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Autore: AlexEinfall    03/02/2015    4 recensioni
[Casey/Severide] Prima mia long-fic su questa coppia, che credo abbia un grosso potenziale.
Severide affronta Casey circa il suo comportamento sconsiderato, ma le cose non vanno mai come ci si aspetta. Questo è l'inizio di qualcosa oppure le resistenze e l'antico astio ostacoleranno la loro strada?
Un giorno qualunque alla Caserma 51 è destinato a cambiare ogni cosa.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Note: Hallo, guys! Avverto che questo capitolo sarà un po' lunghetto, perché decisamente non potevo spezzarlo nel mezzo senza risultare sadica e insensata.
  Avvertenze: non ho potuto evitare, in alcuni punti, un linghuaggio un tantino scurrile. Insomma, usare  eufemismi sarebbe stato abbastanza ipocrita e fuori luogo. 
  Detto ciò, ulteriori note saranno sul fondo.
  Enjoy!


5

E poi ho bussato alla tua porta

          

     «Sul serio, Matt?»
    Il biondo puntò i gomiti sul materasso, tirando su il torso per incontrare gli occhi increduli di Edward. Lo vide voltarsi verso la libreria e tirare fuori un albo, sventolandolo divertito. Tutto ciò a cui Matt riusciva a pensare erano le sottili tende della sua camera, stampate con stupidi disegni scuri, che disegnavano sul corpo nudo del ragazzo una tela di luci e ombre. Era bellissimo, riusciva solo a processare questa parola. Bello come la prima volta che l'aveva visto, in pantaloncini e t-shirt, sudato e sorridente.
  «Fumetti? Che sei un nerd?»
  Matt roteò gli occhi e afferrò il cuscino, gettandoglielo contro. Lo mancò di poco, mandando a terra i quaderni poggiati sulla scrivania. Edward rise e ruotò la sedia, sedendosi con le gambe accavvallate a sfogliare l'albo. Ancora una volta, Matt elaborò un pensiero molto semplice e lineare: il fumetto degli X-Men che lui aveva sfogliato tante volte ora era poggiato tra le gambe di Edward, coprendo la sua parte più intima. Sentì le braccia tremargli per lo sforzo di reggersi, quindi decise di alzarsi e indossare i boxer. Non gli sfuggì la fitta di dolore alle cosce, ma ne sorrise. Quella stanchezza nei muscoli, quel dolore liquido, erano tra le cose più belle che avesse mai provato.
  In punta di piedi, si avvicinò al ragazzo. Gli sfilò di mano l'albo e lo ripose sulla scrivania, ignorando le sue proteste.
  «Dai su, mi stavo divertendo!»
  «Sei solo un coglione» gli disse, dandogli una spinta sulla spalla. Edward traballò e rispose a tono con un pugno sul petto, così debole da non lasciar segno. Matt rise, afferrandogli il polso e attirandolo a sé. Per un attimo si concesse il lusso di chiudere gli occhi e saggiare con ogni senso il ragazzo. L'odore del sudore che freddava sulla pelle, la sensazione dei capelli tra le dita, così lunghi da coprirgli le orecchie, il sapore ancora fresco delle sue labbra e della sua lingua nella bocca, e il placido respiro che gli colmava le orecchie. Quando riaprì gli occhi, incrontrò i suoi, splancati e bui come sempre. Era in quei momenti, in quel semplice guardarsi a fondo, che Matt si sentiva vulnerabile eppure felice, privo di qualunque pretesa.
  Poi tutto accadde in fretta. La porta si aprì, preannunciata da passi pesanti lungo il corridoio. Gli occhi di Edward erano immensi, terrorizzati. Matt si era staccato da lui all'istante.
  Suo padre era apparso sull'uscio e il sorriso gli era scivolato via immediatamente, come se la sola scena davanti ai suoi occhi potesse spegnere l'interruttore della sua gioia. Passò lo sguardo tra i due ragazzi e una serie di emozioni si accesero negli occhi verdi: sorpresa, disgusto e infine rabbia. Il caos entrò nella stanza, distruggendo tutto ciò che c'era stato. Gregory Casey urlò, afferrando il braccio di Edward così forte da fargli male. Lo colpì, spindengolo fuori dalla stanza. La porta si chiuse di colpo, un ultimo lungo sguardo come una fucilata dritto al cuore di Matt.
  Lui era rimasto immobile, pietrificato.
  Fu l'ultima volta che vide Edward.
 
 
    Matt spinse a fondo i palmi nelle orbite, cercando di cancellare quei ricordi dalla sua mente.
    La notte scivolava via silenziosa. L'orologio appeso al muro del salotto continuava a mandare avanti le sue lancette, una dopo l'altra. Seduto sul divano, Matt lasciava che il suo corpo nudo tentasse di accomodarsi al freddo, solo una asciugamano umida intorno alla vita. Attraverso le tende, i fari delle auto illuminavano la parete e il suo viso, scomparendo poi nel nulla. Affondò la testa tra le mani, il respiro pesante, mentre le emozioni degli ultimi dieci giorni cominciavano a infiltrarsi nelle ossa.
  Esattamente dieci giorni prima, era seduto con Severide al tavolo della Caserma, quando il suo occhio era caduto su un articolo del quotidiano. Ci credi? Tutti morti, aveva detto Kelly, sventolando la pagina ed esalando un sospiro. Matt si era sporto e aveva visto l'articolo. In quel momento il mondo gli era crollato addosso. C'era la foto di una compagnia dell'esercito e c'era un volto che lui non credeva di poter rivedere. Il terzo a sinistra di un gruppo di ragazzi, aveva i capelli corti molto più scuri e il sorriso che lui ricordava. La barba era cresciuta e la pelle sembrava abbronza. Il bianco e nero non rendeva giustizia alla sua bellezza, una volta giovanile e ora così matura. Una bomba aveva colpito il convoglio sul quale viaggiava la compagnia, diceva il giornale. Nessun sopravvissuto. Era passato molto tempo, troppo, ma Matt lo aveva riconosciuto all'istante.
  Era fuggito da quella notizia, da quella realtà. Aveva negato che fosse realmente accaduto, perché non poteva essere lui, non poteva essere Edward. Poi la consapevolezza lo aveva stroncato e la foto che aveva nascosto nel cassetto del comodino era stata un impietoso contrasto. In quella foto loro erano vicini, Edward gli circondava le spalle con un braccio, con l'altro teneva uno skateboard. Tutto era perfetto e semplice.
  Aveva letto un articolo su internet, in cui si parlava di medagli al valore. Una aveva il nome Eward Flick.
  Tre giorni dopo era andato al cimitero e lo aveva visto con i suoi stessi occhi. La lapide con il suo nome.
  Edward era morto.
  L'ultima volta che lo aveva visto aveva quindici anni e la prospettiva di una vita davanti, una vita libera, una vita piena e luminosa.
  Esalò un lungo sospiro, abbandonandosi ai cuscini del divano. Guardò il soffitto, dove lampeggiarono i fari di una grossa auto rombante, e sentì gli occhi riempirsi di lacrime.
  Ora il vaso di Pandora era aperto, il coperchio divelto con forza, e ogni male ne usciva travolgendolo. Ritornava la rabbia e il disgusto di suo padre, ritornava la risata e il sorriso di Edward, ritornava l'odio feroce che lo aveva distrutto la sua innocenza. L'odio che aveva provato per suo padre, davanti alla lapide di Edward, era stato bruciante, intenso come quello di quel giorno di molti anni prima. Era così forte, da accecarlo e terrorizzarlo. Gregory Casey era morto, ma le ferite che aveva lasciato continuavano a riaprirsi.
   No, sua madre si sbagliava, pensò Matt. Lui aveva ancora dentro di sé quell'odio e lo stava consumando.
   Aveva rischiato di perdere il controllo, aveva aggredito una vittima dopo averla tirata fuori da una casa in fiamme, ed era finito in un rabbioso sesso con un collega. Non uno qualsiasi, no...con Kelly Severide.   
   Quel sentimento così crudele lo aveva spinto fuori dagli schemi semplici e lineari della sua vita, facendolo cadere letteralmente tra le braccia di Kelly.
   Era sempre riuscito a dividere i suoi afferri dai suoi impulsi sessuali, finché quella dannata notte i due mondi erano collimati e, lui temeva, non ci sarebbe stato più ritorno. I confini sono importanti, questo l'aveva appreso molto presto. Aveva speso la sua vita a tracciare linee e incasellare le persone entro un certo schema; così era più semplice e naturale andare avanti, sapere cosa aspettarsi da una persona e cosa l'altra potesse attendere da lui. In questo modo era sempre garantito cosa fosse un amico e cosa un amante, chi ferire e chi amare. Malgrado gli imprevisti della vita, lui aveva saputo adattarsi ad essa grazie ai confini e ai muri intorno a sé.
   Poi Edward era morto e lui aveva visto la sua lapide semplice e asettica. Poteva ancora mantenere un minimo di controllo sulla sua vita, se non fosse arrivato Kelly, che lo aveva spinto su un divano e l'aveva fatto suo. Kelly che non rientrava più in nessuno schema e che, con la sua tipica indelicatezza, aveva varcato una linea pericolosa. L'incidente del fiume, ora, gli sembrava una tragica, ma inevitabile, conseguenza. Ogni certezza nella sua vita era crollata e la colpa, alla fine, era la sua. Lo era sempre stata.
 


   
   Matthew Casey è un cocciuto, arrogante idiota, pensò Kelly, entrando nella sua auto.
   Aveva passato grossa parte del suo tempo libero a cercare di girare intorno al problema, di evadere e distrarsi, senza alcun successo. Continuava a ripensare alla voce fredda e distaccata di Matt, al suo sguardo duro. Ogni volta gli tornavano alla mente dei particolari -come la mascella serrata o il modo in cui aveva cambiato espressione, quando lui era entrato nella stanza d'ospedale- e continuava a rivederli ancora e ancora nella sua testa, finché non seppe più se non fosse solo la sua immaginazione.
  Rimase seduto qualche minuto, guardando distrattamente le finestre della sua casa. Non aveva idea di dove andare, sapeva solo di dover andare.
  Stava preparando l'ennesimo caffé, quando una realizzazione l'aveva colpito. Aveva ripensato all'incidente e al corpo di Matt, al terrore che aveva provato tirandolo su, stretto a sé. Lo aveva poggiato sulla barella e Dowson aveva controllato il battito, incontrando per un attimo i suoi occhi. Non morire, Matt, non morire si era ripetuto mentalmente, la divisa zuppa e il freddo che gli entrava nelle ossa.
   Molte volte aveva manipolato nella sua testa quel momento, sentendo sempre quel profondo senso di colpa; in alcuni momenti, aveva immaginato cosa sarebbe successo se il cuore di Matt non fosse ripartito: il dolore, così simile a quello provato tempo addietro dopo Andy, ma questa volta, lui lo aveva sentito, più forte e profondo. Se Matt fosse morto, Kelly sarebbe sprofondato nella consapevolezza di non averlo salutato. Di non aver chiarito. C'era anche una parte irrazionale di se stesso che lo considerava, dopo quella natte di alcol e sesso, una sua responsabilità.
   Era stata sulla scia di questi pensieri, che l'epifania era giunta, colpendolo nello stomaco. Il caffé gli era caduto di mano e aveva capito una cosa che, al momento, gli era sembrata essenziale: lui doveva chiarire. Kelly Severide, temerario e inarrestabile, aveva il dovere verso se stesso di fronteggiare Matt e dirgli semplicemente sei un cocciuto, arrogate idiota.
  Mise in moto, con la determinazione di raggiungere la casa di Matt e chiarire una volta per tutte. Non c'era alcun modo che lui si lasciasse sfuggire l'occasione di battere il ferro finché era caldo, prima che quelle incomprensioni divenissero nuove ferite. Nel loro lavoro, non potevano permettersi il lusso di covare rancori: c'erano decisioni da prendere, uomini da dirigere, persone da salvare, e tutto questo necessitava spesso un accordo tra i due leader.
  Al diavolo se Casey si sentiva imbarazzato per quella scappatella o se era scosso per essere, tecnicamente, morto per qualche secondo. Kelly non aveva intenzione di farsi frenare da nulla.


  Quando Matt sentì bussare alla porta, stava indossando pantaloni e t-shirt, la mezzanotte appena scoccata e nessuna idea di chi potesse esserci fuori casa sua; lo sguardo di sorpresa che rivolse a Kelly era, dunque, ben giustificato. Tra l'aria fredda che irruppe sul suo volto e lo sguardo del collega, che sembrava animato da una strana urgenza, il biondo si ritrovò senza parole.
  «Hey» disse Kelly, strofinandosi le mani. «Posso entrare?»
  «Uhm...sì, certo.»
  Matt uscì dalla sua trance e gli fece spazio, chiudendo la porta con lentezza, nel vano tentativo di inquadrare la situazione. Sperò con tutto se stesso che Kelly si fosse presentato per invitarlo a prendere ad uscire per un drink, perché l'alternativa non gli piaceva affatto. Ma dal momento che il tenente era in piedi nel suo salotto, spostando il peso da un piede all'altro e guardandosi intorno come a cercare le parole, Matt comprese che non era una serata tranquilla che lui era venuto a cercare.
   Quando pensi che non possa andare peggio, riflettè Matt, sospirando. Era stanco, frustrato e decisamente fuori tono; l'unica cosa che voleva era cullarsi nel silenzio e spegnere la mente.
  «Hai una birra?» sputò fuori Kelly. «Ci vorrebbe una birra.»
  «In realtà stavo andando a dormire» ammise Matt, grattandosi la nuca.
   Kelly squadrò il disegno dei pantaloni del piagiama e annuì. Non sembrò rendersi conto di essere piombato in casa sua a mezzanotte e non aver ancora spiegato il perché. Il silenzio li stava rendendo entrambi nervosi, quindi Matt scrollò le spalle e sorrise. «Ma credo che una birra non faccia male.»
  Aveva appena aperto il frigorifero e chinato la testa per cercare due birre, quando sentì Kelly schiarirsi la gola. Afferrò gli oggetti della sua ricerca, le ultime due bottiglie nascoste dietro gli avanzi della cena preparata da Christie, e chiuse l'anta. Non voleva ammettere di non essersi accorto che Kelly lo aveva raggiunto, intontito da una situazione che sembrava surreale. Sentiva l'ansia montargli e per qualche motivo la vicinanza dell'altro lo infastidiva. Era intendo a cercare di elaborare il significato di tutto ciò, mentre stappava le birre.
  «Grazie, Matt» disse Kelly, afferrando la birra e prendendo un sorso. Poggiato al bancone della cucina, guardava a terra e si massaggiava il collo con la mano libera.
  Matt prese un sorso e lo guardò. Kelly Severide non era un uomo da sentimentalismi. Il modo migliore per metterlo a disagio era spingerlo a parlare di ciò che provava. In quel momento, era decisamente a disagio e questo a Matt non piaceva.
  «Come te la cavi?» chiese Kelly, agitando la bottiglia nella sua direzione.
  Matt fece spallucce. «Bene.»
   Il moro annuì, facendo cadere la conversazione. Seguì un lungo silenzio, prima che Matt decidesse di averne abbastanza.
  «Allora...qualche motivo in particolare per cui ti serve una birra proprio a casa mia?»
  Kelly lo guardò confuso, poi afferrò il tono leggero e sorrise. Scrollò le spalle, prendendo un altro sorso, molto più lungo dei precedenti. Quando abbassò la birra, il suo corpo si tese, come se si preparasse a una lotta.
  «Senti, non voglio girarci intorno. Insomma, quello che è successo...voglio dire, tra noi, sai?» Non ricevendo risposta, neanche un battito di ciglio, Kelly sospirò. «Parlarne non piace a te come non piace a me, ma, amico, noi dobbiamo lavorare insieme. Sai, tutte quelle storie di Boden sul collaborare.»
  Era successo, alla fine. Severide voleva davvero parlarne. Matt poggiò il sedere al tavolo e cercò di sembrare tranquillo. «Credevo fossimo d'accordo sul non parlarne.»
  «E' vero, e sono il primo a pensare che può andar bene così. Voglio dire, è stato un errore e tutto il resto. Ma, sai, voglio che sia tutto a posto, tra noi.»
  Un errore.
  La parola rimbombò nella testa di Matt. Le labbra di Kelly, quelle stesse che lo avevano baciato e che avevano percorso la sua pelle, ora rinnegavano ogni gemito, ogni vibrazione. Non l'avrebbe mai detto ad alta voce, ma ne era ferito.
  «Esatto, uno stupido errore» disse, prendendo un sorso di birra che trovò difficile da ingoiare. Sembrava più amara e pungente sul fondo della gola. «Non è cambiato nulla, no?»
  «Qualcosa è cambiato.»
  Matt alzò un sopracciglio, spingendolo a spiegarsi. Fu mentre parlava, che Kelly ebbe un'altra illuminazione. «Sei quasi morto, Matt. E' una di quelle cose che cambiano tutto.»
  Era vero, per entrambi. Kelly capì in quell'esatto istante, in quella cucina e con una birra in mano, l'impatto che quell'incidente aveva avuto su di lui. Comprese che, se non fosse avvenuto, lui avrebbe semplicemente dimenticato ciò che era successo tra loro e tutto sarebbe tornato alla normalità. Il problema era che quella mattina Matt era caduto in quel dannato fiume ed era quasi morto. Questo cambiava tutto, a partire dal modo in cui lui stesso guardava alla sua vita. Guardò Matt e fu strano pensare che lui avrebbe potuto non esserci, che l'aveva quasi perso. La sola idea era sufficiente a spingerlo a chidersi perché lo avesse portato a casa, quella notte, e perché avesse provato, dopo quell'atto, una tale soddisfazione. Nessun senso di colpa quando Matt aveva urlato, o quando lui aveva steso una coperta sul corpo nudo, o si era risvegliato ricordando ogni cosa. C'era stato imbarazzo, forse, e confusione, ma non colpa. Quella era venuta dopo, davanti al suo corpo rigido e pallido.
  Dal canto suo, Matt si era ritrovato nell'arco di dieci giorni di fronte alla morte per ben due volte. Erano due di troppo, per i suoi gusti. Forse davvero avrebbe potuto dimenticare quella notte e andare avanti, cercare stabilità, un giorno creare una famiglia ed essere felice. Magari, sarebbe bastato questo a renderlo soddisfatto. In un altro universo, lui avrebbe risposto a quella chiamata, salvato la giornata e chiuso la storia; sarebbe tornato nella sua casa e avrebbe ricominciato la sua vita senza drammi.
   Non in questo universo. Lui era morto, letteralmente -cosa con la quale ancora non aveva davvero fatto i conti- e tutto perché non era stato in grado di ricoversarsi dall'idea di aver fatto sesso proprio con Severide. Aveva commesso un errore fatale: era corso incontro a quell'uomo disperato e aveva cercato di farlo ragionare, di allontanarlo. Si era distratto il tempo necessario per essere spinto giù dal ponte e... Oh mio Dio!
  «Voleva uccidersi!» Si rese conto di averlo detto ad alta voce e alzò lo sguardo su Kelly, gli occhi spalancati. «L'uomo sul ponte, lui voleva suicidarsi.»
  «Cosa?» sbottò Kelly, strappato ai propri pensieri.
  Matt si passò una mano sul volto, sconvolto da quel ricordo. «È stato lui a causare l'incidente. Voleva buttarsi dal ponte, ma ci ha ripensato. È tornato sui suoi passi ed è sbucato davanti al SUV.»
  «Il conducente ha sterzato ed è entrato nell'altra carreggiata, scontrandosi con la monovolume» concluse Kelly, ricostruendo mentalmente la dinamica dell'incidente. «Diamine...Puoi identificarlo?»
  «No...non lo so» mormorò Matt.
   Si passò ancora una mano sul volto, misurando il pavimento con passi stanchi. Ricordava le parole di quell'uomo, il suo sproloquio confuso e la rabbia che era esplosa all'improvviso, travolgendolo. Soprattutto, ricordava di essere rimasto pietrificato a quelle parole. Aveva rivisto gli occhi scuri di Edward e sentito sotto la pelle quella di Kelly; aveva pensato, per un fatale attimo, che la vita fosse troppo breve per lasciar andare quelle sensazioni solo per paura. L'ultima cosa che ricordava erano le mani di quell'uomo su di lui e di essersi risvegliato in ospedale.
  «Dobbiamo trovarlo» disse Kelly risoluto.
  La testa di Matt scattò e gli occhi si fissarono su di lui.
  Gli sarebbe bastato poco, solo una parola o forse due, un sorriso, per trovare la pace che cercava. Avrebbe potuto scrollarsi di dosso la tristezza e il risentimento, allentando la tensione che gli comprimeva la mente. Bastava ammettere che quell' errore gli era dannatamente piaciuto e che l'avrebbe rifatto mille volte. Per cosa? Severide era lì per chiudere quella storia e lui non avrebbe mai ammesso, neanche a se stesso, che di fronte alla morte aveva pensato a quell'unica, intensa, notte. «Cosa?»
  «Deve pagare, Matt. Cazzo, ti ha quasi ucciso e un uomo è morto!»
  «Non mi ha quasi ucciso, è stato un dannato incidente.»
  «Ma di che parli? Sei un vigile del fuoco, un tenente, non scivoli così da un ponte!»
  «Stai dicendo che non so fare il mio lavoro?»
  Kelly aprì le braccia, esasperato. La voce di Matt si era alzata, le distanze accorcate e un dito era puntato contro di lui in tono accusatorio.
  «Non sto dicendo...no, sai cosa, tu ora mi spieghi che ti prende.»
  «Non so di che parli, Severide.»
  «Tu ce l'hai con me dall'incidente» rispose lui, posando la bottiglia con forza sul lavello e staccandosi dal piano della cucina. «Credi che sia stupido? All'ospedale a mala pena mi parli e ora hai questo atteggiamento.» Portò le mani avanti a indicarlo e Matt sentì qualcosa accendersi nel petto e rispondere a quella provocazione. «Non ti ho spinto io giù da un ponte. Io ti ci ho tirato fuori!»
  «Che diavolo vuoi, un ringraziamento?»
  L'idea che Kelly gli avesse effettivamente salvato la vita non l'aveva neanche toccato, e ora lo sfiorò appena, senza scalfire la superficie bianca della sua rabbia.
  «Ma che...No, no, tu hai qualcosa che non va, Casey.»
  «Io? Tu vieni in casa mia di notte e pretendi una birra, quando in realtà non si capisce cosa vuoi. Non si capisce mai!»
  «Volevo parlare, okay? E tu invece sai solo urlarmi contro!»
  «Allora vattene!» urlò Matt, sorprendendo entrambi.
  Il braccio teso indicava ancora uno spazio indefinito oltre l'ingresso della cucina, ma gli occhi erano fissi in quelli di Kelly. Anche se il petto gli doleva e ogni respiro era faticoso e pungente, continuò: «Cosa stai aspettando, uhm? Cosa hai di così importante da dirmi? Neanche tu lo sai quello che vuoi, mai!»
  Questo fa male, disse una voce sul fondo della mente di Kelly. Faceva male perché era la dannata verità. A lui era piaciuto, quello che era accaduto; sessualmente parlando, era stato davvero fantastico. Non era stato come con tutte le donne che aveva portato nel letto; c'era stata rabbia, quasi ferocia, e forza. Era una sensazione nuova e affascinante, che aveva lasciato un'impronta tangibile.
  Era nell'aria tra loro, quella fiamma antica che mai si era spenta, quella scintilla che sfregava al ritmo dei loro respiri affannati. Loro due erano sempre stati diversi, come binari gemelli che, però, ogni tanto si avvicinano e ciò che ne esce sono confuse e frenetiche scintille. Non era una sensazione che era disposto ad abbandonare.
   Kelly sentì l'impulso di far esplodere quel fuoco, invece che domarlo. Alzò la testa e colmò con pochi passi rabbiosi le distanze tra loro. Matt non accennò a muoversi dalla sua posizione, fronteggiandolo.
   «Io non so cosa voglio?» ringhiò, picchiettando un dito sulla spalla del biondo. «Da giorni ti comporti come un pazzo, ti ubriachi e ti fai scopare, e ora mi odi come se ti avessi preso a calci in culo!»
   Non intendeva farlo, ma il dito sulla maglia di Matt divenne una spinta abbastanza forte da farlo finire contro il muro. La bottiglia cadde a terra, schizzando vetro e birra sul pavimento. Il biondo schiacciò la schiena contro la superficie solida e il volto si contrasse in un'espressione che mai, neanche nei momenti peggiori, Kelly gli aveva visto. Gli afferrò la maglia, spingendolo a restare dov'era. Il resto fu puro e semplice istinto. L'attimo prima si fissavano come sul punto di ingaggiare una rissa, quello dopo le loro labbra erano incollate.
  Gelo.
  Kelly fece per staccarsi, ritrovando parte della sua lucidità, ma avverti le dita di Matt afferrargli la schiena e spingerlo contro di sé, ricambiando in bacio con altrettanta necessità.
  Fuoco.
  Il calore si sprigionò improvvisamente e Matt ne rimase folgorato. Dallo stomaco fino alla mente, cancellò tutto, creando invece di distruggere. Creò una leggerezza nella quale si perse, annullando tutto il resto. Creò speranza e una semplice sensazione di sicurezza. Creò bisogno e tremori e fame sempre più grande.
  Gelo.
  Sentì i fianchi di Kelly avere un tremito e il bacino spingere contro il proprio. Un caldo piacere fece il suo corso tra le vene e le arterie, scendendo sempre più in basso. Fu allora che il velo gli fu strappato via dalla mente e lui tornò alla realtà. Premette i palmi contro il petto dell'altro, spingendolo con forza lontano da sé.
  La bocca di Kelly si aprì, rimanendo a corto di parole e di fiato.
  «Cazzo» mormorò, succhiandosi istintivamente il labbro inferiore. «Io...Oh mio Dio.»
  Non aveva scuse, questa volta, perché sbronza e disperazione non erano nell'equazione. C'era stata rabbia e c'era stato desiderio e lucidità, almeno fino a un certo punto, fino al momento in cui avrebbe desiderato non staccarsi mai più da quel bacio...e oltre.
  Matt si passò una mano sulle labbra, ma non nel tentativo di lavar via il suo sapore. Era semplicemente perfetto e, per questo, spaventoso. «Ora dovresti...»
   «Vado via» lo interruppe Kelly, ricevendo un cenno del capo.
   Matt rimase immobile, fissando il proprio riflesso nel vetro della finestra, oltre il quale c'erano solo i cespugli bui. Non si mosse neanche quando udì, in lontananza, la porta richiudersi di colpo.
  Non c'era più modo di nascondersi: Kelly aveva voluto ogni attimo del loro contatto, tanto quanto l'aveva desiderato lui.
  Nulla poteva più essere lo stesso.
   
 




...
Note di fondo: Scrivere questo capitolo è stato davvero arduo per tutta una serie di ragioni. Soprattutto, è per me il punto decisivo della storia, uno dei tanti, perché lo è anche nella vita reale: arriva quel momento, dopo che un evento ha spezzato ogni logica e ci ha buttati fuori dalla comfort zone, in cui devi chiederti come vuoi che le cose vadano. Insomma, fight or flight.
 Questa è la versione che più mi ha convinto e che, lo so, lascia aperte mille possibilità, ma mi va bene così.
  Altra precisazione: ovviamente (?), non sono un uomo, dunque non posso realmente capire l'impatto di un'esperienza simile su di un uomo. Tutti gli studi, le testimonianze e i racconti di amici non possono colmare il gap. Per questo, ho deciso di non scendere troppo nei particolari delle ripercussioni psicologiche e sociali. Avendo la mia particolare visione della cosa (come un po' tutti), mi sono attenuta a quella, adattandola ai personaggi. Se qualcuno si sente insultato, offeso o anche infastidito, può benissimo farmelo notare (anzi, è ben accetto), ma voglio sottolineare che non parlo e non scrivo per sentito dire. Non ho intenzione di raccontare un mondo lontano dalla mia esperienza reale, del tutto immaginato e psicologicamente inattendibile. Provo a rendere i miei personaggi coerenti e incoerenti come sono le persone reali, malgrado si tratti sempre di finzione. Ma, lo ammetto e lo riammetto, non sono perfetta in questo e quindi se qualcuno trova incoerenze enormi o assurdità, prego davvero di farmelo notare, ci tengo molto.
  Umilmente e serenamente, chiudo questa boriosa nota (;
   Baci, abbracci e smancerie,
   Alex.
  
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