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Autore: sbriashi    05/02/2015    2 recensioni
«Paul, ho solo una domanda: hai detto di vivere con tre ragazzi, dov'è il terzo?»
Come se qualcuno lassù avesse ascoltato la mia domanda, alla mia destra apparve un altro ragazzo. Quando mi resi conto che indossava solo delle mutande sobbalzai ma cercai di nascondere il mio imbarazzo dato che lui sembrava non averne.
«Oh, John! Abbi la decenza di coprirti almeno davanti a mia sorella!»
Genere: Comico, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: John Lennon , Nuovo personaggio, Quasi tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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John Lennon mi fissava da ormai un minuto ed io non riuscivo a togliere il mio sguardo dai suoi occhi. Erano bellissimi, immensi, due grandi sfere marroni in cui avrei potuto perdermi per sempre. Passai le dita fra i suoi capelli e lui sorrise. Per me il suo sorriso voleva dire tante cose, tutte belle. 
Si strinse ancora di più a me e mi avvolse in un abbraccio, mi sentii viva forse per la prima volta. Intorno a noi soltanto lenzuola bianche che profumavano di pulito e quelle pareti spoglie che ormai avevo imparato a conoscere a memoria. 
«Vorrei poter dormire con te per sempre» mi sussurrò, ancora mezzo addormentato. Mi colse completamente di sorpresa ed io non potei far altro che sorridere senza dire nulla. Stavo lì ferma ad ammirare il viso della persona che ormai era diventata una parte di me, la parte migliore. Non potevo più fare a meno di lui, sembrava che tutto quell’odio che un tempo provavamo l’uno per l’altra era svanito per far posto a questo amore così strano e allo stesso tempo magico. 
Mentre ero ancora immersa nei miei pensieri, John si alzò e si rivestì raccogliendo i vestiti da terra. 
«Oggi che intenzioni hai? Vai in giro con Stu?» gli domandai. 
«Sì, gli avevo promesso che lo avrei accompagnato in un posto. Tu che farai invece?»
Mi alzai dal letto e presi anche io i miei vestiti. 
«Ho un appuntamento con Anne fra poco, dopo andiamo a casa mia. Ovviamente devo rendere credibile la scusa che ho inventato per restare da te» 
Il giorno prima avevo detto a mio fratello Paul che sarei rimasta a dormire da Anne, invece ero andata a casa di Stu con John. Ovviamente alla mia amica le avevo raccontato che avevo passato la notte con un ragazzo che non era John, o mi avrebbe uccisa. 
«Mi sembra ovvio» rispose lui ridacchiando. 
All’improvviso qualcuno bussò alla porta della camera ed io sussultai. 
«Avanti!» urlò Lennon. 
La porta si aprì ed entro dentro la stanza un ragazzo non molto alto, moro, con gli occhiali e un look molto alla James Dean. Era Stuart Sutcliffe. 
«Johnny, mi dispiace interromperti ma ti vogliono al telefono» 
L’amico di John sembrava molto turbato ma non si dimenticò di salutarmi. 
«Non m’importa, sono occupato» 
«Ma John…»
«No! Ho detto che sono occupato, non rompermi» 
Stu abbassò la testa e se ne andò, capendo che forse avrebbe fatto meglio a stare zitto. Io rimasi allibita a fissare il mio ragazzo, sapevo benissimo che John purtroppo era così: aggrediva qualsiasi persona gli capitasse a tiro. Ma cavolo, odiavo quando trattava di merda i suoi migliori amici.
«Ma sei idiota? Che ti è preso?» sbottai io. 
«Non ti intromettere, non è il momento» 
«John Winston Lennon, adesso tu mi dici che cazzo hai!» 
Lo odiavo quando faceva così, lo odiavo davvero. Anzi, odiavo il suo atteggiamento da finto duro che ovviamente con me non funzionava perché ormai lo conoscevo meglio di chiunque altro. Perché doveva trattare male anche me?
«Non rompermi i coglioni e stai zitta!» 
Gli andai incontro e gli diedi una spinta al petto facendolo barcollare. Non ero particolarmente forzuta ma sapevo come trattare con Lennon.
«Perché devi trattarmi così?!» 
Non ero triste, non mi uscivano lacrime. Ero furiosa perché il John che avevo di fronte a me non era lo stesso con cui avevo dormito la sera prima. 
Era come se quella chiamata lo avesse fatto cambiare da un momento all’altro. 
«Perché mi hai rotto i coglioni!» mi ripeté urlando. 
Stavolta mi arresi e, dopo averlo fissato negli occhi per un po’, cercando un suo segnale di resa, decisi di andarmene. 
«Vaffanculo, Lennon» 

 

Quel giorno John non si era fatto vivo per tutto il pomeriggio ed io ero rimasta in casa con Anne. La cosa che più mi faceva arrabbiare era il fatto che non si era degnato neanche di chiedermi scusa per avermi aggredita in quel modo. Sembrava che non gliene importasse nulla di come mi sentivo in quel momento. Ed ero a pezzi, lo ammetto. Anche se cercavo in tutti i modi di non pensarci, di essere quella forte, mi rendevo conto in realtà di quanto fossi fragile. 
Stare con John Lennon era come stare sulle montagne russe, non potevi mai sapere cosa sarebbe successo. Ogni volta che litigavamo c’era una fastidiosa voce nella mia testa che mi diceva: “questa volta è finita davvero”, invece sembrava non finisse mai. 
«L’altro giorno una ragazza mi ha fermata per strada per chiedermi se stessi andando a casa tua, cioè dei Beatles, e mi ha chiesto se poteva venire con me» mi raccontava Anne mentre io ero ancora immersa nei miei pensieri. «Cioè, ma ti rendi conto?! Non l’avevo mai vista in vita mia! La gente sta impazzendo» 
Io ridacchiai per darle un po’ di soddisfazione ma non ero molto interessata ai suoi discorsi su quanto stavamo diventando popolari anche noi due grazie a mio fratello e gli altri tre. Tuttavia decisi di stuzzicarla come facevo sempre.
«Sei gelosa perché pensavi potesse rubarti Paul?» 
Alla mia domanda vidi i suoi occhi spalancarsi e assunse un espressione offesa, dopodiché prese un cuscino e me lo tirò dritto in faccia. 
«Smettila con questa storia! Piuttosto tu mettiti con George così finalmente sarà soddisfatto» 
Sbuffai rumorosamente e mi girai verso di lei. 
«Allora, io e George siamo migliori amici. Intendi?» 
Anne scoppiò in una fragorosa risata ed io la guardai infastidita. 
«Sei tu a pensarla così, lui pensa tutt’altra cosa di te»
«Adesso basta! Tu vorresti che ci mettessimo insieme ma a me non piace in quel senso e sono sicura che anche George non vorrebbe mai rovinare la nostra amicizia» 
La mia amica uscì dalla stanza con un sorrisetto malizioso dipinto sul viso per farmi intendere che non credeva ad una sola parola di ciò che avevo appena detto. 

 

Quando Anne se ne tornò a casa realizzai che ero rimasta completamente sola. Paul era uscito da poco e sarebbe tornato tardi, Ringo era andato dai suoi per qualche giorno e di George non c’era traccia. Mi sdraiai sul divano per riposarmi un po’ ma non feci in tempo e chiudere gli occhi che la porta si spalancò e spuntò fuori un George Harrison tremendamente infreddolito e bagnato. 
«Georgie! Ma sei matto ad uscire a piedi con questo tempo?!» lo sgridai preoccupata. Lui non riuscì neanche a dire una parola da quanto tremava. Lo aiutai a levarsi il cappotto completamente fradicio e gli portai una coperta asciutta. 
«Grazie Mary, non dovevi» 
Gli sorrisi per rassicurarlo e lui ricambi. 
«Che eri andato a fare in giro?» 
Si strofinò i capelli cercando di asciugarli ma ottenne soltanto un aspetto buffissimo che mi provocò una risatina. 
«Ero a casa di un mio amico, quando sono uscito è iniziato a piovere ed ora eccomi qua» 
Mi faceva un po’ pena il povero chitarrista, aveva un’aria da cane bastonato. Senza pensarci lo abbracciai e poggiai la mia faccia nell’incavo delle sue spalle. Non so bene perché lo feci, forse perché avevo bisogno di affetto, cosa che John ultimamente si era dimenticato di darmi. 
«Sarà meglio che tu vada a cambiarti o prenderai qualcosa» dissi un po’ imbarazzata appena mi staccai da lui.  George annuì e andò in camera sua. 
Ero troppo tentata di dirgli ciò che stava accadendo, non riuscivo a tenere a lungo un segreto con i miei migliori amici e lui era sicuramente uno di essi. Avrei voluto raccontargli ogni cosa e confessargli quanto fossi combattuta, quanto odiassi John per trattarmi male e quanto lo amassi per qualsiasi cosa diceva o faceva. In realtà ogni volta che me ne andavo nel bel mezzo di un litigio, ignorando tutte le offese che mi urlava, quando io gli dicevo che era finita, desideravo soltanto che lui mi inseguisse e che guardandomi negli occhi mi dicesse “Mary, sono innamorato di te e questo non cambierà mai”. 

 

Appena Harrison si fu cambiato mi raggiunse in sala da pranzo, dove io ero pronta ad aspettarlo con una tazza di cioccolata calda. 
«Ma quella è per me?» mi domandò con un sorriso. Io mi limitai ad annuire e gli porsi la bevanda. Ovviamente si fiondò sulla tazza e nel giro di pochi minuti la finì tutta. 
«Grazie per la cioccolata, era molto buona» mi ringraziò mentre con una mano si puliva la bocca. Era sempre il solito ingordo che non ingrassava neanche di un kilo nonostante mangiasse in quantità esagerata. 
«Figurati, non è la prima volta che lo faccio» 
Lo vedevo nervoso quella sera, più strano del solito. Mi chiedevo se ci fosse qualcosa che lo turbasse. Normalmente George con me era molto tranquillo e spensierato, non come era in quel momento. 
«Senti, ti va di fare una passeggiata prima di andare a dormire?» mi chiese ad un certo punto tenendo lo sguardo puntato verso il basso come per paura di una mia reazione negativa. 
«Volentieri, ha smesso di piovere?» 
Si alzò dirigendosi verso la finestra di cucina e, dopo aver scostato la tenda, tornò con un sorrisetto soddisfatto sul viso. 
«Non piove più, possiamo andare!» esclamò contento. Ridacchiai e pensai che non avrei mai trovato nessuno al mondo come lui. 

 

Iniziammo a camminare per le vie poco illuminate di Liverpool fianco a fianco e mi sentii veramente rilassata e tranquilla, non dovevo preoccuparmi di niente e di nessuno in quel momento. John era chissà dove ma per uno strano motivo riuscivo a non pensarci. O meglio, ci pensavo ma non gli davo molto peso. Infondo era il suo solito, no? Ubriacarsi e portarsi a letto una ragazza a caso. Pregai dentro di me con tutto il cuore che fosse cambiato e nel profondo sapevo che nonostante tutti i nostri litigi non sarebbe mai riuscito a fare una cosa del genere. 
«Era da tanto tempo che non parlavamo» mi fece notare George. Misi il broncio e lui ridendo appoggiò il braccio sulle mie spalle. Avvertii uno strano brivido salirmi lungo la schiena e rimasi quasi spaventata da quel gesto.
«Infatti sono felice di essere qui con te adesso» gli sussurrai stringendomi a lui. 
«Ti vedo molto impegnata in questi giorni, scappi via tutti i pomeriggi» 
Deglutii a fatica cercando di non fargli capire che ero in soggezione. Speravo non sospettasse di me e John. 
«Uhm, sì, ho tante cose da fare» mentii, cosa che ormai mi riusciva bene con chiunque. Però mentire al mio migliore amico non mi faceva stare molto bene. 
«E tu? Che hai di bello da raccontarmi?» gli chiesi cambiando argomento. 
«Vorrei dirti che la mia vita è emozionante ma sarebbe una grande bugia. Se questa band non funziona, mio padre ha già deciso la mia carriera da elettricista» mi confessò con aria turbata. 
«Funzionerà! Hai visto quanto successo state già guadagnando? Dì a tuo padre che può farlo lui l’elettricista, tu sarai un musicista di successo e non dovrai stare agli ordini di nessuno!» lo incoraggiai. 
Desideravo soltanto il meglio per lui e per i ragazzi ed avrei fatto qualsiasi cosa per aiutarli od anche per dargli la forza di non arrendersi mai. 
Lo vidi sorridere come se fossi riuscita a dargli un po’ di speranza in più, cosa che mi rendeva veramente felice. 
Continuammo a camminare per un bel po' di tempo e parlammo di un sacco di cose. Mi raccontò di quanto fosse difficile essere il più calmo e tranquillo del gruppo, di quanto a volte si sentisse isolato e scoraggiato. Ma poi la sera dopo gli bastava salire sul palco, dare il meglio di sé e capire che tutto il suo sforzo non era stato invano. Mi confessò in oltre che era ancora vergine (cosa difficile da credere vista la sua popolarità fra il pubblico femminile ma, ahimè, era la verità), stava semplicemente aspettando quella giusta. 
«Quindi se una ragazza ti saltasse addosso e ti spogliasse, tu la respingeresti?
» gli domandai con sguardo ammiccante. Lui rise e mi rispose: «Se non è quella giusta? Ovvio, non faccio sconti per nessuna» 
Lo guardai ammirata, era quasi impossibile trovare un ragazzo della sua età che la pensasse come lui. Quella sera mi convinsi sempre più di quanto George fosse speciale e diverso, in senso buono ovviamente. 

 

Appena arrivammo sul nostro viale avvertii subito qualcosa di strano, come se ci fosse qualcosa che non tornava. Mi precipitai verso la porta d’ingresso ed era aperta. Lì mi prese il panico.
«George! Sono entrati dei ladri! Sono sicura di averla chiusa quando siamo usciti» gli dissi sottovoce cercando di fare il meno rumore possibile. 
«No, è impossibile: non ci sono segni di effrazione. L’avrai sicuramente accostata e con il vento si è aperta» cercò di tranquillizzarmi ma senza risultati dato che pochi secondi dopo sentimmo dei rumori molesti provenire dall’interno. 
Mi batteva il cuore all’impazzata e mi strinsi forte al mio amico dalla paura. E se fossero stati armati? Ci avrebbero ucciso? Dovevamo entrare o aspettare fuori per non rischiare?
Mi voltai verso il parcheggio sperando di trovare la macchina di mio fratello ma non c’era, adesso anche la speranza che potesse essere lui se n’era andata.
«Adesso mi dai la mano ed entriamo insieme, okay? Vado avanti io, tu seguimi» mi ordinò mentre mi accarezzava il viso per calmarmi. Feci un respiro profondo e lo presi per mano, come mi aveva chiesto di fare, dopodiché entrammo in casa in punta di piedi per non essere scoperti. Chiudemmo la porta alle nostre spalle e George accese finalmente la luce. La casa era deserta, almeno così era il piano terra. 
«Non c’è nessuno» affermai un attimo prima di sentire dei passi scendere le scale. Terrorizzata abbracciai George che mi strinse a sua volta. All’improvviso una figura apparve da dietro il muro ed io tirai un sospiro di sollievo ma rimasi comunque incredula a fissarlo. 
«John?!» lo chiamò George, sorpreso quanto me di vederlo lì. 
Lennon era in delle condizioni veramente pessime, con i capelli arruffati, la camicia mezza sbottonata ed una birra in mano. Era chiaramente ubriaco. Rimase a fissarci per un tempo che sembrò interminabile e poi si fiondò su George prendendolo a spintoni. 
«Che cazzo pensavi di fare?! EH?! Stronzo!» iniziò a far volare offese qua e là, come di suo solito ed io cercai in tutti i modi di dividerli. 
«John, smettila subito!» urlavo mentre lo strattonavo per un braccio. Il povero George cercava di difendersi e rimaneva in silenzio subendo le botte che gli infliggeva l’altro.
«L’hai baciata? Dimmelo! Devi stare lontano da lei, bastardo!» 
Cercava in tutti i modi di ferirlo ma non ci riusciva viste le sue condizioni. Appena si avvicinava, George si scansava ed evitava il cazzotto di John mentre lui continuava ad insultarlo. 
«Cazzo, falla finita! George non ti ha fatto niente!» 
A queste mie parole, John si fermò e spostò il suo sguardo su di me.
«Ah, quindi è così? Stai cercando di difenderlo? Ti piace Harrison, non è vero? Puttana!» 
L’unica cosa che ricordo dopo quelle parole fu un rumore assordante, proprio sulla mia faccia. Il suo schiaffo mi fece barcollare ed un calore improvviso mi invase dentro. Delle lacrime calde iniziarono a scorrere lungo le mie guance e fu in quel momento che John tornò in sé. 
«Vattene, adesso» gli ordinò George. 
Mi guardò a bocca aperta, con lo sguardo disorientato e smarrito, come se non si stesse rendendo conto di ciò che era appena successo, come se fosse cambiato da un momento all’altro. 
«Vattene!» gli ripeté l’altro, e così lui fece. Uscì dalla casa senza dire nulla e poi sparì nel buio.

 



bentornatiii :D
se c'è qualche errore di scrittura perdonatemi ma ho il pc nuovo e anche se lo riguardo sono sicura che qualcosa ho dimenticato di correggere D:
sappiate che c'è un motivo preciso per cui John si comporta in questo modo ma non posso fare spoilers ahahah
se non fosse stato per Lennon ubriaco, il povero George avrebbe voluto dichiararsi :( 
ti prego Georgie non mi odiare (?)
comunque grazie mille a chi legge, recensisce e mette la storia nelle seguite/preferite :)
al prossimo capitolo! 
un abbraccio,
-M

   
 
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