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Autore: shinran4869    01/02/2015    5 recensioni
Anche se in cuor suo non vorrebbe, i pensieri della giovane Haibara convergono tutti verso un punto: il suo oscuro (e in parte ignoto) passato nell'organizzazione, che ancora non l’ha scovata, ma è sulle sue tracce. Ma soprattutto: il cercare di dimostrarsi sempre distaccata, è davvero la soluzione migliore? O a volte sarebbe meglio fidarsi degli altri, seppur correndo il rischio di ritrovarsi feriti?
Genere: Introspettivo, Suspence, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Ai Haibara/Shiho Miyano, Detective Boys, Hiroshi Agasa, Shinichi Kudo/Conan Edogawa | Coppie: Shiho Miyano/Ai Haibara
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Hey, perdonatemi l’assenza,
ma la scuola mi sta uccidendo!
Ci tengo a precisare che le parti
in grassetto sono dei flashback,
ma penso si capisca! Spero
che il capitolo vi piaccia :)
Buona lettura! ^^
 
 
“Bene, direi…il nome non ti è affatto nuovo, proprio come pensavo” fece la donna bionda, con un ghigno dipinto sul volto.
“Non è che lo pensavi, lo sapevi benissimo.” disse con amarezza la ragazzina, le cui membra si erano ormai intorpidite.
“Allora, lasciami spiegare come stanno veramente le cose…è per questo che sono qui, my dear, little, poor Sherry!” continuò Vermouth, schernendola. “Perché non puoi sapere quando verrà il momento del Giudizio Universale…”
Giudizio Universale? Ma di cosa stava parlando quella donna?
“Sai, ho avuto la fortuna di conoscerla davvero bene, la tua cara Elena!”
La bambina sussultò, cercando di non farsi vedere dalla donna, poi le lanciò un’occhiata carica d’odio.
“Falla breve.” rispose acidamente. Non aveva intenzione di sentire una sola parola su sua madre, sapeva benissimo come si erano svolti i fatti. Troppi le avevano parlato di quell’incidente, e ogni volta Shiho aveva dovuto fare appello a tutte le proprie forze per non crollare al solo ricordo della morte dei suoi genitori.
“Ed io che pensavo fossi una ragazzina curiosa… Se non fossero stati ordini del capo, a quest’ora me ne sarei già andata…” ribattè la donna, pensando ad alta voce, accompagnando il tutto con un sonoro sbuffo.
“Comunque, stavo dicendo… ho conosciuto tua madre…ma soprattutto…tuo padre, sai? Diciamo che avevamo un rapporto un po’ speciale…” proseguì Chris, melliflua.
“Cosa hai fatto a mio padre? Dimmelo!” Tuonò Ai.
Aveva ceduto.
Ma, dopo tutto, si trattava pur sempre della sua famiglia.
Sapere era un suo diritto.
Tutto stava nel cavar fuori dalla bocca le parole a quell’arpia.
E invece, contro le aspettative della bambina, la cosa fu più facile del previsto.
La donna raccontò tutto senza fermarsi un attimo, con lo sguardo perso nel vuoto.
E la bambina non poteva far altro che ascoltare, mentre la ferita che aveva nel cuore si riapriva e diventava una voragine, sebbene ci fossero voluti anni per riuscire a chiuderla almeno un po’.
 
“Allora, come stai, tesoro?”
“Sono distrutto. Se non ci fossi tu, qui, che mi dai la forza di andare avanti…” rispose l’uomo, sospirando, mentre continuava digitare freneticamente sequenze incomprensibili di numeri sul display del suo computer. C’era una nota di finzione nella voce, che però la donna non poté cogliere, tanto era incantata dalla bellezza dell’uomo che aveva di fronte.
“Ma che dici…non è affatto merito mio! Sei tu che sei speciale! Ora è già buio, però, perché non ti prendi una pausa?” rispose la donna, languidamente, e in men che non si dica gli si avventò contro, stringendolo.
“No, lasciami stare ora, devo continuare a lavorare.”
La donna si stupì del repentino cambio di umore dell’uomo.
“Che succede? Qualcosa ti turba, amore?”
“No, niente…è tutto okay. Ora però fammi lavorare, va bene?”
La donna, amareggiata, girò i tacchi e si diresse verso la porta del laboratorio buio, quando una mano le afferrò il braccio, cogliendola di sorpresa.
“Senti, diciamocelo chiaramente.” disse bruscamente l’uomo.
“Cosa?” chiese la donna con un sorrisino, convinta che lui stesse solo scherzando.
“Io non ce la faccio più a fingere, ho provato a fartelo capire in tutti i modi, Chris.”
La donna sussultò quando sentì il suo nome pronunciato duramente da quell’uomo. Ogni cosa intorno a loro due era immobile.
Tutto le divenne, all’improvviso, spietatamente chiaro.
 
“Mi aveva lasciato per tua madre, capisci? Io li ho visti. Li ho visti insieme, con i miei occhi! Quel bastardo…eppure io ho trovato il modo per fargliela pagare amaramente! Era uno sporco traditore! E come tale andava punito, non sei d’accordo?” si sfogò la donna. Shiho non aveva mai visto quel suo aspetto, nonostante la conoscesse da parecchio tempo.
“Ma io sono stata più furba di lui! Ho architettato il mio piano in modo brillante, direi!” disse mentre, compiaciuta, sfoggiava un ghigno su quel viso scevro da imperfezioni. Era davvero bella, Ai lo ammetteva. Ma suo padre aveva preferito il carattere mite della mamma piuttosto che la bellezza di Chris…era davvero notevole.
Peccato che la donna vedesse la cosa da un'altra prospettiva.
E così riprese a raccontare, svelando alla bambina i particolari di quel finto incidente sconosciuti a tutti, mentre i singhiozzi scuotevano quel corpicino così indifeso.
Era vero: aveva architettato tutto nei minimi particolari. Aveva attirato i coniugi Miyano in una strada isolata, nel mezzo di una notte invernale. Era in corso una tormenta, ma Chris era riuscita a convincerli a partire. E, alle 21:47, ora della sua separazione con Atsushi, era riuscita a far sbandare la loro macchina, facendola cadere da un dirupo. Nessuno dei due, come previsto, era riuscito a salvarsi, e il piano della donna poteva ritenersi compiuto. Aveva mascherato tutto con un incidente, e ci avevano creduto tutti.
Anche Akemi.
Anche Shiho.
Entrambe erano state vittime del cuore spezzato di quella donna.
“Ho aspettato tanto…c’è voluto molto per riguadagnarmi la sua fiducia, dopo che mi aveva lasciato…dovevo restargli vicina, se volevo che mi seguisse, quel giorno…I traditori vanno puniti! Sempre! Tua sorella ha seguito le orme di suo padre…ed è stata fatta giustizia!” Tuonò la bionda, mentre la bambina continuava a rimanere pietrificata, non muoveva un solo muscolo. Le sarebbe voluto tanto, troppo tempo per digerire quella notizia.
Ma il tempo era la cosa che più le mancava.
Anche se, da un lato, non era proprio un male.
Sarebbe finita presto.
“L’unica cosa che mi rammarica, mia cara Sherry…” fece la donna, di spalle, mentre si accingeva a lasciare la stanza. “…è che purtroppo non sarò io, stavolta, a fare giustizia…”
“Goodbye, my dear.”
Furono le ultime parole che sentì.
Poi, tutto divenne offuscato, i pensieri avevano smesso di fluire già da un po’, e con lei rimasero solo silenzio, immobilità e l’oscurità della notte ad avvolgerla, mentre si abbandonava alle braccia di Morfeo.
 
La bambina trascorse i giorni seguenti in uno stato confusionale. Era sveglia, ma le pareva sempre di avere ancora un piede nel mondo dei sogni o, più propriamente, degli incubi.
Solo su una cosa era sicura: aveva sentito una voce familiare. Non era riuscita a capire da dove provenisse, o almeno non ne era certa. Solo tre parole, uscite da un apparecchio in modo distorto, le avevano infuso una sicurezza indescrivibile.
“Ai…stai bene…?”
Ma, prima che avesse potuto rispondere, era svenuta. Aveva sentito parlare di comunicazioni intercettate, anche se non avrebbe saputo dire con sicurezza se fosse stato tutto un sogno. Ma, al suo risveglio, l’ambiente intorno a lei era cambiato, sebbene Shiho fosse ancora troppo scioccata per dare peso ad una cosa così futile. Stati di apparente coscienza si alternavano a stati di totale incoscienza, mentre il tempo scorreva inesorabilmente, e i giorni della bambina sulla Terra diminuivano sempre di più.
Il mondo andava avanti, ma non la portava con sé.
 
Uscendo dal bagno, tirò un sospiro.
Gli occhi indugiarono sull’immagine che lo specchio rifletteva.
Era parecchio che non assumeva le sue sembianze normali, ormai era quasi abituato al vedersi come un ragazzino che tornare ad essere un diciassettenne gli sembrava quasi strano.
I capelli scuri e ribelli gli cadevano sulla fronte, mettendo in risalto l’azzurro mare dei suoi occhi. Indossava la divisa del Teitan –la prima cosa che aveva preso, in tutta fretta, a villa Kudo- che contribuiva a renderlo ancora più attraente.
“Hey, Kudo! Finalmente posso guardarti senza farmi venire il torcicollo!” esordì l’amico, che lo aspettava.
“Dacci un taglio, Hattori, non so per quanto tempo durerà.” rispose bruscamente Shinichi.
“Però, devo ammettere che il mio vero corpo mi è mancato parecchio…” continuò, pensando ad alta voce. “Ad ogni modo, non c’è tempo da perdere. Forza, sbrighiamoci.”
E, lanciata un occhiata complice al detective di Osaka –che prontamente la ricambiò-, si diresse verso la porta d’ingresso della casa del dottore, che aveva ospitato Heiji per i giorni in cui era stato impegnato nelle indagini con Conan.
Li aspettava un’avventura non poco pericolosa, ma nessuno dei due sembrava volersi tirare indietro. Lo dicevano loro stessi, che il pericolo e il rischio facevano parte del loro mestiere. E quindi, come tali, andavano affrontati.
I giorni precedenti li avevano passati interamente ad indagare, cercando però di destare meno sospetti possibili in Ran. Avevano scoperto che Ai era tenuta prigioniera in un magazzino appena fuori città, e a quanto pareva era una delle basi dell’organizzazione.
Che fosse la volta buona per sgominarla?
Dipendeva tutto dalla durata dell’antidoto.
Dopo tre giorni di indagini estenuanti, erano giunti alla conclusione che dovevano provare ad infiltrarsi nel magazzino, e ovviamente Conan sarebbe stato decisamente poco d’aiuto.
Certo, se fossero stati scoperti, l’organizzazione avrebbe avuto la certezza definitiva che Shinichi era scampato alla morte, ma presentarsi come un moccioso di sette anni davanti ai loro occhi era davvero troppo rischioso. Così, il detective aveva usato il cosiddetto antidoto delle emergenze, che lui stesso aveva sottratto ad Haibara –a sua insaputa- qualche mese prima.
Il problema era che, non essendoci la scienziata, nessuno avrebbe potuto stabilire con accuratezza quanto sarebbe durato quel farmaco. L’ultimo che aveva assunto, a Londra, era durato ventiquattro ore, ma da quell’episodio non sapeva se Ai avesse fatto o meno progressi. Anche perché gli aveva tenuto nascosto tutto, evidentemente timorosa che Shinichi facesse mosse avventate.
Esattamente quello che aveva appena fatto.
I due detective, scesi dal treno che li aveva portati in periferia, camminavano con passo svelto l’uno accanto all’altro, mentre l’aria sferzava le loro guance arrossate per il freddo.
Fu Heiji ad interrompere il silenzio che era calato tra i due:
“Allora, Kudo, qual è il piano?”
Piano? Ma di cosa sta parlando?
“Pensavo fosse compito tuo!” ribattè Shinichi, in difficoltà.
Si erano davvero buttati a capofitto in un’avventura mortale senza avere un piano?
“Ah, ottimo allora. Siamo qui senza uno straccio di piano. Organizzazione uno, Kudo e Hattori zero. Ben fatto, amico!” fece il detective di Osaka, ironico.
“Non è il momento per metterci a discutere. Abbiamo ancora tempo, troviamo una strategia valida ed entriamo in azione.” rispose Kudo, cercando di tirarsi fuori da quella situazione: era in torto, e lo sapeva. Ma la verità era che, preoccupato com’era per trovare un modo di difendere la sua amica d’infanzia, non aveva pensato minimamente a elaborare un piano.
Nel frattempo, si erano avvicinati al magazzino quasi senza rendersene conto, immersi com’erano nei loro pensieri e nella loro discussione.
“Allora, la cosa da fare è una: entriamo di soppiatto, senza farci sentire, e poi iniziamo ad ispezionare il magazzino. Ho chiesto al dottore di trovare qualche informazione su internet, e ho scoperto che l’edificio ha tre piani, e dovremo controllare tutte le stanze. Iniziamo dal piano terra, tu vai nell’ala est e io nell’ala ovest, e ad un'ora prestabilita ci ritroviamo sulle scale. Se uno dei due non arriva, l’altro lo va a cercare. Fine della storia. Se usciamo vivi, bene, sennò, sei stato un grande amico, Kudo.”
“Dai, non drammatizzare la situazione. Mica ti ho costretto a venire, eh!” ribatté Shinichi.
“Eh sì, la fai facile tu! Ma se quel giorno ti fossi dichiarato alla tua bella Mouri e non avessi giocato a fare il detective a Tropical Land, ora non saremmo qui né tu né io!”
Shinichi, un po’ imbarazzato, avvampò, ma cercò di non darlo a vedere.
“Forza, entriamo.” fece, freddo, per non far notare al suo amico il suo imbarazzo.
Ce la farò a tornare…” sussurrò, non sapendo però a chi fosse riferito il messaggio: se più a sé stesso, o più a Ran.‍‍‍‍‍
 
Uno sbuffo di fumo uscì dalla bocca dell’uomo che aveva di fronte; la sigaretta accesa era solo un puntino di luce in quella notte tetra e senza luna.
“Dimostrami che sei all’altezza. O sarà peggio per te.” disse, senza togliere per un attimo la sigaretta dalla bocca.
La figura che aveva di fronte annuì, anche se l’uomo non poteva vederla.
“Non ti deluderò. Stanne certo.” fece, risoluta.
Detto ciò, lasciò la stanza, con un sorriso compiaciuto.
Vedrai che ti stupirò…non puoi immaginare le mie mosse…sono imprevedibile.
 
 
 
 
----ANGOLO DELL’AUTRICE----
Hey! Sì, sono viva! Scusate per l’assenza ma, come detto a inizio capitolo, il classico mi sta uccidendo! :(
Ad ogni modo, andiamo ai commenti di questo chap (un po’ più lungo degli altri…per farmi perdonare xD): Ai, poverina, è scioccata dalle rivelazioni di Vermouth, e nel frattempo i due detective-tonni hanno scoperto dove è tenuta prigioniera la piccola! Che dite, ce la faranno a uscirne vivi? Mah sì dai…qualche speranza ce l’hanno! Quante domande –ancora- senza risposta: cosa vuole l’organizzazione da Ai? Perché ancora non la uccidono? E quanto durerà l’antidoto?
Lo scoprirete solo leggendo!
Ringrazio, come sempre, i recensori dello scorso chap: B Beky, Dudi_Mouri, Mary06, two_writers_one_heart e shinichi e ran amore! Mi fa molto piacere che la storia vi sita piacendo!
Ah, buon mesiversario al mio account di EFP! È passato già un mese da quando mi sono iscritta… nessun rimpianto! :)
Un bacio grande a tutti quelli che mi stanno sostenendo, e anche ai lettori silenziosi!
Al prossimo capitolo!
Ali :3
   
 
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