Anime & Manga > Kuroko no Basket
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Autore: Ortensia_    09/02/2015    5 recensioni
«Ricordi sbiaditi, luci soffuse, amori spezzati e ombre evanescenti. Il tempo si porta via tutto: anche le nostre storie.» — Dal Capitolo IV
Sono passati alcuni mesi dalla fine delle scuole superiori, e ogni membro dell'ex Generazione dei Miracoli ha ormai intrapreso una strada diversa.
Kuroko è rimasto solo, non fa altro che pensare ai chilometri di distanza fra lui e Kagami, tornato negli Stati Uniti.
Tuttavia, incontrato uno dei suoi vecchi compagni di squadra della Teiko, Kuroko comincia una crociata per poter ripristinare la vecchia Gerazione dei Miracoli, con l'aggiunta di nuovi membri, scoprendo, attraverso un lungo e tortuoso percorso, realtà diverse e impensabili.
«La Zone era uno spazio riservato solo ai giocatori più portentosi e agli amanti più sinceri del basket, era, in poche parole, la Hall of Fame dei Miracoli.» — Dal Capitolo VII
[Coppie: KagaKuro; AoKise; MuraHimu; MidoTaka; NijiAka; MomoRiko; forse se ne aggiungeranno altre nel corso della fanfiction.
Accenni: AkaKuro; KiseKuro; MiyaTaka; KiMomo; KuroMomo; KagaHimu.
Il rating potrebbe salire.]
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi, Yuri | Personaggi: Altri, Ryouta Kise, Satsuki Momoi, Taiga Kagami, Tetsuya Kuroko
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Hall of Fame'
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Capitolo XXXV





Lentamente, la candela si scioglie, e la cera soffoca la fiammella e la sua luce.

Quella mattina Aomine aveva ritardato di una decina di minuti e Murasakibara si era presentato due ore più tardi, quindi, quando Kagami era giunto di fronte al locale, aveva trovato soltanto Himuro che, intento a sollevare la saracinesca, gli aveva rivolto un rapido saluto e poi, una volta entrato in negozio, aveva preso immediatamente posto in cassa e non si era più azzardato ad aprire bocca.
Agli stagisti era concessa un'ora di pausa, da mezzogiorno alle tredici, e Kagami stava cominciando a pentirsi amaramente di aver respinto la proposta di Aomine di andare a mangiare al fast food più vicino, ma si era sentito in dovere di restare al locale per dare un'occhiata a Himuro e assicurarsi che stesse bene.
Più Kagami lo guardava, più era sicuro che ci fosse qualcosa che non andava: Himuro sapeva benissimo di avere i suoi occhi puntati addosso, eppure continuava a tenere lo sguardo fisso davanti a sé, rivolgeva la propria attenzione oltre le vetrate del locale e assumeva un tono di voce estremamente sollevato ogni volta che un cliente raggiungeva la cassa, poiché ciò gli permetteva di giustificare la sua mancanza di attenzione nei confronti dell'altro.
Kagami sentì lo stomaco contorcersi e strinse i denti, ma cercò di resistere ai morsi della fame e se ne rimase per almeno un paio di minuti con la schiena leggermente ricurva e la mano salda sotto i pettorali, con lo sguardo vigile rivolto alla porta chiusa.
Aomine, Matsuda e Miya erano usciti già da dieci minuti, Murasakibara era in cucina e nessun nuovo cliente era entrato: era il momento migliore per parlare.
«Tatsuya?» Kagami intravide con la coda dell'occhio un piccolo sussulto da parte dell'altro, ma Himuro finse di non aver sentito e non rispose.
«Avete litigato di nuovo?» Kagami sapeva che lo aveva sentito, tanto che riprese a parlare quasi immediatamente, scostando il proprio sguardo dalla porta d'ingresso e posandolo su di lui.
Himuro restò ancora in silenzio e inspirò appena, abbassò il capo e mosse la mano in cerca di qualcosa, forse tentato dall'idea di aprire la cassa per contare i soldi e quindi rimandare la discussione a più tardi, ma Kagami vide le sue dita indugiare, battere sul metallo freddo, poi contorcersi appena e infine immobilizzarsi.
«Abbiamo cominciato a discutere di voi stagisti.»
Kagami inspirò profondamente e sollevò leggermente le palpebre: quell'argomento riguardava da vicino anche lui, quindi non poteva negare un certo interesse anche per se stesso, oltre che per l'umore dell'amico.
«Concordiamo sul fatto che Seiji sia troppo distratto, quindi per la cassa abbiamo scelto Aomine.»
Kagami si trattenne dall'alzare gli occhi al cielo e sbraitare un'imprecazione: non bastava Murasakibara desideroso di rispedirlo a casa senza un lavoro, avrebbe infierito anche Aomine che, quasi sicuramente, gli avrebbe rinfacciato in ogni occasione di aver ottenuto l'incarico al contrario di lui.
«Ovviamente i problemi sono sopraggiunti quando abbiamo iniziato a parlare di te.» Himuro si lasciò scappare un sospiro sommesso e finalmente ricambiò il suo sguardo.
«Secondo lui le torte più belle attirano di più.»
Kagami restò in silenzio e storse appena il naso; Himuro, dal canto suo, increspò le labbra in un piccolo sorriso.
«Secondo me è il gusto che conta. E gli ho anche detto che le tue torte sono più buone delle sue.»
«Cosa …?» Kagami avvertì un fremito sulle labbra e cercò di restare il più serio possibile: era incredibile che Himuro avesse detto una cosa simile a Murasakibara.
«Deve averla presa male, eh?»
Himuro ampliò appena il sorriso e annuì con un piccolo cenno del capo.
«Ma non è questo il problema, Taiga.»
Le labbra di Kagami tornarono serrate, dritte come una corda tirata con forza da entrambe le estremità.
«Allora qual è?» si schiarì appena la voce e aggrottò la fronte, rivolgendogli un'occhiata interrogativa.
Himuro scostò il proprio sguardo da quello di Kagami e diede un'occhiata oltre le vetrate, per assicurarsi che nessuno fosse in procinto di entrare nel locale.
«Ieri è uscito circa dieci minuti dopo che ve ne siete andati voi stagisti ...»
«Eh? Vuoi dire che ti ha lasciato a gestire il locale tutto da solo?»
«Quando siamo vicini all'orario di chiusura è abbastanza facile gestire il locale, me la sono cavata.» Himuro forzò un sorriso che scomparve non appena riprese a parlare «il problema è che Atsushi è tornato a casa alle tre e venti della notte.»
«Alle tre e venti?» Kagami non riusciva davvero ad immaginare un tipo infantile come Murasakibara aggirarsi per la città di notte - a dire il vero non riusciva proprio ad immaginarlo mentre usciva di casa o dal locale senza Himuro -.
«Gli ho chiesto dov'è stato, ma a quanto pare non sono affari miei
Kagami aggrottò la fronte e arricciò le labbra in quello che parve un ringhio silenzioso.
«Ti ha detto questo?»
«Probabilmente è molto arrabbiato con me ed è comprensibile, anche io ieri non mi so—»
«No, Tatsuya. Non sei tu il problema, è quell'idiota.»
Himuro lo guardò solo per un istante, poi tornò a rivolgere la propria attenzione all'ingresso vuoto: Kagami si sbagliava, la colpa era anche sua, perché non era riuscito a tenere a freno la lingua e aveva rinfacciato a Murasakibara il fatto che avesse rinunciato agli Stati Uniti per lui - a cosa aveva rinunciato, precisamente? Ad un gruppo di ragazzi rumorosi e scalmanati con cui giocare a street basket? Alle canzoni dei Red Hot Chili Peppers a tutto volume nei fast food? Alle lunghe passeggiate lungo le spiagge assolate? Ai supermercati multietnici gestiti da irrequiete famiglie messicane? Erano tutte cose a cui poteva rinunciare, per Atsushi -.
«Basta, vado a parlargli.»
«Cosa? No–» Himuro gli afferrò la manica, ma Kagami si liberò immediatamente dalla sua presa e transitò in tutta fretta davanti alla casa, diretto verso la cucina.
«Taiga, aspetta!» Himuro ebbe appena il tempo di muovere un passo prima che una ragazza entrasse nel locale, allora dovette fermarsi, prendere un bel respiro, sfoderare un sorriso rassicurante e fare marcia indietro, augurandosi mentalmente che quei due non si picchiassero.


Kagami fece irruzione in cucina, ma le parole gli morirono in gola: come al solito aveva agito d'impulso, senza pensare, e non aveva idea di che cosa dire.
«Mhn? Cosa vuoi?» tuttavia ci pensò Murasakibara a ravvivare la rabbia che, come un incendio robusto e di dimensioni gigantesche, crepitava in lui.
«Da quando ti ho conosciuto non sei cambiato di una virgola, sei proprio un bambino.»
«Vuoi che ti distrugga, Kagami?» Murasakibara assottigliò lo sguardo e brontolò nervosamente.
«Ti sei reso conto che Tatsuya sta sempre peggio?!»
«Tu lo guardi un po' troppo, mi sembra.» Murasakibara brontolò a fior di labbra e Kagami strinse i pugni, allentandoli non appena l'altro riprese a parlare.
«Dovreste tornarvene a Los Angeles.»
«Eh? Io che diavolo c'entro?»
«Muro-chin si pente di aver lasciato Los Angeles, quindi, visto che ti sta tanto a cuore, dovreste tornarvene in America e togliervi entrambi dai piedi. Aka-chin aveva ragione quando diceva che la Generazione dei Miracoli non doveva permettere l'ingresso ad altri elementi.»
Kagami non riuscì neppure a muoversi, quelle parole lo avevano completamente disarmato.
Himuro si pentiva di aver lasciato Los Angeles? E che cosa c'entrava Akashi? E da quando loro erano elementi? A giudicare dal suo modo di parlare, sembrava quasi che Murasakibara considerasse Himuro come un estraneo, era come se si fosse trasformato in burattino e stesse permettendo ad Akashi di manovrare i fili che lo tenevano in vita.
«Vi piacerebbe, vero? Tu e Akashi sareste contentissimi se mi togliessi dai piedi.» Kagami strinse i denti e cercò di non badare al prurito sui palmi delle mani «mi dispiace, ma finché Kuroko resta a Tokyo, io resto a Tokyo.»
Murasakibara cercò di controbattere, ma la porta della cucina si spalancò all'improvviso e la voce di Himuro interruppe il loro scontro.
«Taiga, per favore, lascia perdere.»
«Stavamo discutendo del fatto che potreste tornarvene entrambi in America, Muro-chin.»
Himuro prese fiato e afferrò il braccio di Kagami, per poi fare marcia indietro nella speranza che l'altro lo seguisse.
Taiga restò a guardare Atsushi ancora per qualche istante, poi sospirò nervosamente e uscì dalla cucina, richiudendosi la porta alle spalle.
«Come fai a sopportarlo? Dice cose assurde!»
Himuro tornò a sedersi in cassa e protese il capo all'indietro, soffermandosi sul soffitto bianco.
«Riguardo Los Angeles?»
Kagami rimase in silenzio e lo guardò; Himuro, dal canto suo, chiuse gli occhi e riprese a parlare.
«Ieri gli ho detto che ho rinunciato all'America per lui, ma non lo penso davvero.» fece una piccola pausa e ricambiò lo sguardo di Kagami «è vero, mi sono lasciato alle spalle Los Angeles perché Atsushi stava male laggiù, ma non è stato un problema per me, dopotutto sono nato qui e sono molto legato anche a Tokyo. E poi non mi sono mai pentito della mia decisione, visto che sei tornato anche tu.»
Kagami accennò un sorriso e Himuro ricambiò, anche se con un po' di fatica.
«Atsushi non ti darà mai ascolto, ma ti ringrazio ugualmente.»
Kagami fece per rispondere, ma il brontolio del suo stomaco lo precedette e arrivò perfino alle orecchie di Himuro.
«Eh? Taiga?»
Kagami si portò la mano allo stomaco e lasciò sprofondare i denti nel labbro inferiore.
«Scusami.»
«Potevi dirlo subito che avevi fame.»
«Eh? Perché? Hai qualcosa da mangiare?»
«Ti ricordo che abbiamo dolci di ogni tipo.» Himuro accennò un sorriso e Kagami rivolse un'occhiata repentina ai dolci esposti in vetrina.
«Davvero? Posso prendere quello che voglio?!»
«Sì, basta che non divori tutto quello che abbiamo.»


Quando lui e Kuroko erano arrivati al campetto ed erano stati accolti a gran voce da Momoi e salutati da Aida, Kagami era riuscito a rivolgere ad entrambe un'occhiata fugace e poi non aveva più staccato gli occhi dai propri piedi, con le guance e le punte delle orecchie letteralmente a fuoco a causa dell'imbarazzo.
Invidiava Kuroko, perché al momento del saluto la sua voce non aveva tradito alcuna emozione e il suo sguardo era rimasto inespressivo come la maggior parte delle volte: possibile che non fosse minimamente infastidito? O magari incuriosito, visto che Momoi era sua amica da tanto tempo?
Kagami inspirò appena e chiuse gli occhi: di lì a poco, Kise e Aomine li avrebbero raggiunti, e la situazione sarebbe diventata ancora più imbarazzante.
«Kagami-kun!» Riko strepitò, facendolo sobbalzare e rantolare non appena gli colpì lo stomaco con una gomitata «che cos'hai? Sono cinque minuti che ti fissi i piedi in silenzio.»
Kagami schiuse le labbra e mormorò qualcosa di insensato, un flebile balbettio che costrinse Aida ad avvicinarsi un poco di più a lui.
«Kagami-kun è solo un po' stanco, mi ha detto che oggi al locale ha lavorato molto.»
Kagami prese fiato e ringraziò mentalmente Kuroko, poi forzò un sorriso e cercò di sostenere lo sguardo di Aida per almeno una decina di secondi.
Aida ricambiò il suo sguardo in silenzio e Kagami si sentì andare a fuoco, una sensazione intensa e brusca che lasciò alcune tracce anche quando l'altra si voltò e rivolse la parola a Kuroko.
«A proposito, Kuroko-kun, non lavori più in pizzeria?»
Kuroko si sorprese di quella domanda e restò in silenzio per qualche istante, premendo con forza il labbro superiore contro quello inferiore.
«Ultimamente ci sono pochi clienti e troppi fattorini, quindi lavoro la metà del tempo di prima.» e se doveva essere sincero, non sapeva se considerare quella realtà un bene o un male. Appena finite le superiori aveva deciso di trovarsi un lavoro e, pur di guadagnare qualche soldo per incamminarsi sulla strada dell'indipendenza, era stato disposto ad accettare un incarico umile come quello del fattorino della pizza, ma a causa della diminuzione dei clienti il suo portafoglio aveva fatto presto a svuotarsi: gli dispiaceva che Kagami dovesse mantenerlo con i soldi che gli inviavano i suoi genitori e si ripeteva in continuazione che un giorno lo avrebbe ripagato, tuttavia, avere più tempo libero significava dedicare al basket qualche ora in più, e questo era quasi certamente l'aspetto migliore di quella situazione tanto spiacevole.
«Tetsu-kun, non pensi che dovresti trovarti un altro lavoro?» Momoi intervenne, osservata di sottecchi da Kagami che, nel frattempo, continuava a chiedersi come facesse Kuroko a restare così impassibile.
«Forse.» Kuroko rispose con estrema calma: certo che lo aveva pensato, e molto spesso, ma oltre al basket, alla lettura e all'osservazione del comportamento umano, non c'era nulla che lo attirasse particolarmente, non aveva idea di quale lavoro potesse essere adatto a lui e trasmettergli un minimo di soddisfazione personale.
Kuroko non sapeva esattamente cosa dire ed era quasi sicuro che Momoi stesse per fargli un'altra domanda, ma per fortuna la voce sonora e vivace di Kise attirò l'attenzione dei presenti.
«Ki-chan! Dai-chan!» Momoi strepitò allegra e sventolò le mani in segno di saluto, ricevendo l'immediata risposta di Kise.
Aomine aveva la sensazione di essere in apnea da quando aveva messo piede fuori dal locale, oltretutto Kise, che era venuto a prenderlo, aveva cominciato a chiedergli che cosa avesse e poi a divagare e a parlare proprio di Aida e Momoi, peggiorando la situazione già piuttosto precaria e difficile da gestire.
Non aveva idea di come dovesse comportarsi, cosa fosse meglio dire o evitare di dire, fare o non fare.
Kise gli rivolse una rapida occhiata e gli stuzzicò il braccio con una piccola gomitata, esortandolo a ricambiare il saluto di Momoi.
«Ciao ...» Daiki si soffermò solo per un istante sul sorriso di Satsuki - energico e solare come sempre, identico a tutti quelli che gli aveva rivolto in quei lunghi anni di amicizia -, poi abbassò lo sguardo e abbandonò l'idea di pronunciare il suo nome, rivolgendo di fatto un saluto generale a tutti i presenti.
Kagami si sentì quasi soffocare da quella situazione e intervenne immediatamente.
«Allora? Cominciamo a giocare?» cercò di mantenere la voce il più ferma possibile e strappò la palla di mano a Kuroko con un gesto rapido e nervoso: l'imbarazzo che ardeva sulla pelle del suo viso lo stava mettendo alla prova e, ovviamente, era impaziente di dedicarsi al basket - dopotutto avevano circa un'ora a disposizione, quindi prima iniziavano a giocare, meglio era -.
«Sì, andiamo.» Aomine assecondò quella proposta, stringendo i denti a causa della voce decisamente troppo flebile, poi si scostò da Kise e Momoi e si avvicinò in tutta fretta a Kagami e Kuroko.
«Momocchi, Aidacchi!» la voce cantilenante di Kise paralizzò sia Aomine che Kagami, che si scambiarono un'occhiata consapevole e colma di terrore.
«Non credevo vi sareste fidanzate, ma vi faccio i miei complimenti!» Kise sfoderò un grande sorriso, al contrario di Aida che contrasse le labbra in una smorfia e rantolò sommessamente.
«Kise!» Aomine si trattenne dalla tentazione di stritolargli un braccio e lo maledisse mentalmente: possibile che non riuscisse mai a tenere a freno la lingua? Si era illuso che avesse un po' di sale in zucca, che il buon senso gli cucisse la bocca, ma Kise aveva pensato bene di complimentarsi con Momoi e Aida come se si fossero appena sposate, rendendo ancor più complicata una situazione già abbastanza imbarazzante.
«Ki … Ki-chan, ma come fai a saperlo?» a Momoi tremò la voce, anche se per un solo istante: era sorpresa che Kise sapesse della loro relazione e, in verità, anche lei aveva provato un po' di imbarazzo.
Kagami voltò la schiena al gruppo, completamente paonazzo; Aomine quasi non si morse la mano - già, come faceva a saperlo, Kise? Se rispondeva che aveva saputo tutto da lui, chissà come l'avrebbe presa Momoi -.
«Eh? Come faccio a saperlo …?» Kise stesso, a quel punto, si rese conto di essere nei guai e accennò una risata nervosa non appena intravide lo sguardo rabbioso di Aomine, mentre Aida cominciò a tossire senza un vero e proprio motivo, nascondendo il viso fra le mani, e Kuroko sorrise divertito.
«Ma dai, Momocchi!» Kise continuò a ridere nervosamente: neanche lui sapeva esattamente che cosa stava per dire «si vede!»
«C-come: “Si vede”?!» Aida strepitò, con il volto paonazzo quasi quanto quello di Kagami; Momoi, invece, si voltò in cerca dello sguardo di Aomine.
«Cosa … cosa vuoi, Satsuki?! Perché mi guardi?!» Aomine non riuscì a trattenersi e alzò la voce per l'eccessivo imbarazzo.
«Dai-chan, mi dispiace che tu l'abbia scoperto così!» Momoi accennò una risata e poi gli rivolse un sorriso gentile, ma Aomine sbuffò e rivolse il proprio sguardo altrove: a dire il vero, se lo avesse scoperto nel modo in cui credeva lei, sarebbe stato meglio, peccato che lui fosse venuto a conoscenza della loro relazione perché le aveva viste baciarsi il giorno prima.
«Sentite, possiamo giocare a basket o no?!» Daiki strepitò a denti stretti e Kagami, che stava ancora rivolgendo le spalle al gruppo, annuì convulsamente.
«Sì, decisamente!» Riko cercò di riprendere fiato, le bruciava la gola per quanto aveva tossito.
«Aspettate!» Kise interruppe lo strepitio di Aomine e Aida, con le labbra increspate in un sorriso «ora che anche Aidacchi e Momocchi sono fidanza–»
Riko riprese improvvisamente a tossire e Ryouta ricominciò a parlare solo quando ebbe finito.
«Fidanzate, potremmo organizzare un'uscita a coppie.»
«Sì!» Momoi, ovviamente, fu la prima ad approvare la proposta di Kise, mentre Aomine parve ringhiare sommessamente.
«Ovviamente inviteremo anche Akashicchi, Nijimuracchi, Murasakibaracchi e Himurocchi … ah, sì! Anche Midorimacchi e Takaocchi, visto che ormai sono fidanzati a tutti gli effetti!»
«Kise ...» Kagami lo interruppe: Kise era ben aggiornato su Midorima e Takao, tenendosi più che altro in contatto con quest'ultimo, ma evidentemente non era a conoscenza degli ultimi risvolti fra Murasakibara e Himuro.
«Io sono d'accordo con Kise-kun.»
Kise rivolse un sorriso a Kuroko e poi si soffermò su Kagami «che cosa c'è, Kagamicchi?»
Kagami, dal canto suo, rivolse un'occhiata a Kuroko ed esitò: quella era l'occasione per uscire tutti insieme, proprio come voleva lui, e non se la sentiva di fare il guasta feste, distruggendo di fatto il desiderio del fidanzato.
«No, niente.» avrebbe lasciato che fossero Himuro e Murasakibara a decidere se uscire con loro o meno.
«Bene, allora domani mattina li chiamerò e cercherò di trovare un giorno che vada bene per tutti!»
«Sabato?» Momoi si rivolse al gruppo e tutti - a parte Aida, ormai sconvolta dall'imbarazzo - acconsentirono con un cenno più o meno convinto del capo.
«Allora proporrò sabato!» Kise sorrise ed era così euforico all'idea di un'uscita di gruppo che non si accorse nemmeno di avere lo sguardo di Kuroko puntato su di sé.
In quel momento Tetsuya aveva sentito più che mai di dovergli qualcosa, lo stava ringraziando con la sola forza dello sguardo e le labbra increspate in un sorriso quasi impercettibile: Ryouta, proprio come lui, sentiva il bisogno del gruppo, cercava di tenere incollati tutti i pezzi, forse perché era un sentimentale, forse perché sentiva la mancanza di qualcosa che la Generazione dei Miracoli non aveva mai avuto, cioè quel languido e rassicurante calore che poteva essere emanato soltanto da un gruppo di amici.
Kise era stato il primo a sostenere il suo progetto e, nonostante fossero passati diversi mesi, continuava a condividere i suoi stessi desideri e forse anche la sua stessa paura.
Tetsuya voleva bene a Ryouta, molto più di quanto dimostrava e di quanto gli altri pensassero.
Improvvisamente lo sentì così vicino che credette di sapere tutto e fu quasi certo che Kise, proprio come lui, temesse la solitudine più di ogni altra cosa al mondo.


Himuro si era illuso che per una volta sarebbero tornati a casa insieme.
Murasakibara aveva lasciato il locale insieme a lui, ma nell'esatto istante in cui si era chinato per chiudere la saracinesca con il lucchetto, gli aveva voltato le spalle senza dire nulla e si era avviato nella direzione opposta a quella di casa.
Tatsuya si fermò proprio di fronte al loro appartamento e dondolò sul posto, affondando il viso oltre il bavero della giacca e le mani intorpidite dall'aria fresca della sera nelle tasche: non aveva voglia di tornare a casa per cenare e andare a dormire di nuovo da solo.
Stava cominciando a cadere a pezzi, lentamente e silenziosamente, e a parte Taiga sembrava che nessuno se ne fosse accorto.
Avrebbe voluto prendere il cellulare e chiamare Murasakibara, dirgli tutto quello che gli passava per la testa urlando e piangendo, ma gli bastava dare un'occhiata allo screensaver vuoto per essere investito dalla tentazione di gettare quello strumento malefico in strada e andarsene per sempre. Sì, forse avrebbe dovuto andarsene per sempre, tornare a Los Angeles come gli aveva detto Atsushi.
Tatsuya sfiorò lo schermo freddo del cellulare con i polpastrelli, si morse le labbra, ma non lo estrasse dalla tasca. Avrebbe potuto chiamare Kagami, ma non voleva elemosinare il suo aiuto, dopotutto faceva già abbastanza al locale.
Schiuse le labbra e si lasciò sfuggire un sospiro tremante, resistendo al pizzicore fastidioso che aveva ridotto i suoi occhi a due fessure che, a causa delle cornee arrossate, parevano tagli profondi e traboccanti di sangue.
Voleva piangere e non voleva piangere. Voleva stare da solo e non voleva stare da solo.
Himuro prese una grande boccata d'aria e cercò di rilassarsi, poi sollevò il viso e si soffermò sulle finestre buie del terzo piano, dove abitavano lui e Murasakibara.
Trovare quasi ogni sera la casa vuota cominciava a pesargli più del dovuto e per una volta avrebbe voluto vedere la luce accesa prima del suo ritorno.
Himuro spalancò la bocca una seconda volta, ma le labbra si serrarono prima che potesse raccogliere aria a sufficienza e si sentì scosso da un sussulto, abbassò lo sguardo e tornò a fissare il ciglio della strada, percorse la forma sottile del cellulare con un dito finché non trovò il tasto desiderato e lo spense: Murasakibara non lo avrebbe mai chiamato, quindi non aveva senso tenerlo acceso e continuare a sperare in una stupida vibrazione.
Riprese a camminare con estrema lentezza, come se non volesse realmente allontanarsi dalla casa e forse anche perché non aveva idea di dove andare.
Ne ignorò completamente il motivo, ma dopo aver percorso appena una decina di metri gli venne in mente sua madre, pensò ai lunghi capelli corvini che teneva sempre legati in una treccia e alle dita affusolate, alle carezze e alle parole gentili che gli rivolgeva quando era piccolo, per convincerlo - e forse per convincere anche se stessa - che suo padre sarebbe tornato. Quando era piccolo, sua madre gli aveva raccontato molto di lui; le poche cose che gli aveva ripetuto pochi anni dopo l'infanzia, Himuro se l'era lasciate scivolare addosso come acqua e le aveva dimenticate, perché aveva capito esattamente che tipo di uomo era suo padre e che li aveva abbandonati per paura, era scappato da quello che, evidentemente, aveva ritenuto un problema e che, invece, non era altro che suo figlio.
Scappare non era la soluzione, ma soltanto un modo per farsi odiare più profondamente e velocemente, tuttavia Tatsuya stesso non riusciva a capire che cosa volesse, non riusciva a capire quale fosse la cosa migliore da fare per smettere di soffrire - perché ormai era convinto che la situazione fosse irrecuperabile e tutto ciò che gli interessava era cancellare dalla sua testa la voce di Atsushi che gli intimava di andarsene via -.
Aveva creduto di essere riuscito a colmare l'assenza di suo padre, quel grande vuoto che aveva segnato ogni singolo anno della sua vita e anche parte di quelli di sua madre, era convinto che l'unica ombra sconosciuta che avrebbe abitato la sua testa sarebbe stata quella del genitore che lo aveva abbandonato, ma a quanto pareva si era illuso.
Tatsuya Himuro era ancora lontano dall'avere il suo lieto fine: niente Generazione dei Miracoli, niente padre, niente fidanzato. Nessun raggio di luce ad illuminare le macerie della sua anima distrutta.


Akashi si chinò in avanti e tese le braccia, strinse la presa sulle stringhe bianche della scarpa da ginnastica e restò immobile per qualche istante, compiaciuto di sentire tutta quella forza sulla punta delle dita: stava cominciando a riacquistare un certo vigore e dimostrava molta più resistenza di prima. Si sentiva bene, tanto da pensare che il dottore avesse esagerato a prescrivergli tassativamente dieci ore di sonno - ma nonostante fosse piuttosto contrario all'idea di dormire così tanto, Nijimura insisteva senza sosta e alla fine decideva di accontentarlo -.
«Akashi, non ti senti bene?» non appena lo vide con la schiena inarcata e le braccia tese verso il basso, Nijimura gli rivolse la propria attenzione.
«Sto bene.» Akashi aveva ormai perso il conto di quante volte aveva pronunciato quelle parole e aveva cercato di rassicurare il proprio compagno «mi sto solo allacciando le scarpe.»
Seijuurou increspò le labbra in un sorriso impercettibile e allacciò velocemente entrambe le scarpe, per poi sollevarsi dal letto e rivolgere immediatamente il proprio sguardo all'altro.
Nijimura lo guardò in silenzio, attentamente, e poi annuì appena, come se si stesse accertando delle sue condizioni e stesse cercando di capire se aveva detto il vero o gli aveva mentito.
«Bene.» si chinò per afferrare le chiavi che si trovavano sul comodino «trenta minuti.»
Akashi si diresse in silenzio alla scrivania e afferrò il piumino riposto sullo schienale della sedia, indossandolo con estrema calma.
«Trenta minuti al campetto.» specificò con voce calma, abbottonandosi il piumino
Nijimura protese le labbra in una smorfia colma di disappunto.
«Trenta minuti compreso il tragitto.» lo corresse e si avvicinò a lui per abbottonargli anche il bavero, in modo che il piumino proteggesse la sua gola dall'aria fredda della sera.
«Da qui al campetto ci mettiamo circa cinque minuti.» Akashi riprese, incatenando i propri occhi ai suoi «non ho intenzione di giocare soltanto un misero quarto d'ora.»
«Se ci sbrighiamo avremo a disposizione una ventina di minuti.»
«Non ho intenzione di giocare nemmeno per venti minuti, Shuuzou.» Akashi sibilò, più serio che mai «che siano almeno trenta.»
«Akashi, tu non dovresti neanche giocare.» Nijimura inspirò appena e sentì di non poter resistere ancora per molto allo sguardo imperturbabile dell'altro «potresti affaticarti.»
«Se sarò stanco, mi fermerò.» Akashi aveva ormai deciso che sarebbero rimasti al campetto per almeno trenta minuti, non gli importava né del freddo né della sua condizione di salute, desiderava solamente tornare a giocare a basket, recuperare le sue capacità a poco a poco, in modo che, una volta giunto il momento di confrontarsi con gli altri, si sarebbe potuto considerare preparato allo scontro.
Shuuzou sfiatò e sospirò rassegnato, afferrò la giacca di pelle ai piedi del letto e la indossò in fretta, dirigendosi a passo rapido verso l'uscita della camera.
«Trenta minuti, ma se vedo anche solo una goccia di sudore sulla tua fronte ti riporto a casa.»
Akashi restò fermo vicino alla scrivania e lo seguì con lo sguardo finché non lo vide uscire dalla stanza.
«Non suderò, Shuuzou.» poi mormorò appena e accennò un sorriso.


Nijimura stesso aveva notato un netto miglioramento per ciò che riguardava la salute di Akashi, per cui, dopo quasi una settimana passata a pensarci su, gli aveva detto che, se avesse voluto, sarebbero potuti andare al campetto ogni sera, in modo da riprendere il basket con tutta calma, senza che gli altri potessero osservare e giudicare la sua attuale condizione e gli eventuali progressi che avrebbe potuto fare.
Seijuurou, ovviamente, aveva accettato e aveva preteso di cominciare quella sera stessa e, visto che Shuuzou era piuttosto contrario che dopo quasi un anno di inattività e con la leucemia ancora in corpo volesse giocare per addirittura trenta minuti, aveva deciso di limitarsi a marcarlo e si era concesso una ridotta gamma di movimenti basilari, in modo che l'altro potesse avere più possesso palla possibile e quindi ritrovare confidenza e famigliarità con lo sport che tanto amava e che aveva cominciato a praticare da bambino.
Nonostante si stessero limitando a movimenti facili, dopo un anno di inattività chiunque avrebbe mostrato almeno un po' di esitazione, eppure Seijuurou era completamente a suo agio e sembrava che nulla fosse cambiato, riusciva a rubargli la palla con fin troppa facilità e aveva già fatto canestro un bel po' di volte, ma, soprattutto, non stava sudando - a quanto pareva riusciva ad avere ragione anche riguardo a cose simili - anche se erano già passati venti minuti.
Akashi, esattamente come Nijimura, si era reso conto fin dal primo tocco di possedere ancora una discreta dimestichezza con la palla a spicchi e di non essere completamente arrugginito, quindi, dopo circa venti minuti passati a tastare il terreno, decise di scoprire una delle sue carte vincenti - a costo di spendere tutte le energie e dover rinunciare ad altri cinque minuti di basket -.
Spalancò gli occhi e vide Nijimura palleggiare una volta, poi una seconda e infine scartarlo, per poi dirigersi al canestro opposto - evidentemente, dopo venti minuti passati a marcarlo, anche lui cominciava ad annoiarsi -.
Prima ancora che Nijimura potesse compiere il primo palleggio, Akashi gli rubò la palla e lo scartò con un movimento veloce.
Nijimura seguì il suo movimento e cercò di impedirgli di fare canestro, ma Akashi palleggiò velocemente e tirò la palla soltanto quando vide l'altro cadere a terra e quindi fu sicuro di avere campo libero.
Shuuzou strinse i denti e restò in ascolto del tonfo della palla alle sue spalle, sollevò il proprio sguardo e intravide lo scintillio ardente degli occhi dell'altro.
«Se pensavi che ti avrei risparmiato, hai sbagliato di grosso.» Seijuurou lo guardò e gli sorrise: l'Occhio dell'Imperatore funzionava perfettamente.

Cala il buio e all'improvviso arriva l'inverno.




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L'angolino invisibile dell'autrice:

Questo capitolo è orribile e ne sono consapevole. È l'ennesimo capitolo di transizione (ne manca ancora uno e poi passiamo ad un'altra parte importante della fanfiction), per cui è come al solito un po' più breve di altri, ma almeno fosse venuto bene--
La parte che mi preoccupa è la seconda metà, che ho scritto oggi. Non sono molto dell'umore (e non lo sarò neanche nelle prossime settimane e forse nei prossimi mesi) e quindi non sono riuscita a concentrarmi del tutto. Cercherò di riprendermi, ma credo che sarà dura.
Comunque sia, faccio due appunti sul capitolo e poi scappo via.
Nella prima parte su Himuro ho scelto i “Red Hot Chili Peppers” perché “Midnight” è una loro canzone ed è l'inno di Los Angeles (sono sofisticata, lo so/?/)
Per quanto riguarda la seconda parte su Himuro (che all'inizio non doveva esserci), ho approfondito un poco la questione del padre, che era stata accennata nei primissimi capitoli della fanfiction (lo sapete che ho questa headcanon di Himuro abbandonato dal padre ancor prima della nascita).
L'ultima parte è liberamente ispirata all'episodio di oggi e ho deciso di rendere la “visione” di Akashi in corsivo (quindi sì, quella era una predizione, Nijimura in verità non è neanche riuscito a muoversi).
Spero che qualche lettore abbia ancora un po' di fiducia in me e non decida di abbandonarmi dopo questa schifezza, il prossimo capitolo, pur essendo di transizione, sarà sicuramente più lungo di questo e piacerà molto ad alcune di voi (??).
Ah, prima che io mi dimentichi, vi lascio il link del post sugli OC (che ovviamente non ha letto nessuno perché sono dei brutti OC cattivi/?/): https://www.facebook.com/416393978469818/photos/a.674523922656821.1073741832.416393978469818/695561293886417/?type=1&relevant_count=1
Alla prossima!
   
 
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