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Autore: Neon5    05/02/2015    1 recensioni
La vita ad Annabel non aveva fatto altro che mostrarle prove insormontabili, che avevano inciso profondamente e danneggiato la sua psiche e la sua salute; tuttavia il suo passato non era nient'altro che l'inizio di una serie di sfortunati eventi.
E tuttavia si ricordava ancora di due fratelli, che aveva conosciuto in un remoto passato e che in qualche modo avevano influenzato la donna che era diventata oggi.
Genere: Azione, Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Corazòn, Donquijote Doflamingo, Donquijote Family, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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Istinto

 


Tempo fa avevo letto un articolo di un neuroscienziato che mi aveva interessato particolarmente. Secondo la sua tesi il cervello umano sarebbe ripartito in tre sezioni differenti, ognuna delle quali ricopre un compito specifico: il cervello limbico, una porzione del telencefalo che si occupa di elaborare informazioni a livello di olfatto, memoria a breve termine e svariate funzioni psichiche, il neocervello, sede di articolazione del linguaggio e della percezione dello spazio e del tempo, e il cervello detto “rettiliano”, sede dell'aggressività e degli istinti più primordiali. Mi affascinava lo studio del cervello, soprattutto la parte del cervello rettiliano, perché riusciva a darmi in parte la certezza che la malvagità era qualcosa di radicato nell'uomo già dalla nascita. Ma allora perché la gente non era tutta malvagia? Forse la malvagità di un individuo non era legata esclusivamente alle sue caratteristiche genetiche, forse era qualcosa più legata all'anima. 
Era quindi corretto accettare il dualismo tra anima e corpo? Erano anni che cercavo disperatamente di darmi delle risposte, e lo facevo anche usando la scienza, ma non ne ricavavo molto. 
Forse le risposte le avevo proprio davanti a me, solo che mi rifiutavo di accettarle. Mi veniva difficile infatti ammettere che avevo avuto una vita di merda, che tutta quella violenza mi aveva stravolto l'esistenza; io ormai ero marchiata. Non ero più quella bambina felice e spensierata che andava insieme alla mamma a raccogliere fiori di campo, che si abbuffava di biscotti e si addormentava sulle gambe di papà; ormai non ero più neanche una bambina. 
Ma allora io da che parte stavo? Io non ero buona ok, ma non ero neanche del tutto malvagia, cosa diavolo ero io? Qualunque cosa io fossi in quel momento non contava, ciò che importava veramente era uscirne viva, e per farlo sarei ricorsa anche alla parte di me che più temevo in assoluto.
L'istinto primordiale più forte è sicuramente quello che garantisce la sopravvivenza, e se io volevo sopravvivere dovevo arrestare tutte le emozioni che provavo, qualunque cosa mi dicesse quel demonio.
« Ma tu guarda, ti sei liberata, ma che brava... credevo che ti fossi già rassegnata ».
« Sta zitto bastardo! Non nominare più mia madre, né mio padre! Il tuo avversario sono io adesso! »
Stavolta fui io ad iniziare, e senza lasciargli il tempo per replicare mi avventai su di lui con la mia spada. Si riparò prontamente il volto con una grossa catena, mentre io continuavo a lanciagli dei fendenti con tutta la mia forza. Ci diedi dentro di brutto, e alla fine la sua massiccia catena di ferro si frantumò in mille pezzi. Stavo finalmente per colpirlo, però mi ero avvicinata troppo per poterlo attaccare, e adesso aveva provato ad afferrami per le gambe con delle catene. Mi scansai in tempo, riuscii ad evitarle, e con un balzo saltai su un grosso cumulo di macerie; gli attacchi ravvicinati con lui non andavano bene, dovevo provare qualcosa di diverso.
Uscii da quella stanza, mi misi a correre a perdifiato lungo quell'immenso e buio corridoio, e finalmente intravidi delle scale. Quel bastardo non aveva smesso neanche per un istante di attaccarmi con le sue catene, continuavano ad inseguirmi, strisciando al suolo come dei viscidi serpenti e mandando in pezzi qualunque cosa gli ostacolassero la strada. Estrassi la mia fune, sparai un colpo e riuscii ad agganciarla alla ringhiera del primo piano. Con un balzo arrivai volando al secondo piano e mi nascosi in una stanza.
« È inutile nascondersi, ti troverò bambolina e ti farò a pezzi ».

Mi ero nascosta sotto una grossa cattedra, o quello che ne restava, e quando lo vidi arrivare decisi che era ora di sfoderare una delle mie tecniche più potenti.
« Lame fantasmaaa! »
Erano anni che lavoravo su quella tecnica per migliorarla, e alla fine ero abbastanza soddisfatta del risultato. Era un colpo molto potente, il risultato della combinazione di dieci rapidi fendenti raggruppati in uno solo: quel colpo aveva una gittata di oltre trenta metri, riusciva a spaccare qualsiasi cosa in pochi istanti. Diressi il colpo verso il soffitto, che si sgretolò velocemente e gli cadde addosso. Avevo fatto un bel lavoro, però sapevo bene che non era sufficiente per batterlo. Dovevo allontanarmi adesso e tornare a cercare il lumacofono.
Credevo che quella tecnica mi avrebbe fatto guadagnare un po' di tempo, ma non fu così. Infatti dopo qualche minuto sentii un boato, era lui che si era liberato dalle macerie. Ero nei guai, e sebbene fossi già stanca non potevo riposarmi neanche un attimo.                                      
« Maledetta puttana! È tutto inutile, tu stanotte morirai! Stai solo ritardando la tua ora! »
Le sue agghiaccianti urla riecheggiavano per tutto l'edificio, facendo tremare le mura. Era davvero incazzato.

Avevo raggiunto il piano sotterraneo attraverso il buco nel pavimento nel quale ero caduta prima; cercai a lungo e finalmente ritrovai il lumacofono.
« Hey ragazze! Pronto, mi ricevete? »
« A-Annabel! Ma perché parli sottovoce?! Che succede? »
« Ah Isabel, sei tu... M-ma ma... che cazzo ci fai sveglia a quest'ora? Tu dormi praticamente sempre! Tsk, ad ogni modo... Devo dirti una cosa... »
« Ma Annabel! I- io devo parlarti, sono io che devo confessarti una cosa... »
« Non ora! Tra poco arriverà il tuo caro Jeff con un biglietto, seguite le istruzioni alla lettera, ok? Niente domande! Sta per arrivare la Marina con un Ammiraglio, siete nei guai! »
« Che cooosa? J- Jeff è qui?! L- la Marina? Un Ammiraglio?! Annabel, che succede? Annabeeeel! Risp... »
Non replicai, chiusi la chiamata e ficcai il lumacofono in tasca.

 

                                                                                     ☠ ☠ ☠

Raoul era sparito, da un buon quarto d'ora ormai, ma dove diavolo era finito? Forse aspettava che io abbassassi la guardia, quel tipo era un vero demonio.

Ero tornata al piano superiore, e adesso ero entrata in una stanza. Era buio pesto, c'erano diversi scaffali pieni di polvere e oggetti strani. Afferrai quello che sembrava essere un barattolo di vetro, lo ripulii dalla polvere e lo osservai attentamente: al suo interno c'era quello che sembrava essere un embrione non del tutto formato, non umano, completamente immerso in una soluzione che sembrava essere formalina. Era qualcosa di raccapricciante. Inutile dire che uscii di corsa da quella stanza, quel luogo faceva accapponare la pelle. Se c'era una cosa che non sopportavo in quanto medico/scienziato era proprio fare manipolazioni genetiche per riportare in vita creature estinte ormai da tempo; la natura è giusto che segua il suo corso, alterarla significa solo creare guai.

Trovai delle scale e iniziai a salirle, ma proprio quando arrivai a metà Raoul mi riapparve di fronte. Con un balzo saltai giù dalla ringhiera e iniziai a correre lungo il corridoio, poi tutt'a un tratto vidi qualcosa che mi bloccava la strada; erano delle catene, tantissime catene, formavano una specie di ragnatela! Venivano verso di me! Iniziai a tagliarle con la spada, ma sebbene ne avessi tagliate moltissime una riuscì ad afferrarmi la mano con cui tenevo la katana. Appena la spada cadde al suolo una moltitudine di catene mi si avvinghiarono attorno al corpo, immobilizzandomi.
« Annabel... Sai che mentre combatti assomigli proprio a tua madre? Così fiera, così bella... Perché non me lo dai un bacio? Cosa c'è, non hai mai baciato un uomo? Nemmeno il tuo adorato maritino? Sei così pura... è un peccato ammazzarti, ci saremmo potuti divertire... »
« Vattene! Non mi toccare, vattene! »
« Oh no, non mi rifiutare di nuovo, mi costringi ad ammazzarti subito così! È davvero un peccato che una ragazza così bella sia così sfortunata... La tua morte sarà una liberazione per la tua gente, pensa questo! Raggiungerai i tuoi amati genitori all'altro mondo! »
« Tu non sai un bel niente della gente della mia isola, ok? Schifoso bastardo! »
Non dovevo pensare, non mi dovevo arrabbiare, lui usava le mie emozioni negative per farmi soffrire ancora di più. Strinsi i denti e riuscii per qualche minuto a sopprimere le mie emozioni, concentrai l'Haki dell'armatura su un unico braccio e, dolorosamente, spezzai velocemente parte di quelle catene.
Ero vicina, molto vicina a lui; raccolsi la spada da terra e, in un batter d'occhio, gliela conficcai al petto. Mi ero ferita molto per liberarmi da quelle catene, soprattutto le braccia, sanguinavo, ma almeno ero riuscita nel mio intento. Eppure qualcosa non andava. Dopo quel colpo ero caduta a terra, non riuscivo più a muovermi, ma la cosa che mi preoccupava era un'altra: il mio avversario era infatti rimasto in piedi, immobile, avevo un brutto presentimento. Avevo ragione, maledettamente ragione.
Dopo qualche minuto alzò un braccio e, come se niente fosse, con un singolo gesto, estrasse la spada fuori dal petto. No, quello non era un essere umano, era decisamente un mostro. Non era solo sopravvissuto, sembrava essere del tutto illeso, nonostante l'avessi centrato in pieno petto con l'Haki! Per me era finita. Si avvicinò di nuovo a me, ma io stavolta non avevo più la forza per poter scappare. Mi afferrò per un braccio, premendo con forza su una delle mie ferite, mi alzò da terra e mi sbatté violentemente contro un muro, facendomi crollare addosso dei calcinacci.
« Annabel... ho indagato tantissimo per trovarti, so parecchie cose su di te, cose che la tua gente ti ha nascosto per anni! »
« Ammazzami, non me ne frega niente! »
« No, non così in fretta! Voglio che tu soffra! Sai chi ti ha rovinato la vita? Sai chi ti ha fatta rapire per ben due volte? Guardami! »
« Non me ne frega niente, ok? Fammi fuori se è proprio quello che vuoi, ma non parlarmi! »
« Amanda! »
Distolsi lo sguardo da lui, guardavo a terra. No, non volevo dargli la soddisfazione di vedermi piangere, mi aveva già sconfitta e stava quasi per ammazzarmi, non gli avrei dato anche quest'altro piacere. Quella rivelazione non mi aveva sconvolta più di tanto, aveva solo confermato ciò che io sospettavo ormai da tempo.

Mi buttò a terra, si mise a cavalcioni sopra di me e mi avvinghiò una mano al collo, mentre con l'altra mi accarezzava delicatamente una guancia.
« Annabel... cosa c'è, perché non parli più, dov'è finito il tuo cinismo? »
« Fottuto bastardo! Ammazzami se è ciò che vuoi! Tanto Big Mom ti farà fuori! »
« Ragazzina, si vede che tu non sai proprio nulla... Io e lei abbiamo obiettivi diversi, da adesso in poi le nostre strade si divideranno! Tu piuttosto, non mi sembri molto sorpresa da ciò che ti ho appena detto, la tua amata zia ti ha fatto rapire la prima volta quando avevi sette anni e la seconda volta quando ne avevi quindici! Davvero la cosa non ti stupisce?! »
« Fottiti! »
« Sai perché l'ha fatto? Sai perché lei ti odia così tanto? Sì, forse lo sai già... Lei ti vuole morta! »
« Sai che sei un maledetto figlio di... »
In quel momento iniziò a stringere la presa sul mio collo, mentre con l'altra mano mi accarezzava i capelli. Non riuscivo a reagire, per quanto cercassi di nascondere le mie emozioni non ce la facevo, e come potevo.

Mia zia Amanda aveva sempre dimostrato astio nei miei confronti, già dal nostro primo incontro, quando avevo sette anni. Sebbene lei e mia madre fossero sorelle gemelle erano due persone completamente diverse, e me ne resi conto fin da subito: lei era una donna crudele e spietata, che pensava solo ai soldi e a come truffare il prossimo. Era stata lei che mi aveva riportata ad Amazon Lily, contro la mia volontà. Era venuta a cercarmi fin dove mi avevano nascosta i rapitori, in quella malfamata discarica del Mare Settentrionale; appena capì che ero la sua amata nipotina mi disse che ero solo una maledetta mocciosa, che aveva perso anche fin troppo tempo per cercarmie che ero la degna figlia di quella sgualdrina di mia madre. 
Sebbene all'epoca avessi solo sette anni e non capivo il pieno significato di “sgualdrina”, capii che era un termine molto negativo; per tutta risposta sfoderai il mio coltello e cercai di colpirla.
Lei mi picchiò violentemente, anzi selvaggiamente, visto che mi fece saltare due denti e mi ruppe il setto nasale, e velocemente, come se niente fosse, mi caricò a bordo della sua sfarzosa nave. Eh sì, “sfarzosa”, non so neanche se si possa usare questo termine per descrivere una nave, so solo che quella più che una nave sembrava una reggia. Ah giusto, lei era la nuova Imperatrice di Amazon Lily, era succeduta al trono dopo che quella sgualdrina di mia madre era stata cacciata via a pedate dall'isola, lei nei soldi ci “nuotava”, mica era al verde come lo ero io. 
Quando ripresi conoscenza, dopo svariati giorni credo, mi fece portare in camera sua e, come se niente fosse, mi disse che quei due bastardi dei miei genitori erano crepati, e che da allora in poi lei si sarebbe occupata di me e mi avrebbe rieducata, con lo scopo di obbedirle fedelmente. La mia reazione? Le sputai in faccia. La sua reazione? Mi picchiò di nuovo, sebbene le mie precedenti ferite non si fossero ancora neanche lontanamente rimarginate. Quella volta mi ruppe due costole. Morale della storia? Mi venne un esaurimento nervoso, tale al punto che mi rifiutavo anche di mangiare e di parlare. Cosa successe quando tornai ad Amazon Lily? Il caos. Mi consideravano pazza, malata, un soggetto da evitare. Sì, io ero pazza, ero pazza perché continuavo a dire che sarei andata via da lì, che quel posto era antiquato, che sarei diventata un Marine proprio come lo era mio padre.
Qual'era il criterio secondo il quale la gente su quell'isola veniva considerata “sana”di mente? Ma ovviamente credere ciecamente a tutte le stronzate che dicevano mia zia, i membri dell'oligarchia e le sacerdotesse, mai e dico mai agire contro la loro sacrosanta volontà. Ma io mi divertivo a farlo, e anche se venivo pestata a sangue appena guarivo tornavo di nuovo a fare ciò che volevo. 
Eh già, loro non volevano ammazzarmi, volevano solo farmi scontare le pene dell'inferno giorno dopo giorno, volevano soggiogarmi, trasformarmi in un burattino.

Capivo perché mia madre era scappata via da quel posto quando io avevo solo un anno, e non la biasimavo per aver abbandonato il trono, lei lo aveva fatto solo perché voleva stare con mio padre. Mia madre era una donna molto colta, a differenza di mio padre le piaceva leggere, e io avevo in qualche modo ereditato questo suo interesse; ma su Amazon Lily non trovavo mai libri interessanti, c'era solo roba noiosa. Ogni volta che tornavo dalle mie missioni portavo un sacco di libri, libri che la nostra cultura considerava “proibiti” solo perché se letti aprivano nuovi orizzonti mentali, libri che potevano mettere seriamente in discussione il loro potere assoluto.

La cosa che mi dava più sui nervi era la gente superstiziosa; si diceva che le Kuja generassero solo figlie femmine, ma cosa succedeva se per caso nasceva un... maschio? La madre e il bambino venivano immediatamente cacciati via dall'isola ovvio, venivano considerati una sorta di maledizione.
Eh no, perché con loro era inutile parlare di genetica, di caratteri dominanti e caratteri recessivi, credevano che “gli spiriti maligni” avessero scatenato la loro ira sull'intera isola. Che palle. Ricordo ancora quella volta quando cercai di farle ragionare, stavano cacciando via dall'isola una povera donna che aveva appena partorito un “bambino” e che aveva una grave emorragia. Quella donna aveva avuto a sua insaputa una gravidanza extrauterina, era in serio pericolo di vita. Avevo intenzione di far venire sulla nostra isola un bravo dottore per tentare di fermare l'emorragia, ma fu tutto inutile. Nonostante mi opposi con tutte le mie forze alla fine la donna morì, e io circa una settimana dopo, “misteriosamente”, mi ritrovai alla casa d'Aste all'Arcipelago Sabaody.
Uhm, chissà come diavolo c'ero finita là...
Mi avevano narcotizzata, non ricordo molto, però adesso i conti tornavano. Era fin troppo chiaro che la mia cara zietta avesse organizzato tutto, sapeva bene che se mi avesse comprata un Drago Celeste pervertito io l'avrei ammazzato; in altre parole era stata lei a rovinarmi la carriera prima ancora che iniziasse. Non sarei mai potuta diventare un marine, ero costretta a farle da schiava. Maledetta stronza.

Cosa mi disse quando ritornai ad Amazon Lily? All'inizio mi guardò esterrefatta, poi si avvicinò, mi prese il mento con due dita, mi guardò intensamente negli occhi e, con molta calma, mi disse semplicemente che se mi avevano scambiata per una puttana era evidentemente perché io somigliavo a una puttana, tutta colpa del mio bel faccino. Aveva il senso dell'umorismo, non c'era che dire, mi amava così tanto che cercava anche di farmi ridere. Però, stranamente, mi fece anche i complimenti, disse che avevo fatto bene ad ammazzare quel tipo.
Cosa feci? Niente, ormai ero stanca, qualunque cosa lei dicesse per me non aveva più la benché minima importanza...

Cosa diavolo mi spingeva allora a non andarmene via da quel cazzo di posto? La mia ciurma ovvio, loro erano le mie uniche e vere amiche, non volevo metterle nei guai per colpa mia. Non eravamo ancora abbastanza forti per andare nel Nuovo Mondo, quindi in un certo senso eravamo costrette a restare lì. Dovevo sopportare.

Ricordo per filo e per segno quando le incontrai, come se fosse ieri. La prima che conobbi fu Christa, che all'epoca aveva solo diciassette anni; era una ragazza sveglia e attiva, con una gran voglia di imparare ma con poche possibilità per poterlo fare. Un giorno io ero seduta da sola, vicino al fiume, lei venne e iniziò a parlarmi. All'inizio io non le rispondevo, mi limitavo ad osservarla sospettosa, poi però iniziò a parlarmi di mia madre; iniziò a vantarmela, a dirmi che era stata una bravissima Imperatrice. Ero scioccata. Lei era la prima persona che avevo incontrato in quel posto che parlava bene di mia madre, l'unica forse. No, non potevo continuare a tacere. Con mio grande stupore, senza neanche accorgermene, tornai a parlare, per la prima volta dopo mesi, e fu così che poco alla volta facemmo amicizia.

Passarono quattro anni, e finalmente un giorno ottenni il permesso per andare in missione; sarei andata con Christa. La verità era che volevano liberarsi di me, i loro tentativi di rieducarmi risultavano vani e speravano che io crepassi. Sì, col cavolo che io crepavo.
Dovevamo andare a recuperare tre bambine che erano state portate via a forza da una delle nostre navi, secondo le nostre fonti erano state deportate all'arcipelago Sabaody.
Dopo qualche giorno arrivammo a destinazione. Christa mi stava costantemente accanto, non mi perdeva d'occhio un attimo, o almeno lei così credeva. Il nostro gruppo stava cercando le bambine alla casa d'Aste, ma lì non c'erano, beh sì, non ce le avevano ancora portate. Mentre le donne discutevano sul da farsi io ero riuscita a sgraffignare una mappa, volevo cercare una biblioteca, e così mi ero allontanata, da sola. La biblioteca non la trovai, e non perché la mappa fosse scritta male, ma perché avevo solo dieci anni e di mappe non ci capivo un corno, ma in compenso avevo trovato qualcos'altro.
Era una baracca, e dentro c'erano cinque uomini che parlavano tra loro; dopo un po' quattro di loro uscirono e ne rimase dentro solo uno, che si era addormentato sulla sedia. Cosa mi aveva incuriosito di tutta quella situazione? Beh sì, forse il fatto che durante il loro discorso avessero parlato di “tre bambine”che dovevano tenere “nascoste”, tre giovanissime “Amazzoni” che valevano una “fortuna”. Ero una bambina okay, però mica ero scema, avevo capito tutto. Beh sì, forse quei cinque mesi che avevo trascorso nel Mare Settentrionale fra assassini e criminali d'ogni genere mi avevano aguzzato l'intelletto, e di tanto anche. Avevo capito che per qualche strano motivo gli uomini erano interessati alle donne, soprattutto se giovani e belle, specialmente le Kuja, pagavano fior di quattrini per averne “almeno” una. Maledetti pervertiti.
Aprii silenziosamente la porta e andai dritta giù per le scale, dove c'era una stanza. Sfondai la porta e nell'oscurità intravidi che c'era qualcuno a terra, in un angolo: erano più di uno, erano tre bambine. Mi avvicinai e vidi che erano tutte e tre legate con delle corde ad un palo di legno, ed erano anche imbavagliate. Le liberai velocemente e le condussi fuori, al sicuro.
Erano tre bambine molto belle, graziose, e anche un po' “bizzarre”, ma simpatiche. La bambina dai capelli rossi disse di chiamarsi Ines, aveva sei anni, era molto loquace e sveglia. Quel giorno indossava un bel completino blu che s'intonava con il colore dei suoi occhi, era davvero carina. Nonostante l'avessi liberata continuava ad essere seriamente preoccupata: continuava a dire di avere paura dei fantasmi, anzi era proprio convinta che gli uomini che l'avevano sequestrata fossero dei fantasmi. Io mi misi a ridere, probabilmente era stata abbindolata dalle dicerie della nostra gente, d'altronde lei un uomo non lo aveva mai visto, invece io sfortunatamente avevo imparato a distinguerli bene. Poi c'era Miriam, la bambina dai capelli e dagli occhi turchesi, aveva otto anni, e anche lei era davvero buffa: sembrava calma, ma non lo era, continuava a scompigliarsi i capelli con le manine, era agitata, credeva di avere dei ragni sulla testa. Io le pettinai i capelli con cura, ma sebbene l'avessi rassicurata che in testa non aveva proprio nulla continuava a non crederci. Povera piccola, io la capivo, chissà per quanto tempo era rimasta in quello maledetto scantinato, così buio e così umido, era ovvio che avesse ancora paura. E infine c'era Isabel, una bella bambina di otto anni anche lei, dai capelli castani e gli occhi verde smeraldo. Parlava poco, molto poco, fui io ad iniziare; all'inizio si limitava a guardarmi, poi dopo un po' estrasse qualcosa dalla tasca, era una specie di bacca o un seme. In un primo momento la guardai un po' perplessa, poi mi accorsi che aveva qualcos'altro nelle tasche del suo vestitino arancione... Diamine quelli erano altri semi, le sue tasche erano piene di semi! Quando le chiesi a cosa le servivano, lei mi disse semplicemente che li aveva presi solo perché voleva avere un ricordo di quel “viaggio”.
Che dire, erano buffe, bizzarre, adorabili. Fin dal primo momento che le vidi capii che non mi sarei mai più separata da loro, loro sarebbero diventate le mie migliori amiche. Io avrei insegnato loro a combattere e a difendersi, loro non avrebbero mai più avuto paura di niente e di nessuno. Di nessuno.
Nessuno le avrebbe mai più rapite, nessuno avrebbe più fatto loro del male, nessuno poteva separarci. Era quello che speravo.

Eppure adesso mi trovavo in bilico tra la vita e la morte, quel bastardo continuava a stringere la sua mano attorno al mio collo; poco alla volta le forze mi stavano abbandonando. Sentivo le sue dita, una ad una premere sul mio collo, il tocco del suo freddo guanto di pelle mi causava dei brividi lungo tutto il corpo. Ero immobilizzata dalla paura.
Sentivo il suo respiro diventare sempre più pesante; era eccitato, era la mia agonia a causare in lui tanto piacere. Con l'altra mano continuava ad accarezzarmi il volto, i capelli, e mano a mano scendeva sempre più giù. Si era soffermato a giocare con il lembo della mia maglietta adesso, voleva alzarmela. Avrei voluto vomitare. Mi sentivo stanca, stavo per perdere i sensi, mancava poco ormai. Se avessi perso i sensi, stavolta non mi sarei mai più svegliata, sarei morta. Cosa voleva farmi? Cosa ne sarebbe stato di me? No, forse in quel momento non erano questi i pensieri che mi giravano in testa. La cosa che davvero mi rammaricava? Io non avrei mai più rivisto le mie amiche, avrei infranto la mia promessa di restare al loro fianco, non sarei più stata il loro capitano.
Ma soprattutto io non avrei mai più rivisto lui, il mio più caro amico d'infanzia che cercavo ormai da anni, Rocinante; sapevo che era ancora vivo, non avevo smesso di sperarlo neanche solo per un giorno, volevo trovarlo ad ogni costo, avevo così tanto da dirgli. In quei cinque maledetti mesi che avevo trascorso nel Mare Settentrionale lui aveva fatto molto per me, la sua presenza era stata la mia unica ancora di salvezza. Se io oggi ero quello che ero lo dovevo solo a lui.

No, non potevo morire, non così, non adesso. Se è vero che il nostro istinto mira principalmente alla salvaguardia di noi stessi, io non avrei dovuto fare altro che seguirlo. Cosa mi stava facendo male in quel momento? Il collo. Cos'era che mi causava quel dolore lancinante e mi impediva di respirare? La sua fottuta mano. Cosa avevo io, guarda caso, attaccato alla cintura dei miei pantaloni? Il mio pugnale. Mi bastava solo fare qualche veloce ragionamento logico, eppure c'era ancora qualcosa che non tornava. 
Lui era troppo concentrato a guardare e accarezzare il mio corpo, a contemplare i miei movimenti; io dovevo distrarlo. Dovevo distrarlo e convincerlo, a sua insaputa, a guardarmi dritto negli occhi. Per quanto la cosa potesse farmi ribrezzo io dovevo farlo, dovevo guardarlo; così mi voltai ed iniziai a fissarlo. Lui allentò immediatamente la presa dal mio collo; ghignava adesso, era eccitato, compiaciuto, distratto.
Si abbassò su di me e, senza togliere la mano dal mio collo, avvicino le sue labbra alle mie; in quel momento afferrai il pugnale, lo estrassi velocemente dalla custodia e glielo conficcai proprio nella mano che mi stringeva il collo. Glielo rigirai un paio di volte, e nel momento in cui staccò la sua mano dal mio collo ne approfittai per alzarmi e scappare via.
Ma appena mi alzai lui mi afferrò per una gamba, facendomi cadere in ginocchio, e mentre cercavo di rialzarmi mi diede un violento pugno in faccia, buttandomi a terra. Era tornato di nuovo sopra di me, mi aveva afferrata per la canotta, continuava a tirarla, mentre portava la sue labbra al mio collo. Ma io stavolta non gli diedi il tempo per posizionarsi sopra di me e afferrarmi saldamente, me lo scrollai di dosso con una ginocchiata allo stomaco e mi alzai di scatto.

Non riuscivo a correre molto velocemente, anzi zoppicavo, però feci del mio meglio; raccolsi la mia spada da terra e lanciai un fendente contro il muro, facendoglielo crollare addosso. Sapevo bene che non era sufficiente per fermarlo, ma almeno avrei guadagnato tempo.

                          

Sentivo Raoul urlare, mi lanciava contro insulti d'ogni genere, quell'uomo era un vero mostro. Lui traeva un piacere immenso dalle sofferenze altrui, era sadico, violento, disumano; mi ricordava tanto qualcuno, qualcuno che in quel momento non dovevo ricordare.

Correvo, non mi fermai neanche per un istante, anche se non sapevo esattamente dove diavolo stavo andando, le sue urla erano più che sufficienti per farmi dimenticare quanto mi sentissi stanca. Arrivai alla fine di quell'immenso corridoio, dove c'era una porta; la sfondai, e al suo interno trovai quella che sembrava essere una biblioteca. Una bella biblioteca, con degli scaffali alti fino al tetto, già, peccato che in quel momento avessi alle costole una maniaco omicida che voleva ammazzarmi! Quello non era proprio il momento adatto per leggersi un libro! Non era neanche il mio giorno fortunato! 
Arrivai in fondo alla biblioteca, dove c'era un'enorme vetrata colorata. La sfondai, riparandomi il viso con le braccia, volevo buttarmi di sotto ma qualcosa mi bloccò proprio sul davanzale della finestra: guardai sotto di me e vidi uno strapiombo altissimo, che si riversava dritto in mare. Io avevo paura delle altezze, beh sì non sempre, però stavolta quelli dovevano essere almeno... almeno... ottanta-cento metri. Beh sì, Christa mi aveva detto che da qualche parte c'era uno strapiombo bello alto, solo che non mi aspettavo di vedermelo là, in quel momento! Ma come ho già detto prima, quello non era il mio giorno fortunato.

E proprio perché quel giorno avevo addosso una sfiga colossale, in quel momento arrivò Raoul. Mi aveva trovata.
« Sai bellezza... più mi fai incazzare e più ho voglia di stringerti le mani al collo! Hai una pelle stupenda, cosa ti farei... eh eh eh... fatti stringere ancora, ti prego... »
« Tu sei malato! Sei un fottuto psicopatico bastardo, va al diavolo! Stammi lontano! »
« Cosa vuoi fare? Vuoi davvero buttarti di sotto?! »
« Non ti avvicinare! Vuoi ammazzarmi con le tue mani, dico bene? Se fai ancora solo un altro passo, io mi butto! No, non ti darò il piacere di morire tra le tue luride mani! »
« Bambolina, non dirai sul serio? Potremmo divertirci un po', non sai cosa ti perdi... No, tu non vuoi davvero morire! Sei troppo attaccata alle tue fottutissime amiche, non faresti mai una cosa simile! »
« A me basta sapere che loro sono al sicuro! Sì, preferisco morire piuttosto che farmi prendere da un lurido bastardo come te! »
« No, no lo farai! Sono sicuro che esiterai anche solo per un attimo, e sarà proprio in quell'attimo che io ti prenderò! »

Avevo paura, mi sentivo male e tremavo come una foglia; il cuore mi stava uscendo fuori dal petto, sudavo freddo e sentivo delle violente vampate di caldo salirmi fino in faccia. Quel bastardo era un demonio, e per quanto potesse farmi male doverlo ammettere era molto più veloce e molto più forte di me, e molto probabilmente se io mi fossi buttata lui mi avrebbe presa all'istante.

Che dovevo fare? C'era solo una cosa che potevo fare, provarci. Senza pensarci due volte, mi lasciai cadere nel vuoto; chiusi gli occhi per un attimo, per poi riaprirli subito dopo e accorgermi che Raoul mi aveva presa con un braccio. Eravamo entrambi sul cornicione della finestra, quel bastardo continuava a strattonarmi per portarmi dentro, ma io mi tenevo saldamente con entrambe le mani al davanzale. Cercò di afferrarmi anche l'altro braccio, ma proprio in quell'istante io mi voltai e gli assestai un calcio in faccia, facendogli perdere l'equilibrio. Mollò la presa da me per aggrapparsi con entrambe le mani al cornicione, e io ne approfittai per tornare dentro; in quell'istante fuoriuscirono dal suo corpo una moltitudine di catene, che cercavano di prendermi.
Io presi la mia spada, e con un colpo netto tagliai tutte le catene, mi affacciai e lo guardai. Adesso la situazione si era capovolta.
Avvicinai la lama alle sue mani, sapeva bene cosa stavo per fare.
« Puttana... vuoi farlo davvero? Dai, fallo! Fallo e giuro che sarò l'incubo peggiore di tutta la tua squallida vita! »
« Secondo te? Addio! »
« Sappi che tornerò! E ti ammazzerò! »
« Vaffanculooo! » gli urlai in faccia, con tutto il fiato che avevo in gola, ferendomi le corde vocali.
Sferrai un fendente e lo colpii su entrambe le braccia; Raoul mollò la presa e subito dopo precipitò in mare. Avevo sentito dire che gli utilizzatori del Frutto del Diavolo non andavano molto d'accordo con l'acqua, beh sì, io speravo proprio che annegasse.
Era morto? Non era morto? Non lo sapevo. Lo vidi cadere fino ad un certo punto, poi scomparve in mezzo alla nebbia. Non sapevo se fosse morto o meno, sapevo solo che me lo ero tolta dalle scatole. Ero distrutta. Che giornata di merda che avevo avuto, ma almeno ero ancora viva. Caddi al suolo, esausta, confusa, sconvolta.

Portai una mano al collo, rabbrividii quando sentii che era ancora bagnato dalla saliva di quel bastardo. Uscii immediatamente da quella stanza e mi misi a cercare dell'acqua, non volevo tenermi addosso il “patrimonio genetico” di quel demonio ancora solo per un'istante in più.
Trovai quello che sembrava essere un bagno, molto malandato, e in una bacinella c'era dell'acqua, piovana probabilmente, visto che il tetto era semidistrutto. 
Mi sfilai la maglietta e iniziai a lavarmi; bruciavo, molto probabilmente avevo la febbre... Insomma, ma che diavolo mi stava succedendo? Ok che ero esausta e traumatizzata, però la febbre era alquanto insolita, inspiegabile. Fu in quel momento che mi accorsi di avere una ferita dietro la schiena che mi bruciava più di tutte; mi avvicinai ad uno specchio, mi guardai attentamente e, con mio grande terrore, realizzai cosa mi era successo. Quella ferita non me l'aveva causata una delle catene di Raoul, quel piccolo “graffio” me l'aveva fatto quella bestiaccia nel bosco, quando mi era saltata alle spalle e mi aveva lacerato la giacca.
Adesso era tutto chiaro, i-io... ero... stata avvelenata!

Uscii di scatto dal bagno, e barcollando mi portai fino al laboratorio dov'ero stata prima. Dovevo trovare un antidoto, e alla svelta anche. Se era vero che quelle fottute creature le avevano concepite là doveva esserci anche un antidoto!
Quando arrivai al laboratorio caddi a terra, mi sentivo davvero male, il veleno ormai mi era entrato in circolo. Ero fottuta.
Mentre giacevo a terra sentii qualcuno arrivare, ma stavolta non riuscivo neanche a girarmi. Poco a poco mi mancò anche la vista, se era di nuovo Raoul stavolta per me era finita davvero.
« White! White rispondi, cosa ti è successo?! White, parla! »
Quando sentii la sua voce mi rassicurai, era il marine imbranato. Magari era venuto per arrestarmi, o forse voleva semplicemente vedermi crepare, ultimamente ce n'era davvero parecchia gente che mi voleva morta. 
Riuscii a farfugliare solo un paio di parole prima di perdere totalmente i sensi, non ricordo esattamente cosa dissi, avevo solo tanto freddo.


 


Salve lettori, come state? Bene spero :)
Finalmente lo scontro tra Annabel e Raul (che fa tanto da film horror) sembra essersi concluso; ma sarà davvero così?
Abbiamo scoperto parecchie cose sul passato di Annabel, anche se ancora restano molti punti da chiarire...
Ma cosa va a pensare Annabel mentre combatte? Ho creato un personaggio dalla personalità alquanto complessa, e la teoria della tripartizione del cervello (il cosiddetto Triune Brain) esiste davvero, ho cercato di spiegarla nel modo più breve e semplice possibile, spero sia chiara :)

Ah il disegno che ho fatto stavolta... spero che vi piaccia, l'ho fatto (come al solito) in poco tempo XD
Quando aggiornerò? Sono tornata a fare il level designer, sto lavorando alla realizzazione di un videogame, ho anche paio di esami che voglio togliermi davanti, se ci arrivo lo pubblico come al solito prox settimana :) 

 
  
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