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Autore: Felicity Weedon    04/02/2015    1 recensioni
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dalla storia:
“Le arance sono ancora troppo verdi per essere gustate” pensavo uscendo di casa.
-...-
“la vedevo correre, a piccoli passi, cercava di scappare da me. Lentamente mi avvicinavo, mi volevo gustare la maledetta attesa di ucciderla. Le ero vicinissimo, il rumore dell'ascia che trascinavo sul pavimento era una sorta di calmante per me. Era rintanata in un angolo della mia camera, il suo posto preferito, la faceva sentire al sicuro, l'insenatura tra il calorifero e la mia scrivania. Mi chinai e parlai “Tranquilla Amelie, sarò veloce e indolore” le presi con forza il polso e la feci alzare, rimase in piedi davanti a me nella sua minuscola figura, le guance rigate di lacrime non mi intenerirono, l'ascia era nelle mie mani, tra un singhiozzo e l'altro disse “t-t-i voio b-eene fratellone- ed io le tranciai via la testa con un colpo d'ascia,essa rotolò via e finì contro lo spigolo del letto.”
-...-
Genere: Drammatico, Malinconico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Tutto scorre...


 

“ Dall'oscurità della notte, bisogna passare alla luce del giorno attraversando una porta che non è accessibile a tutti”
                                                                                                                                                        Cit. Parmenide




 
Le arance sono ancora troppo verdi per essere gustate” pensavo uscendo di casa.
Il vento gelido sferzava i passanti procurando ad ognuno di essi piccoli brividi lungo la schiena, nonostante i loro pesanti pastrani. Piazza del palazzo li ospitava, li accoglieva, turisti e nativi, abbracciandoli con la sua immensa statua al centro della piazza.
Passeggiavo tranquilla, quel giorno, ammiravo la neve che dolcemente cadeva e ricopriva ogni centimetro di terreno.
Non percepisco più il freddo, vivo qui da oltre 100 anni, ma nonostante ciò ogni giorno la città mi appare diversa, vedo i dettagli che cambiano ogni secondo, l'intonaco di una casa che ogni volta invecchia, si stacca. Riesco a cogliere ogni cosa, il mutamento impercettibile di San Pietroburgo.
Colgo frammenti che un normale essere umano con la vita contata non vede, troppo intento a vivere freneticamente la sua breve esistenza. Io, invece ho il lusso di potermi permettere di vivere per sempre, ho vissuto cento anni di storia, ho assistito ai grandi cambiamenti di questa città, ma nessuno di essi appaga la mia sete di meraviglia tanto quanto quegli insignificanti mutamenti.
Entrai nel bar che avevano appena aperto in piazza, all'interno l'atmosfera era calda, il bagliore di un camino acceso diffondeva luce al locale, altrimenti buio. I tavoli e le sedie erano una perfetta riproduzione di quelli che si usavano nelle locande medioevali, mi sedetti accanto al camino ed ordinai una cioccolata, in tanti anni di vita non avevo mai assaggiato una leccornia più buona.
Osservavo i clienti entrare ed uscire, ma senza vederli veramente, ero concentrata su qualcosa di più interessante: la degustazione della mia cioccolata, può sembrare strano, ma per me gustare con calma significa vivere ogni secondo.
Ad un certo punto di fronte a me si sedette un ragazzo di più o meno 20 anni:
- Ciao, piacere sono David, vengo da New York, tu sei?-
- Vera.- risposi con non poca freddezza,
- Sei di qui?- continuò con il suo sorriso
- Si, tu oltre a sapere questo cosa vuoi?-
- É un modo sbrigativo per arrivare in terza base?- chiese lui ammiccando,
- No, è solo un modo carino per sapere cosa vuoi da me?-
- Ti accontento subito, volevo solo attaccare bottone visto che sei una bellissima ragazza-
- Bhe grazie, ma, come vedi, sono impegnata- dissi sorridendo e lanciando occhiate alla mia cioccolata
- Sisi vedo, sei così impegnata che non puoi nemmeno fare un giro con me stasera?-
- Non proprio così impegnata però- gli risposi
- Alle otto, sotto la statua della piazza?-
- Certo, a stasera allora- lui si alzò e uscì dal bar. Guardai la sua schiena che si allontanava dal mio tavolino e si dirigeva alla porta d'uscita, prima di varcarla però si girò nella mia direzione e mi sorrise, io gli restituii la cortesia e mimai un “a stasera” di tutta risposta mi fece l'occhiolino ed uscì.
Finii la mia cioccolata con tranquillità e poi me ne andai.
Il tempo era leggermente cambiato, il vento si era attenuato, dando una tregua agli impavidi cittadini che giravano per le vie della città, osservai il modo di camminare delle persone, con passo deciso, dirette in direzioni diverse , con mete sconosciute alla mia mente. I passanti corrono perchè hanno poco tempo, già, il tempo, che argomento complicato, pieno di incertezza ma con la sicurezza che un giorno il tuo tempo finirà e tu sparirai tornando al nulla. Anche le città hanno un tempo, San Pietroburgo ha avuto un tempo passato, ha un presente e forse avrà un futuro, si forse perchè anche le città ad un certo punto svaniscono, lasciando solo stupide rovine destinate ai turisti che cercando di immaginarsi come erano nel passato, con i loro monumenti, le loro case, i parchi. Ho viaggiato molto nel corso della mia vita centennale e di città che svaniscono ne ho viste molte, dai piccoli paesini abitati da anziani che col tempo hanno lasciato solo le loro casottole in rovina. Io credo ci sia un ciclo scandito, che ogni volta si ripete, solo per le città, alcune svaniscono, altre si rigenerano, ed altre vengono cancellate. San Pietroburgo è una di quelle che divengono, cambiano, si muovono e quindi mutano, nel corso degli anni essa ha cambiato nome, governo, è stata distrutta e ricostruita, è morta ma è rinata, si è rigenerata ma è sempre esistita, mantenendo un legame costante e forte con il passato.
Senza accorgermene mi ero piano, piano avviata verso casa, tirai fuori le chiavi dal giubbotto in pelle nera e aprii la porta. Nonostante io non percepissi il cambiamento climatico sapevo per certo che in casa la temperatura era ben superiore rispetto a fuori , perchè quella mattina avevo acceso il camino e alcune braci bruciavano ancora. Mi levai velocemente le scarpe perchè mi piaceva camminare a piedi scalzi, ciò mi ricorda le mie origini, io vengo dalla terra, mi riporta a quello che ero, ero umana, innocente e non macchiata di sangue come oggi. Il mio essere oggi è totalmente diverso da ciò che ero nel passato, oggi sono una creatura centenaria, che odia essere tale ma che ha accettato il suo destino guardando i lati positivi, essere ciò che sono oggi mi ha dato modo di capire quanto sia egoista, quanto mi disprezzi per aver accettato ciò che sono, e quanto gli uomini lo siano più di me, in quanto essi si rubano il tempo a disposizione tra di loro, inoltre mi ha dato modo di vedere i cambiamenti , i singoli ed insignificanti cambiamenti.
Questa consapevolezza, mi porta ad un'azione, ogni giorno mi siedo in un posto diverso della città, in un bar, su una panchina, sul treno e osservo ogni cosa, rifletto e traggo conclusioni.
Ho concluso che le persone generalmente tendono a non godersi la propria vita, o meglio vivono con la consapevolezza di avere poco tempo da vivere, hanno un'esistenza sulla terra completamente condizionata dalla morte. Molti ne hanno paura ed affrontano la giornata in modo frenetico come se da un momento all'altro potessero morire, senza essere riusciti a combinare nulla, di questa paura la camminata spedita trasuda il terrore di una fine imminente, altri, invece preferiscono camminare piano, queste persone cercano di godersi ogni attimo, di prendere ciò che la vita gli riserva così come gli viene servito, senza troppe pretese, ma nonostante tutto anche loro sanno che prima o poi verranno richiamati al nulla, ma ne accetteranno la chiamata vedendola come una nuova avventura.
Mi ridestai dai miei pensieri e mi diressi in cucina, notai subito che le arance avevano un colore diverso rispetto alla mattina, il verde si stava piano, piano tramutando nel bell'arancione che caratterizza il frutto. Mi avvicinai al frigo, lo aprii e ne tirai fuori una sacca di sangue, presi un bicchiere di vetro e lo riempii con il contenuto della sacca. Avvicinai l'oggetto alle labbra e lentamente feci scivolare il liquido rosso scuro giù per la gola, sempre lentamente per gustarne il sapore dolce,salato e saziare la mia fame. Posai il bicchiere e mi recai in bagno, aprii il getto della doccia, mi spogliai ed entrai.
L'acqua che usciva dallo spruzzino accarezzava il mio corpo, lasciando una scia di piccole goccioline solitarie. uscii dalla doccia, mi avvolsi nell'asciugamano, sempre a piedi nudi raggiunsi la camera da letto, aprii le ante dell'armadio, tirai fuori una paio di jeans neri strappati sul ginocchio, una maglia bianca con uno spacco sulla schiena. Mi vestii, mi truccai e raccolsi i capelli in una coda disordinata.
Presi nuovamente le chiavi dal tavolo ed uscii. Camminavo con calma, per godermi l'imbrunire della giornata, con i suoi colori arancioni, rosa, giallo, azzurro,tutti mescolati insieme in un unica tela di colore: il cielo. Questi colori si riflettono sulle case di San Pietroburgo, trasformandosi in naturali proiezioni astratte. Aveva smesso di nevicare, ma uno strato sottile ricopriva ogni singolo pezzo di terreno, lasciavo le mie impronte nella neve fresca, in una scia continua che raggiungeva ciò a cui ero diretta.
Arrivai in piazza,mi guardai attorno, il nulla, allora scostai la manica e guardai l'orologio: le 19.00. Ero in anticipo.
Ne approfittai per sedermi su una panchina e, come sempre pensare. La panchina era ricoperta di neve morbida, la spazzolai via con la mano e mi sedetti.
Si era fatto buio, il cielo era limpido, senza nuvole e piccoli puntini dorati spuntavano piano, piano illuminando insieme alla loro sorella Luna la città.
Le osservavo pensando a quanto siano lontane da noi, così distanti senza una reale connessione col nostro mondo, solo la Luna prova un attaccamento speciale nei nostri confronti, ci ruota attorno, come le mosche. Nonostante la terra sia grande è solo un granello di polvere a confronto con l'universo, siamo solo piccoli tasselli che completano un grande puzzle, così insignificanti che se sparissimo non se ne accorgerebbe nessuno, fino al momento in cui un acuto osservatore non notasse la nostra scomparsa.
Abbassai lo sguardo dal cielo. Sentii il suo odore. Lo fiutai. Poi lo vedi.
- Ciao Ragazza!- mi saluta lui sorridente, aveva così tanta energia negli occhi che per un attimo pensai che potesse essere in grado di vedere quello che vedevo io.
- Ciao David – risposi freddamente.
- Allora cosa ti va di fare?- mi chiese guardando il mio viso
- Avrei un certo languorino tu?- risposi da normale umana,
- Proprio quello che speravo di sentirmi dire, conosco un bel posto dove andare a mangiare un boccone- disse incamminandosi all'interno delle vie illuminate della città. Lo segui senza fiatare guardando fisso davanti a me, senza imbarazzo, ma con la sensazione di stare nel posto giusto con la persona giusta per il momento. Il lampioni della strada illuminavano il viso di David con una luce strana, come se volessero farmi capire qualcosa, farmi vedere la nota stonata di quella perfetta armonia.
Arrivammo al ristorante ed entrammo. L'atmosfera all'interno del locale era scura, tetra, ma romantica. Gli interni erano grigi, neri, argento e apparivano alcuni spicchi d'oro, tutto molto elegante, ma era uno di quei locali sempre tenuti in perfetto ordine, nessun mutamento, neanche un granello di polvere, tutto troppo perfetto. Ciò mi lasciava indifferente. Non mi aveva colpita.
Ordinammo da mangiare. Nulla di speciale, solo del cibo. Mentre aspettavamo le nostre ordinazioni iniziammo una conversazione adatta alla situazione.
- Quindi tu sei nata qui?-
- Si, invece tu sei di New York?-
- Esattamente-
- Come mai sei venuto in Russia, proprio a San Pietroburgo?-
- Per incontrare te, ovviamente, no a parte gli scherzi sono venuto qui per un semplice motivo amo viaggiare, vedere, conoscere. Eh bhè San Pietroburgo non è bella, è armoniosa, viva. New York anche lei vive, ma vive di frivolezze mentre qui si prende consapevolezza della vita, perchè semplicemente essa ne pullula.- rispose sorridendo,
- ...- rimasi senza parole, è uno delle poche persone che capisce veramente la mia città, lo guardai pochi secondi prima che il cameriere con fare pomposo ci mise i piatti di fronte e si congedò con un “Godetevi la cena”.
Al dolce, David mi chiamò “Vera”, alzai lo sguardo e incontrai i suoi occhi, non lo avevo mai notato ma erano neri, completamente neri, come la pece. Un colore sorprendentemente innaturale e macabro per un umano. Gli occhi delle persone, ne ho osservati tanti, tra quelli delle mie vittime e quegli degli amici e sconosciuti, tutti variano tra il marrone, il grigio, il blu, il verde e l'azzurro, ne ho visti pochi completamente neri, ed ho capito che coloro che hanno acquisito questa particolarità, hanno un passato oscuro, un qualcosa che ha cambiato il loro modo di vedere le cose e di conseguenza ha cambiato la colorazione della pupilla rendendoli differenti e riconoscibili.
Mi prende con dolcezza la mano. Vedo. Mi passano nella mente immagini, tantissime immagini. Scene orribili, che mi toccarono nel profondo.


la vedevo correre, a piccoli passi, cercava di scappare da me. Lentamente mi avvicinavo, mi volevo gustare la maledetta attesa di ucciderla. Le ero vicinissimo, il rumore dell'ascia che trascinavo sul pavimento era una sorta di calmante per me. Era rintanata in un angolo della mia camera, il suo posto preferito, la faceva sentire al sicuro, l'insenatura tra il calorifero e la mia scrivania. Mi chinai e parlai “Tranquilla Amelie, sarò veloce e indolore” le presi con forza il polso e la feci alzare, rimase in piedi davanti a me nella sua minuscola figura, le guance rigate di lacrime non mi intenerirono, l'ascia era nelle mie mani, tra un singhiozzo e l'altro disse “t-t-i voio b-eene fratellone- ed io le tranciai via la testa con un colpo d'ascia,essa rotolò via e finì contro lo spigolo del letto.”


Capii perchè i suoi occhi erano neri. Feci finta di nulla, anche se dentro sentivo la rabbia che mano a mano aumenta. Avevo visto ogni cosa, dal suo punto di vista, provato tutto ciò che aveva provato lui cioè: un totale piacere. Si era divertito ad uccidere sua madre e sua sorella di tre anni. Aveva rincorso e massacrato a colpi d'ascia la madre che disperatamente aveva cercato di proteggere la piccola Amelie. La sua follia era stata scatenata da un motivo così banale, che faceva quasi ridere, se solo non avesse portato a quelle conseguenze, a causa di problemi economici la madre non poteva permettere a David di venire a San Pietroburgo. Tutto qui, nulla di profondo.
- Ti va di andare a fare due passi?- chiesi guardandolo intensamente negli occhi
- Ma certo- rispose. Pagò il conto ed uscimmo all'aria fredda della sera. Camminavamo fianco a fianco,in silenzio. Mi prese la mano ed io ricominciai a vedere quegli episodi così nitidi nella sua mente, che lo rendevano orgoglioso di se stesso, non la tolsi, anzi mi avvicinai e posai delicatamente la testa sulla sua spalla. Continuavamo a camminare alla fine raggiungemmo una piazzola con al centro una fontana ricoperta di neve. L'acqua si era ghiacciata per il freddo, gli spruzzi erano illuminati da un lampione dalla luce gialla che proiettava le figure immobili per terra disegnando un intrico di linee scure. Ci fermammo sotto il lampione. Voleva baciarmi, ed io volevo porre fine alla sua vita. Lo avevo deciso.
Così mi avvicinai piano, in modo sensuale, ma non abbastanza da fargli capire le mie reali intenzioni. Il cielo era stellato, forse stavo sbagliando ma era un abominio per l'umanità permettere che una persona malata come lui vivesse. Le luci della città rendevano giustizia al mio crimine regalando un bagliore quasi spettrale e affascinate. Lui non si muoveva, mi fissava immobile stregato dalla mia eccessiva ma accattivante femminilità, avvolsi la sua nuca con le mie mani, e avvicinai le labbra al suo collo, volevo che desiderasse ciò che non avrebbe avuto, in un muto consenso appoggiai la bocca sul incavo della spalla, si era lasciato andare completamente, io allora lo tradii. Lo azzannai, con forza, per ucciderlo, trasformai la sua maglia in sangue, annaspava e gemeva tra le mie braccia , sentivo la sua vita scorrere nelle mie mani, e mi piaceva, come mi era sempre piaciuto avere il potere di scegliere,di decidere, mi dava un senso di potenza .
Il vento si era alzato, sferzava il mio corpo, ma io non sentivo freddo. Il sangue di David colava a terra, i ciottoli della città lo assorbivano: la città era mia complice, era attenta, aveva osservato la scena in ogni dettaglio ma non aveva fatto nulla per fermarmi, da un certo punto di vista ero arrabbiata con lei, mia fedele compagna, ma ella avrà avuto altro da fare, come intrattenere lontani turisti, ammagliare con i suoi colori notturni i ragazzi che spensierati giravano per le sue vie. Mi aveva aiutata.
Il corpo del ragazzo era senza vita tra le mie braccia, lo posai per terra e me ne andai.
   
 
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