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Autore: quirke    01/02/2015    1 recensioni
"Che cazzo ti prende?" urlò ferito, "Vuoi risvegliarti, Harry? Sei soltanto una testa di cazzo che vuole buttare giù chiunque, lì con te" E si avvicinò spintonandolo, ignorando i respiri irregolari di Harry ed i singhiozzi irruenti. "Ma io non ci sto più a questo stupido gioco, stronzo. O la smetti di fare il bastardo, o me ne vado io" Con l'ultima spinta, lo addossò al bancone, facendogli male alla schiena.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ecco il secondo capitolo, come promesso. 
All'inizio ho voluto creare per la seconda volta la giusta atmosfera, giusto per farvi avvolgere dal tepore che tanto volevo. 

 
-Incontriamo come sempre Pedro, mi hombre preferido, e il suo carateraccio che comunque non scuote Harry più del previsto. Spero che si sia notata la lentezza con cui Harry tratta la questione, ha paura e non sembra per niente coraggioso (difetto della sottoscritta); solo alla fine sembra cogliere la palla e farsi avanti.
 
-Poi incontriamo Lola, e spero che non vi abbia annoiato con il vestiario, ma ci tenevo tanto. Spero anche che abbiate raccolto piccole sottigliezze, per esempio il professor Toad e la sua mania di aprirsi troppo con le ragazze. 
 
-Infine la mia Ashley, non vi nego che la ragazza che ho utilizzato come prestavolto è la mia debolezza, l'avevo già inserita come prestavolto in una vechissima ff sui 5sos che poi ho cancellato!!! Ma ora è permanente, dai.
Spero che abbiate apprezzato i miei personaggi, e che non vi siano risultati sopratutto banali e superficiali.

 
-Non dimenticatevi di cliccare la nota prima di leggere!! Un bacio
 
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golden age


Golden Age

Capitolo II - Summer
 

“Quando hai diciassette anni 
non fai veramente sul serio

 

Piovigginava e tuonava, il vento fischiava incessantemente fuori dalla finestra. I tuoni rimbombavano rumorosi, sprazzi di luce illuminavano per qualche secondo la cucina per poi tramutarsi in sonori ruggiti.
Ed Harry non poteva fare a meno di deprimersi ancora di più, cominciando seriamente a rimuginare sulla scuola. Davvero ne valeva la pena?
La nebbia densa offuscava la vista, ed Harry, con gli occhi stretti in due fessure inquisitorie, cercava invano di proiettare qualche immagine ben delineata oltre la finestra appannata e cosparsa di goccioline, illuminata da guizzi di respiro caldo che andavano schiarendo la visuale.
Dondolava sulle scarpe, fissando ancora l'orizzonte ingarbugliato e confuso.
Sorseggiava a fatica il succo d'arancia dalla sua tazza, attento a non fare il minimo rumore per svegliare sua madre.
Non era riuscito a dormire più di tanto, ancora dolorante da quelle convulsioni al ventre. Dubitava che fosse colpa dell'alcool, dato che pensava di essersi abituato oramai. Dopo varie camminate verso il bagno, per rinfrescarsi un po' la faccia e, dopo averci pensato a lungo, era arrivato a dare la colpa al cibo spazzatura che era solito mangiucchiare all'ora di punta, una volta sgattaiolato fuori dalla scuola.
Non che reputasse quei intrugli gustosi, ma sembravano migliori delle poltiglie servite in mensa.
Poggiò la tazza sul tavolo, nemmeno finendone il contenuto. Si addossò all'entrata, inficcandosi il suo parka e coprendosi con la cuffia grigia. Afferrò lo zaino, incastrandolo nelle spalle, ed uscì fuori dal suo appartamento, incontrando un calore meno confortevole rispetto a quello casalingo.
Come era solito, s'incastrò nelle orecchie gli auricolari e, qualche minuto dopo, si catapultò in un mondo tutto suo, ignorando qualsiasi tipo di rumore fastidioso.
Solo le goccie di pioggia che gli penetravano dentro le ossa dai posti più impronibili. Seppur ricoperto da testa a piedi, con il cappuccio tirato sulla cuffia, non riuscì a non sentire il suo corpo rabbrividire per il freddo e l'umido.
Arrivò a scuola in ritardo, giustificandosi saggiamente con il traffico, e completamente fradicio. I capelli erano bagnati solamente sulle punte, quindi fu questione di un'ora prima che assumessero il loro naturale decoro, selvaggi ed impetuosi.
Passò la mattinata in silenzio, calmo e pacato sopratutto a causa del mal di pancia. Perfino le due ore di matematica passarono talmente in fretta da non essergli rimaste addosso, non se ne rese conto.
A mezzogiorno incontrò, come al solito, Pedro al cancello principale e, mentre uno s'imbottiva di patatine fritte e hamburger, Harry si guardava intorno tentennante, tamburellando qualcosa sul tavolo traballante del locale.
"S-sicuvo di stave bene?" borbottò Pedro con la bocca piena, incespicando sulle proprie parole.
"Sì" mormorò Harry, rizzando la schiena contro lo schienale e sistemando meglio la guancia sulla sua mano.
"Mh" bofonchiò Pedro, smettendo di fissarlo con quell'aria tanto interrogativa.
"È da quella sera che non mi sento tanto bene" si lamentò il riccio, poco dopo. "Ho dei dolori insopportabili"
Pedro masticò il suo boccone, ingurgitando una bella dose di Sprite. Si pulì la bocca con un fazzoletto, poggiando il panino appena cominciato sul vassoio. Arricciò le labbra, più per accertarsi di non avere nulla tra i denti che per altro, poi alzò un sopracciglio folto.
"Ti sembro forse tua madre?" mugugnò alla fine, stizzito. "Non penso nemmeno che possa ricordartela in qualche modo. Quindi smetti di fare la fighetta e ritorna ad essere, provaci almeno, un po' più virile. Grazie" terminato il discorso, riprese a mangiucchiare le patatine fritte, sotto l'occhiataccia amara dell'amico.
"Comunque," riprese Pedro poco dopo, "perché non salti le lezioni questo pomeriggio? Non sembri avere una bella cera"
Harry trattenne a fatica un sorriso, divertito dal drastico cambiamento d'umore del suo amico. Non riusciva a seguirlo, inciampava sui suoi stessi piedi se si trattava di delineare Pedro a grandi linee. Cosa poteva dire?
L'unico aggettivo che potesse rispecchiarlo alla perfezione era l'essere lunatico, magari anche acido. Spesso, quasi sempre.
Allungò una mano verso il vassoio dell'amico, verso quell'accumulo di patatine fritte ricoperte da quantità enormi di ketchup.
Pedro era anche disgustoso, poteva permettersi di dire anche quello.
Sfilò dalla scatolina un paio di patatine inermi, prive di salsa. E poi si ritirò indietro, pronto a gustarle.
"Non permetterti mai più di farlo" lo riprese acidamente Pedro, non degnandolo nemmeno di un'occhiata.
Harry annuì, arrendendosi.
"Non penso di poter saltare le lezioni oggi" affermò, chiaro e deciso. "Ho la verifica di francese e ..." diminuì sempre di più il tono della voce, fino a sfumare le ultime parole nel silenzio.
Lo avrebbe infamato per l'ennesima volta, avrebbe screditato le sue intenzioni come se non fosse capace di provare qualcosa di simile.
"E?"
"Niente"
"Non puoi fare così, non é giusto" esclamò Pedro, sempre più curioso. "Cosa non puoi saltare?"
Harry sbuffò, buttando indietro la testa ed evitando così di guardarlo mentre ammetteva una sua debolezza, si scopriva.
"Oggi la vedo"
"Puoi vedere questa fantomatica ragazza anche domani"
Harry si ritrovò ad aggrottare le sopracciglia, soppesando le parole dell'amico e rendendosi conto di quanto fosse vigliacco e debole. Lui poteva fare qualsiasi cosa volesse, poteva vederla anche il giorno seguente e parlarle.
"Ma non é questo il problema" annunciò, ritornando a fissare Pedro con l'aria stanca, quasi sconvolta, "Io ho lezione con lei solamente il lunedì"
"Ah, quella ragazza! E sei così femminuccia da non afferrarla per i corridoi e sbatterla contro un muro? Tu vuoi ma non puoi, perché non hai le palle per farlo" dicendolo, Pedro lo indicò più volte, manifestando la delusione che gli recava.
Harry non poté contraddirlo, per questo annuì leggermente con il capo.
"Nemmeno tu lo faresti" precisò Harry, alzando un sopracciglio.
"Sì, lo so" Pedro ingurgitò qualche sorso dal suo bicchiere, "Ma non é questo il problema, no? Stiamo parlando di te, non di me" lo beffeggiò riprendendo le sue stesse parole, deridendolo.
Harry sorrise divertito, in trappola.

Il suo giubbetto odorava di acerbo, di tabacco aspro e pioggia acida, mentre la sua pelle rilasciava un aroma forse più dolce, una fragranza forte ma armoniosa, morbida.
Harry rimase ancora un po' contro la parete biancastra del corridoio del terzo piano, regolarizzando al massimo i suoi respiri e scrivendo il numero della classe a Lola.
Una volta spiegatole come arrivarci, bloccò il telefono e lo buttò dentro una tasca a caso. Rimosse dalla testa la cuffia e la conficcò dentro l'altra tasca del giubbetto.
Con garbo e lentezza, si staccò dalla parete, spingendosi sempre di più verso il centro del corridoio. Camminò con la testa bassa e gli auricolari intrecciati tra di loro dentro il suo zaino. Le gambe lunghe si muovevano con dolcezza, estremamente pigre. Il viso era rilassato in un'espressione quasi apatica, spenta, riflessiva.
Dentro, invece, Harry si sentiva scoppiare da un momento all'altro. Reprimeva tutta quell'eccitazione a fatica, e non sapeva nemmeno come riuscisse ad apparire così calmo.
Qualche minuto dopo entrò dentro l'aula prestabilita, cercandola immediatamente tra quella miriade di visi sconosciuti.
Ed eccola! Era lì in fondo, nella fila centrale.
Il corpo esule era stretto in paio di skinny jeans neri che terminavano in un paio di Chelsea scure e leggermente aguzze. Le spalle erano avvolte da una camicia oversized in flanella grigia. Sotto al suo banco, vi erano abbandonati un cappello nero in lana infeltrita e una bowling bag, sempre scura, che lasciava intravedere una sciarpa di lana bianca.
I capelli corti e scuri oscuravano i tratti docili ed asiatici del suo viso, sicuramente impegnato in una smorfia corrucciata intenta a definire i dettagli del lavoro che avrebbero dovuto consegnare per la settimana prossima.
Mentre giocherellava con la matita, una gamba era allungata sotto al banco mentre l'altra era posizionata ai bordi della sedia, facendo poggiare così il mento sul ginocchio.
Quando Harry deglutì, ancora impalato all'uscio della porta, lei spostò lo sguardo oltre la finestra appannata, verso un panorama triste e buio.
Le labbra carnose e rosee venivano torturate incessantemente, come se stesse riflettendo ardentemente su qualcosa d'estremamente importante.
Le palpebre nude erano combaciate leggermente, come volesse rimanere ancorata al brusio della classe.
"Ragazzi, su" esclamò il professore alle sue spalle, risvegliandolo finalmente. "Tutti ai vostri posti. Non sprechiamo tempo inutilmente"
Harry seguì le sue parole, dirigendosi verso un banco a caso, un po' più dietro rispetto a lei.
Si tolse il giubbetto, posizionò l'astuccio sul banco e, quando avrebbe dovuto recare tutta la sua attenzione alle parole del professore, tornò a contemplarle la schiena piccola.
Lola arrivò una decina di minuti più tardi, ansimante ed allegra. La felpa grigia dell'Adidas che le arrivava all'ombellico, lasciando così intravedere il jeans scuro a vita alta. In una mano teneva la giacca in faux cuir, e sulla spalla tremante un silk Shannon Bag nero.
Si scusò velocemente con il professore saltellando sulle sue converse consumate. E quest'ultimo, sotto lo sguardo vigile di Harry, si lasciò scappare un sorrisino fin troppo languido, quasi seducente.
Nonostante lei fosse solita arrivare in ritardo, sembrava che il professor Toad non glielo facesse mai notare.
Solo alla fine della prima ora di lezione d'arte, dedicata alla teoria e tutto il noioso resto, Harry cominciò ad allontanarsi da lei e allungare il collo verso gli appunti di Lola, seduta al suo fianco, iniziando così a seguire un po'.
"Quindi" dichiarò il professor Toad alzandosi in piedi, "Dovreste lavorare in due. E spero vivamente che abbiate capito la consegna"
Harry aggrottò le sopracciglia, pensieroso. Non aveva capito un accidenti del nuovo capitolo, e sperava soltanto che Lola avesse afferrato qualcosa.
Posizionò il libro sul quaderno, pronto a ficcarli dentro la sua borsa.
"Harry?"
Si girò verso Lola, schiudendo la bocca e spronandola a parlare con un leggero sorriso.
"Non prenderla sul personale e mi dispiace veramente," mormorò intimidita. "Ma penso che tu mi conosca e che tu sappia con chi vorrei tanto iniziare questo lavoro in coppia" cominciò a sorridere e indicargli con delle occhiate una ragazza bionda più in là: Chanel.  "Speriamo che sia la volta buona, no? Le chiedo di lavorare con me, attacchiamo bottone e finalmente la sbatto contro un muro" ridacchiò divertita.
Harry, alle ultime parole, non riuscì a non sussultare sul posto. Le annuì vivacemente, imponendosi di sorridere per non lasciar intravedere qualche minuscola particella di disappunto che solo una ragazza come lei vi avrebbe scorto.
La vide riordinare la borsa vivacemente. Il rossetto scuro veniva continuamente sbiadito a forza di leccarsi le labbra, pensierosa; i capelli erano raccolti in due alte trecce che dal capo finivano a sfiorarle il seno.
La vide agitarsi, contenersi a fatica, grattarsi la pelle olivastra, leccarsi nuovamente le labbra e scroccarsi le dita.
Perché privarla di un'occasione che calzava a pennello con le sue necessità? Era da parecchio tempo che lo torturava raccontandogli di Chanel, riempendogli la testa di quello che avrebbe tanto voluto farle. Non lo aveva lasciato tranquillo nemmeno una volta e ... Non si trovavano mica nella stessa situazione?
Harry spalancò gli occhi, indebolendo piano piano il sorriso che decorava il suo viso. Salutò Lola con un veloce cenno del capo, chiuse gli occhi e prese a trafficare, pensare rapidamente mentre ficcava tutto il materiale dentro la sua borsa.
Si fece coraggio, strinse i pugni ed afferrò la sua borsa. Si diresse spedito, per evitare qualsiasi inutile ripensamento, verso il suo banco, accertandosi che fosse libera e che nessuno la stesse puntando.
Davanti a lei, schiuse le labbra ed aggrottò le sopracciglia.
Inspirò, rilassando i pugni sui suoi fianchi morbidi.
"Ti dispiace? Non c'é più nessuno disponibile, ormai"
Lei scrollò le spalle, come ad invitarlo a sedersi con lei. Harry strinse la mascella, cercò di abbozzare un sorriso per apparire perlomeno simpatico e si girò a pescare una sedia e quindi accomodarsi al suo fianco.
Tra il rumore generale e il chiacchiericcio che si sollevava dai suoi compagni, Harry riuscì a contraddistinguere i suoi respiri calmi e un'aroma dolciastro provenire dal suo corpo che non faceva altro che ingarbugliargli la mente. Qualcosa che rimandava a un campo ricoperto di fiori e tenerezza.
Arrivò una ragazza davanti a loro, puntando una mano sul fianco e sorridendo verso di lei, non degnandolo di un'occhiata, come se lui fosse invisibile, o non esistesse.
"Sei già stata presa?" sorrise sornione, facendo oscillare l'alta coda bionda.
Lei sembrò pensarci su, come se volesse veramente scrollarselo di dosso ed abbandonarlo, accoppiarsi con quella ragazza come se lui non le avesse chiesto proprio nulla.
Forse era paranoia, o autostima che andava a mancargli proprio in quel momento dato che si reputava totalmente inferiore a lei. A ripetersi e convincersi che lei potesse accartocciarlo quanto più le pareva, paura di essere messo da parte da chi più stimava. Da qualcuno per cui avrebbe dato qualsiasi cosa seppur lo conoscesse appena, quasi per niente.
Non era colpa sua, non poteva e non sapeva controllarsi. Magari era stato solo l'istinto, paura di passare innosservato davanti a qualcuno di così estremamente importante per lui, ma non poté non farsi avanti ed irrigidire la mascella.
"Sì, lo é" Harry rispose al suo posto.
La ragazza si congedò con l'ennesimo sorriso, ed un "Peccato!" sussurato, mentre lei si girò improvvisamente verso di lui, inacidita.
"Penso di saper parlare, che dici?"
"Scusa" Harry, accortosi solo in quel momento di quella beffa, ritornò a fissare la lavagna.
Tanti dubbi esistenziali e ossessioni, manie, inutili.
Toad si avvicinò a loro, per accertarsi che almeno la maggioranza abbia saputo organizzarsi senza il suo aiuto.
E, per l'ennesima volta, Harry si sentì totalmente fuoriposto. Le era quasi appiccicato, riusciva a sfiorarle la spalla al minimo accenno di movimento, e chiunque passasse di lì non sembrava notarlo. Quasi fosse un microscopico ed insignificante puntino messo accanto a un tulipano appena germogliato, ricoperto di brina.
"Con chi sei capitata, signorina?"
Harry riuscì a contraddistinguere il tono lascivo con il quale conversava il professore con lei, con Lola. Con qualsiasi ragazza del suo corso.
Arricciò le labbra, disgustato. Un uomo della sua età non avrebbe mai dovuto abbassarsi a così tanto.
"Con lui" sbuffò indicandolo con il pollice, senza smuoversi.
La classe era avvolta da un lieve tepore familiare, forse appesantito dall'aria leggermente consumata e da mille fragranze diverse e contrastanti. Le finestre scure e appannate lasciavano proiettare qualche lontana e debole luce, e quest'ultima sembrava infrangersi contro il vetro per poi diramarsi in mille deviazioni ancora più fiacche.
Dentro, invece, le lampade al neon ronzavano possenti. Le ombre dei ragazzi si allungavano sulle pareti, gobbe ed ingarbugliate, confondendosi spesso con le altre ombre, amalgamandosi.
"Bene, allora vi lascio lavorare" esclamò, "Mi dite i vostri nomi, così vi segno?"
"Harry Styles" mormorò Harry, alzando lo sguardo. Spinse i capelli indietro; servendosi delle dita, li spostò frettoloso. Poi rizzò le orecchie, pronto ad assorbire il suo nome, dato che gli era totalmente sconosciuto.
Lei sorrise a Toad, alzò una gamba sui confini della sedia in legno e schiuse le labbra, poggiando prima le mani sul suo ginocchio spigoloso, e poi il mento.
"Ashley Kaelin" affermò dolcemente.
Harry se lo ripeté mentalmente almeno un centinaio di volte, e una volta sicuro di averlo ben impresso, riprese a respirare regolarmente. Imporsi un po' di contegno.
"Bene, bene" ripeté il professore, congedandosi poi con ottimismo.
Harry abbassò lo sguardo, osservandola scribacchiare qualcosa sul suo quaderno. Riuscì a capirci bene o male solo la consegna del compito, data la calligrafia sottile e frettolosa, quasi illegibile.
"Che tempo, eh?" Harry s'impegnò a fondo, seriamente. Cercò un bel argomento interessante con cui spronarla a parlare, conversare con lui fino a lasciarsi andare completamente. Un bel pretesto per catturarla definitivamente, averla per cinquanta interi minuti sotto il suo controllo.
"Già"
Ma aveva fallito miseramente.
"Ti piace?" Magari era una di quelle ragazze che amavano la pioggia, e gli avrebbe confidato quella sua debolezza, aprendosi completamente a lui e ringraziandolo per quella domanda, per essere un ragazzo così sensibile. Piaceva alle ragazze, no?
"Non mi piace la pioggia" borbottò, smettendo di scrivere.
L'aveva irritata, innervosita. Spostò nuovamente una mano sui capelli, torturandoli. Quanto poteva essere noioso?
Monotono, seccante e fastidioso. Assolutamente.
"Perché?" Harry si morse immediatamente la lingua. Cosa perché? Se a qualcuno non piaceva la pioggia era così e basta.
"Ma cosa puoi trovarci di bello, invece?"
Proprio come lui. Tradusse quelle parole come un insulto indiretto, dedicato proprio a lui.
Era caduto così in basso ...
"Ah, infatti" affermò, immergendo la testa dentro il suo zaino per afferrare il suo astuccio. E sopratutto nascondere quella poca dignità rimastagli.
"Che origini hai?" riprese poco dopo, giocherellando con la zip del suo astuccio. Agitato.
"Asiatiche" pronunciò, continuando ancora a scrivere.
"Quello l'avevo capito. Io dicevo più nello specifico" se prima poteva apparire piccato, man mano che terminava la frase e guadagnava innumerevoli smorfie da Ashley, tendeva ad abbassare il tono di voce ed abbozzare un sorriso che più che simpatico, sembrava solo goffo.
"Mia madre é inglese, mentre mio padre é cinese" gli spiegò, rilassando la schiena contro lo schienale e fissandolo.
I capelli corti erano spettinati quanto i suoi, gli occhi grandi erano scuri e comunque vitrei. Brillavano di qualcosa di estraneo, sconosciuto.
"Sei davvero carina"
Harry si morse immediatamente il labbro inferiore, torturandolo e irrigidendo la mascella. Si era pentito, anzi, di più. Come aveva potuto indebolirsi a tal punto, addolcirsi fino a lasciarsi sfuggire una cosa del genere?
Non lo avrebbe più guardato come una volta, non che lo avesse mai degnato di uno sguardo un pochino più profondo, qualcosa che andasse oltre il "Hai rotto le palle, ora stai zitto". Ma, accidenti!
Dov'era tutta quella virilità di cui tanto si vantava? Se Pedro fosse stato accanto a lui, non gli avrebbe risparmiato di certo un bel pugno in faccia. E se lo sarebbe meritato, a dirla tutta.
"Grazie" Ashley accennò un debole sorriso, scrollò le spalle e ritornò ai suoi appunti.
L'aveva scampata. L'aveva assolutamente scampata per un soffio.
Tentennante, nervoso e forse un po' intimidito, Harry cominciò a farsi avanti e proporre qualche idea, che spesso si rivelava sbagliata e stonante con la consegna.
Ashley gli rispiegò a grandi linee la lezione, tracciarono un percorso insieme, abbozzando quello che ne sarebbe uscito fuori.
Furono quindici tetri minuti, dove Harry dovette concentrarsi così tanto da sentire la testa dolorante e le tempie pulsare.
Giocherellava con la matita tra le dita, poggiando la guancia rosea sul palmo dell'altra mano. Qualche minuto dopo, improvvisamente, sentì una fitta dolorosa allo stomaco. Deglutì rumorosamente, spalancando gli occhi e costringendosi ad ignorarla.
I respiri divennero sempre più profondi, rapidi e rumorosi. Fu costretto ad allontanarsi un po' da lei per riprendere a respirare normalmente. Il collo cominciava a premergli, quasi sudare.
Sentì la gola bruciare, lo stomaco attorcigliarsi in una morsa dolorosa. Le mani cominciarono a tremare e le clavicole dolere.
"Che hai?"
"Nien ..." Harry fu costretto a deglutire per l'ennesima volta, strabuzzando gli occhi e tenersi il ventre con una mano, quasi questo volesse abbandonarlo e staccarsi dal resto del corpo.
Attutire il dolore, riprendersi e rinstaurarsi. Ma niente, il dolore non sembrava voler collaborare quella volta.
Le sue guance si colorarono, più per la vergogna, l'imbarazzo che quella situazione gli recava che per altro.
Per la prima volta, dopo così tanto tempo, si era ritrovato vicino a lei e si stava rammolendo ... Era una vera e propria fighetta.
"Posso uscire?"
"Ti senti male?" Ashley si allontanò dal banco, facendo stridere la sedia contro il pavimento allarmata.
Harry fu colpito da una fitta dolorosa alla testa. Approfondì i respiri.
Annuì leggermente, ripiegandosi un po' su se stesso.
"Signor Toad" Ashley balzò su, in piedi. Sventolò il braccio magro in alto e, una volta catturata l'attenzione del professore tra il baccano, indicò il suo compagno e domandò velocemente il permesso di uscire.
Lo afferrò per una spalla e lo condusse fuori, dove fu completamente liberato dai sintomi di nausea precedenti. Poggiò la testa sulla parete alle sue spalle, aumentò la velocità con cui respirava fino a indebolire il mal di testa e lenire il nodo allo stomaco.
Una volta ritornato a un ipotetico benessere, si staccò dalla parete e si diresse verso i bagni, con affianco Ashley.
"Mi hai fatto prendere un colpo" ribadì stizzita, "Cos'avevi?"
Harry sorrise e, continuando a camminare, ficcò una mano tra i capelli, spettinandoli. Si grattò la nuca, quasi sembrava buffo.
"Sinceramente non lo so, ho questo mal di pancia da qualche settimana" serrò subito le palpebre, pentito di quello che aveva appena mormorato. Peggio di così, non poteva proprio andare.
Svoltarono un angolo, tra un silenzio comodo e giusto, e l'eco delle suole delle Chelsea di Ashley.
"Cioé, non é niente di grave"  cercò subito di rimediare Harry, ridacchiando.
Entrarono nei bagni maschili, e lei non sembrò avere nessun problema a seguirlo. Si appoggiò contro uno sportello qualsiasi dei bagni, osservandolo dallo specchio di fronte a lei, mentre constatava la temperatura dell'acqua con un dito.
Il getto d'acqua cristallina s'infranse poco dopo contro il marmo, la scia robusta e compatta si frantumò in mille goccioline trasparenti che rimbalzavano dovunque.
Una volta raggiunta la sua temperatura ideale, Harry chiuse le mani a coppa e si piegò in avanti, abbassando il viso e gettandosi una bella dose rinfrescante d'acqua, come cercando di risvegliarsi.
Nei bagni, le lampade ronzavano ancora di più, difettose e sopratutto molto più delicate.
"Sarà qualcosa che hai mangiato, penso" constatò lei, intrecciando le dita dietro la schiena e poggiandovi il bacino, "Oggi, per esempio, cosa hai preso?"
Harry girò la manopola del rubinetto, terminando così lo scroscio incessante del liquido. Avanzò qualche passo a destra, e staccò qualche pezzo di carta, senza mai distaccare lo sguardo dal riflesso della figura di Ashley.
"A colazione ho bevuto del succo d'arancia, poi non ho pranzato ..."
"Vedi!" lo interruppe immediatamente, scostandosi dallo sportello. Inasprì lo sguardo ed arricciò le labbra, quasi un cipiglio severo, una minaccia che dal suo riflesso era avanzata direttamente su di lui. Per questo Harry si girò completamente, incontrandola leggermente più esasperata.
"Così sarà solo peggio!"
"È bello lavorare con te" Harry cambiò discorso inconsciamente, alleggerendo ogni muscolo e rallentando i movimenti con cui pretendeva di asciugarsi le mani.
"Tu sei stato noioso" Ashley si poggiò nuovamente alla colonna alle sue spalle, che divideva lo sportello di un bagno dall'altro.
"Vorrei uscire con te"
"Okay" Ashley spostò lo sguardo verso la sua schiena riflessa, addolcendo forse i muscoli del suo viso.
"Eh?" Harry aggrottò le sopracciglia, confuso.
"Cosa vuoi che ti dica?"
I riflessi deboli, quasi fragili, della lampada si scontravano contro le piastrelle lucide e bianche, illuminandole di pulito.
"È perché sono carina?" riprese lei, torturandosi l'interno della guancia.
"Anche" Harry avanzò di qualche passo verso di lei, incerto.
Rimasero in silenzio, un silenzio che si era proteso forse un po' troppo, costringendoli a rintanarsi dentro loro stessi. Erano a disagio, in imbarazzo. Bisognosi di una spinta che tardava a raggiungerli.
"Me lo dai il tuo numero?"
Ashley sussultò sul posto, alzando gli occhi verso di lui ed imponendosi di essere un po' più risoluta, forte. Indipendente.
"Certo" rispose poco dopo, attutendo forse l'acidità che in quei casi la caratterizzava.
Harry si palpò i jeans, alla ricerca del suo telefono.
La mascella tesa si scioglieva di tanto in tanto, le sopracciglia aggrottate si addolcivano, i suoi piedi racimolavano il poco coraggio rimastogli per avanzare ancora di qualche passo verso di lei, incerti. Ecco che era sicuro di farcela, e riprendeva a torturarsi la lingua, costringendosi quindi a rimanere fermo e non fare proprio nulla, per non spaventarla.
"Non mi ricordo il mio numero, ed ho il cellulare nello zaino"
"Ah" Harry accennò un sorriso, esitante e timido.
Lei cominciò a scroccarsi le dita, guardarsi intorno e portarsi delle ciocche ribelli dietro le orecchie. Le guance erano rossee, forse per la situazione e l'imbarazzo, o per il precedente caldo nella classe.
"Sei sicura che non ti dia fastidio?" osò Harry, puntando gli occhi verdi sul suo viso. "Non voglio forzarti a fare qualcosa che non vorresti fare. Magari non vuoi uscire con me" Harry balbettò appena, tremendamente consapevole di quello che stava dicendo. Era pur meglio accertarsi prima, senza illudersi inutilmente. Anche se, a dirla tutta, lui l'avrebbe pure minacciata, costretta ad uscire con lui se avesse rifiutato. E sopratutto se lui avesse avuto il coraggio di fare qualcosa del genere, perché sicuramente avrebbe abbozzato un sorriso dispiaciuto, per poi lamentarsi incessantemente con Pedro più tardi.
"Sì, sono sicura" lo rincuorò rapidamente.
Harry inspirò profondamente, abbassò lo sguardo e cacciò una mano dietro la propria nuca, accarezzandola goffamente.
Combaciando e baciando.

 

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