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Autore: quirke    25/01/2015    1 recensioni
"Che cazzo ti prende?" urlò ferito, "Vuoi risvegliarti, Harry? Sei soltanto una testa di cazzo che vuole buttare giù chiunque, lì con te" E si avvicinò spintonandolo, ignorando i respiri irregolari di Harry ed i singhiozzi irruenti. "Ma io non ci sto più a questo stupido gioco, stronzo. O la smetti di fare il bastardo, o me ne vado io" Con l'ultima spinta, lo addossò al bancone, facendogli male alla schiena.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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!!!!!!
Eccomi qui con questa minuscola long, ora di quattro capitoli.
Non so proprio cosa dire, non vorrei svelare nulla e al tempo stesso spiegare mille cose. Quindi mi limito a presentarvi Harry e Pedro, senza aggiungere nulla nello spazio autrice. Spero vi sia piaciuto questo capitolo, come i personaggi che ho cercato di gonfiare di anima propria. Mi rendo profondamente conto che il mio stile di scrittura è leggermente noioso, dato che preferisco concentrarmi anche sui dettagli che interferiscono tra qualche dialogo e un altro. Anzi!, non cerco proprio di nascondere il fatto che le conversazioni sono rare quanto nonsocosa, ma comunque io preferisco così. E inoltre i capitoli prendono il nome delle stagioni dato che la storia si basa sull'evoluzione del protagonista principale, quindi saranno primavera, estate etc
Spero abbiate notato la nota musicale: tutto si intensificherà se ascoltate la playlist!! bacioniii, e se vi va, lasciatemi un vostro prezioso parere :)
 
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golden age


Golden Age

Capitolo I - Spring
 

“Quando hai diciassette anni 
non fai veramente sul serio

 

Harry si accomodò ulteriormente, stringendosi nei suoi fianchi ed assopendo il malumore che appesantiva la sua testa.
Erano le sei e mezza, ed il cielo si era addensato di un buio pesto, graffiato di tanto in tanto da miriadi di luci accecanti che si espandevano ogni qualvolta Harry stringesse un pochino gli occhi.
Il finestrino su cui vi aveva posato il capo era striato da goccioline competitive tra di esse, che non facevano altro che infoltire le luci colorate provenienti dall’esterno.
L’autobus, cigolando e sferragliando, si fermò appena in tempo, prima di ignorare il semaforo che, possente, troneggiava davanti a lui.
A fatica, Harry, riuscì a mantenersi in equilibrio, stringendo una colonna tra le mani morbide e grandi.
Si fece piccolo piccolo, per quel che poteva, per lasciar passare una famiglia e permetterle di uscire. Le porte si aprirono stridendo ed Harry fu avvolto da una ventata gelida, completamente invernale.
Si schiacciò ancora una volta contro una colonna, inspirò profondamente e, furtivo, cercò di farsi spazio tra la gente. Sorrise appena, strinse i pugni e finalmente, appena in tempo, si buttò sul sedile vuoto, addossato al finestrino.
Il secondo dopo fu accompagnato da un paio di ragazzini, uno aveva trovato posto affiancandolo, l’altro lo fissava di sfuggita, con astio e amarezza.
Ma poco gli importava, pensò, scrollando le spalle ed allungando le gambe.
I capelli spettinati gli ornavano il viso che, prima corrucciato, si stava rilassando. Un docile sorriso spuntò tra le due tenere fossette, per poi incupirsi e ritornare a traballare in una linea rigida, riflessiva.
Harry, tremante per il freddo, tentennò un po’ prima di riuscire a far coincidere la zip del parka e finalmente tirarla su, coprendo completamente la felpa blu.
Gettò con nonchalance le mani dentro le tasche del giubbetto, alla ricerca del telefono. Una volta trovato, sistemò meglio gli auricolari nelle orecchie ed avviò la riproduzione casuale.
Espirò profondamente, svuotando i polmoni tesi e stanchi. Il suo petto riprese a respirare lentamente, docile e regolare.
Allungò appena il collo verso il finestrino, vi posò la testa e si addolcì tra le parole sputacchiate dagli auricolari. Si guardò intorno, fissò qualcosa in particolare e ignorò qualche altro dettaglio, assorbendo forme e colori di sfuggita.
Il calore dell’autobus gli attanagliò le ossa, gli entrò dentro perforando il precedente gelo. Finalmente si trovò bene, a suo agio.
Senza nemmeno accorgersene, abbandonò lo sguardo su una strana coppia di persone poco più lontane da lui. La giovane ragazza sembrava agitata, urlava contro l’altra, smuoveva la chioma nera, abbaiava con furore riferendosi a qualcosa che non aveva fatto altro che deluderla e ferirla.
L’anziana donna la ascoltava in silenzio, rabbuiandosi e stringendosi in se stessa. Temeva qualcosa, vibrava, tremava ogni qualvolta la nipote, o la figlia, strepitava guardandola negli occhi.
Harry schiuse appena la bocca, unì le palpebre affaticate e pesanti … Rilassò le spalle, e la schiena, e tutti i muscoli, finalmente.

L’abitacolo puzzava di aria consumata, ed Harry rischiava veramente di vomitare.
Erano indecenti, poveri e sfigati. Lo aveva ammesso perfino a Pedro, ad alta voce e più volte.
Chiunque passasse di lì li avrebbe guardati male, non che gliene fregasse qualcosa, ma potevano perlomeno mantenere un decoro. E nemmeno ubriacarsi era il massimo dell’eleganza, ma potevano perlomeno provarci.
Il vecchio furgoncino rosso di Pedro traballava ad ogni minimo movimento dei due ragazzi, ricoperto di sudiciume, fradicio di alcool e bottiglie di birra abbandonate ai loro piedi. Pompava a fatica della musica americana, rap per niente profondo o logico. Nemmeno stavano ad ascoltarlo, a dirla tutta.
Pedro, al suo fianco, si era appoggiato contro il volante, singhiozzando di tanto in tanto. Canticchiava, con gli occhi chiusi e le mani abbandonate sopra la sua testa.
I capelli lattei erano sporchi e tirati indietro così tante volte da essere appiattiti da un lato, esausti. La fronte imperlata di sudore era corrucciata, ospitava appena delle ciocche leggere che, appiccicate sulla pelle, lo rendevano più selvaggio, forse scorbutico.
Tirava continuamente su con il naso, giocherellando con il nuovo mozzicone tra le dita.
Sollevò il capo, scontrandosi contro la luce opaca dei lampioni fuori. Gli occhi chiari rifulgevano, limpidi e vitrei. Lo fissavano, le sopracciglia aggrottate e le labbra carnose schiuse.
"Non parli?" più che una domanda, sembrava proprio una constatazione chiara. Era sicuro di sé.
Harry scrollò le spalle, stiracchiando un po' le gambe, quasi volesse abbandonarsi, scendere dal sedile e finire per terra. Posò le mani sulla stoffa ruvida e, issandosi a fatica, ritornò su.
"Come mai?" continuò imperterrito Pedro.
Tamburellava contro il volante, richiamando con le dita affusolate il ritmo della canzone che la radio rimbombava. Era più calma rispetto alle precedenti, alleggeriva l'atmosfera, svuotava il cervello di  Harry e rilassava le sue mani, al contrario di quelle di Pedro.
Harry giocherellò con la lattina di birra mediocre, respirò a fondo e posò l'alluminio umido e freddo sulle labbra screpolate. Risucchiò il contenuto, accorgendosi più tardi di averla terminata, di aver finito l'ennesima lattina di birra. Di aver cercato di ubriacarsi con Pedro con cinque sterline, comunque racimolati a fatica.
Pedro sbuffò, soffiando rumorosamente contro l'aria condensa e consumata dell'abitacolo. Impregnata di sudore, fatica e noia. Di alcool, tabacco scadente e dubbi esistenziali, stupidi, banali.
Ancora insoddisfatto, perse qualche  secondo a fissarlo inviperito, come sperando che l'altro buttasse giù tutto d'un colpo. Poi, arrendendosi a scoprire cosa attanagliava il cervello di Harry, cosa nascondesse con tanto silenzio, ritornò a spiaccicare la fronte contro il volante, gobbo. Riprese a canticchiare sottovoce ed illudersi di divertirsi.
"È una cosa veramente stupida" borbottò Harry, dopo una manciata di minuti in silenzio "Ma la faccenda é seria"
"Spara" Pedro rimase ancorato al suo volante, rizzando comunque le orecchie.
Pedro serrò gli occhi, stringendo le palpebre e allungò una mano in basso, verso il vuoto, verso il tappetino sporco ai suoi piedi. Palpò vari oggetti sconosciuti, non degnandoli di uno sguardo per riconoscerli.
Quando finalmento incontrò una busta di plastica tra le sue dita, la afferrò, poggiandola sulle sue ginocchia. Cominciò a tormentare le labbra ruvide, suddividendo tutta quella cianfrusaglia, organizzando e cominciando a manipolare a fatica gli strumenti, data la scarsa luce.
"Pedro?" Harry reclamò la sua attenzione, affascinato dai movimenti studiati che l'altro esercitava. Si era perso tra quello strano odore e la sofferenza di non poter dargli una mano, incapace.
Se già lui non riusciva a seguirsi, fare fatica, come poteva Pedro comprendere quello che diceva?
"Ti ascolto, tranquillo" lo calmò Pedro, incitandolo a continuare.
Harry sbuffò, ritornando a fissare davanti a lui. La strada era deserta, l'asfalto costellato da piccole pozzanghere che andavano espandendosi.
Si perse tra i palazzi alti e rovinati davanti a lui, le mura incrostate di sudiciume e le finestre serrate, illuminate o buie.
I quartieri poveri circondati da recinti distrutti, l'erba danneggiata e i pochi alberi che faticavano a rimanere in piedi andavano in rovina, piegandosi a causa dal gelido vento. Rischiando spesso di spezzarsi, in solitudine.
"Sì?" Pedro lo spronò a continuare, trafficando ancora con quello che aveva in grembo.
Harry si risvegliò, sussultando sul posto.
Inspirò profondamente.
"Io credo proprio di essere fottuto. L'ho vista, questione di un secondo, mentre era seduta sullo sgabello nella nostra classe a dipingere non so cosa, silenziosa e bella. E la sto pensando ancora adesso"
"Ma chi?" Pedro alzò gli occhi verso di lui, confuso. Credeva di aver perso un passo importante, di essersi sconnesso per qualche secondo e saltato un'intera frase.
"Lei. Non so come si chiama. Ma frequenta il mio stesso corso d'arte del lunedì. Io non ce la faccio più ad ignorarla"
Quello era decisamente un record. Che Harry parlasse così tanto ed avesse formato più frasi organizzate, era una novità bella e buona.
Per questo Pedro abbandonò quello che stava facendo, aggrottò le sopracciglia, come a riflettere su qualcosa, poi semplicemente sbuffò, ritornando al mozzicone che andava riempendosi di erba.
"Harry?" mormorò, pronunciando a fatica il suo nome.
"Sì?" Harry si girò completamente verso di lui, raggiante e luminoso.
"Tira fuori le palle e non rompermi più il cazzo con questi discorsi da ubriacone delle undici di notte"
Di scatto, come bruciato e deluso, Harry abbassò lo sguardo verso la canna finita. Aspettava qualche incoraggiamento o chiarezza, aveva perfino sperato ad una veloce ramanzina, dove Pedro gli avrebbe spiegato quanto fosse gay a fare pensieri del genere.
"Okay" soffiò Harry.
Ma niente, lo aveva liquidato con delle veloci frasi che dovevano servire da incentivo. Anche se in realtà lo avevano solo confuso di più, non spronandolo a fare qualcosa.
Lo osservò ripiegare la busta in se stessa, più volte, e buttarla ai suoi piedi. Contemplarono insieme il mozzicone gonfio e quasi sorrisero, appagati.
Qualche secondo e sentirono il cuore bruciare, le mani prudere. Pedro scattò alla ricerca di un accendino, che poi trovò sulla tasca dei suoi jeans. La accese. Agitato, compiaciuto, eccitato.
La posò sulla bocca, schiuse le labbra e d'un tratto la musica divenne un dolce sottofondo, Harry scomparse insieme a tutti i suoi problemi e un delizioso tepore lo invase, insediandosi fino alle ossa, ingombrando i polmoni ed intensificando il piacere.
La passò ad Harry, che cercò di imitarlo, un po' più goffo e rozzo.
Fu questione di un momento, Harry nemmeno se ne rese conto e perfino Pedro fece fatica a seguirlo, talmente inebriato dalla beatitudine.
"Che cazzo fai?"
Harry gli aveva gettato tra le mani il mozzicone, aveva aperto lo sportello e si era catapultato  fuori, in preda a delle dolorose convulsioni.
Si tenne la testa, si schiacciò la fronte con le mani e non riuscì più a resistere, tanto attorcigliato in se stesso. Non trattenne il conato di vomito, non combatté.
"Che sfigato!" scoppiò a ridere Pedro, scombussolando l'auto. Senza accorgersi del debole spruzzo di sangue che contaminava il naso di Harry.

 

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