Anime & Manga > Kuroko no Basket
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Autore: Ortensia_    02/02/2015    2 recensioni
«Ricordi sbiaditi, luci soffuse, amori spezzati e ombre evanescenti. Il tempo si porta via tutto: anche le nostre storie.» — Dal Capitolo IV
Sono passati alcuni mesi dalla fine delle scuole superiori, e ogni membro dell'ex Generazione dei Miracoli ha ormai intrapreso una strada diversa.
Kuroko è rimasto solo, non fa altro che pensare ai chilometri di distanza fra lui e Kagami, tornato negli Stati Uniti.
Tuttavia, incontrato uno dei suoi vecchi compagni di squadra della Teiko, Kuroko comincia una crociata per poter ripristinare la vecchia Gerazione dei Miracoli, con l'aggiunta di nuovi membri, scoprendo, attraverso un lungo e tortuoso percorso, realtà diverse e impensabili.
«La Zone era uno spazio riservato solo ai giocatori più portentosi e agli amanti più sinceri del basket, era, in poche parole, la Hall of Fame dei Miracoli.» — Dal Capitolo VII
[Coppie: KagaKuro; AoKise; MuraHimu; MidoTaka; NijiAka; MomoRiko; forse se ne aggiungeranno altre nel corso della fanfiction.
Accenni: AkaKuro; KiseKuro; MiyaTaka; KiMomo; KuroMomo; KagaHimu.
Il rating potrebbe salire.]
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi, Yuri | Personaggi: Altri, Ryouta Kise, Satsuki Momoi, Taiga Kagami, Tetsuya Kuroko
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Hall of Fame'
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Capitolo XXXIV





Siamo stelle luminose che si spengono dietro le nuvole.

Da quando Himuro aveva lasciato il locale con Kagami molto prima del normale orario di chiusura, due settimane addietro, la tensione sembrava essersi improvvisamente allentata e non si erano più verificati litigi fra lui e Murasakibara, tuttavia l'atmosfera che si respirava a casa non era più la stessa e parte della loro intimità e dell'affetto che dimostravano l'uno dei confronti dell'altro sembravano essere scomparsi.
Marzo era appena sopraggiunto e presto avrebbe portato con sé l'aria tiepida e profumata della primavera, ma ciò non rallegrava affatto gli animi: Murasakibara era terribilmente annoiato dalla routine derivante dalla gestione del locale e Himuro profondamente frustrato a causa del comportamento infantile del fidanzato.
In quelle due ultime settimane, Tatsuya si era impegnato per cercare una soluzione - al contrario di Murasakibara, che aveva preferito mettersi da parte a rosicchiare cibo spazzatura -, ma non era riuscito a pensare a nulla che potesse permettergli di trovare il giusto compromesso che avrebbe impedito loro di litigare ancora - dopotutto sapeva che la scelta degli stagisti era alle porte e che sarebbe potuta diventare motivo di discussione -.
«Immagino che tu sia d'accordo con me sul fatto che Seiji sia il primo da escludere, no?» quel giorno gli stagisti avevano lasciato il locale con un'ora di anticipo, quindi Himuro aveva deciso di approfittarne e togliersi il pensiero del possibile battibecco che avrebbe potuto scaturire da un simile discorso.
«Mhn?» Murasakibara gli rivolse una rapida occhiata, per poi tornare a cospargere le torte di zucchero a velo «quindi Mine-chin lavorerà in cassa?»
A proposito della cassa, Himuro l'aveva lasciata incustodita, ma Murasakibara pensò che doveva aver chiuso momentaneamente il locale e comunque non gli chiese di lasciare la cucina come aveva pensato di fare non appena lo aveva visto entrare, dopotutto non voleva litigare di nuovo e sapeva che quel discorso - per quanto fastidioso - era importante e necessario.
«Non si può dire che Aomine abbia una grande voglia di lavorare e una bella faccia rassicurante, ma almeno non ha la testa fra le nuvole come Seiji.» Himuro si strinse nelle spalle: Seiji non gli dispiaceva, era un ragazzo tranquillo, disponibile, ma era troppo distratto dalla presenza di Aoi, - in caso contrario avrebbe tentato di convincere Murasakibara ad affidare a lui la gestione della cassa -.
«Quindi se in cassa non c'è Ma-chin, in cucina può rimanere Mi-chin, no?»
Himuro si sentì pungere nel vivo e schiuse immediatamente le labbra, pronto a controbattere, fermandosi appena in tempo per ritrovare la lucidità e parlare con più calma.
«Aoi ha delle regole strane in cucina.»
«Non è importante, Muro-chin: io non parlo molto in cucina, quindi il comportamento di Mi-chin non mi dà fastidio.» non era una bugia per convincere Himuro a scegliere Miya e scartare Kagami, era vero che Murasakibara stesso non era di molte parole e - le poche volte che lo faceva - tendeva a lavorare in silenzio.
«Il dialogo in cucina è molto importante, Atsushi.» non che Himuro pensasse che Murasakibara sarebbe riuscito a dialogare serenamente con Kagami, anzi probabilmente non sarebbe mai successo, ma almeno c'era una lontana possibilità che si parlassero nel momento del bisogno, non che continuassero ad ignorarsi anche nelle situazioni più critiche come succedeva con Miya.
«Il dialogo distrae, Muro-chin.»
«Io credo, piuttosto, che il dialogo serva per organizzarsi, Atsushi.»
Murasakibara inspirò appena e ripose la busta di zucchero a velo nella scatola di cartone, per poi rivolgere una rapida occhiata all'altro, vagamente infastidito dalla sua presenza.
«Io e Mi-chin non parliamo mai, eppure le nostre torte sono molto più curate di quelle di Kagami.»
Tatsuya restò a guardarlo in silenzio, senza cambiare espressione: Atsushi parlava di estetica, probabilmente cercando di arrampicarsi sugli specchi e trovare una giustificazione valida perché anche lui dovesse preferire Aoi a Taiga.
«Una torta più bella attira di più.» Murasakibara riprese.
«Sì, ma una volta che i clienti avranno scoperto che l'aspetto è più curato del gusto cercheranno un'altra pasticceria.» Himuro replicò e sorrise impercettibilmente, poi adagiò la schiena contro la porta, incrociando le braccia al petto «ammettiamolo, Atsushi: in quanto a gusto, le torte di Taiga sono molto più buone rispetto a quelle di Aoi. E anche rispetto alle tue.»
Le dita di Murasakibara arpionarono con forza la scatola di zucchero a velo, finché il pollice non lacerò il cartone sottile.
Himuro lo vide incurvare appena la schiena e affrettarsi a togliere la busta di zucchero a velo dalla scatola rotta, buttandola via con un rapido e concitato movimento della mano.
«Le sue torte non sono migliori delle mie.» mormorò a denti stretti, continuando a dare le spalle all'altro.
«Quando la smetterai con queste scenate di gelosia?» Himuro lasciò ricadere le braccia lungo i fianchi e trattenne il fiato, esasperato ed estremamente innervosito da quella situazione: era così difficile per un fidanzato capire i sentimenti dell'altro? Atsushi sembrava non aver recepito neppure la metà dell'amore che si era sempre celato dietro i suoi gesti e le sue parole, e più il tempo passava, più dubitava di lui e gli si dimostrava ostile, proprio come un primogenito capriccioso che detesta l'idea che i genitori diano qualche attenzione in più al fratellino.
«Ascoltami.» Tatsuya si massaggiò la radice del naso con le dita e chiuse gli occhi per pochi istanti «teniamo soltanto Aoi.»
Non sarebbe mai voluto arrivare a proporre qualcosa del genere, ma Himuro credeva di non avere altre possibilità: se Kagami non poteva stare lì a causa della gelosia insensata di Murasakibara, allora anche Aomine doveva andarsene.
«Lavorerò io in cassa.»
«C'è Mine-chin, in cassa.»
«Se non vuoi Taiga, io non voglio Aomine.»
Murasakibara restò in silenzio per qualche istante e finalmente decise di voltarsi verso Himuro, fulminandolo con lo sguardo.
«Mi stai ricattando, Muro-chin?»
«A quanto pare non mi lasci altra scelta.»
Che cosa poteva fare per trovare un compromesso con un bambino viziato come Murasakibara? In quel momento ricattarlo gli sembrava l'unica cosa sensata da fare.
«Questo è il mio locale, Muro-chin, quindi decido–»
«Il tuo locale?!» Tatsuya si staccò dalla porta e gli strepitò contro: sentiva di essere arrivato al limite.
Murasakibara si zittì e assottigliò appena lo sguardo, brontolando sommessamente.
«Questo è il nostro locale, Atsushi!» Himuro continuò a strepitare «chi ti ha incoraggiato ad aprirlo, Atsushi?! Chi è che si fa in quattro perché il tuo sogno non cada a pezzi?! Chi ha rinunciato all'America per te?!»
Himuro si morse il labbro inferiore e trattenne il respiro: l'ultima parte avrebbe potuto risparmiarsela, ma era facile dire cose spiacevoli quando si era accecati dalla rabbia.
Murasakibara restò a guardarlo e rimase in silenzio per qualche istante, poi negò appena con il capo e mormorò sommessamente.
«Allora perché non te ne torni in America?»


Quando Kagami spalancò il portone e lo raggiunse, Aomine restò in silenzio e riprese a camminare in tutta fretta, diretto verso il campetto.
Murasakibara e Himuro avevano permesso agli stagisti di uscire un'ora prima e, conscio del fatto che arrivando a casa non avrebbe trovato Kise, impegnato con un servizio fotografico, Aomine aveva proposto a Kagami di fermarsi al campetto per una partita.
«Scusami, Kuroko mi ha trattenuto.» Kagami accelerò il passo e si affiancò all'altro con la palla da basket - il motivo per cui era stato costretto a fare una capatina in casa - sotto braccio; Aomine, dal canto suo, gli rivolse una rapida occhiata e colpì il pallone a spicchi, facendolo scivolare a terra e recuperandolo in seguito ad un rimbalzo.
«Ohi!» Kagami ringhiò e cercò di recuperare il pallone, ma Aomine lo fece passare dalla mano destra alla sinistra e cominciò a palleggiare con aria disinteressata, come se gli importasse soltanto di sentire il palmo e le dita battere contro il cuoio ruvido e ignorasse il fatto che l'oggetto non era di sua proprietà.
«Taci. Ti sei fatto rubare la palla come un bambino.» Aomine brontolò, ma la sua voce risuonò più flebile e tremante del solito, come se fosse divertito dalla situazione e si stesse sforzando di trattenere un sorriso. Kagami, comunque, non sembrò altrettanto divertito e sfiatò nervosamente, per poi distogliere il proprio sguardo dall'altro e accelerare ulteriormente il passo, superandolo.
«E vedi di non farti battere nei primi due minuti!» Aomine continuò ad infierire: quando si trattava di brevi uno contro uno, era sempre il suo stile senza forma a trionfare, ma nelle partite ufficiali giocate in passato era sempre stato il Seirin ad avere la meglio, questo perché Kagami aveva bisogno di tempo per ingranare e non aveva modo di farlo quando giocavano al campetto.
«Non ho alcuna intenzione di perdere.» Kagami accolse la provocazione di Aomine con un sorriso vagamente divertito e colmo di determinazione.
«Dici sempre così.» Daiki biascicò con fare annoiato e Kagami sfiatò sommessamente.
«Perché è vero: non ho alcuna intenzione di perdere.» e soprattutto perché non avrebbe mai sottovalutato Aomine e dava sempre il massimo pur di riuscire a sopraffare il suo incontenibile talento.
Giunti alla fine del marciapiede, Aomine si affiancò nuovamente a lui e, una volta scattato il verde, attraversarono la strada fianco a fianco. Dopo aver superato il crocchio di alberi, Aomine osservò il canestro oltre la griglia metallica, per poi soffermare la propria attenzione su due sagome ferme sul fondo, celate dall'ombra di quello che doveva essere un canforo.
«Merda.» sbuffò rumorosamente, continuando a camminare rasente la rete metallica «pare che sia già occupato.»
Kagami rivolse la propria attenzione alle due figure, soffermandosi in particolare sul colore di capelli di una.
«Aomine, quelle non sono …?»
Aomine spalancò gli occhi e si sentì privare del respiro: non potevano essere loro.
Mise a fuoco le due figure e si fermò, facendo fatica a tenere la bocca chiusa per lo stupore, lo shock e la restante infinità di sensazioni differenti che gli aveva appena suscitato quella visione; Kagami, dal canto suo, si soffermò sull'espressione attonita dell'altro e poi rivolse la propria attenzione alle sagome in fondo al campetto, arrossendo violentemente e schiudendo le labbra in un sospiro tremante, sbigottito e pietrificato.
Aomine non voleva credere ai suoi occhi: Aida e Momoi si stavano baciando. Sulle labbra.
Com'era possibile che Kise avesse ragione?
Daiki sentì le mani prudere e le batté sulle tasche del piumino, indeciso se afferrare il cellulare per chiamare Ryouta e dirgli ciò che aveva visto, ma per fortuna la voce dell'altro interruppe il suo neonato e disordinato flusso di pensieri e gli impedì di sembrare un ficcanaso patentato e ansioso di fare gossip.
«Io credevo che ad entrambe piacessero i maschi, cioè, insomma ...» Kagami riprese fiato, ancora rosso in volto «a Momoi non piace Kuroko?»
Aomine incrinò le labbra in una smorfia e sbuffò sommessamente, inarcando un sopracciglio e rivolgendogli un'occhiataccia: era rimasto un bel po' indietro, per quanto riguardava Momoi.
«Non le piace più da un pezzo, ormai.»
Kagami rimase ad osservarlo per qualche istante, poi rivolse la propria attenzione al campetto, guardandosi bene dall'escludere le due ragazze dal suo campo visivo.
«Forse è meglio se rimandiamo, eh?»
Aomine, dal canto suo, si soffermò sulla rete metallica e gli porse la palla a spicchi, sbuffando nervosamente.
«Già.» era l'unica opzione plausibile, altrimenti sarebbe venuta a crearsi una situazione imbarazzante e quasi paradossale, probabilmente non sarebbe neppure riuscito a rispondere ad un saluto di Momoi e a guardarla in faccia - non che fosse sicuro di esserne capace una volta accettata la realtà dei fatti -.
Glielo avrebbe detto lei? Oppure doveva chiederglielo lui? Gli avrebbe inviato un semplice sms o gli avrebbe riservato un imbarazzante annuncio a voce? Non aveva idea di cosa aspettarsi e sentiva le tempie pulsare e bruciare.
Era cambiato tutto in un istante e ancora faticava a crederci.
Da quel momento in poi, di che cosa avrebbero parlato, lui e Momoi? Di tette?


«Sei tornato presto, Kagami-kun.» Kuroko distolse la propria attenzione dalla pagina e sollevò lo sguardo verso di lui, chiudendo il libro e riponendolo con calma sul comodino.
«Aomine-kun ti ha stracciato?» Kuroko riprese a parlare ancor prima di dargli il tempo di rispondere e Kagami borbottò nervosamente, senza però riuscire a farsi valere a causa dell'imbarazzo ancora annidato dentro di lui.
«Non abbiamo neanche iniziato.» Kagami si chinò in fretta e sistemò la palla a spicchi sotto al letto, per poi sedersi accanto al corpo coricato dell'altro.
«È successo qualcosa?» Tetsuya si mise a sedere lentamente, rivolgendogli tutta la sua attenzione.
«Non proprio.» Kagami negò con un piccolo cenno del capo e lasciò sprofondare il canino nel labbro inferiore «diciamo che il campetto era occupato.»
Kuroko si fece un poco più vicino, per cercare di capire se la sfumatura sulle guance di Kagami fosse dovuta alla luce artificiale dell'abat-jour o all'imbarazzo.
«Kagami-kun, è successo qualcosa?» poi parlò, sicuro che quel rossore fosse dovuto proprio all'imbarazzo e non a qualche fattore esterno come la luce.
I denti sprofondarono nel labbro inferiore e Kagami inspirò profondamente, per poi stringersi nelle spalle: doveva dirglielo, altrimenti Kuroko avrebbe cominciato a fargli mille domande e non avrebbe più smesso.
«Ecco ...» borbottò con aria impacciata, intrecciando le dita delle mani e imprigionandole fra le ginocchia: sembrava una ragazzina delle medie sul punto di dichiarare il suo amore al compagno di classe.
«C'erano due persone al campetto.»
Kuroko inarcò appena un sopracciglio e rimase a fissarlo in silenzio, rivolgendogli la parola soltanto quando lo vide inumidirsi le labbra e lo sentì deglutire.
«Dovevano essere davvero spaventose, quelle due persone.»
Kagami schiuse le labbra e gli rivolse una rapida occhiata, negando con un cenno del capo e forzando un sorriso che prese quasi immediatamente le sembianze di una smorfia.
«Si stavano baciando.»
Kuroko aggrottò la fronte confuso e serrò le labbra, cercando di trattenere una risata.
«E allora? Baciarsi è una cosa normale, lo facciamo anche noi.»
«K-Kuroko, no!» Kagami si massaggiò la fronte e poi passò alle tempie: ci mancava soltanto Kuroko con le sue frasi imbarazzanti!
«Non è questo il problema.» Kagami riprese, cercando di mantenere una certa fermezza nella voce «erano due ragazze.»
«Kagami-kun, io e te siam–»
«No, non è neanche questo il problema.» Taiga riuscì a interromperlo in tempo, prima che cominciasse a sproloquiare sul fatto che loro, pur essendo due maschi, erano fidanzati, si baciavano e facevano anche altre cose.
«Quello due ragazze erano ...» Kagami si schiarì la voce, esitando per qualche istante «Momoi e la coach.»
Taiga si sentì improvvisamente più leggero e trasse un piccolo sospiro di sollievo, rivolgendo un'occhiata confusa a Kuroko, la cui espressione non aveva lasciato trasparire alcuna emozione.
«Kuroko?» che fosse rimasto shockato? Dopotutto lui e Momoi erano amici dalle medie e lei era stata per tanto tempo innamorata di lui, quindi era molto probabile che non si aspettasse di ricevere una notizia simile.
«Kagami-kun, guarda che era ovvio.»
Kagami schiuse le labbra in un balbettio confuso, rivolgendo una rapida occhiata a Kuroko e poi tornando a fissare un punto impreciso della stanza.
«Come sarebbe a dire che era ovvio?»
Kuroko forzò un sorriso e tornò a stendersi lentamente, piegando le braccia e allacciando le mani dietro la nuca.
«Hanno cominciato a comportarsi e a guardarsi in maniera differente, Kagami-kun, ma tu sei sempre troppo distratto dal basket per accorgerti di queste cose.» Tetsuya commentò con calma, rivolgendo i propri occhi al soffitto e riprendendo a parlare dopo qualche istante di silenzio.
«Credo che Aomine-kun lo sapesse meglio di chiunque altro, ma non ha voluto ammetterlo a se stesso finché non lo ha visto con i propri occhi.» Momoi era la sorella che Aomine non aveva mai avuto, oltre che la sua migliore amica, quindi era logico che volesse proteggerla, era un istinto naturale insito in lui da molto tempo, ormai, e al quale non avrebbe opposto resistenza per alcun motivo. A causa di Aomine, pochissimi ragazzi avevano trovato il coraggio di avvicinarsi a Momoi e, nelle rare occasioni in cui aveva avuto degli appuntamenti, lui l'aveva comunque tenuta d'occhio - questo Tetsuya lo sapeva bene, visto che quasi tutte le volte che gli era capitato di uscire con lei si era ritrovato l'ex asso del Touou alle calcagna -, quindi era ovvio che avrebbe continuato a vegliare su di lei, a prescindere che frequentasse un uomo o una donna.
Kagami restò a guardarlo in silenzio e incrinò le labbra in una piccola smorfia: Kuroko si confermava ancora come il mago dell'osservazione; a volte gli faceva paura, perché in quegli anni aveva affinato così tanto la sua tecnica da riuscire perfino a presagire alcuni accadimenti prima che si manifestassero realmente.
«Kuroko?» Kagami cercò di togliersi dalla testa l'immagine di Aida e Momoi e si rivolse nuovamente all'altro, sfiorandogli il fianco sinistro con il dorso della mano: era già una settimana che Kuroko pareva accendersi e spegnersi ad intermittenza, un minuto prima gli sorrideva e lo pizzicava con qualche frase imbarazzante e un minuto dopo restava in silenzio e fissava il soffitto con sguardo inespressivo.
«Cosa c'è che non va?»
Tetsuya chiuse gli occhi e si concentrò sulla voce bassa e leggermente roca dell'altro, sull'elocuzione lenta e sul tono vagamente tremante, che rivelava la sua preoccupazione.
Kagami aveva una bella voce.
«Il senso del progetto è andato perso, ormai.» Kuroko aprì gli occhi e guardò Kagami.
«Non volevi ritrovare e riunire tutti i Miracoli? Mi sembra che tu ce l'abbia fatta, no?»
«Non proprio, Kagami-kun.» Tetsuya sospirò sommessamente e inclinò appena il viso, rivolgendo la propria attenzione al pavimento lucido.
«Non siamo mai riusciti ad incontrarci tutti insieme. Mai.» era questo che affliggeva Kuroko: non c'era stata una volta, in tutti quei mesi, che fossero riusciti a vedersi tutti insieme.
Murasakibara e Himuro sembravano aver perso completamente l'interesse per il basket, in occasione dell'ultima telefonata Midorima si era mostrato piuttosto schivo e non si faceva vedere da un bel po', in più Kise aveva avuto molti impegni allo studio fotografico e Akashi, le rare volte in cui si presentava al campetto, non poteva far altro che stare seduto a guardarli.
Kuroko continuò a guardare il pavimento e si lasciò scappare un altro sospiro quando Kagami gli accarezzò il fianco una seconda volta.
«Credo che alla nostra età sia normale essere immersi dagli impegni.»
Tetsuya annuì appena, ripensando anche a ciò che gli aveva detto sua nonna un paio di giorni prima: perdersi faceva parte del normale processo di crescita, perché inevitabilmente sopraggiungevano impegni e problemi di vario genere e subentravano nuove persone, ognuno aveva una sua strada da seguire, un sentiero privato che non avrebbe mai potuto condividere con altri.
Kuroko aveva la sua strada, diversa da quelle di tutti gli altri, perfino da quella di Kagami che, nonostante tutto, cercava di non mancare mai agli incontri al campetto e gli era sempre vicino.
Forse almeno le loro strade, pur essendo differenti, correvano parallele l'una all'altra.
«Facciamo così.» Kagami si alzò all'improvviso, attirando l'attenzione di Kuroko.
«Andiamo al Maji Burger.» si chinò a terra e afferrò la palla a spicchi «e se quelle due hanno smesso di fare certe cose, andiamo al campetto a fare due tiri, che te ne pare?»
Taiga restò chinato a terra, con la palla a spicchi stretta al petto, e rivolse un piccolo ghigno a Tetsuya, che non poté far altro che ricambiare con un sorriso.
«Ci sto.» dopotutto starsene tutto il giorno chiuso in casa a leggere e a pensare stava cominciando a nuocergli, distrarsi e sfogarsi un po' gli avrebbe fatto sicuramente bene.
«Perfetto!» Kagami ampliò il ghigno amichevole, che però scomparve non appena le mani di Kuroko gli circondarono il viso.
«Grazie, Kagami-kun.»


«Kise?!» gli tremò la voce, si morse il labbro inferiore: doveva cercare di resistere alla tentazione.
«Kise, avevi ragione!» Aomine si immobilizzò e si morse la lingua: era troppo tardi, ormai.
Kise aggrottò la fronte confuso e incuriosito e raggiunse la soglia della cucina, protendendo il viso per dare un'occhiata ad Aomine, fermo all'ingresso.
«Aominecchi, di che cosa stai parlando?» c'era qualcosa di strano nella voce di Aomine, e anche nel modo in cui lo guardava, ma Kise non riusciva davvero a capire a cosa fosse dovuta quella bizzarra e insolita concitazione.
Aomine, dal canto suo, capì di aver toccato il fondo: se appena messo piede in casa non riusciva a tenere la bocca chiusa neppure per un minuto, significava che Kise lo aveva ormai contaminato. Era divenuto a tutti gli effetti un uomo a cui piacevano altri uomini e, soprattutto, dedito alla malefica arte del gossip.
Daiki si augurò che fosse un momento passeggero e si promise mentalmente che il giorno dopo avrebbe fatto incetta di riviste per soli uomini, che a Kise piacesse o meno l'idea di ritrovarsi la camera cosparsa di seni enormi.
«Io e Kagami siamo andati al campetto e ...» si inumidì le labbra e finalmente si decise a raggiungere l'altro, cercando di ritrovare la calma o, per lo meno, sembrare il meno esaltato possibile.
Kise lo seguì con lo sguardo, ancor più incuriosito che in precedenza.
«E abbiamo visto Satsuki e Aida che si ...» Aomine indugiò, vagamente imbarazzato, ma Kise sembrò capire e sorrise euforico.
«Si stavano baciando, Aominecchi?!»
Aomine si limitò ad annuire con un rapido cenno del capo e Kise sembrò quasi saltellare sul posto.
«Io te lo avevo detto! Anche Kurokocchi sospettava che fra loro ci fosse qualcosa!»
«O-ohi, Kise! Vuoi darti una calmata? Sembri una lettrice di shoujo in piena crisi ormonale!»
«Aominecchi!» Kise si lagnò e increspò le labbra in una piccola smorfia, tornando a rivolgere la propria attenzione all'altro soltanto quando questo riprese a parlare.
«Comunque ho bisogno di un po' d'aria fresca.» Aomine brontolò sommessamente, dando un'occhiata ai fornelli per assicurarsi che Kise non avesse già cominciato a preparare la cena - cosa alquanto improbabile, visto che doveva essere tornato a casa solo una decina di minuti prima di lui -.
«Ti va di andare al Maji Burger?»
Kise schiuse le labbra e sembrò sul punto di accettare la richiesta con entusiasmo, ma al contrario di ciò che Aomine si aspettava, restò in silenzio e si pizzicò il fianco con l'indice e il pollice.
«Non credo mi farà bene ...» borbottò sommessamente: per quanto desiderasse accettare quella proposta, il fatto che fosse di nuovo impegnatissimo con servizi fotografici di vario genere influenzava irrimediabilmente le sue scelte alimentari.
Aomine gli pizzicò il fianco con forza, nello stesso punto in cui, poco prima, Kise aveva stretto la pelle fra le dita.
«Ahi!»
«Un panino non distruggerà la tua carriera di modello, idiota.»
Kise si massaggiò il fianco e mise il broncio.
«Magari dopo possiamo andare al campetto, così bruci un po' di calorie o quel che è.»
Gli occhi di Ryouta sembrarono illuminarsi improvvisamente e le labbra si incresparono in un piccolo sorriso.
«Uno contro uno?»
«Lo mangi quel panino, o no?»
«Se dopo andiamo al campetto, lo mangio!»
«E allora andremo al campetto.»


Si trovavano ancora al di là delle porte scorrevoli, ma Kagami teneva gli occhi fissi sulla cassa vuota, impaziente di entrare e ordinare almeno una decina di panini.
Quando le porte si aprirono, Kuroko varcò la soglia e si immobilizzò, e Kagami, con lo sguardo ancora incollato alla cassa, lo scontrò in pieno.
«Kuroko, cosa c'è?» Taiga aggrottò la fronte e gli rivolse una rapida occhiata, tornando poi ad osservare la cassa «guarda che io ho fame, muoviti!»
«Ci sono Kise-kun e Aomine-kun ...» Kuroko mormorò a fior di labbra e Kagami gli transitò accanto, dirigendosi a passo rapido verso la cassa ancora libera.
«Sì, sì … umh? Eh?» aveva così fame che per un attimo gli era sembrato di udire soltanto il brontolio rabbioso del suo stomaco e non aveva fatto troppo caso alle parole di Kuroko, ma era sicuro che avesse pronunciato almeno un nome e che non fosse il suo.
Kagami si fermò e rivolse la propria attenzione a Kuroko, poi seguì il suo sguardo e si soffermò sulla testa bionda che pareva ondeggiare vagamente e su quella blu ferma di fronte all'altra e leggermente inclinata.
«Aomine?» Kagami ringhiò e Aomine raddrizzò il capo, rivolgendo la propria attenzione alle spalle di Kise.
«Ah? E tu che ci fai qui?» Daiki digrignò i denti e Ryouta si voltò.
«Kagamicchi! Kurokocchi!»
Kuroko si soffermò solo per un istante su Kagami e Aomine e trattenne un sorriso: ormai il loro modo di porsi l'uno nei confronti dell'altro era condizionato più dall'abitudine e dall'orgoglio, che da vera e propria antipatia. Quella recita non aveva più senso, ormai.
«Kagami-kun, prendi un milkshake alla vaniglia.» Kuroko gli transitò accanto e si sedette vicino a Kise, che gli aveva già fatto posto sul divanetto.
«Ciao, Tetsu.»
«Ciao, Aomine-kun.»
Kagami sfiatò rumorosamente e rivolse un'occhiataccia ai tre e, soprattutto, a Kuroko - perché gli toccava starsene in piedi ad aspettare che il milkshake e i panini fossero pronti mentre il suo fidanzato se ne stava già comodo sul divanetto? -
«Kagamicchi?»
Kagami non poté fare a meno di rivolgere la propria attenzione a Kise, ma se ne pentì amaramente non appena intravide il suo sorrisino.
«Mi prenderesti una bottiglietta d'acqua naturale?»
Kagami rispose con un grugnito: cosa poteva fare? Rifiutare?
«Ecco, bravo, portami altre patatine.»
La voce di Aomine fu la goccia che fece traboccare il vaso.
«Perché non ti alzi e te le prendi da solo, le patatine?»
«Guarda che poi ti pago. Cioè, ti paga Kise.»
«Kagami-kun, prendi il milkshake per me, l'acqua per Kise-kun e le patatine per Aomine-kun.»
«K-Kuroko, non darmi ordini.»
«Sbrigati, si sta formando la coda.»
Kagami si voltò e si morse il labbro inferiore con rabbia non appena vide che la cassa libera era stata appena presa d'assalto da un gruppo di ragazzini rumorosi: tutte quelle chiacchiere gli erano appena costate il primo posto in fila.


Aveva spento la luce verso mezzanotte ed era scivolato sotto le coperte, ma era rimasto vigile, con gli occhi ben aperti.
Himuro non aveva idea di che ora fosse, ma doveva essere comunque molto tardi; sentiva gli occhi così pesanti da non avere neppure il coraggio di scostare le coperte e dare un'occhiata alla sveglia, sulla quale campeggiavano numeri digitali luminosi.
Non sapeva più che cosa pensare per tenersi sveglio, voleva prendere il cellulare e chiamare Murasakibara, ma non aveva il coraggio perché temeva non gli avrebbe risposto.
Ormai in balia della disperazione, con i sensi annebbiati dalla stanchezza, Tatsuya cercò di visualizzare l'esatta sequenza delle scene dell'ultimo film che aveva guardato, in modo da confrontare la sua durata con il tempo trascorso in silente attesa, ma non riuscì a ricordare l'ordine preciso e cominciò a sembrargli una follia, in più visualizzare alcune immagini non era di aiuto per il suo organismo ormai abbindolato dal sonno, si trattava di uno sforzo così faticoso da fargli rischiare di cadere vittima di Morfeo, la cui immagine fantastica pareva volteggiargli attorno come un rapace affamato.
Forse erano le due, forse le tre.
Himuro si augurò fossero le due, anzi che in verità il tempo che gli era parso lungo un'eternità fosse composto da soli sessanta minuti e, quindi, che fosse ancora l'una, altrimenti avrebbe perso molte ore di sonno e sarebbe stato difficile, il giorno dopo, lavorare al locale con lucidità.
Avevano discusso degli stagisti e avevano finito per litigare, per altro senza riuscire a risolvere la questione - Murasakibara sembrava essersi abituato all'idea di avere Aomine in cassa, quindi Himuro gli aveva detto che avrebbero permesso anche a Kagami di lavorare, ma Murasakibara si era opposto come al solito e aveva cercato di convincerlo ad accettare la presenza di Miya -.
Per Tatsuya si trattava di una questione di principio, ormai: non poteva sopportare l'idea che Murasakibara non si fidasse di lui, lo credesse invaghito di Kagami o chissà cos'altro e che, quindi, facesse di tutto per separarli.
Tutto quello che Murasakibara avrebbe potuto ottenere da quei capricci era la rottura del loro rapporto, eppure sembrava essere indifferente a quella conseguenza più che plausibile e aver sottovalutato così tanto la situazione da non aver preso neppure in considerazione l'idea di una separazione.
Esausto e stufo di aspettare, Himuro sbuffò sonoramente e chiuse gli occhi, avvertendo immediatamente una notevole pesantezza sulle palpebre, quindi cercò di ricordare qualcosa di piacevole per tenersi sveglio e la prima immagine che gli venne in mente fu la torta che Murasakibara aveva preparato per il suo compleanno.
Gli tornò alla mente la morbidezza liquorosa del pan di Spagna, la panna soffice e le fragole dolci, ma cercò di scardinare quel ricordo non appena sentì gli occhi pervasi di malinconia.
Voleva soltanto che Murasakibara tornasse a casa, ormai era notte fonda e cominciava a preoccuparsi.
Non appena il cigolio della porta della camera risuonò nella stanza, Himuro sollevò le palpebre e si irrigidì, trattenendo il respiro: doveva essersi addormentato e, soprattutto, Murasakibara doveva essere appena tornato.
La porta cigolò di nuovo, meno rumorosamente di prima, e i passi irregolari di Murasakibara risuonarono nel buio della stanza.
Himuro trovò finalmente il coraggio di scostare le coperte e ne approfittò per dare un'occhiata all'ora, scoprendo che le tre di notte erano ormai passate da una ventina di minuti.
Dove poteva essere andato, per tornare a casa ad un orario simile? Murasakibara non aveva mai dimostrato alcun segno di interesse nei confronti dei bar, quindi dubitava che si fosse spinto in qualche bettola a bere alcool; allo stesso modo, dovette scartare l'ipotesi che fosse rimasto al locale - si annoiava facilmente, era impensabile che potesse resistere per così tanto tempo - o che avesse trascorso ore ed ore ad osservare i vari reparti di un supermercato - un'altra ipotesi impossibile, visto che, ad una certa ora della sera, i negozi di alimentari chiudevano -. Possibile che avesse fatto semplicemente una passeggiata? Dopotutto il centro di Shibuya rimaneva luminoso e vitale anche di notte, quindi era un'ipotesi che andava tenuta in considerazione, così come il sospetto che Murasakibara si fosse addirittura spinto oltre il confine della prefettura, magari approfittando del viaggio - in treno? O forse in metropolitana? - per riflettere.
Himuro si mise lentamente a sedere e prese una grande boccata d'aria, cercò un movimento nel buio e riuscì a scorgerlo soltanto dopo diversi istanti, grazie alla fioca luce emanata dai numeri digitali della sveglia.
Murasakibara era proprio di fronte a lui, a pochi centimetri dai piedi del letto e, a giudicare dal lento movimento delle braccia e dal fruscio leggero dei vestiti, doveva starsi spogliando.
«Atsushi?» Himuro lo chiamò e si sorprese della voce arrochita dal breve sonno e dalla tristezza, tanto che esitò e fu indeciso se riprendere a parlare o meno «dove sei stato?»
Non aveva neppure il coraggio di accendere la luce e Murasakibara pareva pensarla allo stesso modo.
Tatsuya subì il silenzio dell'altro, si sentì chiaramente schiaffeggiare da quell'insolita indifferenza.
«Atsushi?» ma non aveva intenzione di gettare la spugna, non gli piaceva l'idea che lo ignorasse.
«Eh?» Atsushi rispose con un mugolio sommesso e schioccò la lingua contro il palato, poi sospirò appena, innervosito dall'insistenza dell'altro.
«Non sono affari tuoi, Muro-chin.» si limitò a dire, e non parlò più, perché Himuro non fece più alcuna domanda.
Murasakibara si era sempre comportato da bambino capriccioso con gli altri, non con lui. Era incredibile che stessero facendo la guerra per una tale stupidaggine.
Himuro inspirò appena e schiuse le labbra, indeciso se parlare di nuovo nonostante il dolore causatogli dalle ultime parole dell'altro, tuttavia, quando Murasakibara scostò le coperte e si sistemò accanto a lui, non riuscì a far altro se non strisciare fino al bordo del letto, il più lontano possibile da lui.

Siamo la notte che precipita impetuosa sulle luci fumose della città.




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L'angolino invisibile dell'autrice:

Finalmente ce l'ho fatta!
Sono nel pieno degli esami, quindi spero mi perdoniate se sono sempre più lenta ad aggiornare! Allora, parliamo un po' del capitolo.
Come viene detto all'inizio, sono passate due settimane dall'ultimo capitolo e quindi, secondo i miei calcoli, dovremmo essere intorno al due/tre marzo (quindi Midorima ha ancora un mesetto per fare pratica all'ospedale/scusate, ma devo scrivere queste cose in giro altrimenti me le dimentico, emh/)
Questi sono capitoli di passaggio, quindi a parte Himuro e Murasakibara che litigano continuamente, non stanno succedendo molte cose, però per quanto riguarda questo capitolo ho due appunti da fare!
Intanto, finalmente, siamo arrivati alla MomoRiko! Sì signori, alla fine Kise aveva ragione!
Avevo in mente la scena MomoRiko da molto tempo e mi sono divertita davvero molto a scriverla, soprattutto per Aomine che continua a ricoprire il ruolo del “fratellone” protettivo (ci sarà da ridere quando lui e Momoi si ritroveranno faccia a faccia), mentre Kise … beh, ovviamente Kise shippa MomoRiko (e anche Kuroko, anche se fino ad ora l'ha fatto silenziosamente).
Inoltre, se ve lo siete chiesti: il canforo è un albero e la parte in cui viene detto che Aomine spiava Kuroko quando usciva con Momoi è un riferimento ad una scena originale che ho visto sfogliando uno dei volumi del manga (non ho idea quale sia il volume, so solo che Aomine e Kise si sono messi a spiare Momoi e Kuroko e poi Kise è finito nelle grinfie di un poliziotto o qualcosa del genere).
Per quanto riguarda la scena KagaKuro, qui si presenta il problema focale di Hall of Fame, quello attorno al quale la fanfiction avrebbe dovuto cominciare a ruotare già da molti capitoli, ma che è emerso solo adesso perché avvertito da Kuroko: non riescono mai ad incontrarsi tutti insieme, che sia per lavoro, che sia per questioni familiari, studio o perché alcune coppiette vogliono starsene un po' da sole (ad esempio Midorima e Takao che, attualmente, se ne stanno chiusi nel loro piccolo idillio).
Hall of Fame parla di futuro e di crescita, noi conosciamo i personaggi di Kuroko no Basket come studenti di prima superiore, invece nella mia fanfiction hanno concluso le superiori da quasi un anno ormai e, come è normale che sia, ognuno di loro sta percorrendo la propria strada e, di conseguenza, si sta allontanando o avvicinando dagli altri.
Proprio come ha detto la nonna di Kuroko (e proprio come la penso io), fa parte del normale processo di crescita perdersi a causa di lavoro/studio/famiglia e chi più ne ha più ne metta ... la domanda che sopraggiunge qui è: loro si perderanno o no?
Alla prossima!
   
 
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