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Autore: Laylath    06/02/2015    3 recensioni
(spin off di Un anno per crescere)
Le storie romantiche decisamente non facevano per loro.
Ci si poteva immaginare belle e deliziose favole, ma alla fine la loro personalità era quella della gente di campagna. Rumorosa, divertente, poco raffinata, ma con solide basi che piantavano radici nella semplicità del mondo stesso.
Ed ecco l'ultimo spin off, ossia la famiglia Havoc
Genere: Comico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Heymas Breda, Jean Havoc, Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Un anno per crescere'
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Capitolo 10.
1882. Jean



Le mani di Angela quasi divennero bianche per lo sforzo di tenersi al lavandino. Teneva gli occhi chiusi, continuando a respirare lentamente e sperando che la sgradevole sensazione di sudore freddo ed il cerchio che pareva schiacciarle la testa si calmassero.
Angela? – fece la voce di James da fuori il bagno – Va tutto bene, cara?
“Secondo te come può andare?” esclamò lei. Forse avrebbe aggiunto anche altro, ma sembrava che il suo corpo ritenesse troppo prematura un’arrabbiatura, o anche solo una semplice dimostrazione di sarcasmo.
Fu costretta a chinare di nuovo il capo e ricominciare la respirazione dall’inizio.
Dopo tre minuti buoni, quasi per magia, tutto quanto finì. Per ironia della sorte sembrava che non fosse successo niente e solo il lieve pallore che ancora si intravedeva nelle guance testimoniava la crisi appena trascorsa. Guardandosi allo specchio la donna si sistemò meglio i corti capelli e si fece forza prima di uscire dal bagno.
Tanto era inutile continuare a negare quello che stava succedendo.
“Ehi – subito James le fu accanto e le accarezzò la guancia – come va?”
“Beh – raccolse le idee lei – scappare da tavola in pieno pranzo per correre a vomitare … direi che può rientrare nella mia soglia di tolleranza, non credi?”
“Senti, papà crede che tu…”
Non dirlo.”
“I segnali effettivamente indicano che…”
“Sei sordo o cosa? Ti ho detto di…”
“Scheggia, perché ti crea così tanti problemi ammettere di essere incinta?”
… non dirlo…” sospirò la donna, ma ormai la frittata era fatta.
Le due parole magiche erano state pronunciate, spezzando l’incantesimo d’illusione che lei si era creata. Dove quel ritardo di praticamente tre mesi non era nulla di eccezionale e le nausee erano solo momenti di stanchezza per il caldo così improvviso che era arrivato dopo una primavera relativamente fresca.
“Sette anni e passa tra fidanzamento e matrimonio ed ecco qua…” commentò.
“Ma dai che è fantastico! – la abbracciò James – Sarà sicuramente un maschio, me lo sento.”
“E’ così fantastico avere queste nausee, te lo assicuro. In questo momento se è maschio o femmina proprio non è nel mio interesse – sbuffò, cercando di arrendersi una volta per tutte – vado a sdraiarmi, mi è passato completamente l’appetito…”
“Ehi – la baciò teneramente James – non hai idea di quanto mi senta felice in questo momento.”
“Ma sì, ma sì, sono felice anche io…” si arrese sciogliendosi da quell’abbraccio.
Guadagnata la pace della camera da letto, Angela si concesse di sospirare malinconicamente.
E così la sua libertà finiva, quando invece lei aveva sperato di godersela ancora per qualche anno. Ma sembrava che tutte quelle allusioni fatte qualche mese prima, quando il caso di Laura Hevans faceva mormorare il paese, le avessero portato sfortuna.
Non che lei ce l’avesse contro i bambini: prima o poi era davvero sua intenzione averne.
Ma dopo che hai passato più di vent’anni circondata sempre da almeno quattro o cinque bambini strillanti e casinisti… oggettivamente la voglia ti passa.
Senza contare che spesso e volentieri veniva chiesto proprio a lei di prendersi cura della numerosa cucciolata della nuova generazione Astor. Oggettivamente ricominciare tutta la solfa di pianti, pannolini e tutti gli annessi e connessi era tutto meno che alettante.
“Niente di personale – disse, mettendosi una mano sul ventre e parlando al piccolo dentro di lei – lasciami solo qualche settimana ancora e andrà decisamente meglio. Comunque se la smettessi di procurarmi tutte queste nausee sarebbe un bel passo in avanti, non credi?”
 
Mentre Angela cercava di venire a patti con il suo essere incinta, James invece non aveva nessun problema ad accettare la paternità, anzi ne era più che entusiasta. Da sempre aveva invidiato le famiglie numerose e spesso e volentieri aveva patito la solitudine nel stare in quella grande casa con la sola compagnia di suo padre. Con il lavoro da fare, ancora prima di terminare le scuole, non si era potuto permettere di frequentare molto spesso gli amici, senza contare la relativa lontananza dell’emporio dal paese.
Di conseguenza, sapere che a dicembre in casa Havoc ci sarebbe stato un bambino lo riempiva d’entusiasmo.
Nella sua praticità sapeva già che ci sarebbero stati dei problemi, specie all’inizio, ma riteneva che Angela se la sarebbe cavata egregiamente: del resto era risaputo che nella primissima infanzia erano le madri ad occuparsi dei piccoli. A lui non sarebbe rimasto che offrire alla sua adorata moglie tutto il sostegno possibile.
Senza contare che potevano fare affidamento anche su suo padre e sulla sua esperienza.
Insomma era tutto programmato per andare nel migliore dei modi.
“Sei fantastica con questa pancia…” sorrise una sera mentre si mettevano a letto.
“La tua ironia non aiuta – sbuffò Angela cercando di trovare una posizione confortevole – Ahia! Anche stanotte? Hai intenzione di scalciare anche stanotte?!”
Effettivamente col passare dei mesi il bambino si era dimostrato particolarmente vivace: non c’era giorno in cui non scalciasse allegramente almeno una decina di volte e mano a mano che la pancia diventava più grande, pure lui diventava più turbolento.
“Ah, è proprio nostro figlio, non ti pare?” commentò l’uomo, mettendo una mano sul ventre della moglie, ormai all’ottavo mese avanzato. E dovette attendere solo qualche secondo prima di sentire il suo erede muoversi.
“Potrebbe aspettare di uscire fuori per agitarsi così – sospirò lei, oggettivamente provata dal pancione – non vedo l’ora che arrivi dicembre e nasca. Portarmelo a spasso per tutto il giorno ormai sta diventando davvero difficile.”
“Vedrai che presto arriverà il momento: tua sorella ha parlato di massimo una ventina di giorni, probabilmente prima di natale.”
“Non so chi è più al settimo cielo, se lei o tuo padre…” scherzò Angela, portandosi una mano alla pancia, proprio accanto a quella del marito e accarezzando con amore la parte dove, a suo parere, stava la testa del bambino.
“Forse papà, non ricordi che parlava di bambini già dalla prima volta che ti ho portato a pranzo a casa?”
“Vero… Allyson forse vuole solo usarmi come cavia per il suo mestiere di levatrice.”
“Senti, considerato che non abbiamo pensato ancora al nome… che ne dici di Jean, sempre se si tratti di un maschio.”
“Come tuo padre? – Angela fissò perplessa la sua pancia – Non si farà confusione? Insomma, a casa mia è un disastro per quanti Angelo ci sono… penso siamo a quota quattro, senza contare che pure mio nonno si chiamava così.”
“Naaah, tranquilla, qui non si creano confusioni. Pensaci: sia io che te chiamiamo mio padre papà, il bambino lo chiamerà direttamente nonno. Quando si chiamerà Jean sarà chiaramente riferito al bambino. Ma, tralasciando tutto questo, deve piacere innanzitutto a te, scheggia. Ti piace?”
“Sì, direi che mi piace. Di certo non l’avrei chiamato Angelo… è meglio dare un nuovo Jean agli Havoc piuttosto che l’ennesimo Angelo agli Astor. A quello ci penserà qualche altra della mia famiglia.”
“Ehi, piccoletto – scherzò James, dando lievi pacche sul ventre della moglie – e tu che ne pensi?”
“Ahia! No… non fargli più domande! – lo bloccò lei – se scalcia per rispondere è un vero dramma!”
 
Circa venti giorni dopo, proprio come aveva pronosticato Allyson, arrivò il fatidico momento del parto.
Angela ne aveva visti svariati a casa sua e, molto spesso, aveva ritenuto che i lamenti delle madri fossero esagerati. E aveva altresì ritenuto di avere una soglia del dolore molto più alta rispetto a quelle mammolette.
Effettivamente quando iniziarono le doglie, a metà mattina, e James venne mandato a chiamare Allyson, si era detta che il cosiddetto dolore era perfettamente gestibile, tanto che era rifiutata di sdraiarsi, sostenendo che era perfettamente in grado di continuare a preparare il pranzo.
Tuttavia, verso l’ora di cena, aveva ormai scoperto che i dolori delle contrazioni erano davvero forti e tutto quello che chiedeva era che quella tortura finisse presto.
“Ah, sorellina, che meraviglia – continuava a sorridere Allyson seduta ai piedi del letto, intenta ad osservare l’andamento del parto – sta andando tutto alla perfezione. Non vedo l’ora di prendere tra le braccia il mio nipotino.”
“Ahah, ma poi ricordati che lo voglio subito prendere io in braccio – le fece eco James che teneva la mano della moglie – e tu, amore mio, sei fantastica, te lo giuro!”
“Fantastica? Fantastica? – ansimò lei, fissandolo con odio – Io sto patendo le pene dell’inferno per mettere al mondo tuo figlio e tu non fai altro che sorridere e chiacchierare con… con quest’aguzzina!”
“Preparati, James – strizzò l’occhio Allyson – adesso arriva la fase in cui si maledicono i propri mariti. Uh, che c’è? Una nuova contrazione?”
“Secondo te? – sibilò Angela, piegandosi in due per il dolore – Che domande idioteeeee… uff! Uff! Uff!”
“Sì, brava così… tre, quattro, cinque, sei, sette. Finita. Forza e coraggio che nel prossimo quarto d’ora partorisci.”
“Continua così, ragazza!”
“James Havoc – la donna si rivolse con sguardo furente verso l’uomo – se non la pianti con questo dannato entusiasmo assolutamente fuori luogo, giuro che ti lancio qualcosa in testa!”
“Ah, ti adoro quando ti incavoli!”
“Al diavolo! Secondo te… cosa credi che provi a far uscire un bambino da… da un posto così piccolo!? Eh? Fallo tu e ne riparliamo!” sbottò.
Quel parto si stava trasformando in un teatrino surreale e lei stava davvero esaurendo la sua scorta di pazienza. Le ultime settimane erano state snervanti, con il bambino che non faceva che agitarsi, e quella conclusione che sembrava quasi una festa di famiglia andava oltre qualsiasi soglia di tolleranza.
“Contrazione… perché non provi a spingere?” propose Allyson, scrutando con attenzione la situazione.
“E per te che sto facendo?”
“Oh, Angy, sei troppo divertente – sdrammatizzò l’altra – in genere tutte si limitano a lamenti, ma tu ci vai sotto con le parole.”
“Perché… sei… uff! Sei così allegra, oggi? Dannazione, in genere sei così seria…! Uargh!”
“Oh, dai per la mia sorellina questo e altro. Però ora direi che ci siamo, sai che vedo la testa?”
Merda!” esclamò la donna, ricadendo all’indietro dopo quella contrazione.
Sentiva il peso del bambino dolorosamente premuto tra le sue gambe, come se fosse incastrato e stesse lottando per liberarsi. Anche se non poteva vedere capiva benissimo che la sua creatura stava subendo un stress più forte del suo… e questo la fece improvvisamente stare male.
“Ally, tiralo fuori – supplicò – alla prossima spingo, ma tu prendilo…”
“Ehi – la sorella maggiore le sorrise con fare rassicurante – non c’è niente che non vada, sorellina. E’ tutto a posto ed il piccolo adesso esce.”
“Ma sì, amore mio – la baciò James – un ultimo sforzo, coraggio.”
Quasi chiamata da quegli incoraggiamenti arrivò la nuova contrazione: con una nuova energia, uscita fuori nel momento del bisogno, la donna spinse con tutte le sue forze. L’esigenza di far uscire il piccolo da quella situazione così critica fu più forte di qualsiasi dolore potesse provare.
Si aggrappò a James come non era mai successo in tutte quelle ore, per quella tortura che durò dieci, incredibili, secondi.
“Eccolo! – esclamò soddisfatta Allyson – Ahah! Maschio come pensavamo! A casa qualcuno mi deve dei soldi! Oh, ma che meraviglia, non credo di aver mai visto un pupo così bello!”
“Hai… hai scommesso sul sesso del bambino – Angela rideva e piangeva allo stesso tempo. Non si era mai sentita così felice e realizzata in vita sua: come il bambino iniziò a piangere si chiese come aveva fatto ad attendere così tanto per provare una gioia simile – oh, chi se ne frega. Dammelo… dammi il mio piccolo.”
“Come si direbbe a casa Astor, è proprio un bel marmocchio – ridacchiò la levatrice, avvolgendo il bimbo urlante e ancora sporco di sangue in un asciugamano e passandolo alla sorella – benvenuto a te, Jean Havoc: ottimi polmoni a quanto sento.”
“Piccolo – ad Angela vennero le lacrime agli occhi come sentì quei tre chili tra le sue braccia, come vide quel visino arrossato e contratto in una smorfia, con i ciuffetti umidi appiccicati alla testolina – amore… amore mio. Jean…”
“Ehi… ehi, figliolo – James passò un dito su quel braccino arrossato – benvenuto, piccolo mio.”
“Stai per piangere pure tu!” rise Angela, mentre le lacrime scorrevano libere sulle guance.
“E come non potrei – sorrise lui – sono padre, scheggia… sono padre. E tu sei una mamma!”
“Cielo… guardalo. E’… è così perfetto da mozzare il fiato…”
“Ehi, che ti aspettavi? – la prese in giro Allyson, accostandosi alla famigliola – io faccio nascere solo bambini perfetti. Per il tuo ci ho messo particolare impegno.”
“Oh, Ally! – Angela allungò il braccio per poterla stringere – grazie… tu non hai idea di quanto ti voglia bene!”
“Lo so, sorellina. Però, adesso dammi mio nipote: voglio tagliargli il cordone e lavarlo.”
 
Il giorno successivo, appena dopo pranzo, Angela era sdraiata di fianco e osservava incantata Jean che, dopo aver abbondantemente mangiato, dormiva placido avvolto nella sua copertina.
Fino a poco prima era stata circondata da suo suocero, da sua sorella e anche da altri membri della famiglia che erano venuti a congratularsi con lei. Ma tutto quello che bramava era stare sola con il suo bambino.
Le sembrava surreale che avesse passato ventiquattro anni della sua vita senza godere della sua presenza.
Non faceva altro che ammirarlo, non trovando la minima imperfezione: gli aveva contato decine di volte le dita delle mani e dei piedi, non aveva fatto altro che rimirare l’azzurro degli occhietti, la delicatezza di quei ciuffi chiari nella testolina.
“Sei perfetto, amore mio… raggio di sole… sei il mio perfetto raggio di sole…” sussurrò, accarezzandogli la manina chiusa a pugnetto.
“Ehilà, scheggia – la salutò James, entrando nella stanza e sdraiandosi accanto a lei – come va?”
“Non mi sposterei da questo letto per nulla al mondo – sorrise lei – per me è già difficile metterlo nella culla. Non mi separerei mai da lui.”
“Secondo te da chi ha preso?” chiese con curiosità l’uomo, sbirciando il piccolo con affetto.
“Havoc, senza dubbio dagli Havoc – rispose decisa lei – ho visto tanti bambini Astor, ma Jean non ha nulla a che fare con loro. Del resto tuo padre ha detto che è la copia di te neonato. Questo da grande diventa alto, muscoloso, biondo e con gli occhi azzurri.”
“E ne sei felice?”
“Più che mai… vero, Jean? Tu sei un piccolo Havoc… un perfetto, piccolo Havoc.”
“E tu sei una perfetta mamma, Angela Havoc.” la baciò con amore.
“Sono sempre affascinante?” chiese lei con malizia.
“Più che mai: essere mamma ti dona un qualcosa di nuovo e sensuale… non ne hai idea.”
“Ah, già, a proposito – fece lei con aria di scusa – ovviamente lo sai che voglio svezzarlo, no?”
“Certo…”
“E ovviamente lo sai che se restassi incinta di nuovo perderei il latte.”
“Mhmh – annuì l’uomo con aria perplessa – e quindi?”
“Almeno per cinque mesi niente rotolamento tra le coperte, mi dispiace.”
“Che? Cinque mesi? – sembrava un bambino a cui avevano appena levato i giocattoli per tempo indefinito – Così tanto?”
“Eh, ora siamo genitori, mio caro – disse lei con aria di chi la sa lunga – le cose cambiano.”
E dare quello smacco a James Havoc era davvero divertente.

 
 
 
 
 
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come potete vedere è arrivata la copertina ad opera della fantastica Mary *__*  
  
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