11
I suoi compagni non riuscirono a credere ai loro occhi
vedendo Kyuzo ridotto così, sconfitto e inerme, a terra privo di sensi coperto
di sangue per le numerose ferite.
Yu-Ling,
l’artefice della sua sconfitta, lo guardava impassibile, con suo sguardo
spento, senza nessuna espressione, come una vera macchina da guerra creata
solamente per uccidere.
«È così che
finisce.» disse Noboru avvicinandosi al corpo del ragazzo «Proprio come tuo
padre. Distrutto dalla tua ingenuità. Ma avrete modo di chiarirvi l’un l’altro
infondo all’inferno.
Benfatto,
Yu-Ling.»
«Grazie, padre.»
rispose lei meccanicamente per poi crollare svenuta, probabilmente per il
grande sforzo sostenuto nello scontro appena concluso.
Fortunatamente, in
tutto quel tempo erano stati tutti troppo concentrati sullo scontro per
accorgersi che Revy, raccolto faticosamente e con fatica un minuscolo
coltellino che portava nella tasca dei pantaloni, aveva cominciato a tagliare
il nastro che le immobilizzava le mani dietro la schiena.
Visto che quando
l’avevano raccolta Steven l’aveva già privata delle sue pistole nessuno, al
momento di trascinarla all’ascensore, si era preso la briga di perquisirla, e
così era riuscita a nascondere quell’utile strumento, messo da parte proprio
per i casi di quel genere.
Purtroppo non era
facile lavorare in una simile posizioni, i polsi e le spalle facevano un male
del diavolo e solo per miracolo riuscì a non urlare per il dolore, ma poi,
finalmente, il nastro cedette, mettendola nelle condizioni di poter fare
qualcosa.
Con noncuranza e
massima discrezione guardò alla sua sinistra; il Vysotniki accanto a lei aveva
in mano il proprio AK-103 e guardava altrove, quello immediatamente dopo invece
la sua arma la teneva addirittura sotto l’ascella. Subito dopo guardò a destra,
incontrando come prima cosa lo sguardo di Steven, che le fece un cenno di
assenso; Revy dedusse che anche lui era riuscito a liberarsi, e che attendeva
solo il momento migliore.
I due non smisero
un momento di tenersi d’occhio, guardandosi vicendevolmente le spalle, e non
appena Balalaika le tolse gli occhi di dosso Revy scattò in piedi, piantando il
coltellino usato per liberarsi nello stomaco del nemico lì accanto e
uccidendolo prima che potesse reagire; contemporaneamente, grazie alle proprie
gambe di acciaio, Steven corse come un razzo verso il soldato a lui più vicino,
gli afferrò il braccio facendolo piegare in avanti e con un colpo di tallone
gli spezzò il collo.
Prima che gli
altri potessero reagire entrambi afferrarono le armi dei nemici morti
cominciando a sparare in tutte le direzioni, e in pochi secondi si scatenò
l’inferno.
Rock e Hibraim
corsero a nascondersi dietro ad un divanetto dove furono raggiunti da Steven,
che liberò anche loro.
«Ora sì che si fa
sul serio.» disse passando a Hibraim una pistola rubata alla sua prima vittima
«Proteggi Okajima.»
«D’accordo» e subito
dopo Steven lasciò nuovamente il nascondiglio, sparando all’impazzata per
attirare il fuoco nemico.
Immediatamente
Rock cercò di mettere fuori la testa per capire dove fosse Revy, e come
previsto la trovò intenta a svuotare il suo caricatore ben protetta da un
vivaio.
«Sta giù!» disse
Hibraim sbattendogli la testa a terra e salvandolo da una pallottola vagante
«Hai forse deciso di morire?»
«Che facciamo?
Siamo bloccati!».
In quella un
soldato sbucò da destra e cercò di colpirli, ma Hibraim fu più rapido di lui e
gli piantò una palla in testa; quando cadde in avanti, Rock si accorse che
assicurate alla cintura aveva le due Beretta di Revy, e senza pensarci le
raccolse. Nello stesso momento Revy esauriva il caricatore del suo fucile,
ritrovandosi in una situazione molto pericolosa.
«Revy!» sentì
gridare «Prendi!».
Le due pistole
volarono nell’aria brillando come stelle e Revy, saltando, le afferrò nello
stesso momento.
«A buon rendere,
Rock!» disse ridacchiando.
Con le sue armi
favorite Two-Hands compì una vera strage, e nell’arco di pochi minuti un intero
battaglione di Vysotniki venne quasi completamente sterminato.
«Questa cosa non
mi piace!» disse Samejima «Balalaika, leviamoci di torno!»
«Con piacere!».
Uno dei soldati
superstiti si caricò Yu-Ling in spalla e si avviò verso l’ascensore; Rock li
vide, e dapprima cercò di muoversi per cercare di fermarli, ma non appena vide
Balalaika attardarsi per cercare di colpire Revy con la sua pistola, la stessa
che aveva puntato in Giappone contro di lui, con un gesto del tutto istintivo
le corse incontro gridando come un forsennato.
«Okajima, no!»
«Balalaika!».
La donna si
accorse di lui, ma prima che potesse fare qualcosa Rock la investì con la forza
di un carro armato, buttandola a terra; la pistola volò lontano e lui, messosi
sopra di lei, prese a tempestarla di pugni in faccia; il suo sguardo era di
puro odio, odiava quel demonio per la strage commessa sulla Seaborn Star e
odiava sé stesso per averle fatto da leccaculo per tutti quegli anni, in un
modo non molto diverso dopotutto da come aveva fatto in Giappone coi suoi
superiori.
«Prendi questo, e
questo, e questo, e questo! Muori, puttana!».
Al sesto pugno
Balalaika riuscì a reagire mollandogli una poderosa ginocchiata alle parti basse
che pur non risultando sufficiente a stenderlo lo fecero esitare il tempo
necessario ad allontanarlo con un calcio.
La donna si rialzò
in piedi sputando sangue e corse verso Samejima, in piedi assieme al Vysotniki
superstite accanto all’ascensore; l’uomo, vedendo Kyuzo ancora disteso a terra,
fu vinto dalla tentazione di realizzare il sogno covato per quattro lunghi
anni.
«Va’ all’inferno,
maledetto».
Revy, che stava
inserendo un nuovo caricatore, si accorse di lui all’ultimo secondo, e malgrado
la pistola non fosse puntata verso di lei senza alcuna esitazione gli sparò,
colpendolo al fianco destro.
L’uomo lanciò una
imprecazione impronunciabile, e non appena le porte dell’ascensore si aprirono
immediatamente ci si infilò dentro assieme a Balalaika e al suo uomo,
mettendosi definitivamente in salvo.
«State tutti
bene?» domandò Hibraim sporgendosi dal suo nascondiglio
«Sì, più o meno.»
rispose Steven togliendosi una pallottola dalla gamba sinistra «Avevo appena
cambiato la corazzatura, accidenti a loro».
Rock, rimessosi
dal colpo di Balalaika, corse immediatamente a sincerarsi delle condizioni di
Kaito, raggiunto in pochi secondi da Revy e Hibraim.
«Kaito! Kaito,
rispondimi!».
Dopo qualche
istante il ragazzo riprese i sensi, ma era chiaramente ancora molto debilitato.
Steven cercò di
riattivare l’ascensore, ma per quanto premesse il numero sul monitor continuava
a rimanere invariato.
«Bastardi! Devono
averlo bloccato!»
«E adesso come
usciamo di qui?» domandò Revy
«L’… l’ascensore…»
si sentì mugugnare di risposta.
Tutti si girarono
verso Kyuzo, che Rock aiutava a stare in piedi sorreggendolo alla propria
spalla.
«L’ascensore… di
servizio…»
«Ma certo!» disse
Steven schioccando le dita «Ha ragione, me ne ero completamente dimenticato!»
«Ma di che diavolo
sta parlando?» domandò Revy
«Quando il
laboratorio era in costruzione c’era un ascensore che veniva usato dagli operai
per raggiungere i livelli più bassi, e che aveva una fermata ad ogni piano!».
Steven cominciò a
correre frettolosamente lungo la parete battendo il pugno di tanto in tanto,
poi, finalmente, sentì rumore di vuoto proprio dietro ad un grosso vivaio a
muro.
«Hibraim, dammi
una mano».
Unendo le forze i
due riuscirono a spostare il pesantissimo vaso, portando alla luce un pulsante
che appena premuto aprì una porta segreta dietro al quale si trovava uno di
quegli ascensori che si vedevano nei cantieri.
«Eccolo, è questo.
Ora possiamo salire.»
«E allora
sbrighiamoci a tornare di sopra.» disse Revy «Questo gioco è durato anche
troppo».
Lasciatisi alle spalle i loro inseguitori, Balalaika,
Samejima, Boris e il Vysotniki superstite si erano rifugiati nella sala
controlli al primo livello, dove i due uomini lasciati a fare la guardia ai
nanorobot ancora li attendevano.
Yu-Ling era
assieme a loro, ed aveva ripreso i sensi.
«Non sarebbe
meglio andarcene di qui?» domandò Balalaika
«Lassù… lassù si
stanno ancora ammazzando.» rispose Samejima tenendosi con forza la ferita al
fianco infertagli da Revy «E tutte le uscite sono sbarrate. L’unica via
d’uscita è il tetto».
In quella la
ricetrasmittente che Boris portava nella tasca interna della giacca iniziò a
gracchiare, e il soldato se la portò all’orecchio.
«Sono Boris…
d’accordo. Capitano. L’elicottero è atterrato sul tetto.»
«Molto bene.
Ordina loro di entrare nell’albergo e fare piazza pulita degli ultimi rimasti.»
«Sissignore. E
come ci comportiamo con quelli della Lagoon? Sembra siano ancora vivi.»
«A questo punto di
loro non abbiamo più alcun bisogno.»
«Signore?» disse
Boris con comprensibile stupore
«Fate fuori anche
loro. Non dobbiamo lasciare testimoni.»
«Io… sì capitano.»
«Yu-Ling, vai
anche tu.» disse Samejima «Prima ce ne andiamo meglio è.»
«Sì padre».
Non appena la
ragazza se ne fu andata l’uomo, barcollando vistosamente, raggiunse il
contenitore frigorifero, e apertolo nuovamente recuperò uno dei contenitori.
«Che stai
facendo?» domandò Balalaika
«Ora che sappiamo
che funziona non c’è alcun motivo per indugiare.»
«Sei sicuro di
quello che stai facendo? Il tuo codice genetico potrebbe non essere adatto.»
«Se non hai le
palle per correre il rischio affari tuoi. Io non ho intenzione di crepare
dissanguato, non con un simile ritrovato fra le mani».
Determinato come
non mai Samejima si tolse la sua bella giacca grigia e si sollevò la manica
destra della camicia, mettendo a nudo il suo braccio leggermente ossuto ma
comunque abbastanza robusto, quindi, sfruttando i numerosi e piccoli aghi da
iniezione che spuntavano da una delle due estremità metalliche del contenitore,
si iniettò i nanorobot.
L’operazione
doveva essere molto dolorosa, perché l’uomo strinse vigorosamente i denti, e
per i successivi secondi il suo volto si contorse in una smorfia di stentata
sopportazione.
Poi, ad un certo
punto, l’espressione sofferente fece posto ad una come di leggero godimento, e
Samejima, alzatosi in piedi, si strappò via la camicia imbrattata di sangue;
Balalaika e i suoi uomini poterono vedere la ferita al fianco rimarginarsi a
vista d’occhio, e tutto ciò che ne rimase dopo una trentina di secondi era una
piccola cicatrice.
«È…» disse la
donna «È incredibile».
Persino Samejima
non riusciva a credere ai propri occhi, e la sensazione che pervadeva tutto il
suo corpo non si poteva descrivere.
«Mi sento… come se
fossi rinato. È come se un fiume di lava mi scorresse nelle vene. Sento… di
poter fare qualsiasi cosa».
Con sguardo a metà
fra la completa incredulità e il delirio di onnipotenza l’uomo allungò il
braccio; Boris avvertì in quella un formicolio al fianco, e appena aprì la
giacca per capire di che si trattava vide la propria pistola scivolare via
dalla fondina per volare, lentamente, in mano a Samejima, a cui bastò
stringerla leggermente nel pugno per ridurla in pezzi come fosse stata di
marzapane.
«Sì! Sì!» disse
sgranando gli occhi «Questo potere… il potere di un dio… è nelle mie mani!».
La sua espressione
si fece rapidamente in tutto e per tutto simile a quella di un pazzo furioso,
del resto autodefinirsi un dio non era certo cosa tipica di una persona sana.
In pochi attimi ogni traccia di lucidità parve scomparire dal suo sguardo,
lasciando posto ad un sadico delirio capace di mettere paura persino a
Balalaika.
«Sa… Samejima…»
«Ne voglio ancora!
Voglio più potere!».
Prima che qualcuno
potesse intervenire Noboru afferrò quasi tutti i contenitori e se li infilò
tutti insieme nello stomaco con entrambe le mani. Il dolore, logicamente, fu
cento volte più forte della prima volta, tanto che cadde pancia a terra quasi
in posizione fetale, e dopo poco gli occhi i suoi occhi sembrarono farsi giallo
oro, simili a quelli di un leone.
Balalaika e i suoi
non fecero in tempo a fermarlo, e all’improvviso videro tutto il suo corpo
cominciare a contorcersi come se avesse avuto una miriade di insetti che gli
camminavano sotto la pelle; i suoi urli e i suoi mugugni doloranti parvero
tramutarsi in una specie di ringhiare sommesso, e in breve intere porzioni di
pelle cominciarono letteralmente ad esplodere sotto la spinta di lunghi e
minacciosi tentacoli marroni.
Quando si rialzò aveva
guadagnato quasi mezzo metro di altezza, e un corpicino dapprima piuttosto
minuto ora traboccava di muscoli che non smettevano un attimo di contorcersi;
l’urlo demoniaco che Samejima lanciò mettendosi in piedi riecheggiò per tutto
il laboratorio e fu udito anche da Revy e dagli altri, i quali stavano
lentamente risalendo verso la superficie usando l’ascensore di servizio, che a
differenza di quello usato precedentemente impiegava circa dieci minuti ad
andare da un livello all’altro.
«Che diavolo era
quello?» domandò Revy.
Gli uomini di
Hotel Moskow ne avevano viste di cose spaventose nei lunghi anni trascorsi in
giro per i peggiori campi di battaglia del mondo, ma nulla era paragonabile
all’essere che stava prendendo forma davanti ai loro occhi.
Sembrava un
incrocio fra Mr. Hyde e una piovra gigante, unghie e denti cadevano a ritmo
incessante per fare posto a dei sostituti molto più affilati, la pelle sembrava
pian piano venire ricoperta di croste marroni dall’odore nauseabondo mentre qui
e là continuavano a spuntare quei lunghi tentacoli carnosi che si agitavano
nell’aria come un esercito di serpenti.
Il Vysotniki
sopravvissuto alla battaglia nel secondo livello fu il primo a perdere
l’autocontrollo, e alzata la sua arma sparò cinque colpi praticamente d’istinto
diretti alla schiena di Samejima, ma nessuno di questi sortì l’effetto di
ucciderlo, e anzi dai fori di entrata sbucarono dopo alcuni secondi altri
tentacoli. Uno di questi, guizzando come una frusta, colpì l’aggressore,
aprendolo a metà con un taglio obliquo dall’ascella sinistra al fianco destro
come neanche una lama affilata avrebbe saputo fare.
Balalaika
assistette alla scena, e per la prima volta dai tempi della guerra il suo fu
uno sguardo di terrore; Boris, istintivamente, si parò in sua difesa, gli altri
due uomini invece presero le pistole e iniziarono a sparare all’impazzata a
quella creatura e ogni secondo che passava sembrava sempre meno umana.
Samejima, dietro
quella scarica di colpi, si girò nella loro direzione, e persino Boris per poco
non vomitò; la bocca grondava sangue, forse a causa della caduta dei denti,
sostituiti da vere e proprie fauci da squalo, gli occhi, gialli e brillanti,
erano quasi completamente fuori dalle orbite, gli erano caduti tutti i capelli
e del naso era rimasta solamente la parte ossea.
Non appena i due
mafiosi esaurirono i caricatori vennero a loro volta tranciati a metà, e a quel
punto rimasero solamente Boris e Balalaika. Entrambi cercarono di guadagnare
l’uscita, ma il mostro, con un’incredibile agilità, si piazzò davanti alla
porta bloccando loro ogni via di fuga.
Boris
istintivamente fece per sfoderare la pistola, ricordandosi solo in quel momento
di non avercela più; non fece in tempo a rendersene conto che venne trafitto al
petto da un tentacolo partito dal palmo della mano di Samejima come da una
spada. Dopo essere stato sollevato in aria fu fatto dondolare per qualche
attimo, poi, non appena smise di agitarsi, con uno scatto rabbioso venne scaraventato
contro il muro.
Balalaika osservò
terrorizzata la sua ultima linea difensiva venire abbattuta, e quando si
ritrovò faccia a faccia con quel mostro tremò come una bambina.
Lui la guardò, ma
non sembrava intenzionato a riservarle lo stesso trattamento; tuttavia, dopo
poco, cominciò a camminare lentamente verso di lei.
«No…» balbettava
lei camminando all’indietro «Non avvicinarti!».
Anche lei, spinta
dalla disperazione, sparò tutti i colpi della sua pistola, ma come era già
accaduto prima non vi fu alcun effetto, e in pochi secondi la donna si ritrovò
con le spalle al muro.
Il mostro a quel
punto si fermò, la guardò ancora poi, ringhiando, le sparò lo stesso tentacolo
con cui aveva colpito Boris diritto in bocca, e un istante dopo l’aria fu sventrata
da un urlo agghiacciante.
L’ascensore di servizio avrebbe dovuto condurre Revy e gli
altri direttamente nei sotterranei dell’albergo, ma quando la cabina passò
davanti alla porticina che sbucava in una stanzetta del primo livello dei
laboratori Kyuzo, ormai rimessosi quasi del tutto grazie agli straordinari
poteri curativi dei nanorobot, spinse la leva che azionava il freno.
«Kaito, che stai
facendo?» domandò Rock
«Io scendo qui.»
rispose lui aprendo la porta
«Perché, cosa vuoi
fare?»
«Bisogna
disinnescare le bombe che avete in corpo e sbloccare le uscite dell’albergo se
vogliamo andarcene, e la consolle nella stanza di comando è l’unico punto da
cui può essere fatto.»
«Ma perché devi
essere tu a farlo?» chiese Steven
«Forse perché sono
l’unico a conoscere i codici di sicurezza.»
«Vengo con te.»
«Non dire scemenze
Okajima. Tu hai ben altro da fare. Andate ora, avvertirò Dutch e gli altri
superstiti di lasciare l’albergo. E fate attenzione, perché sicuramente ci
saranno dei Vysotniki ad aspettarvi al varco.»
«D’accordo.»
rispose Hibraim dandogli la propria pistola «Ma porta questa con te. potrebbe
servirti.»
«Ti ringrazio».
Kyuzo fece per
chiudere la porta, ma Revy lo fermò all’ultimo secondo.
«Ehi, supereroe da
quattro soldi».
Si guardarono, e
dopo poco lei gli lanciò un sorriso provocatorio.
«Cerca di non
crepare. Ammazzarti è un privilegio che spetta a me.»
«Farò il
possibile.» rispose lui con la stessa espressione «Del resto, sono curioso di
sapere cosa vi siete dette tu e mia sorella».
Detto questo Kyuzo
chiuse la porta e si avviò in tutta fretta verso la sala controllo.
Appena uscì in
corridoio si ritrovò davanti a qualcosa di incredibile e sconvolgente; tutto lì
dentro era devastato, molte lampade erano distrutte, cavi e tubature pendevano
dal soffitto, e in più punti delle pareti si notavano profondi solchi a gruppi
di tre che parevano lasciati dagli artigli di un gigantesco animale.
«Che diavolo è
successo qui?» si domandò senza smettere di correre.
Nulla di tutto ciò
però poteva prepararlo a quello che trovò al suo arrivo in sala controllo; la
porta d’ingresso era stata divelta, e la parete tutto intorno sfondata.
All’interno, il pavimento era un tappeto di sangue, cadaveri e interiora, e
Kaito non riusciva a capire chi o che cosa avesse potuto compiere un simile
macello.
«Mio Dio, ma
cosa…».
Appena vide il
contenitore criogenico aperto subito ci si fiondò sopra, trovandovi però un
solo campione di nanorobot.
«Dannazione. Beh,
uno basta e avanza per adesso».
Fortunatamente la
consolle funzionava ancora, quindi, senza pensare ad altro, immediatamente
cominciò a lavorare ai codici di sicurezza, riuscendo in pochi minuti a
disattivare tutte le cariche esplosive ancora funzionanti e a sbloccare tutte
le porte, inclusa quella principale.
Stava per attivare
i microfoni dell’albergo per avvertire tutti i superstiti del Death Game
affinché abbandonassero immediatamente l’edificio, ma gettando uno sguardo ai
monitor vide, come previsto, che l’albergo pullulava di Vysotniki, intenti a
fare strage degli ultimi concorrenti.
Nello stesso
momento, alcuni di loro stavano seriamente impegnando Dutch, che nascondendosi
dietro ad un angolo nei corridoi del primo piano cercava di sfuggire a quelle
raffiche micidiali.
«Ma si può sapere
che diavolo succede?» brontolò il gigante ricaricando la sua magnum «Da dove
sono saltati fuori tutti questi Vysotniki? E soprattutto, perché ci sparano!»
«Perché vi
vogliono morti, mi sembra ovvio!» rispose una voce famigliare
«Ma cosa…».
Dutch guardò
attonito il suo orologio-segnalatore, vedendo riflessa sul piccolo monitor la
faccia, ora molto più amichevole, di Kyuzo.
«Tu, bastardo! È
anche questa opera tua?»
«No, decisamente
no.» rispose lui.
Non solo Dutch, ma
anche ma anche Revy, Eda e Benny, ovvero gli unici partecipanti al Death Game
ancora in gioco, si erano ritrovati di colpo a tu per tu con colui che li aveva
rinchiusi lì dentro; Benny si trovava nei bagni di servizio poco distante dalla
posizione del suo collega nero, Eda invece sul bordo di una delle terrazze che
davano sull’ingresso, dove si era appena liberata di un manipolo di aggressori.
«Se proprio volete
saperlo, questo gustoso scherzetto è opera di Balalaika.»
«Che cosa!?
Balalaika!?»
«Ma non dire
stronzate.» disse Eda «Balalaika l’ho ammazzata io, con le mie mani!»
«Quella era solo
una sosia.»
«Una sosia!?»
«La verità è che
ci ha menati tutti per il naso fin dall’inizio. Ora che ha avuto ciò che voleva
intende sbarazzarsi di ogni possibile testimone, quindi sarà meglio per tutti
levare le tende il prima possibile.»
«Non è
possibile!?» disse Benny «Mi stai dicendo che Balalaika… ci ha traditi?»
«Tradimento è una
parola inesistente nel suo vocabolario. Del resto, il voltafaccia è la sua
specialità.
Contro i Vysotniki
non resisterete a lungo, quindi sbrigatevi a raggiungere le uscite.»
«Cosa, le
uscite!?» esclamò Dutch «Così se non ci ammazzano loro lo faranno le tue
stramaledettissime bombe!»
«Le ho
disinnescate tutte. E ho anche sbloccato le porte. Fareste meglio ad andare
prima che se ne accorgano anche loro.»
«Fanculo, chi ci
dice che non sia un altro dei tuoi sadici giochetti?»
«Mettiamola così,
potete scegliere se fidarvi di me, oppure restare e venire ammazzati. La scelta
è vostra».
Dutch digrignò i denti, era chiaramente
indeciso se dare retta o meno a Kyuzo, ma mentre cercava di soppesare tutte le
possibili alternative dall’orologio giunse una nuova voce, anch’essa a lui ben
nota.
«Dutch, smettila
di fare il diffidente stronzo e dagli retta!»
«Cosa, Revy!?»
disse Benny
«Ah già, mi ero
dimenticato di dirvelo.» intervenne Kyuzo «Le radio degli orologi sono
collegate fra di loro.»
«Dutch, sta
dicendo la verità. Quella stronza ci vuole tutti morti, e se non ce ne andiamo
di qui al più presto ci ammazzeranno davvero!»
«Merda. D’accordo,
se lo dici tu mi fido.»
«Ottimo. Allora
sbrigatevi».
Benny fu il primo
a raccogliere l’invito e se la diede a gambe passando per la porta principale
senza incontrare fortunatamente alcuna resistenza, Eda usò la scala di
emergenza, Dutch invece, essendo bloccato dal fuoco ininterrotto dei Vysotniki,
dovette ricorrere a metodi più sbrigativi, buttandosi di sotto da una finestra.
Il suo volo di
sette metri venne fortunatamente attutito da una palma, ma non fu mai così
contento di poggiare il suo enorme fondoschiena sull’asfalto di Bangkok. Benny
gli corse incontro.
«Dutch! Tutto
bene?»
«Sono stato
meglio. A quanto pare quel piccolo bastardo diceva la verità. Dov’è Revy?»
«Io non l’ho vista.
Probabilmente è ancora all’interno».
Dopo poco furono
raggiunti da Eda.
«Ehi, chi si
rivede. Allora siete sopravvissuti anche voi.»
«Che c’è, sei
sorpresa?» domandò provocatoriamente Dutch «Piuttosto trovo incredibile che tu
sia stata capace di conservare la pellaccia per tutto questo tempo.»
«Ehi, bada a come
parli. Mi è rimasto ancora un colpo.
Cambiando
discorso, Two-Hands non è con voi?»
«Tu la vedi per
caso?».
Pochi minuti dopo finalmente Revy e gli altri occupanti
dell’ascensore raggiunsero il pianterreno dell’albergo, dove il punto di arrivo
era mascherato all’interno di una delle quattro grosse colonne del ristorante
francese.
«Forza.» disse
Steven «Sbrighiamoci ad uscire, prima che ci siano addosso.»
«Procedete con
estrema cautela.» disse Kyuzo, sempre attraverso la radio da polso di Revy «Ce
ne sono ancora molti in giro… cazzo, attenti, stanno arrivando!»
«Da dove?» chiese
Revy
«Porta d’ingresso!
Sono tantissimi!».
Prima che anche
gli altri potessero rendersene conto la grande porta a due ante fu sventrata da
una granata, e una quindicina di Vysotniki fece irruzione nel locale. Revy
ribaltò immediatamente il tavolo più vicino, giusto in tempo per evitare la
prima raffica, dietro al quale tutti si nascosero.
«Merda!» disse Revy
«Sono come gli scarafaggi, non te ne liberi mai!»
«Meno chiacchiere»
rispose Hibraim «Cerchiamo piuttosto di uscire vivi!».
Come la prima
volta furono Revy e Steven a dirigere le danze, ma a differenza del primo
scontro stavolta i Vysotniki sembravano molto più agguerriti, senza contare che
spazi angusti e pieni di nascondigli come quel ristorante costituivano il loro
campo di battaglia ideale.
Tre di loro,
rimasti sulla porta, offrivano copertura sparando continuamente, e intanto gli
altri si avvicinavano sempre di più, rendendo le loro sventagliate più precise
e letali.
Steven venne
ferito leggermente alla spalla quando si sporse per rispondere al fuoco, Revy
invece fu colpita di striscio alla gamba, e più i secondi passavano più la
situazione si faceva disperata.
«Merda, siamo in
trappola!» disse Steven «Ci vorrebbe un miracolo!»
«Ma non dire
cazzate!» rispose Revy ricaricando le sue armi «I miracoli ce li creiamo da
soli! Sta a guardare!».
Senza un briciolo
di esitazione Two-Hands lasciò il proprio nascondiglio e cominciò a correre
lateralmente, sparando all’impazzata; molti Vysotniki caddero sotto i suoi
colpi, alcuni di quelli che si distrassero per starle dietro furono prontamente
centrati da Steven.
All’improvviso,
mentre tutti erano ancora intenti a spararsi, un verso terrificante simile ad
un ruggito risuonò nell’aria, accompagnato da un impercettibile quanto
preoccupante tremolio delle pareti.
Sia i Vysotniki
che i loro bersagli rimasero immobili per lo spavento, non riuscendo a capire
di che potesse trattarsi, poi, di colpo, una parete andò letteralmente in pezzi
come colpita da un bulldozer, e dal polverone così prodotto uscì lentamente una
creatura che solo con molta fantasia si poteva definire umana.
Alto più di due
metri, quella specie di mostro aveva la pelle di un colore marrone, quasi
squamosa, in cui le vene, soprattutto nelle gambe, sembravano quasi brillare di
rosso; in alcuni punti sembrava addirittura che i muscoli, rossi e pulsanti,
fossero usciti all’esterno, soprattutto sul torace e sulla testa, dove la
scatola cranica era in parte esposta.
Ciò che più
spaventava di lui però era il braccio sinistro, grosso come quello di un
gorilla e la cui la mano sembrava quella di un rettile, con tre dita grosse e
lunghe, quello centrale più degli altri, armate tutte di minacciosi uncini; la
mano destra era tutto sommato normale, fatta eccezione per i cinque artigli che
sporgevano da ogni dito, ognuno dei quali superava i cinquanta centimetri di
lunghezza;.
Al posto dei denti
aveva quattro file di fauci acuminate, due in alto e due in basso, gli occhi
erano molto più grossi di quelli di un essere umano, quasi completamente fuori
dalle orbite e anch’essi simili a quelli di un rettile, e del naso si vedevano
solamente i fori ossei.
Qua e là, in varie
parti del suo mostruoso corpo, spuntavano lunghi tentacoli carnosi che non
smettevano di agitarsi.
«Ma cosa diavolo…»
disse Revy sgomenta.
A trovarselo più
vicino furono i Vysotniki, che terrorizzati non esitarono a fregarsene dei loro
obiettivi primari per sparare nella sua direzione, ma per quanto lo colpissero,
facendo schizzare fiotti di sangue, quello non sembrava neppure provare dolore.
Dopo alcuni
secondi, forse irritato per quelle raffiche che non smettevano di abbattersi su
di lui, il mostro lanciò un ringhio terrificante, e con un’agilità del tutto
inconsueta per la sua stazza si avventò sui russi, facendone strage; li
trapassava con gli artigli, gli fracassava le teste stringendole nella mano, o
li apriva coi suoi tentacoli, che colpivano peggio di un nugolo di fruste
affilatissime.
Revy e gli altri
assistettero immobili e terrorizzati, e persino Kyuzo, che osservava la scena
grazie alle telecamere, si sentì tremare leggermente le gambe.
«Mio dio, ma
cosa…».
Non appena i
Vysotniki furono tutti morti la creatura inevitabilmente si concentrò sui
superstiti. Per interminabili secondi rimase immobili a fissarli, e ogni
istante sembrava essere quello dell’assalto.
Invece, a
sorpresa, fu Revy a fare la prima mossa, sollevando le sue due pistole e
mettendosi a sparare, urlando contemporaneamente con tutta la sua voce.
«Revy!» cercò di
dire Rock «Non fare pazzie!».
Come previsto
quella nuova pioggia di pallottole non sortì alcun effetto, e in breve
Two-Hands si ritrovò nuovamente a secco di munizioni, ma questo non bastò
certamente a scoraggiarla; rinfoderate le pistole, sollevò in aria con il piede
il fucile a canna mozza di un Vysotniki morto, quindi riprese a sparare.
Questa volta la
pioggia di pallettoni sembrò produrre qualche risultato, perché il mostro,
investito in pieno, cominciò a camminare all’indietro, ma quando anche
quell’arma fu vuota era ancora in piedi, e dopo alcuni secondi tutte le ferite
che Revy gli aveva inferto cominciarono rapidamente a scomparire.
«Oh, merda!».
Un nuovo,
terrificante ruggito fu ciò che spinse lei e gli altri ad abbandonare in tutta
fretta il campo; purtroppo, essendo la strada verso l’uscita sbarrata dal
mostro, l’unica via di salvezza si rivelò la cucina, che fra le altre cose
aveva una porta che dava sulla scala interna di servizio.
Steven la aprì nel
momento esatto in cui anche la creatura entrava in cucina sfondando la doppia
porta, chiudendola immediatamente dopo che tutti furono entrati e usando la sua
tessera di riconoscimento per chiuderla a chiave.
Il mostro ci si
avventò sopra un istante dopo ma fortunatamente la porta era a doppia
blindatura e resistette, anche se l’urto spaventoso la fece piegare leggermente
verso l’interno.
«Che cazzo era
quello!?» domandò Revy
«Ho paura a dirlo»
rispose Kyuzo «Ma credo fosse Samejima.»
«Che cosa!? Quel
mingherlino giapponese tutto azzimato!?»
«Ma come ha fatto
a diventare così?» chiese Hibraim
«Temo si sia
iniettato una quantità esorbitante di nanorobot, così tanti da alterare il suo
codice genetico provocando una mutazione.»
«Gli ho sparato
più di trenta colpi senza fargli un graffio.» disse Revy
«La cosa non mi
sorprende, con tutti i nanorobot che si ritrova in corpo, e se proprio volete
saperlo credo che la sua mutazione sia solo all’inizio.»
«Noi cosa possiamo
fare per togliercelo di mezzo?» chiese Steven
«Non molto temo. La
sua velocità di guarigione è troppo rapida».
Un silenzio
angosciato si diffuse tra i presenti, e intanto quel mostro continuava incessantemente
a colpire la porta nel tentativo di sfondarla.
«Ragazzi…» disse
Kyuzo dopo un po’ «Sono costretto a riattivare le chiusure di emergenza e a
sigillare l’albergo. Non possiamo permettere a quel mostro di andarsene in giro
indisturbato per le strade di tutta Bangkok.»
«Sì, ti capiamo.»
rispose Rock con voce da funerale «Procedi pure».
Alcuni secondi
dopo Dutch, Eda e Benny, che ancora attendevano fuori dall’Hotel Universe
l’arrivo di Revy, videro tutte le porte e le finestre dell’edificio venire
sbarrate da delle robuste grate di metallo, trasformando di fatto l’albergo in
una sorta di insuperabile prigione.
«E ora che diavolo
sta succedendo?».
Benny, che aveva
ancora con sé il palmare, si collegò alle telecamere, e non appena vide quel
mostro intento a colpire la porta della scala di servizio a suon di spallate,
incrinandola sempre di più, per poco non se la fece sotto.
«Oh, mio Dio.»
«Che cazzo di
bestia è quella?» domandò Dutch.
Completata la
messa in sicurezza dell’albergo, Kyuzo si appoggiò sconsolato alla consolle,
senza più idee.
Cosa potevano fare
per riuscire ad avere la meglio su quella creatura all’apparenza immortale?
Un’idea, dopo
poco, gli balenò in testa.
Una soluzione
forse c’era, ma era molto rischiosa. Una volta sigillato l’albergo uscire era
praticamente impossibile, quindi, di conseguenza, tale soluzione imponeva quasi
sicuramente la morte di tutti coloro che ancora si trovavano al suo interno.
«Che possiamo fare
adesso?».
Anche Revy e gli
altri erano visibilmente sconvolti, con la rassegnazione dipinta sul viso;
ormai non prestavano neanche più attenzione ai ruggiti terrificanti del mostro
e al rumore dei suoi colpi contro la porta blindata, che più passava il tempo
più si incrinava.
Era dunque quello
il loro destino?
Sarebbero morti
tutti, proprio quando erano ad un passo dalla salvezza?
Kyuzo chiuse gli
occhi, cercando in tutti i modi di farsi venire un’idea, quando improvvisamente
una mano gli si avvinghiò alla caviglia.
Istintivamente
afferrò la pistola ricevuta da Hibraim e la puntò ai suoi piedi, incrociando lo
sguardo spento e quasi morente di Boris; nuotava nel sangue che continuava ad
uscire dall’orrenda ferita provocatagli da Samejima, e appariva chiaro che la
sua vita fosse ormai prossima a finire.
«Il…» mugugnò
sputando fiumi di saliva insanguinata «Il tetto…»
«Che cosa!?»
«C’è… c’è… un
elicottero…»
«Un elicottero!?
Mi stai dicendo che c’è un elicottero sul tetto…»
«Il nostro…
elicottero…».
Kyuzo cercò di
soccorrerlo, malgrado solo due giorni prima lo avesse quasi ucciso, e il russo,
infilata una mano nella giacca, ne cavò fuori due cd-rom nelle rispettive
custodie.
«P… prendi
questi…»
«Che cosa sono?»
«I… risultati
delle ricerche… la cura… è qui dentro…».
Il giovane,
attonito, prese i cd mettendoseli in tasca, e subito dopo la mano che stringeva
cominciò a perdere rapidamente di forza.
«Da… dasvidania…» fu
l’ultima parola che Boris pronunciò prima di morire.
Per lunghissimi
istanti Kyuzo stette immobile ad osservare il corpo senza vita di quell’uomo,
stringendo la sua mano ormai morta, ma poi, con rinnovato spirito, afferrò
nuovamente il microfono.
«Ascoltatemi bene,
c’è una possibilità.»
«Che cosa!?» disse
Revy «Sputa il rospo, di che si tratta?»
«C’è un elicottero
sul tetto, quello con cui probabilmente sono arrivati Samejima e Balalaika.
Possiamo usarlo per andarcene.»
«Alla grande! E
allora forza, muoviamoci!»
«Ma come facciamo
con Samejima?» chiese Rock «Non possiamo certo lasciarlo in vita.»
«Non temere, ci ho
già pensato. C’è una soluzione anche per questo.»
«Una soluzione?»
disse Steven, che dopo poco ebbe l’illuminazione «Ma certo, la bomba!»
«Di che bomba
parli?» domandò Revy
«Quella che era
stata piazzata nei sotterranei. Un piccolo espediente nel caso il Death Game
fosse sfuggito al nostro controllo.»
«Volevate farci
saltare in aria!? Ma io vi…»
«Ora non c’è tempo
per questo.» intervenne Kyuzo «Sbrigatevi a raggiungere il tetto. Io imposterò
il computer per programmare l’esplosione a distanza.»
«D’accordo.»
rispose Steven «Sbrigati a raggiungerci, e fa attenzione al mostro.»
«Ok, userò
l’ascensore principale.»
«Perfetto. Forza,
muoviamoci!».
Chiusa la
comunicazione, Kyuzo cominciò a lavorare al computer centrale della bomba, che
come tutte le altre apparecchiature poteva essere controllato direttamente
dalla consolle principale, ma ad un certo punto su di un angolo del monitor si
accese un led rosso. Il ragazzo lo osservò dapprima incredulo, poi chiuse gli
occhi accennando un sorriso.
«Beh, tanto
sarebbe comunque finita così».
Completato il
lavoro fece per lasciare la stanza, quando, fra le macerie, notò casualmente la
famosa pistola rinvenuta nella cabina della Seaborn Star, accanto alla sedia di
Harue, e come un fulmine a ciel sereno si ricordò della promessa fatta tanto
tempo prima. Quella promessa doveva ancora essere mantenuta, quindi, recuperata
l’arma, la infilò alla cintura dietro la schiena, e a quel punto si diresse
verso l’ascensore.
Steven, Hibraim, Rock e Revy presero a salire il più
velocemente possibile le scale di servizio in direzione del tetto, contando
freneticamente sia i piani che li separavano dalla salvezza sia quelli che
avevano messo fra loro e il mostro.
Quel bestione non
aveva alcuna intenzione di arrendersi, e difatti, ad un certo punto, la porta
blindata cedette, permettendogli di entrare.
«Oh, merda!» disse
Steven guardando di sotto «Correte!».
Tutti quanti
misero tutta la forza loro rimasta nelle gambe e presero a correre il più
velocemente possibile, ma nonostante ciò il mostro si faceva sempre più vicino,
questo perché invece che salire di gradino in gradino riusciva con un solo
balzo a percorrere un’intera rampa.
Era evidente che
non avrebbe impiegato molto a raggiungere il gruppo, e al tetto mancavano
ancora molti piani.
L’unica soluzione
per riuscire a guadagnare un po’ di tempo era quella di separarsi, quindi,
giunti al dodicesimo piano, Revy e Rock imboccarono la porta d’uscita, mentre
Hibraim e Steven continuarono a salire lungo le scale, e purtroppo fu su questi
ultimi che il mostro decise di concentrare la propria attenzione.
«Porca puttana,
quello non ci molla! Hibraim, corri!».
Le gambe di Steven
gli permettevano di correre molto veloce, ma l’iracheno purtroppo non aveva lo stesso
privilegio; Steven faceva il possibile per riuscire a stargli vicino, ma
intanto Samejima si avvicinava sempre di più, e ormai a dividerli c’erano solo
sei o sette rampe.
All’improvviso
Hibraim, sovraeccitato e terrorizzato, appoggiò male il piede su uno scalino,
cadendo molto malamente e provocandosi una slogatura.
«Hibraim!» disse
Steven tornando indietro.
Cercò di aiutarlo
a rialzarsi, ma il dolore alla caviglia era tremendo e non gli riusciva neppure
di muoversi.
«È inutile, non ci
riesco!»
«Non dire
stupidaggini! Forza, siamo quasi in cima!»
«Mi fa troppo
male! Non riuscirei neanche ad appoggiarla a terra!».
Steven fece per
aiutarlo a rialzarsi, ma Hibraim lo allontanò violentemente.
«Vattene, va’ via
di qui!»
«Non posso farlo! Non
puoi chiedermi di abbandonarti!»
«Finiscila di
sparare cazzate e vattene! Vuoi che quel mostro ci ammazzi entrambi?»
«Hibraim…».
Per la prima volta
dopo tanto tempo, dal giorno della morte del padre, Steven pianse nuovamente.
«Vai, Steven.» gli
disse l’iracheno in tono più pacato, non molto diverso da quello di un fratello
«È meglio così.»
«Amico mio…»
«Hai promesso di
rifondare la tua compagnia. Non puoi morire qui. Io quello che dovevo fare l’ho
fatto. Sta a voi scegliere l’uso migliore per le mie scoperte».
Alla fine,
piangendo tutte le sue lacrime, Steven accettò l’inevitabile e abbandonò il
proprio amico proseguendo nella salita. Rimasto solo, Hibraim sorrise.
«Certo che è una
bella sfortuna».
Quando il mostro
raggiunse il pianerottolo che stava subito prima della rampa dove l’iracheno
era stato lasciato lo trovò con in mano una cintura militare piena di granate,
sottratta probabilmente ad uno dei Vysotniki uccisi al secondo livello.
«Samejima, volevo
dirtelo da tanto tempo. Vaffanculo.» quindi tirò una delle linguette.
L’esplosione che
ne derivò distrusse quasi interamente la tromba delle scale; Steven, che nel
frattempo aveva raggiunto il penultimo piano, fece appena in tempo ad aprire la
porta e a buttarsi a terra, evitando di venire investito dalla nube di fuoco
proprio per un soffio.
«Hibraim!».
Nello stesso momento Revy e Rock, tenendosi insolitamente
per mano, stavano attraversando in tutta fretta il dodicesimo piano per
raggiungere la scala principale, posta dal lato opposto a quella di servizio, e
poter così riprendere la salita verso il tetto.
Non sapevano se il
mostro li avesse scelti o meno come bersaglio, quindi erano più che mai ansiosi
di andarsene da lì e mettere finalmente la parola fine a quell’incubo surreale.
Avevano corso così
tanto da avere entrambi il fiatone e quando, giunti sulla terrazza che si
affacciava sull’androne principale, ebbero la certezza di non essere seguiti,
decisero in comune accordo di fermarsi per riprendere fiato.
«Forse…» disse Rock
«Forse l’abbiamo seminato.»
«Sì, ma non
dormire sugli allori. Non è ancora finita»
«Hai ragione,
scusa».
Revy, calmato il
battito, si appoggiò al parapetto, mentre Rock al contrario ci stava mettendo
più del previsto a recuperare le energie; non era proprio tagliato per quel
genere di vita.
«Senti Rock. C’è
una cosa che volevo chiederti.»
«Di che si
tratta?» domandò lui ancora con il fiatone
«Beh ecco… non
credo tu sia stato coinvolto in questo stupido gioco, o sbaglio?»
«No, infatti.
Quando mi sono svegliato ero nei sotterranei. Forse per via della nostra
vecchia amicizia Kaito ha voluto lasciarmi fuori.»
«Capisco. Beh, se
è così, che ci facevi qui nell’albergo prima, quando ti ho visto insieme a
lui?».
Okajima a quella
domanda si ritrovò del tutto impreparato a rispondere, rimanendo con gli occhi
sbarrati e la bocca socchiusa.
Solo dopo molte
esitazioni infine trovò la forza per rispondere.
«Io… io ero
preoccupato per te.»
«Preoccupato… per
me!?» replicò lei con la medesima espressione
«Quando ho sentito
cosa avevano in mente di farti, ho cercato di venirti a salvare. Volevo
aiutarti, fare qualcosa, ma invece non ho fatto altro che mettermi nei guai, e
se Kaito non fosse venuto ad aiutarmi a quest’ora sarei sicuramente morto.
Mi dispiace, Revy.
La verità è che non so proteggere nessuno, neppure me stesso».
Two-Hands restò
così impressionata dalle parole del suo partner che, come lui, non riuscì a
trovare la forza per rispondere; solo poche ore prima l’aveva quasi uccisa, e
poi d’improvviso si era quasi fatto ammazzare per cercare di aiutarla?
Solo in quel
momento, dopo quasi due anni, Revy cominciava a scoprire sul serio la sua vera
personalità.
«Sei uno stupido,
Rock.» disse accendendosi la sua ultima sigaretta «Cosa ti fa pensare che io
potessi aver bisogno del tuo aiuto? Che tipo di aiuto potresti mai darmi?».
In altri tempi
Rock si sarebbe accorto fin da subito della scarsa convinzione che Revy aveva
infuso in quelle parole, ma per lo stato in cui era gli sembrarono terribili e
incredibilmente ammonitorie.
«Hai perfettamente
ragione. Ma tu hai rischiato tante volte la vita per aiutarmi, che ho pensato
fosse venuto il momento di ricambiare. In realtà, non ho fatto altro che
peggiorare le cose.»
«Forse. Ma devo
ammettere che quando hai fatto esercizi di boxe sulla faccia della sorellona
hai dimostrato un fegato che non ti avrei mai attribuito.»
«Non so cosa mi
sia preso. Tutto d’un tratto, non ci ho visto più. Quella donna ha rovinato la
vita di decine di persone per soddisfare il suo egoistico desiderio personale.
Non potevo permetterle di passarla liscia, non potevo.»
«Beh, se ti può
consolare, anch’io d’improvviso ho avuto una gran voglia di ammazzarla. Dovrò
ricordarmi di ringraziare Kyuzo per avermi fatto capire che razza di stronza
era».
Seguì, un nuovo
silenzio, poi Revy fece qualcosa che Rock non avrebbe mai più dimenticato.
«Rock… mi
dispiace».
Lui la guardò come
si guarderebbe un fantasma.
«Mi dispiace di
avertelo tenuto nascosto per tutti questi anni.»
«Ma cosa dici,
Revy. Tu non hai fatto niente.»
«Appunto. Potevo
salvarla. Potevo salvare quella ragazzina, e impedire che si compisse quella
strage. Nulla di tutto questo sarebbe mai accaduto se avessi dimostrato un
cazzo di coraggio.»
«Revy, non devi
essere in collera con te stessa. Ciò che conta ora è uscire di qui. Sono certo
che Harue non ti ha dimenticata. Sono anzi convinto che ti sia profondamente
grata per aver tentato di proteggerla, e che presto vi ritroverete.
Tra poco Kaito
potrebbe non esserci più, e lei avrà bisogno di un nuovo fratello.»
«Sì, forse.»
rispose lei a bassissima voce «Ma quello non è un ruolo che spetterà a me».
D’un tratto, un
rumore sommesso di passi fece terminare anzitempo quella insolita
conversazione.
Revy e Rock si
misero subito sul chi vive, poi, da un corridoio laterale dinnanzi a loro,
videro uscire qualcuno che non si aspettavano, ed entrambi a stento si
trattennero dal vomitare inorriditi.
Balalaika,
I suoi capelli
biondi, solitamente annodati, erano ora sciolti, ma anche imbrattati di sangue.
La giacca militare che portava di solito non c’era più, le mancava una scarpa,
e il suo vestito rosso appariva strappato in più punti.
Tuttavia, la cosa
spaventosa erano le sue menomazioni; invece che semplici cicatrici sembravano
ora un ammasso contorto di carne putrescente che ondeggiava e pulsava come un
enorme formicaio, emanando fra l’altro un odore nauseabondo; doveva anche
essere cieca dall’occhio destro, perché la pupilla era completamente bianca.
Inoltre, dalle orecchie, dal naso e dalla bocca fuorusciva costantemente una
strana poltiglia violacea.
«Balalaika!?»
disse Rock
«Ma che cazzo le è
successo!?».
Provarono a
chiamarla, ma lei non diede segno né di averli sentiti né tanto meno di
riconoscerli; tutto ciò che faceva era continuare a camminare verso di loro con
espressione quasi delirante, e ripetendo continuamente la solita litania.
«I miei nanorobot…
i miei nanorobot…»
«Ma cos’è,
«Credo sia colpa
dei nanorobot.»
«Come fai a
dirlo?»
«Guarda quella
gelatina che ha in faccia. Samejima deve averle come iniettato alcuni dei suoi
nanorobot, ma evidentemente invece che guarirla le hanno devastato corpo e
mente, trasformandola in una specie di zombie.»
«Perfetto, siamo a
cavallo».
Revy alzò la
pistola e provò a sparare, ma prima che potesse farlo Balalaika balzò in avanti
e le diede un tremendo spintone, buttandola giù dal balcone; Two-Hands riuscì
fortunatamente ad aggrapparsi al parapetto con una mano, ma la donna sembrava
determinata a finire il lavoro e alzò la mano come a volerla trafiggere con le
sue unghie insolitamente lunghe.
Prima che potesse
riuscirci Rock le saltò addosso tentando di trattenerla, ma lei, con una forza
sovrumana, si liberò dalla stretta, e giratasi menò un colpo di unghie che ferì
il giovane al petto strappandogli la camicia.
Per il dolore
Okajima barcollò leggermente all’indietro, ricevendo a sua volta uno spintone
che lo buttò a terra, e subito dopo Balalaika gli si inginocchiò sopra,
afferrandogli il collo con entrambe le mani.
«Rock!» gridò Revy
cercando di tornare su.
Lui lottò con
tutte le sue forze per tentare di liberarsi, ma era come se quelle mani fossero
state le zampe di un orso, e ogni suo tentativo per allontanarle da sé
risultava vano.
Velocemente si
sentì mancare il respiro, la sua lotta si fece sempre meno cruenta, quando d’un
tratto il rumore di uno sparo rimbombò nel vuoto dell’androne, e la stretta di
Balalaika cominciò gradualmente a diminuire fino a che la donna non allontanò
le mani dal collo della sua vittima.
Istintivamente
Rock pensò fosse stata Revy a sparare, ma quando, giratosi, vide la sua partner
ancora intenta a riguadagnare una base per i piedi, capì che doveva essere
stato qualcun altro.
Balalaika, che era
stata colpita ad una spalla, si rimise lentamente in piedi, girandosi alle sue
spalle, e contemporaneamente Rock riuscì a distinguere dinnanzi a sé la figura
di Kyuzo, in piedi davanti alla donna con la pistola fumante in mano puntata
verso di lei.
«Questo era per
mia madre.» disse con il suo sguardo di ghiaccio.
Indifferente al
colpo subito, Balalaika per la seconda volta lasciò perdere il proprio
obiettivo per concentrarsi sul nuovo arrivato, cominciando a camminare verso di
lui.
«I miei nanorobot…
i miei nanorobot…».
A quel punto,
gettando via la prima arma, Kyuzo sfoderò quella che un tempo era stata di
Revy, prese la mira e sparò senza esitazioni, colpendo il suo obiettivo dritto
in mezzo alla fronte.
«E questo per mio
padre».
Nonostante ciò
Balalaika continuò a non voler morire, ma la forza di penetrazione della
pallottola fu tale da buttarla all’indietro, al di là del parapetto.
«I miei…
nanorobot…» continuò a dire mentre precipitava verso il basso.
La sua caduta si
concluse proprio sulla spada della statua di San Giorgio, che trafiggendola
alla schiena la passò da parte a parte fino all’elsa.
Balalaika emise un
gemito, una sorta di perfida risata, quindi, in un modo che forse neppure lei
aveva mai immaginato, spirò.
«Brucia
all’inferno, puttana».
Nello stesso
momento Revy riuscì finalmente a risalire sulla terrazza, e sia lei che Rock
osservarono dapprima il corpo senza vita della loro ex-socia impalato trenta
metri più in basso, poi colui che era stato l’artefice della sua morte.
«Andiamo, ora.
Dobbiamo raggiungere il tetto».
Nota dell’Autore
Come avevo promesso,
ecco qua il penultimo capitolo di questa fan fiction, la quale ha preso una
svolta che neppure io inizialmente mi sarei mai immaginato.
Mi dispiace di non
aver aspettato l’arrivo dei miei recensori abituali, ma come ho già detto
precedentemente gli impegni si susseguono, e visto che Death Game ormai è
praticamente alla fine sono più che mai ansioso di pubblicare al più presto i
capitoli conclusivi.
Per l’ultima parte e
l’epilogo credo avrò bisogno ancora di qualche giorno, ma se tutto va’ bene
dovrei poterli inserire entrambi entro martedì.
Ringrazio Selly e Beat per le loro recensioni.
A presto con l’ultimo
capitolo!^_^
Carlos Olivera