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Autore: Smaugslayer    01/02/2015    1 recensioni
[seguito di Quidditch con delitto, http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2540840&i=1]
I (doppi)giochi sono aperti, e questa volta condurranno Sherlock Holmes e John Watson dal 221B di Baker Street al numero 12 di Grimmauld Place, Londra.
Se a Hogwarts i due eroi erano al centro delle vicende, ora saranno trasportati dalla storia del Ragazzo Sopravvissuto fino al cuore della Seconda Guerra Magica. E per tenere fede alle proprie convinzioni dovranno tradirle...
Genere: Avventura, Fantasy, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: John Watson, Mary Morstan, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Naturalmente, Sherlock aveva subito ideato un piano, che prevedeva l’utilizzo della sua preziosa Giratempo.
 
Sherlock e John avrebbero voluto partire quella sera stessa, ma Clarisse li aveva convinti con preghiere e isteriche minacce a non agire precipitosamente, perché non avrebbe tollerato la perdita di due amici oltre a quella del marito.
 
All’inizio, com’era logico, Clarisse aveva chiesto di prendere parte alla missione; Sherlock e John avevano immediatamente rifiutato: “Non se ne parla” aveva detto il primo. “A John serve la tua bacchetta. Non ti sei accorta che non ce l’ha?”
 
“Allora andrò io al posto suo!” aveva protestato lei. “Voglio essere d’aiuto, è mio marito!”
 
“Sarai d’aiuto se resterai al sicuro” aveva ribattuto John con fermezza.
 
“Io e John lavoriamo meglio in coppia” lo aveva sostenuto Sherlock.
 
“Oh, ne sono sicura” aveva replicato lei, che neanche in quella situazione aveva perduto il pungente senso dell’umorismo. Alla fine aveva ceduto, rifiutandosi però di preparare bevande calde e sfornare biscotti nell’attesa.
 
Circa un’ora prima della partenza prefissata, John bussò alla stanza di Sherlock.
 
“Aperto.”
 
Entrò con nervosismo, come quando era andato da lui a dirgli di volerlo abbandonare.
 
Sherlock si stava abbottonando la camicia, e lui aveva una gran voglia di sfilargliela.
 
Non si era ancora del tutto abituato all’idea che erano una coppia e potevano comportarsi con naturalezza, senza nascondersi o reprimere i propri sentimenti. Nelle ultime settimane non avevano mai trovato un momento di privacy, e questo decisamente non aveva aiutato a stabilizzare la situazione. Lui, però, ci aveva riflettuto. Ci aveva riflettuto parecchio. In tutti quegli anni aveva accumulato moltissime cose da dire a Sherlock, e non sapeva nemmeno da dove iniziare. Non era nemmeno sicuro di voler iniziare: lui, John Hamish Watson, Grifondoro, era un vero codardo quando si trattava di esplicitare i propri pensieri.
 
“Stavo pensando…” esordì, senza nemmeno sapere come continuare.
 
“Vuoi andartene da questa casa non appena torniamo da Azkaban perché temi per la vita dei tuoi amici finché siamo qui.”
 
Aveva imparato anni prima a non lasciarsi sorprendere troppo da lui, ma la sua arguzia continuava ad affascinarlo come la prima volta. “Be’, sì. Anche.”
 
“Concordo. Vorrei provare a tornare a Baker Street. La signora Hudson fa parte dell’Ordine e non ci negherà l’ospitalità, se prendiamo le dovute precauzioni. Possiamo usare un Incanto Fidelius e nominarla Custode Segreto, o qualcosa del genere.”
 
“Sì, sembra una buona idea… in ogni caso non ero venuto a dirti questo.”
 
“Ah no?”
 
“Volevo solo… ringraziarti… per esserti offerto di salvare Abernathy –intendo, è piuttosto… eroico, da parte tua, considerato che è più amico mio che tuo.”
Sherlock sembrò infastidito. Scosse il capo come per scacciare una mosca molesta e sbuffò con insofferenza; “Ti prego, John, non rendermi il tuo eroe. Gli eroi non esistono, e se esistessero non sarei uno di loro.”
 
John roteò gli occhi. “E perché lo fai, allora?” chiese, seccato da quella risposta sgarbata.
 
“Mi annoio” rispose lui, voltandosi e dandogli la schiena.
 
“Oh, bene. Bene, sono contento che tu abbia trovato un passatempo, allora” concluse John. Dopo un attimo di esitazione, uscì dalla stanza. Sapeva che quella non era la verità: a Sherlock importava davvero della gente, ed era questo a renderlo diverso da un sociopatico. Era però convinto che la chiave del successo fosse agire con lucidità e freddezza, e sperare di salvare qualcuno contava pur sempre come emozione. Ergo, meglio fingere di non provare nulla. Meglio fingere di annoiarsi.
 
Quando si rividero, nel salotto di Clarisse, Sherlock aveva un’aria particolarmente abbacchiata e continuava a lanciare occhiatine a John, che dal canto suo si rifiutava di guardarlo.
 
“Oh, no” sbottò Clarisse, spostando lo sguardo dall’uno all’altro. “Non avrete mica litigato.”
 
“No” si affrettò a rispondere John, fulminando Sherlock con un’occhiataccia. “È solo nervosismo.”
 
“Bene, perché sappiate, signori miei, che non ho intenzione di vedervi fallire solo perché non comunicate a sufficienza.”
 
“Non accadrà” replicò John con solennità.
 
“Bene. Buona fortuna, allora” disse Clarisse, sforzandosi di sorridere. “Conto su di voi, quindi non combinate casini.”
 
“Andrà bene” disse Sherlock con il suo solito tono borioso e annoiato. “Saremo di ritorno tra meno di due ore, vedrai.”
 
“Ha ragione” convenne John. “Il suo piano è infallibile.” Per la prima volta osò guardare verso l’amico, che ricambiò lo sguardo con espressione da cucciolo ferito. “Andiamo?”
 
“Andiamo.”
 
Dato che Azkaban si trovava nel bel mezzo del mare del Nord, Sherlock e John avevano deciso di dividere il viaggio in tre tappe per non affaticarsi troppo con la Smaterializzazione. Mentre ne discutevano, John aveva scoperto che l’altro si era recato più di una volta nella prigione dei maghi durante i due anni di assenza in cui aveva indagato sui vecchi Mangiamorte; per questo motivo non solo Sherlock sapeva come arrivarvi, ma anche come entrare.
 
Prima di compiere l’ultimo tratto del tragitto, quello che li avrebbe definitivamente condotti sull’isola, Sherlock costrinse John a fermarsi. “Tieni pronta la bacchetta” ordinò. “Se il mio progetto va a buon fine non dovrebbe essercene bisogno, ma non si sa mai.”
 
“Sherlock…” John sospirò. “Quello che abbiamo detto a Clarisse era vero, il tuo piano è infallibile.” Sherlock non aveva ancora smesso di fingere di avere sempre la situazione sotto controllo, ma da quando stavano insieme gli sembrava di riuscire a leggere meglio cosa provava, e in quel momento era senza dubbio preoccupato a morte. John gli sfiorò uno zigomo con la punta delle dita, e Sherlock si chinò a baciarlo proprio come aveva fatto prima di leggere la lettera di Mary.
 
“Lo so. L’ho ideato io.”
 
Sherlock gli porse la mano e John intrecciò le dita fra le sue. Si Smaterializzarono per l’ultima volta, e pochi secondi dopo riapparvero su un sentiero roccioso; John scivolò su uno spuntone di roccia, perse l’equilibrio e rovinò a terra, strappandosi i pantaloni e sbucciandosi un ginocchio.
 
“John!” esclamò Sherlock, aiutandolo subito a rialzarsi.
 
“Sto bene.”
 
Il vento gelido della notte si infiltrava nelle trame dei loro abiti, ghiacciandoli fino al midollo delle ossa e facendoli rabbrividire. Ma quel gelo siderale, che faceva venire voglia di rannicchiarsi a terra e non rialzarsi più, non era provocato solo dall’assenza di fonti di calore: era effetto della presenza dei Dissennatori, di cui quel luogo era letteralmente infestato.
 
Si trovavano a pochi passi da una scogliera che cadeva a strapiombo sul mare ed era sferzata da onde impetuose che avrebbero scoraggiato qualunque tentativo di fuga; di fronte a loro si ergeva Azkaban: un’imponente fortezza triangolare, delimitata da liscissime pareti di pietra grigia. Non c’erano finestre sull’esterno, e non c’era nemmeno una porta: il sentiero su cui si trovavano terminava direttamente contro il muro.
 
“Da… da che parte si entra?”
 
“Di qua. Seguimi.”
 
Sherlock gli prese di nuovo la mano e corse verso la parete senza lasciargli tempo di reagire. Prima dell’impatto John levò un braccio per proteggersi e strizzò d’istinto gli occhi, ma l’impatto non avvenne. Il trucco in realtà era banale, lo stesso usato per il binario 9¾: bastava lanciarsi contro il muro per attraversarlo. Quando John riaprì gli occhi si accorse di essere all’interno di una galleria scavata nella roccia, vagamente illuminata da fiaccole che ardevano fioche. All’inizio del tunnel il pavimento era liscio e sdrucciolevole, ma dopo pochi metri la pietra levigata lasciava spazio a ghiaia e rocce come all’esterno; goccioline di umidità colavano lungo le pareti, miste a una sostanza biancastra e ripugnante che si raccoglieva in piccole pozze sui lati.
 
“Con un po’ di fortuna avranno messo il tuo amico in una cella del livello esterno. Non dovremmo avere difficoltà a trovarlo, se è dove credo io. Andiamo, per ora la strada è una sola.”
 
Benché non ci fossero Dissennatori negli immediati paraggi, era davvero difficile non lasciarsi invadere dalla disperazione. John si concentrò sulla mano che stringeva quella di Sherlock, rammentando a se stesso di non essere solo e anzi, di essere in compagnia dell’unica persona di cui si fidasse ciecamente. Ma improvvisamente non era più sicuro della validità del loro piano… sperimentare di persona il potere dei Dissennatori era completamente diverso dal parlarne a livello teorico.
 
Quando riemersero dal tunnel, John rimase completamente spaesato: da fuori la prigione gli era sembrata alta, ma non particolarmente estesa; da dentro, invece, dava l’impressione di essere gigantesca. Si trovavano in fondo a un’immensa conca simile a un imbuto di roccia, da partivano diversi sentieri che si snodavano su quattro versanti; su ogni tornante si affacciavano tre o quattro celle e si apriva una galleria da cui proveniva una fioca luce rossastra e pulsante.
 
“Più grande all’interno” spiegò Sherlock anticipando la sua domanda. “Queste celle, come vedi, sono all’aperto. Qui di solito vengono tenuti in criminali comuni, e probabilmente anche il tuo amico, mentre ce ne sono altre all’interno della roccia in cui è davvero sconsigliabile farsi rinchiudere.”
 
“Da che parte andiamo adesso?”
 
“Uno a caso finché non lo troviamo, direi.”
 
Iniziarono ad inerpicarsi su uno dei tanti sentieri scoscesi, che sembrava non finire mai.
 
Abernathy!” bisbigliava John più forte che poteva.
 
Abernathy!”
 
Inizialmente non ottennero risposta. Continuavano a salire e cambiare sentiero, ma incontravano solo celle vuote.
 
Ad un tratto udirono un flebile sussurro: “Sono qui!”
 
John iniziò a correre, rischiando di inciampare ancora una volta sui sassi.
 
“Abernathy!” esclamò, avventandosi contro le sbarre di una delle carceri.
 
“Watson, santo cielo, che ci fai qui?”
 
“Siamo venuti a tirarti fuori.”
 
Dopo solo due giorni ad Azkaban, Abernathy era ancora in condizioni accettabili. La sua barba solitamente molto curata era arruffata, e la sua zazzera bionda era scarmigliata; attorno agli occhi aveva rughe che John era sicuro di non aver mai notato, ma nel complesso sembrava stare bene: il suo sguardo era lucido, e non era ferito.
 
Siamo? Oh, c’è anche Holmes!”
 
John si voltò, e si accorse che Sherlock era arrivato alle sue spalle.
 
“Ma… dove sono i Dissennatori?”
 
“Li sto distraendo” rispose Sherlock prima di allontanarsi di qualche metro per controllare che non ci fosse nessuno in giro.
 
“Ma se è qui!” protestò Abernathy, confuso, rivolgendosi a John.
 
Lui sorrise. “Lunga storia. E ora… Alohomora!” La grata non si aprì. “Alohomora!” esclamò con più veemenza, ottenendo solo un lieve scricchiolio metallico. “Sherlock, Alohomora dovrebbe aprire tutte le porte, no?”
 
Sherlock lo raggiunse; “Questa non è una porta, è un cancello” lo corresse.
 
“È la stessa cosa.”
 
“Ragazzi?” li richiamò il prigioniero. “Potreste litigare dopo avermi tirato fuori di qui?”
 
“È colpa di questo posto” si difese Sherlock. “È malsano anche senza Dissennatori in giro.” Puntò la bacchetta verso le sbarre e mormorò a fior di labbra qualche incantesimo, senza alcun risultato; corrugando la fronte, provò di nuovo con “Alohomora” e stavolta quelle si aprirono. “Strano” commentò, mentre Abernathy si gettava fuori.
 
“Perché con me non ha funzionato?” chiese John.
 
“Non lo so, ma non è il momento di pensarci. Dobbiamo portare il tuo amico al sicuro.”
 
Abernathy saltellava e si stiracchiava vistosamente, entusiasta di potersi di nuovo muovere all’aperto. Sarebbe scivolato giù dal crepaccio se Sherlock non l’avesse prontamente afferrato per un braccio. “Non stiamo mettendo a rischio la nostra vita perché tu ti butti giù da uno scoglio. Ne ho abbastanza di gente morta spiaccicata” ringhiò.
 
Ripercorsero al contrario la strada fino all’uscita, e non appena furono fuori Abernathy ululò di gioia.
 
Non è il momento di esultare” lo rimproverò Sherlock a denti stretti, visibilmente irritato. “John… John?” Aveva notato solo ora che l’amico era pensieroso, e non aveva proferito verso dall’episodio delle sbarre. “John? È il momento di separarci.” Si slacciò il mantello ed estrasse la Giratempo dal colletto della camicia.
 
“Aspetta!” lo bloccò lui. “Credo sia meglio che venga con te.”
 
“No, tu devi assicurarti che lui torni a casa sano e salvo. Io me la caverò. Tornerò indietro alla stessa ora finché ci sarà una versione di me in ogni angolo di questo posto, se sarà necessario, e lo farò da solo. Tu porta il tuo amico da tua moglie e aspettami lì. Vedrai, ti raggiungerò tra meno di dieci minuti.”
 
Prima che John potesse replicare, era scomparso.
 
“Cos’ha intenzione di fare?” domandò Abernathy, avvicinandosi a lui.
 
“Adesso è tornato indietro di un’ora, cioè poco prima che io e lui arrivassimo qui. Attirerà su di sé tutti i Dissennatori che troverà e li condurrà in un’altra zona della prigione; dopo un’ora ripeterà l’operazione, e così via, in modo da tenerli occupati tutti mentre ti recuperiamo. È probabile che in realtà durante l’ultima ora ci fossero quattro o cinque versioni di Sherlock in circolazione.”
 
“Quel tizio è spaventoso, lasciatelo dire.”
 
“Lo so” replicò John con un sorrisino, e gli porse il braccio per la Smaterializzazione.
 
L’incontro tra Clarisse e il marito fu quasi commovente. Quando la donna lo vide comparire lanciò uno strillo e gli si avventò addosso per prenderlo a schiaffi; per tutta risposta, lui scoppiò a ridere e la sollevò da terra, baciandola.
 
John si fece da parte, sentendosi fuori posto in quel quadretto così intimo, ma l’amica abbracciò anche lui con commozione. “Grazie. Grazie, grazie. Dov’è Sherlock? Devo abbracciare anche lui.”
 
“Sarà qui a minuti.”
 
Ma i minuti passavano e Sherlock non compariva. La gioia e il sollievo fecero rapidamente spazio alla preoccupazione; Clarisse e Abernathy sedevano sul divano stretti l’uno all’altra, mentre John si aggirava per il soggiorno come un’anima in pena.
 
 
 
 
 
 
 
 
Smaug’s cave
Hi everyone! Non avete idea dello spavento che mi sono presa ieri quando non ho trovato il computer dove l’avevo lasciato, dato che temevo di averlo lasciato acceso sul prossimo capitolo. Fortunatamente non è successo nulla… comunque, spero che questo capitolo vi sia piaciuto. Secondo JKR Azkaban è “più grande all’interno”, quindi ho voluto descriverla come un luogo labirintico e confusionario, perché secondo me le si addice molto. Spero che il piano di Sherlock sia chiaro. Lo è, vero? Altrimenti ditemelo, e cercherò di spiegarvelo in modo un po’ più dettagliato…
Be’, ci risentiamo la settimana prossima!
  
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