiente dai mezzi illimitati, nobile di nascita, nonché tedesca, il che voleva dire che si riteneva una persona superiore e, di conseguenza, nei suoi riguardi nessuno poteva usare un simile tono, fosse stato anche domine dei!

“Tedesca.” Assentì con un tono penetrante e continuò seccata: “E’ la prima volta che vengo in questo paese e ignoravo che per presentarsi fosse necessario urlare.”

“Se vuole può farsi un giro in presidenza tanto per cominciare, così magari si presenta anche col direttore, che ne dice?”

Davanti alla nient’affatto velata minaccia Alexandra stava per rispondergli di sì e che magari ci portasse pure sua sorella già che c’erano, poi però ripensò ai moniti di Claudia ed esitò. Dopodiché le sovvennero le restanti conseguenze alle quali sarebbe andata incontro imboccando questa china e capì di dover darsi una calmata, il Conte non sarebbe stato altrettanto tenero se anche stavolta avesse mancato.

“No.”

Ammise educatamente ma molto, molto a malincuore. Soprattutto quando si vide liquidare con un gesto infastidito, come se fosse poca cosa, un di più, per quell’insegnate che ne aveva fin sopra i capelli di studenti di bassa lega. E allora, presa com’era nella sua mortificazione, gliela giurò. A lui e a tutti quelli che avevano presenziato alla sua umiliazione, perciò, quando all’intervallo in molti le si accostarono per fare la sua conoscenza, gelò chiunque con modi e frasi sferzanti. E fu così efficace che persino i più arditi si scoraggiarono e nessuno, in capo ai successivi dieci minuti, ovverosia il tempo sufficiente per far comprendere  l’antifona, ritentò un approccio.

Tutti tranne Lara ovviamente, l’unica alla quale lo scambio di battute tra alunna e professore era sembrato strano e che aveva iniziato a nutrire dei seri dubbi in proposito a quanto Alexandra sembrava essere. Giacché la boria che aveva mostrata era inspiegabile, specialmente tenendo conto del comportamento avuto con lei appena qualche ora prima. E allora dove stava la realtà? Per scoprirlo non ci voleva molto, si disse, e diede il via all’approccio.

“Ehi Kaiser, ti ricordi di me? Ci siamo incontrate stamattina.”

Esordì con fare brillante, urtando vieppiù i nervi già tesi della sua interlocutrice la quale, in differente ed analoga situazione, sarebbe potuta essere cordiale, peccato che sul momento avesse solo bisogno di un bersaglio su cui sfogare tutto il suo malumore.

“Che vuoi?” La rimbalzò in malo modo.

“Non ti sarai mica fatta male prima?” Provò nuovamente cominciando a preoccuparsi,    dopotutto l’astio che le stava riservando poteva derivare da quello.

“Se pensi che un tappo come te mi possa fare del male, ti sbagli di grosso microbo!”  

“Ma chi ti credi di essere?” Proruppe Lara di rimando, innervosita da quel tono, ancorché non del tutto e ancora interessata ad averci una qualche forma di dialogo.

“Semplicemente qualcuno totalmente diverso da voi.”

Replicò lapidaria e fu tutto, benché l’inflessione usata, più che superba, a Lara parve rassegnata, come quella di chi soggiace ad un dato di fatto anche non volendo. Stava per farle una domanda in proposito, testardamente e recidiva, visto che era chiaro che Alexandra non aveva alcuna intenzione di darle spago, considerando l’argomento definitivamente chiuso, tant’è le voltò  le spalle e se ne andò in bagno a fumarsi una sigaretta di straforo.

Claudia la raggiunse dopo poco e  notò da subito l’aria adombrata dell’amica, ma continuò a fumare come se niente fosse. Solo una smorfia sotto i baffi tradiva la sua  consapevolezza e, qualunque cosa fosse accaduta, ne era soddisfatta. Già, se Alekòs  era  a tal punto alterata, voleva dire che qualcosa o qualcuno era riuscito a scalfire la sua  barriera e questo non poteva che essere un bene. Ma non ne parlarono, non era ancora il momento, anche se Claudia si augurò per l’ennesima volta che arrivasse presto.

Pia speranza e da quel giorno, e per gli altri che lo seguirono, fino a formare la prima settimana di lezioni, nessun altro si arrischiò ad attaccarle bottone. Naturalmente questo non impedì che la curiosità nei suoi  riguardi aumentasse, né che le notizie sul suo conto circolassero. Così,  tra una lezione di  storia e una di greco, si seppe che la van der Post abitava in un avito palazzo del centro storico e pure che aveva dei domestici che la servivano e riverivano. Informazione questa fornita dalla zia di un loro compagno di classe, che era appunto la portiera della gentilizia dimora. Pure, confermò la stessa perplessa,  nonostante ciò la ragazza era d’un educazione squisita e pareva adottare un profilo molto basso quanto a stile di vita. Insomma aveva tutti i marchi della grandeur, ma in sostanza, anche se avrebbe potuto permetterselo, assicurava la donna, non era una di quelle che  andava in carrozza e godeva a farcisi vedere.

Queste e tante altre erano le voci incontrollate che si diffondevano, a  pezzi e bocconi, su quella, ma chissà perché, quando sovente se ne parlava, tutti millantavano indifferenza, tuttavia tiravano fuori un udito straordinario. D’altro canto Alexandra non se lo diede per inteso, continuò a starsene per i fatti suoi, senza dar soddisfazione a nessuno, finché un Sabato questa stasi bruscamente s’interruppe.

Quel mattino era stata più taciturna del solito e, davanti ad un rinnovato e insistito invito da parte di Lara, se ne uscì con una frase sulfurea, talmente incendiaria che Luigi ci vide   l’occasione appropriata sia per difendere la sua protetta, che per darle una lezione. Davvero non la reggeva più quell’insopportabile straniera e adirato continuava a chiedersi perché mai Lara si facesse trattare a quel modo.

Dunque abilmente ne approfittò per offenderla e provocarla, le si piantò davanti in tutta la sua stazza e le diede della zotica, razzista e naziskin. Allo stesso modo, aggiunse come ciliegina sulla torta, di tutti i suoi grossolani compatrioti. Quindi estremamente pago, sentendosi un eroe ad aver compiuto il suo dovere mettendo a posto colei che instancabile aveva offeso con la sua arrogante condotta lui e tutti i suoi amici, ne attese la reazione. Tanto che poteva fare? Nulla, al massimo rispondergli per le rime.

Alexandra non si diede la pena, l’ignorò del tutto rovinandogli completamente il momento di gloria, per cui si vide costretto ad incalzarla alzando notevolmente il tiro.

“Non rispondi figlia del Führer? O l’aver capito che avete perso la guerra ti ha finalmente fatto mettere la lingua in culo?”

Neppure questo le fece battere ciglio, finì di ficcare i libri in borsa e continuò ad ignorarlo, poi il trillo della campanella annunciò il termine delle lezioni e finalmente si concesse di prestargli attenzione. Allegra, incredibilmente briosa dato il contesto, indicò col pollice l’esterno e aggiunse:

“La  sistemiamo fuori questa faccenda jong? Così potrai mostrarmi come hai fatto a vincere la  guerra!”

“Non alzo le mani sulle donne, io!”

Replicò fiero, generando l’ennesimo plauso collettivo di quanti stavano seguendo la lite dandosi il gomito. Alexandra non ci badò e si limitò a rispondergli disincantata.

“Oh, non temere jong, non sei capace neppure di fare la differenza. Io m’avvio, non mancare mi raccomando, se non venissi mi si spezzerebbe il cuore!”

Lo derise pacata, ché ce ne sarebbe stato di tempo dopo per  umiliarlo come si meritava. Dopodiché non stette ad attenderne replica, raccolse le sue cose e si avviò a passo sicuro verso l’uscita. C’era qualcosa nella sua andatura che infastidì enormemente Luigi, sembrava infatti che persino le movenze fossero studiate in modo da sottolineare la sua superiorità rispetto al resto del creato.  

La faccenda poteva anche spegnersi lì, con un niente di fatto, ma i presenti si riversarono fuori dall’aula per vedere se i due avrebbero fatto sul serio e Luigi, Lara e Steffi non poterono che seguirli. Quest’ultima poi spronava l’amico a dargliele di santa ragione, mentre l’altra li ascoltava preoccupata. Era ingiusto che si fosse arrivati a questo, soprattutto perché, per un inutile diverbio, Alexandra stava per finire con l’orgoglio calpestato davanti a quelli che potenzialmente potevano diventare suoi amici. Inoltre Luigi era grande e grosso, per soprammercato anche pugile, il che voleva dire che per Alexandra non c’era assolutamente speranza, persino se lui si fosse comportato da gentiluomo. Probabilmente, pensò contrariata dalla quella testardaggine manifesta, solo un impulso vanaglorioso e folle  l’aveva spinta a sfidarlo impune.

“Rompile il culo, così impara a dire stronzate a sproposito!” Lo stava incitando nel  frattempo Steffi tutta infervorata all’idea di vedere quella sbruffona col suo brutto muso irrimediabilmente rovinato.

“Le farò sputare sangue!”

Confermò il ragazzo convinto, poi però si voltò verso Lara e perse tutta la sua sicumera. “Che ne pensi? In fondo è con te che se la prende sempre.”

E se Luigi si stava aspettando sproni o riconoscenza, ne rimase deluso, Lara infatti era  decisamente orientata verso un rifiuto della violenza  e cercò di dissuaderlo.

“Lascia perdere, sarà anche antipatica, ma non dà noia a nessuno. A me non importa se  mi tratta male, in fin dei conti sono io che vado a cercarmela. Se ti risulta tanto fastidiosa non prenderla in considerazione e basta.”

“Per  te lo farei”, affermò lanciandole uno sguardo da agnello sacrificale, “ma guarda là.” Aggiunse indicandole Alexandra che l’attendeva nel cortile con un ghigno sarcastico stampato in faccia. “Non posso fare la figura del guappo di cartone per colpa sua.”  Concluse scansando il braccio della ragazza che tentava di trattenerlo e si avviò in direzione della sua avversaria che fumava tranquilla, come se niente fosse.

Uno spettacolo questo che lo lasciò costernato ed indeciso, davvero non se la sentiva di picchiare una donna, ma d’altro canto questa in particolare non gl’ispirava affatto l’abituale senso di protezione maschile, anzi ne incitava l’antagonismo. Inoltre gli dava l’impressione che non vedesse l’ora d’affrontarlo, aveva giusto l’espressione di chi ha una gran voglia di menare le mani, standosene in maniche di camicia mentre si sgranchiva il collo e non mostrava alcun timore.

“Allora jong, ti decidi o vuoi un invito scritto?” L’incitò senza aver bisogno d’alzare la voce  per farsi udire.

“No Lara“, si disse come se stesse ancora parlandole, “devo darle una lezione.”

Si liberò del giubbotto e le si parò davanti, Alexandra scagliò la cicca lontano e lo squadrò  valutativa. Costui era dotato di una corporatura da mediomassimo, ma questo notevole dettaglio non la impensieriva. Lo osservò alzare i pugni e cominciare a saltellare e senza scomporsi iniziò a farsi schioccare le dita della mano destra e poi della sinistra, sorridendo.

Irritato Luigi si spostò di lato compiendo un semicerchio e subito l’imitò facendogli il verso.  Un giro di danza a destra faceva lui, un giro di danza a destra gli replicava questa e quando il ragazzo sparò una leggera sventola Alexandra lo schivò senza modificare più di tanto la sua posizione.

“Ha esperienza!”

Pensò stupito, ma poi un fremito di gioia lo colse, poiché questo avrebbe reso la sua vittoria ancora più gradevole, ché annientare un’inetta sarebbe stato fin troppo facile. Giusta osservazione, ma quel che il ragazzo non poteva sapere era che Alexandra in effetti s’intendeva anche di pugilato, in quanto fin dall’infanzia era stata addestrata alla difesa personale. Il Conte infatti aveva ritenuto che un’arte marziale non solo le sarebbe stata utile in casi estremi, ma pure che sarebbe stata un ottimo strumento per disciplinarla, così la rampolla aveva appreso con profitto e dedizione le tecniche della boxe Tailandese. Inoltre, per non farsi mancare assolutamente nulla, la scherma le aveva fatto acquisire scatto e velocità, mentre l’occhio e la precisione le provenivano dal tiro con l’arco, senza contare la  resistenza infaticabile delle gambe raggiunta con l’equitazione. Insomma Alexandra era una vera e propria macchina da guerra, indubbiamente aveva meno forza del suo avversario, ma compensava in agilità, senza contare che Luigi era uso esclusivamente ai pugni, mentre lei non aveva che l’imbarazzo della scelta… ginocchia, piedi, gomiti, doveva solo scegliere.

Per cui, non appena questi provò un allungo di destro si trovò a colpire l’aria, ché il suo  bersaglio già non c’era più. Frenetico si voltò a cercarla, ma ne poté udire solo la voce. Proveniva da un punto imprecisato alle sue spalle, rapido si volse ma altrettanto rapidamente Alexandra gli si riportò a tergo.

“Dov’è che guardi pivello? Io sono qui.”

Lo chiamò sardonica e Luigi folle di rabbia cominciò a mulinare cazzotti nella sua direzione, ma incredibilmente nessuno andava a segno.  Dove doveva esserci cartilagine e ossa da spaccare trovava il vuoto o un’impenetrabile difesa, quella maledetta badava bene a tenersi coperti viso e fegato, sottraendosi alla portata pesante dei suoi pugni.  

Alexandra dal suo canto avrebbe potuto mettere la parola fine a tutta quella baraonda con molta rapidità, e onestamente non desiderava altro, ma quell’imbecille se l’era voluta, ergo era sua intenzione fargli sorbire l’amaro calice fino in fondo. Inoltre lo stava valutando come atleta, aveva una certa esperienza, glielo consentì e in una rissa da osteria avrebbe fatto furore, ma era rozzo e fin troppo lento per lei.  

E così l’attese continuando a difendersi senza colpo ferire, finché non azzardò un diretto   pieno di tutta la forza della rabbia che aveva in corpo e lì spietatamente lo colse. E Luigi,  sbilanciato e ancora concentrato sul suo colpo, non poté difendersi. Un jab maligno e rapido come una vipera ne aprì la difesa, dopodiché lo stordì con una combinazione veloce   di sinistro, destro, sinistro che lo costrinsero a chiudersi a riccio. Cosa che gli fece commettere l’errore di scoprirsi e il montante di Alexandra lo raggiunse al mento, barcollò stordito da un lato, ma venne subito rimesso in piedi da un gancio alla testa che lo mandò definitivamente in bambola. Eppure ancora tentò di reagire, ma lei non gliene diede opportunità, con due passi si fece indietro e, ruotando sul perno di una gamba, con l’altra gl’inflisse un calcio che gli spazzò le gambe facendolo sbattere pesantemente col la faccia atterra.

Qui s’arrestò attendendo che si rialzasse e lo vide asciugarsi incredulo un rivolo di sangue   che gli colava dal naso, adesso la bilancia pendeva da una sola parte e lo sapevano entrambi, eppure testardo riprese con i suoi saltelli, che ormai risultavano patetici.

Sì, pensò Alexandra nauseata da tutta quella storia che non aveva cercato, né voluto, potevano piantarla, ché questo giochetto non aveva più ragione di andare avanti. Pure volle concluderlo con un gesto spettacolare e prendendo la rincorsa, fino a darsi un leggero slancio, volteggiò su sé stessa, ruotando a mezz’aria nell’esecuzione di un calcio aereo che colpì esattamente dove aveva inteso affondasse. Fu un colpo di tallone e così ben assestato che Luigi sbatté nuovamente al suolo. Stavolta però non si sarebbe rialzato.

Interessata Alexandra andò a controllare i danni che gli aveva provocato e constatò sollevata di aver calibrato il movimento alla perfezione, in modo da  illividirgli il viso senza rompergli naso o i denti.

Levò il capo a fissare gli astanti, nessuno accennò a soccorrere l’amico, né nella totalità c’era qualcuno che avesse il coraggio d’affrontare i suoi occhi carichi di rimprovero.

Siete contenti ora? Avrebbe voluto chiedergli, ma sarebbe stato inutile, poiché lo sarebbero stati se con la testa nella polvere ci fosse stata lei, ovvio. Beh per lo meno adesso avevano tutti le idee più chiare nei suoi riguardi. 

Ora”, affermò richiamando nuovamente l’attenzione dei presenti, “chi altri ha da ridire su di me e sulla mia nazionalità venga pure. Ne parleremo insieme!” 

Nessuna risposta ribatté quella palese provocazione, per cui Alexandra non stette a perdere altro tempo e si allontanò accompagnata dagli sguardi ostili e dai suoi foschi pensieri. Era arrabbiata, non voleva arrivare a tanto, né ci aveva goduto ad infliggergli un castigo così drastico, ma quando il sangue iniziava a ribollirle nelle vene nulla poteva fermarla, neppure la brama di pace che l’aveva condotta a questi lidi.

Una fitta di dolore la colse alla spalla, ecco che la sua vecchia lussazione alla clavicola si faceva risentire e così, presa dalle sue meditazioni, massaggiandosi la parte dolente, se ne andò, dimenticandosi in un angolo la tracolla contenente i suoi libri. 

 

   
 
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