Mancavano
ancora una dozzina di giorni alla riapertura delle scuole e Alexandra
ne approfittò per impegnarsi in molteplici
attività, non ultima quella di
migliorare il suo italiano, il quale, sebbene fosse abbastanza buono,
conservava intonazioni eccessivamente auliche per essere scorrevole
come
avrebbe dovuto. Inoltre il suo accento tedesco risultava piuttosto
marcato, tanto che
Claudia le impose di leggere ad
alta voce libri e giornali mentre via, via la correggeva.
Un’attività che
impegnò loro parecchie serate, risultando un imprevisto
deterrente alla noia,
in quanto l’esercizio si trasformò rapidamente in
un piacevole passatempo,
visto che lo studio veniva inframmezzato da molteplici chiacchierate e
pause
per prendere il caffè.
Raus, raus
fraulen!
Motteggiava
Claudia sfottendola quando si bloccava incerta su di un
congiuntivo ostico e per tutta risposta Alexandra replicava, facendole
il saluto
militare, enfatizzando uno stentoreo: Jawoll!
Naturalmente il
problema linguistico non era la sua unica occupazione,
di regola era già fuori dal letto alle sette per andare a
fare jogging lungo la
costa. Amava il mare, la cui vista per tanto tempo le era stata
preclusa, e
appagata si crogiolava nella frizzante
aria salmastra. In seguito, dopo essersi abbigliata in un modo che in
collegio
non le sarebbe stato mai consentito, sebbene si trattasse di un jeans
sovrastato da una semplicissima t-shirt, girava per la città
allo scopo di
farsi un’idea del centro urbano e familiarizzare con
quell’ambiente così
diverso da quello a cui era abituata. Pranzava frugalmente, evitando
sistematica i locali alla moda a favore di un sandwich da consumare nel
parco,
per poi ammazzare il tempo fino a sera andando a cavalcare o
semplicemente
guardando le vetrine che esponevano i primi capi della stagione
autunnale. Cosa
che le ricordava che quanto prima avrebbe dovuto rinnovare il suo
guardaroba,
poiché finalmente poteva mandare in malora la pletora tutta
del suo abbigliamento
formale.
Quest’andazzo
andò avanti finché
non arrivò
il giorno del suo
debutto scolastico, avvenimento che per la verità non
l’emozionava più di
tanto, infatti come di consueto si
alzò
e andò a
correre, anche se un
po’ prima del solito. Una volta a casa si lavò e vestì
con noncuranza e, dando gli ultimi colpi di spazzola alla
folta chioma,
osservò spassionata la
sua immagine
riflessa meditando sull’impressione che avrebbe dato.
Si
esaminò da capo a piedi scevra da qualsivoglia presunzione,
finché ne
concluse che esteticamente poteva ritenersi immune da imperfezioni e
che, al di
là del piacere o meno, risultava
comunque
un bell’esemplare umano.
Forse,
pensò mettendosi di profilo e osservando perplessa la
silhouette
del naso e della mascella, l’uno era un po’
eccessivo e l’altra decisamente
squadrata, ma essendo la totalità della sua fisionomia
marcata, nell’insieme
non apparivano troppo pronunciati.
“Beh,
togliamoci il pensiero.”
Concluse, a
metà strada tra il serio e il faceto, infilando la porta e
buttandosi
la cartella su di una spalla. La scuola non era troppo lontano dal suo
appartamento, tanto che se ne scorgeva la sommità. Stava
procedendo ad andatura
svagata, presa com’era dall’osservazione della
costruzione imponente che man a
mano si rivelava, ed era quasi arrivata al cancello
d’entrata, quando una
bici in corsa rischiò di travolgerla.
D’istinto scartò di lato, rovinando atterra,
mentre l’incauto ciclista terminava la sua corsa sul solido
muro di cinta.
“Mein gott!“
Imprecò
scuotendo il capo ancora sorpresa dall’accidenti che le era
capitato addosso, quindi si voltò a fronteggiare il suo
investitore, per
rendersi conto sorpresa di non trovarsi innanzi ad un motociclista
spericolato
come aveva immaginato, bensì ad una normalissima bici da
passeggio. Al che le
venne da ridere, poiché, per un’appassionata di
sport estremi quale lei era,
rischiare di finire con l’osso del collo spezzato per via di
una comune
bicicletta, sarebbe stata una bella beffa.
“Che
mi dannino!”
Esclamò
avvicinandosi a rapidi passi verso la figura che giaceva
scomposta sul selciato e, notando i piedi calzati da ballerine,
nonché una gran
massa di capelli scuri, ne dedusse sollevata che
quell’alterco non si sarebbe
concluso con una scazzottata, a meno che l’incauta ciclista
non fosse a caccia
di rogne. Per il momento non sembrava, in quanto era occupata a
raccogliere il contenuto
della sua borsa che s’era sparpagliato
tutt’intorno, ma al suo approssimarsi
sbottò stranita:
“Accidenti,
perché non fai attenzione a dove metti i piedi?”
Stupita da
tanta faccia tosta Alexandra non replicò subito, preferendo
attardarsi ad accendersi una sigaretta mentre osservava incuriosita
quell’estranea che, sebbene fosse palesemente nel torto
marcio, aveva pure l’ardire
di rivolgersi in quel modo a lei. Intanto la sconosciuta, conclusa la
sua cernita,
le piantò addosso uno sguardo dai toni bruni come una tazza
di cioccolato caldo
e continuò a strepitare.
“Si
può sapere che diavolo stavi cercando di fare piantata
giusto in
mezzo al viale?”
Per tutta
risposta, stupendo persino sé stessa la benevolenza del
gesto,
Alexandra le tese la mano tirandola su senza alcuno sforzo, tanto
questa era
leggera, quindi lievemente ironica si diede la pena di risponderle.
“Aspettavo
che una nana su una bici tre volte più grande di lei mi
tirasse sotto!”
Fece
squadrandola da sotto in su, giacché, adesso che si
fronteggiavano,
la differenza era notevole. In effetti al suo cospetto appariva
ulteriormente
minuta, oltre al fatto che i suoi colori chiari stridevano con la
carnagione
zingaresca che aveva davanti.
Inoltre,
pensò Alexandra viepiù interessata da
quest’aspetto inconsueto,
non che fosse brutta,
ma neppure la
quint’essenza dell’avvenenza. Di certo non si
sarebbe fatta notare in mezzo
alla gente, pure se ne stava lì a fissarla senza riuscire a
risolversi ad andarsene.
Né questa pareva ne avesse intenzione, la stava sottoponendo
al medesimo
scrutinio infatti, quantunque di sottecchi, mentre si spazzolava la
giacca
sbaffata di polvere di gesso.
Per la
verità, essendosi presa una bella paura, Lara aveva reagito
involontariamente
all’imprevisto, ma ora che aveva realizzato la dinamica
dell’accaduto, per
riflesso titubava alquanto e non sapeva come superare
l’impasse. Le spiaceva
proprio averla assalita a quel modo e spontaneamente le fece un sorriso
imbarazzato, fidando sull’istintiva simpatia che solitamente
suscitava.
Neppure
Alexandra parve risultarne immune, ciò nonostante ritenne
fosse
il caso di mettere i puntini sulle i.
“Senti,
ero di spalle e non potevo certo vederti, ma tu
sì.”
Puntualizzò
accennando ironicamente alla bici che dopo l’impatto
risultava sbilenca, in effetti aveva la forcella completamente storta,
e sulla
stessa falsariga continuò: “Chi ti ha messo in
mano quest’arnese avrebbe dovuto
metterci un paio di freni in più, oltre che delle rotelle.
Comunque, ti sei
fatta male?” Si degnò di chiederle infine e,
ricevutone un segno d’assenso,
fece per incamminarsi ma Lara la trattenne.
“Mi
spiace, scusami.“ Rispose conciliante. “Posso
offrirti un caffè per
farmi perdonare? Stanno per arrivare i miei amici, si potrebbe andare
tutti
insieme.”
Propose
invitante senza poter immaginare che, se solo avesse evitato
d’includere altre persone, Alexandra avrebbe accettato
volentieri. Invece non
appena intese che le sarebbe toccato d’interagire con quello
che considerava un
eccesso d’individui, piuttosto che la confidenziale
conversazione a due che
avrebbe preferito, si ritrasse in tutta fretta.
“Magari
la prossima volta.”
Replico
lasciandole volutamente aperto uno spiraglio, poiché, e dio
solo
sapeva perché, quella cozza nera aveva qualcosa che
l’impediva di chiuderle
tutte le porte. Ridacchiò, a dispetto di sé
stessa e di tutti i propositi che
s’era fatta in precedenza, e facendole un segno di saluto si
avviò verso
l’ufficio scolastico per appurare in quale classe fosse
finita.
Lara
restò a fissarla assorta, ma non ebbe l’agio di
formulare alcun
pensiero poiché in pochi istanti fu raggiunta da due dei
suoi più cari amici, i
quali da lontano avevano potuto
assistere a tutto quanto era accaduto. La prima ne rideva,
mentre l’altro
appariva piuttosto preoccupato.
“Ma
che è successo?“
Le chiese
ansioso fissando in malo modo la figura che s’allontanava
adagio,
ché lo sviluppato istinto di protezione che sentiva nei
riguardi di Lara,
nonché la vista della bicicletta deformata, non lo
disponevano favorevolmente
nei riguardi di quella, che a tutta
prima pareva proprio avesse aggredito la ragazza di cui era innamorato.
“Nulla
Luigi, è stato uno scontro inevitabile.”
Replicò
quest’ultima misteriosa, sorridendo tra sé e
sé. Cosa che
aumentò notevolmente la latente antipatia che già
cominciava a nutrire. Si
trattava di un sentimento a pelle, d’una
avversione istintiva, viscerale, attecchita al vago ed inspiegabile
timore che
potesse sottrargli qualcosa. Poiché, quando Lara cominciava
a comportarsi in un
certo modo, significava che si stava intrigando e non gli piaceva
affatto.
“Chi
è?”
Si
limitò a chiedere l’altra, la
quale, pur avendo rovistato nel vasto archivio delle sue conoscenze,
non aveva
trovato tracce della persona in questione. E va sottolineato che Steffi
faceva
il paio con l’anagrafe per la quantità di gente
che conosceva, fosse pure solo
di vista.
Per tutta
risposta Lara scosse il capo, per poi farsi una bella risata,
strizzarle l’occhio e aggiungere: “Non ne ho idea,
ma intendo scoprirlo!”
Dopodiché
i tre si avviarono verso la loro classe, ognuno animato da
sentimenti contrastanti: Steffi era alquanto riottosa alla prospettiva
di un
altro barboso anno scolastico, Luigi invece s’era immusonito
davanti all’ennesima
amichevole infatuazione di Lara, mentre quest’ultima non
vedeva l’ora di andare
incontro a quanto la vita le riservava, poco importava di cosa si
trattasse
nello specifico.
Nel frattempo
Alexandra, che aveva appurato di non essere nella stessa
classe di Claudia, e si era diretta verso la sua con
l’intenzione di dare
un’occhiata in giro, favorita dal fatto che aule e corridoi
apparivano ancora
semideserti. Le classi si dimostrarono esattamente come se
l’era aspettate, un
po’ retrò, dalle finestre alte, i banchi
sgangherati e le mura zeppe di scritte
e graffiti lasciati
là a beneficio dei
posteri. Ad ogni modo non si perse in preamboli e andò ad
accomodarsi
all’estremità della stanza nell’ultima
fila, giacché le passate esperienze le
avevano insegnato che inevitabilmente ci sarebbe finita.
Non
passò tempo che cominciarono ad arrivare alla spicciolata
altri
studenti, i quali non poterono evitare di lanciarle più
d’uno sguardo
inquisitore. Non gli diede nessun peso e continuò ad
attendere che gli eventi
procedessero, persino quando si vide entrare Lara in classe e si
scambiarono un
cenno di reciproco riconoscimento, anche allora continuò a
restarsene
impassibile. Quantunque la sua fosse tranquillità e non
freddezza come poteva
sembrare suggerire
il suo contegno.
Al suono della
prima campanella arrivò un professore, forse quello di
matematica stimò, valutandone l’atteggiamento
sussiegoso, e non sbagliava
perché iniziò immediatamente
l’ouverture
del più tedioso discorso d’inizio d’anno
che le fosse mai capitato d’ascoltare.
Lungamente illustrò come, quanto e cosa li avrebbe attesi
nei mesi a seguire, come
pure quel che si aspettava in merito all’impegno e al
rendimento di ciascun
elemento lì presente. Fu solo dopo un paio d’ore,
con grande gioia di tutte quelle
menti votate allo studio, che finalmente
si decise a farla finita e dar luogo all’appello e, quando arrivò
al cognome van der
Post, Alexandra si tenne pronta per quel
che ne sarebbe seguito.
“Sono
io.”
Si
presentò con semplicità, senza imbarazzi,
alzandosi e incarnando, inconsapevolmente, tutto l’opposto
di quel che avrebbe
desiderato. Avrebbe voluto apparire neutrale e invece, ergendosi in
tutta la
sua altezza, evitando di far smorfie e restandosene immobile,
risultò arrogante
e piena di sé come un uovo.
“Straniera?”
Chiese il
professore con uno sguardo, di evidente disapprovazione, al
di sopra degli
spessi occhiali.
Alexandra annuì e probabilmente commise un altro errore, in
quanto questo
impermalì ancora di più l’uomo, cui
quella sicumera gli suggeriva tutti
gli elementi del
classico piantagrane.
“Voce
van der Post. E’ belga?”
Insisté
severamente e questo mandò definitivamente a puttane la
buona
disposizione d’animo della nostra ché,
d’accordo che se n’era venuta fin lì per
cambiare vita e tentare di temperare gli eccessi del suo comportamento,
ma
Alexandra era pur sempre un’abbiente dai mezzi illimitati,
nobile di nascita,
nonché tedesca, il che voleva dire che si riteneva una
persona superiore e, di
conseguenza, nei suoi riguardi nessuno poteva usare un simile tono,
fosse stato
anche domine dei!
“Tedesca.”
Assentì con un tono penetrante e continuò
seccata: “E’ la
prima volta che vengo in questo paese e ignoravo che per presentarsi
fosse
necessario urlare.”
“Se
vuole può farsi un giro in presidenza tanto per cominciare,
così
magari si presenta anche col direttore, che ne dice?”
Davanti alla
nient’affatto velata minaccia Alexandra stava per
rispondergli di sì e che magari ci portasse pure sua sorella
già che c’erano,
poi però ripensò ai moniti di Claudia ed
esitò. Dopodiché le sovvennero le
restanti conseguenze alle quali sarebbe andata incontro imboccando
questa china
e capì di dover darsi una calmata, il Conte non sarebbe
stato altrettanto
tenero se anche stavolta avesse mancato.
“No.”
Ammise
educatamente
ma molto, molto a malincuore. Soprattutto quando si vide liquidare con
un gesto
infastidito, come se fosse poca cosa, un di più, per
quell’insegnate che ne
aveva fin sopra i capelli di studenti di bassa lega. E allora, presa
com’era
nella sua mortificazione, gliela giurò. A lui e a tutti
quelli che avevano
presenziato alla sua umiliazione, perciò, quando
all’intervallo in molti le si accostarono
per fare la sua conoscenza, gelò chiunque con modi e frasi
sferzanti. E fu così
efficace che persino i più arditi si scoraggiarono e
nessuno, in capo ai
successivi dieci minuti, ovverosia il tempo sufficiente per far
comprendere l’antifona,
ritentò un approccio.
Tutti tranne
Lara
ovviamente, l’unica alla quale lo scambio di battute tra
alunna e professore era
sembrato strano e che aveva iniziato a nutrire dei seri dubbi in
proposito a
quanto Alexandra sembrava essere. Giacché la boria che aveva
mostrata era
inspiegabile, specialmente tenendo conto del comportamento avuto con
lei appena
qualche ora prima. E allora dove stava la realtà? Per
scoprirlo non ci voleva
molto, si disse, e diede il via all’approccio.
“Ehi Kaiser, ti ricordi di me?
Ci siamo incontrate stamattina.”
Esordì
con fare brillante, urtando vieppiù i nervi già
tesi della sua
interlocutrice la quale, in differente ed analoga situazione, sarebbe
potuta
essere cordiale, peccato che sul momento avesse solo bisogno di un
bersaglio su
cui sfogare tutto il suo malumore.
“Che
vuoi?” La rimbalzò in malo modo.
“Non
ti sarai mica fatta male prima?” Provò nuovamente
cominciando a
preoccuparsi, dopotutto
l’astio che le
stava riservando poteva derivare da quello.
“Se
pensi che un tappo come te mi possa fare del male, ti sbagli di
grosso microbo!”
“Ma
chi ti credi di essere?” Proruppe Lara di rimando,
innervosita da quel
tono, ancorché non del tutto e ancora interessata ad averci
una qualche forma
di dialogo.
“Semplicemente
qualcuno totalmente diverso da voi.”
Replicò
lapidaria e fu tutto, benché l’inflessione usata,
più che
superba, a Lara parve rassegnata, come quella di chi soggiace ad un
dato di
fatto anche non volendo. Stava per farle una domanda in proposito,
testardamente
e recidiva, visto che era chiaro che Alexandra non aveva alcuna
intenzione di
darle spago, considerando l’argomento definitivamente chiuso,
tant’è le voltò
le spalle e se ne andò in bagno a fumarsi una
sigaretta di straforo.
Claudia la
raggiunse dopo poco e notò
da subito l’aria adombrata dell’amica, ma
continuò a fumare come se niente
fosse. Solo una smorfia sotto i baffi tradiva la sua
consapevolezza e, qualunque cosa fosse accaduta,
ne era soddisfatta. Già, se Alekòs era
a
tal punto alterata, voleva dire che qualcosa o qualcuno
era riuscito a scalfire la sua
barriera e questo non poteva che essere un bene. Ma non ne
parlarono,
non era ancora il momento, anche se Claudia si augurò per
l’ennesima volta che arrivasse
presto.
Pia speranza e
da quel giorno, e per gli altri che lo seguirono, fino a
formare la prima settimana di lezioni, nessun altro si
arrischiò ad attaccarle bottone.
Naturalmente questo non impedì che la curiosità
nei suoi riguardi
aumentasse, né che le notizie sul
suo conto circolassero. Così,
tra una
lezione di storia e
una di greco, si
seppe che la van der Post abitava in un avito
palazzo del centro storico
e pure che aveva dei domestici che la servivano e riverivano.
Informazione
questa fornita dalla zia di un loro compagno di classe, che era appunto
la portiera
della gentilizia dimora. Pure, confermò la stessa perplessa, nonostante ciò
la ragazza era d’un educazione
squisita e pareva adottare un profilo molto basso quanto a stile di
vita.
Insomma aveva tutti i marchi della grandeur, ma in sostanza, anche se
avrebbe
potuto permetterselo, assicurava la donna, non era una di quelle che andava in carrozza e
godeva a farcisi vedere.
Queste e tante
altre erano le voci incontrollate che si diffondevano,
a pezzi e bocconi,
su quella, ma chissà
perché, quando sovente
se ne parlava, tutti millantavano indifferenza, tuttavia tiravano fuori
un
udito straordinario. D’altro canto Alexandra non se lo diede
per inteso,
continuò a starsene per i fatti suoi, senza dar
soddisfazione a nessuno, finché
un Sabato questa stasi bruscamente s’interruppe.
Quel mattino
era stata più taciturna del solito e, davanti ad un
rinnovato
e insistito invito da parte di Lara, se ne uscì con una
frase sulfurea,
talmente incendiaria che Luigi ci vide
l’occasione
appropriata sia per difendere la
sua protetta, che per darle una lezione. Davvero non la reggeva
più
quell’insopportabile straniera e adirato continuava a
chiedersi perché
Dunque
abilmente ne approfittò per offenderla e provocarla, le si
piantò
davanti in tutta la sua stazza e le diede della zotica, razzista e
naziskin.
Allo stesso modo, aggiunse come ciliegina sulla torta, di tutti i suoi
grossolani compatrioti. Quindi estremamente pago, sentendosi un eroe ad
aver
compiuto il suo dovere mettendo a posto colei che instancabile aveva
offeso con
la sua arrogante condotta lui e tutti i suoi amici, ne attese la
reazione. Tanto
che poteva fare? Nulla, al massimo rispondergli per le rime.
Alexandra non
si diede la pena, l’ignorò del tutto rovinandogli
completamente il momento di gloria, per cui si vide costretto ad
incalzarla
alzando notevolmente il tiro.
“Non
rispondi figlia del Führer? O
l’aver capito che avete
perso la guerra ti ha finalmente fatto mettere la lingua in
culo?”
Neppure questo
le fece battere ciglio, finì di ficcare i libri in borsa
e continuò ad ignorarlo, poi il trillo della campanella
annunciò il termine
delle lezioni e finalmente si concesse di prestargli attenzione.
Allegra,
incredibilmente briosa dato il contesto, indicò col pollice
l’esterno e
aggiunse:
“La sistemiamo fuori questa
faccenda
jong? Così potrai
mostrarmi come hai
fatto a vincere la guerra!”
“Non alzo le mani
sulle donne, io!”
Replicò fiero,
generando l’ennesimo plauso collettivo
di quanti stavano seguendo la lite dandosi il gomito. Alexandra non ci
badò e
si limitò a rispondergli disincantata.
“Oh,
non temere jong, non sei
capace neppure di fare la differenza. Io m’avvio, non mancare
mi raccomando, se
non venissi mi si spezzerebbe il cuore!”
Lo derise
pacata, ché ce ne sarebbe stato di tempo dopo per umiliarlo come si
meritava. Dopodiché non
stette ad attenderne replica, raccolse le sue cose e si
avviò a passo sicuro
verso l’uscita. C’era qualcosa nella sua andatura
che infastidì enormemente Luigi,
sembrava infatti che persino le movenze fossero studiate in modo da
sottolineare la sua superiorità rispetto al resto del
creato.
La faccenda
poteva anche spegnersi lì, con un niente di fatto, ma i
presenti si riversarono fuori dall’aula per vedere se i due
avrebbero fatto sul
serio e Luigi, Lara e Steffi non poterono che seguirli.
Quest’ultima poi spronava
l’amico a dargliele di santa ragione, mentre
l’altra li ascoltava preoccupata.
Era ingiusto che si fosse arrivati a questo, soprattutto
perché, per un inutile
diverbio, Alexandra stava per finire con l’orgoglio
calpestato davanti a quelli
che potenzialmente potevano diventare suoi amici. Inoltre Luigi era
grande e grosso,
per soprammercato anche pugile, il che voleva dire che per Alexandra
non c’era
assolutamente speranza, persino se lui si fosse comportato da
gentiluomo.
Probabilmente, pensò contrariata dalla quella testardaggine
manifesta, solo un
impulso vanaglorioso e folle l’aveva
spinta a sfidarlo impune.
“Rompile
il culo, così impara a dire stronzate a
sproposito!” Lo stava
incitando nel frattempo
Steffi tutta
infervorata all’idea di vedere quella sbruffona col suo
brutto muso irrimediabilmente
rovinato.
“Le
farò sputare sangue!”
Confermò
il ragazzo convinto, poi però si voltò verso Lara
e perse tutta
la sua sicumera. “Che ne pensi? In fondo è con te
che se la prende sempre.”
E se Luigi si
stava aspettando sproni o riconoscenza, ne rimase deluso,
Lara infatti era decisamente
orientata
verso un rifiuto della violenza e
cercò
di dissuaderlo.
“Lascia
perdere, sarà anche antipatica, ma non dà noia a
nessuno. A me
non importa se mi
tratta male, in fin dei
conti sono io che vado a cercarmela. Se ti risulta tanto fastidiosa non
prenderla in considerazione e basta.”
“Per te lo farei”,
affermò
lanciandole uno sguardo da agnello sacrificale, “ma guarda
là.” Aggiunse
indicandole Alexandra che l’attendeva nel cortile con un
ghigno sarcastico stampato
in faccia. “Non posso fare la figura del guappo di cartone
per colpa sua.” Concluse
scansando il braccio della ragazza
che tentava di trattenerlo e si avviò in direzione della sua
avversaria che
fumava tranquilla, come se niente fosse.
Uno spettacolo
questo che lo lasciò costernato ed indeciso, davvero non
se la sentiva di picchiare una donna, ma d’altro canto questa
in particolare non
gl’ispirava affatto l’abituale senso di protezione
maschile, anzi ne incitava l’antagonismo.
Inoltre gli dava l’impressione che non vedesse
l’ora d’affrontarlo, aveva
giusto l’espressione di chi ha una gran voglia di menare le
mani, standosene in
maniche di camicia mentre si sgranchiva il collo e non mostrava alcun
timore.
“Allora
jong, ti decidi o vuoi
un invito scritto?” L’incitò senza aver
bisogno d’alzare la voce
per farsi udire.
“No
Lara“, si disse come se stesse ancora parlandole,
“devo darle una
lezione.”
Si
liberò del giubbotto e le si parò davanti,
Alexandra scagliò la cicca
lontano e lo squadrò valutativa.
Costui
era dotato di una corporatura da mediomassimo, ma questo notevole
dettaglio non
la impensieriva. Lo osservò alzare i pugni e cominciare a
saltellare e senza scomporsi
iniziò a farsi schioccare le dita della mano destra e poi
della sinistra, sorridendo.
Irritato Luigi
si spostò di lato compiendo un semicerchio e subito
l’imitò
facendogli il verso. Un
giro di danza a
destra faceva lui, un giro di danza a destra gli replicava questa e
quando il
ragazzo sparò una leggera sventola Alexandra lo
schivò senza modificare più di
tanto la sua posizione.
“Ha
esperienza!”
Pensò stupito, ma poi
un
fremito di gioia lo colse, poiché questo avrebbe reso la sua
vittoria ancora
più gradevole, ché annientare un’inetta
sarebbe stato fin troppo facile. Giusta
osservazione, ma quel che il ragazzo non poteva sapere era che
Alexandra in
effetti s’intendeva anche
di pugilato,
in quanto fin dall’infanzia era stata addestrata alla difesa
personale. Il Conte
infatti aveva ritenuto che un’arte marziale non solo le
sarebbe stata utile in
casi estremi, ma pure che sarebbe stata un ottimo strumento per
disciplinarla,
così la rampolla aveva appreso con profitto e dedizione le
tecniche della boxe
Tailandese. Inoltre, per non farsi mancare
assolutamente nulla, la scherma le aveva fatto acquisire scatto e
velocità,
mentre l’occhio e la precisione le provenivano dal tiro con
l’arco, senza
contare la resistenza
infaticabile delle gambe raggiunta con l’equitazione. Insomma
Alexandra era una
vera e propria macchina da guerra, indubbiamente aveva meno forza del
suo
avversario, ma compensava in agilità, senza contare che
Luigi era uso
esclusivamente ai pugni, mentre lei non aveva che l’imbarazzo
della scelta…
ginocchia, piedi, gomiti, doveva solo scegliere.
Per cui, non appena questi
provò
un allungo di destro si trovò a colpire l’aria,
ché il suo bersaglio
già non c’era più. Frenetico si
voltò a cercarla, ma ne poté udire solo la voce.
Proveniva da un punto
imprecisato alle sue spalle, rapido si volse ma altrettanto rapidamente
Alexandra gli si riportò a tergo.
“Dov’è
che guardi pivello?
Io sono qui.”
Lo
chiamò sardonica e
Luigi folle di rabbia cominciò a mulinare cazzotti nella sua
direzione, ma
incredibilmente nessuno andava a segno.
Dove doveva esserci
cartilagine e ossa da spaccare trovava il vuoto o
un’impenetrabile
difesa, quella maledetta badava bene a tenersi coperti viso e fegato,
sottraendosi alla portata pesante dei suoi pugni.
Alexandra dal
suo canto avrebbe potuto mettere la parola fine a tutta
quella baraonda con molta rapidità, e onestamente non
desiderava altro, ma
quell’imbecille se l’era voluta, ergo era sua
intenzione fargli sorbire l’amaro
calice fino in fondo. Inoltre lo stava valutando come atleta, aveva una
certa
esperienza, glielo consentì e in una rissa da osteria
avrebbe fatto furore, ma era
rozzo e fin troppo lento per lei.
E
così l’attese continuando a difendersi senza colpo
ferire, finché non
azzardò un diretto pieno di tutta la forza
della rabbia che aveva
in corpo e lì spietatamente lo colse. E Luigi,
sbilanciato e ancora concentrato sul suo colpo, non
poté difendersi. Un jab
maligno e rapido come una vipera ne aprì la difesa,
dopodiché lo stordì con una
combinazione veloce di sinistro, destro,
sinistro che lo
costrinsero a chiudersi a riccio. Cosa che gli fece commettere
l’errore di scoprirsi
e il montante di Alexandra lo raggiunse al mento, barcollò
stordito da un lato,
ma venne subito rimesso in piedi da un gancio alla testa che lo
mandò definitivamente
in bambola. Eppure ancora tentò di reagire, ma lei non
gliene diede
opportunità, con due passi si fece indietro e, ruotando sul
perno di una gamba,
con l’altra gl’inflisse un calcio che gli
spazzò le gambe facendolo sbattere
pesantemente col la faccia atterra.
Qui
s’arrestò attendendo che si rialzasse e lo vide
asciugarsi incredulo
un rivolo di sangue che
gli colava dal naso,
adesso la bilancia pendeva da una sola parte e lo sapevano entrambi,
eppure
testardo riprese con i suoi saltelli, che ormai risultavano patetici.
Sì,
pensò Alexandra nauseata da tutta quella storia che non
aveva
cercato, né voluto, potevano piantarla, ché
questo giochetto non aveva più
ragione di andare avanti. Pure volle concluderlo con un gesto
spettacolare e
prendendo la rincorsa, fino a darsi un leggero slancio,
volteggiò su sé stessa,
ruotando a mezz’aria nell’esecuzione di un calcio
aereo che colpì esattamente
dove aveva inteso affondasse. Fu un colpo di tallone e così
ben assestato che
Luigi sbatté nuovamente al suolo. Stavolta però
non si sarebbe rialzato.
Interessata
Alexandra andò a controllare i danni che gli aveva provocato
e constatò sollevata di aver calibrato il movimento alla
perfezione, in modo
da illividirgli il
viso senza rompergli naso
o i denti.
Levò
il capo a fissare gli astanti, nessuno accennò a soccorrere
l’amico, né nella totalità
c’era qualcuno che avesse il coraggio d’affrontare
i
suoi occhi carichi di rimprovero.
Siete contenti
ora? Avrebbe voluto chiedergli, ma sarebbe stato inutile,
poiché lo sarebbero stati se con la testa nella polvere ci
fosse stata lei,
ovvio. Beh per lo meno adesso avevano tutti le idee più
chiare nei suoi
riguardi.
“Ora”,
affermò richiamando nuovamente l’attenzione dei
presenti,
“chi altri ha da ridire su di me e sulla mia
nazionalità venga pure. Ne
parleremo insieme!”
Nessuna
risposta ribatté quella palese provocazione, per cui
Alexandra
non stette a perdere altro tempo e si allontanò accompagnata
dagli sguardi
ostili e dai suoi foschi pensieri. Era arrabbiata, non voleva arrivare
a tanto,
né ci aveva goduto ad infliggergli un castigo
così drastico, ma quando il
sangue iniziava a ribollirle nelle vene nulla poteva fermarla, neppure
la brama
di pace che l’aveva condotta a questi lidi.
Una fitta di
dolore la colse alla spalla, ecco che la sua vecchia
lussazione alla clavicola si faceva risentire e così, presa
dalle sue
meditazioni, massaggiandosi la parte dolente, se ne andò,
dimenticandosi in un
angolo la tracolla contenente i suoi libri.