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Autore: L o t t i e    07/02/2015    3 recensioni
«Sei una cretina», iniziò lui accomodandosi sul letto ad una piazza e mezza: aveva ancora la giacca. «Puoi accusarlo di tutto, tranne che non ti voglia bene... a modo suo.»
Ah, ecco.
William sottolineò, a mente, «a modo suo» un paio di volte, in rosso. Ripassandolo più volte.
Quelle semplici frasi stesero un velo scuro sul viso di porcellana della vampira, la quale preferì stare in piedi; se si aspettava la comprensione faceva prima a gettarsi dalla finestra, l'umano. Non dopo aver parlato al cellulare con una fanatica, non dopo aver ricevuto un bacio dal suo creatore ubriaco e con chissà quali sensi di colpa venuti a galla.
«Non ti permetto di parlarmi così», si impose pacatezza, danzando verso l'armadio per prelevare dei vestiti più leggeri. Vide il ragazzo schiudere le labbra, forse per parlare ancora, protestare. Fu più veloce.
[Da revisionare!]
Genere: Fantasy, Malinconico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Vampire - the series.'
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Fiocco di neve.








Doveva ammetterlo, prima di avviarsi a scuola, quella mattina, pensò di portarsi una delle posate d'argento del servizio più pregiato di sua madre; ma alla fine rinunciò, resasi conto dell'assurdità della cosa. In compenso sospirò di sollievo quando non vide quella massa di capelli bianchi ambulante; non era strano che non venisse in modo regolare e nemmeno che i suoi sospetti fossero fondati. Insomma, dopo anni di serie TV e ricerche su Internet, era impossibile che non riconoscesse una vampira:certo, qualche volta aveva fatto un buco nell'acqua, ma... William era davvero una succhia sangue ― glielo aveva anche dimostrato. Diamine, il suo cuore non batteva! I brividi le corsero su per la schiena facendole venire la pelle d'oca al solo pensiero.
Prese posto in aula e mise sul banco i libri di inglese, Melanie fece lo stesso. Non facevano quella materia da mesi per mancanza di docente: che avessero finalmente trovato qualcuno?
«Tu per caso l'hai visto?»
«Perché, è un uomo?»
«Sarà la solita madrelingua più vecchia di mia nonna», bofonchiò dietro di loro Johnatan stuzzicando l'ilarità delle due.
Passarono dieci minuti abbondanti, ma nessun insegnante varcò la soglia dell'aula e la classe stava diventando irrequieta. Si erano già formati i soliti gruppi di chiacchiera. Qualche altro minuto dopo gettò il registro sulla cattedra un ragazzo dalla camicia abbottonata alla bell'e meglio come se avesse fatto una maratona ― quegli aloni sotto le ascelle confermavano il tutto. Nicole arcuò le sopracciglia come se fosse stata folgorata. I suoi occhioni marroni furono immediatamente colti dai capelli immacolati del tizio, almeno, quelli sul davanti ― come se fossero stati tinti dalla neve, ghiacchiati. Gli altri erano molto più scuri quasi neri a far contrasto con la pelle diafana.
«Siete voi la 2ªG?»
Domandò lui prendendo posto in cattedra, un coro d'assensi lo sollevò dall'idea di aver sbagliato per l'ennesima volta. Era lì da appena due giorni eppure la sua specializzazione in lingue straniere gli era subito stata utile. Si rianimò un poco, aggiustandosi il colletto ― stava morendo di caldo, fortuna che aveva lasciato il cappotto in sala insegnanti! Vide già alzarsi una mano, quindi decise di presentarsi.
«Prima delle domande», sorrise alla ragazza, «lasciatemi presentare» e, anche se gli dolevano i piedi, si alzò nuovamente per poggiarsi alla cattedra, le braccia incrociate al petto. «Sarò il vostro insegnante di lingue straniere fino al raggiungimento del Bac1. Vi avverto, avremo un ritmo molto veloce nelle prossime lezioni quindi mi aspetto il massimo rendimento da voi: dovete recuperare. Sentitevi liberi di chiedere ulteriori spiegazioni nei momenti di incomprensione. Per il resto sono Neru
Okay, non era proprio un genio ad inventarsi nomi, ma quella parola gli piaceva, sia di suono che significato.
«Ora puoi chiedermi quello che vuoi, dimmi anche il tuo nome; poi chiamerò l'appello.»
«Nicole Gardienne; lo sa che abbiamo una compagna albina?»
Si levò un coro di mormorii, come se non si fossero accorti dei capelli dell'altro e del particolare colore degli occhi: di un blu così intenso da sembrare viola. Elijah aggrottò la fronte battendo una mano sulla cattedra, ecco che si cominciava. Qualcun altro menzionò pure Samantha, la quale certo non passava nemmeno inosservata con i suoi capelli rossi.
«Beh», ridacchio il professore, «non vi manca proprio nulla», scherzò.
Già, nemmeno i vampiri, pensò Nicole.







* * *









Mentre Samantha si rigirava tra le mani un paletto di legno punzecchiandone la punta con il dito, William era diventata tutt'uno con la parete. Alla rossa ormai non faceva né caldo né freddo vederla chiudersi in quei silenzi, abituata com'era ― quindi la lasciava ai suoi pensieri e poi avrebbero parlato. Anche lei, certo, era un po' confusa vedendo tutto ciò e ripensando alla persona di Alexandre non trovava alcun collegamento con quelle armi. Difficilmente si scorgevano in quell'uomo modi bruschi, non gentili ed immaginarlo destreggiarsi tra i vampiri per ucciderli a sangue freddo era un controsenso. Sorrideva sempre, o quasi, beh, quando William da piccola faceva quelle scenate davanti a lui il suo viso sembrava irrigidirsi solo per ammonire la figlia ― quella piccola peste. Riusciva sempre a perdersi da qualche parte, che sia stato un labirinto o una stanza, puntualmente poi iniziava piangere. Si lamentava sempre sognando di avere dei capelli normali, incolpando, forse perché simili, il padre per essere nata in quel modo. Ci restava segretamente male, Alexandre, ma pensava che il comportamento delle sua piccola fosse normale, a quell'età.
I vampiri li cacciava ancor prima di sposarsi e all'inizio era stato difficile gestire quella sorta di doppia vita.
«Secondo te...», ruppe il silenzio William, il viso tra le ginocchia, «...cosa penserebbe di me, ora?»
«Di te? Io mi chiedo cosa avrebbe fatto a Claude; guarda quanto sono appuntiti questi cosi!»
Sentì nitidamente erigersi alta una risatina.
«In effetti. Fa vedere.»
Sì.
Comunque non poteva negare che suo padre fosse bravo in un sacco di cose, così come intagliare. Dei paletti. Lo capiva dalla delicatezza dei segni non troppo marcati sul legno, il quale era comunque affilato, pericoloso ― anche per un essere umano. Cosa avrebbe fatto a Claude? Domanda interessante; sarebbe stato carino se Alexandre avesse ucciso quel mostro.
«Forse è meglio andare. Se Claude si svegliasse si insospettirebbe. E se questo accadesse verrebbe sicuramente qui», sentenziò. In realtà quasi sicuramente il tedesco stava già facendo un interrogatorio completo a Trevor, unico e probabile suo complice. Cadeva in errore se pensava fosse così stupida da rivelare ogni sua mossa all'umano.
«Andare dove? I cancelli sono chiu― mi ascolti?», sbuffò la rossa, imitando l'amica. Si alzò spolverandosi i pantaloni. L'altra ripose l'oggetto nel baule e poi chiuse il tutto come prima, ma coprendo con un telo quest'ultimo.
Certo che l'ascoltava, ma stava anche pensando. Organizzarsi mentalmente una sorta di piano per tornare lì altre volte, senza destare sospetti al vampiro, senza sua madre era difficile crearsi un alibi che potesse reggere. Magari di pomeriggio sarebbe stato più facile: poteva dire che sarebbe dovuta andare a “studiare” da una sua amica.
«Tu sai dove abita quella spocchiosa di Nicole?»
«Ho il suo numero di cellulare, perché?»
«Penso che ci serva», ammise di malavoglia, chiudendosi alle spalle la porta di casa. Aggrottò le sopracciglia, socchiudendo gli occhi, divenuti sfortunatamente più sensibili alla luce.
«Tutto apposto?», le domandò l'amica, per sicurezza.
L'albina annuì, calando il cappuccio sul viso.


Forse, quelle due, non si erano propriamente accorte della presenza dietro l'angolo.
Forse, William non aveva ancora imparato ad usare i suoi sensi come si doveva, ma in fondo era meglio così.
Se l'avesse vista ― se avesse visto quella persona non sarebbe finita bene. Bene. La figura sorrise, sistemandosi anch'essa il cappuccio di una felpa, ricacciando indietro lacrime morte. Non poteva stare ancora lì a lungo, doveva tornare indietro, nascondersi per qualche tempo. Manca poco, si disse, posando lo sguardo rossastro sulla lunga chioma bianca della ragazza, piccola donna.
Conosceva quella città come le sue tasche ed il fascino non gli mancava, avrebbe trovato qualche altra sistemazione provvisoria.


La castana, Nicole, per poco si strozzò con quel maledetto muffin leggendo sul display del cellulare il nome di Samantha Walsh ― si chiese, quando, in quella sua vita fosse stata così idiota da cedere il suo numero di cellulare a qualcuno come quella testa di carota.
«Pronto..?», risposte, riprendendo a masticare con calma.
-Nessuno ti ha mai detto che masticare al cellulare è fastidioso?-
Per poco non le cadde, il boccone che aveva in bocca. La sua mente si bloccò un istante: non vi era altra spiegazione, quella doveva essere la cattiveria in persona. Quella William, se la ritrovava ovunque! ― andavano nella stessa classe, ma quelli erano dettagli. Cosa voleva, esattamente, da lei? Perché aveva telefonato con il cellulare di Samantha? Si era spinta a tanto? Uccidere quella povera ragazza solo per quest...
-Will, ma ha risposto?-
-Mh-mh, ma penso si sia strozzata.-
«C'è anche Walsh?», domandò, anche se la conferma le era già giunta alle orecchie, ignorando la frecciatina.
-Secondo te da quale cellulare ho chiamato?-, le ringhiò l'albina dall'altro lato della cornetta. Mh, non era di buon umore; o così le parve.
«Ti chiudo la chiamata in faccia.»
-Devi solo provarci e―..!-
-William!-, la ammonì Samantha.
Uno sbuffo.
-Senti, maniaca di vampiri, dovresti... uhm, come dire... a-aiut―-
«Aiutarti?», soffiò la castana, aggiustandosi gli occhiali circolari. Non le piaceva che le si attribuisse della maniaca, ma poteva sorvolare. La cosa si faceva interessante. Decise di spostarsi da vicino alla finestra, iniziando a camminare per il corridoio, aveva a disposizione altri dieci minuti prima della fine dell'intervallo; e voleva goderseli tutti.
«Ci sei, sanguisu―»
-Hai da fare domani pomeriggio?-
Silenzio.
Non le pareva vero ciò che era uscito dalle sue labbra, odiava ammetterlo, ma Nicole era l'unica persona quasi sana di mente abbastanza acculturata sull'argomento “vampiro”. Si trovavano ancora nei pressi dell'abitazione celeste, qualche strada più avanti, pronta per tornare nella propria cella, quella prigione che era la villa. Si sarebbe inventata qualcosa sul momento, ma in quel momento doveva sistemare il suo alibi per il giorno dopo.
-Nicole..?-
«È suonata la campana: sentiamoci più tardi» e bloccò.


«Dannazione», imprecò William tra i denti, restituendo l'apparecchio alla rossa, «ha riattaccato.»
«Quindi?»
«Quindi nulla, tu, questo pomeriggio prova a convincerla o davvero le faccio male.»
Samantha alzò le mani «Uhh, attenta Superman, che mi incendi con lo sguardo!» rise.
Lei.
Quella voce però non scompose l'espressione fin troppo seria dell'altra, la quale di conseguenza smorzò la risata cristallina di Samantha.
«Sei seria», non era una domanda. Un'affermazione a fronte aggrottava. La consapevolezza di non riuscire ad alleggerire l'atmosfera era opprimente, in special modo se si trattava della sua migliore amica, colei che non era troppo incline alla violenza come qualcun altro.
Che poi quei pugni e schiaffi li dava in modo innocente, Samantha.
«Che c'è, non posso?»
«No, cioè, certo», bofonchiò, «Dici che non è il momento giusto per accompagnarti?»







* * *









Varcando la porta, già l'aria pregna di elettricità la investi come uno schiaffo. La bottiglia di liquore sul tavolino vicino al divano confermava. Ma nessuno era stato ucciso, niente sangue: aveva risparmiato Trevor. Forse si era solo innervosito. Quindi per distendere i nervi e non prendere decisioni avventate aveva preferito del buon Chartreuse2; lo riconosceva dal singolare aroma pungente, di quelli che ti stordisci solo a respirarne i vapori.
Disgustoso.
Forse anche per questo quando chiuse la massiccia porta in legno scuro capì immediatamente chi vi era dietro, ad aspettarla. Eppure fece finta di nulla, camminando, scendendo i due gradini coperti da un tappeto per avanzare e scomparire in cucina.
Aprì il frigorifero, ne chiuse lo sportello e sussultò.
«Mi hai ignorato?», arcuò un sopracciglio il vampiro.
«Solo un poco, guarda», disse con sarcasmo. «Trevor?»
«Fuori. Voglio dire, era uscito per cercarti.»
«E..?»
Il tedesco fece spallucce, seguendo la lunga chioma bianca di William fin le scale, come un fastidioso avvoltoio insieme al suo puzzo di morte e alcool. Erano proprio quelli i momenti in cui non voleva aver a che fare con lui. Inoltre Trevor era stato mandato, costretto dal sopracitato vampiro alla sua ricerca; non la dava a bere a nessuno. Era sempre lui l'artefice di tutto.
Nel suo stato normale, chiamiamolo così, era trattabile colui che riconosciamo con il nome di Claude Von Richter, ma se si aggiunge del sangue o qualsiasi altra bevanda di base alcolica colui che vi troverete vicino sarà solo un maniaco delirante.
Per questo l'albina ad un certo punto si fermò, al limite.
Eppure non avrebbe potuto mai confrontarsi con lui, in quello stato, vomitargli addosso tutte le parole mai dette in quei mesi. Mesi fatti di pura eternità. Non si poteva ragionare con lui, se voleva qualcosa provava ad ottenerla ad ogni costo. Se pensava tu non avessi ragione, automaticamente vinceva lui. Ti scavava dentro per cogliere tutti i sassolini, le paure, dalle più piccole alle più grandi per il puro gusto di terrorizzarti.
Avvertì infine una mano stringerle il braccio ― quel tipico tocco pieno di prepotenza. Immediatamente provò ad allontanarsi, divincolarsi dalla sua presa. Odiava avere le mani di qualcuno sopra il suo corpo; senza pensarci due volte gli assestò un calcio sulla gamba. Sembrò fargli... una carezza. Carezzare, era un bel verbo: già da sé esprimeva il gesto.
«Claude, sul serio―»
Sul serio.
La frase le si smorzò in gola. Arrogante. ...o no. C'era qualcosa di più dolce in quello, qualcosa mai provato e che non si sognerebbe mai di dire su Claude. Perché per lei nessun aggettivo buono era attribuibile a colui che l'aveva rovinata ― esatto. Quindi perché fare un'eccezione proprio in quel momento? Quando, schiena contro quel corrimano in legno di quelle scale secolari, in quella villa piena di ricordi sbiaditi e pianti, una bottiglia di liquore e fretta... due petali di rose scarlatte di posarono su altri pallidi e screpolati.
Un bacio senza aria, sott'acqua. Gli occhi turchesi sgranati, quelli del corvino serrati.
«Non devi ignorarmi, mai.»
«Sparisci
Il sapore d'alcool sulle labbra, il viso una tela bianca: colori sembravano essersi sciolti. Con stupore, il tedesco si allontanò, giù per le scale.
La morbidezza di quelle labbra rotte e spezzate ancora sulle sue. Non era un atto spregevole, ma un bisogno innocente, come innocenti erano tutti i suoi gesti in quel momento. Un confronto.
Uno stramaledettissimo confronto. Scendendo quei scalini si diede dell'idiota svariate volte, nel silenzio che era calato fece in tempo a scorgere la porta d'ingresso aprirsi e sentire la voce del diciannovenne borbottare qualcosa.
«È tornata.»
«Davvero?», sì, era stupito.
«Davvero













Deliri Note dell'autrice:
Bac1: (o anche Baccalauréat) è il titolo di studio che conseguono gli allievi francesi alla fine del ciclo di studio delle scuole superiori. Può essere paragonato alla maturità italiana.
Chartreuse2: È un liquore francese dal caratteristico sapore molto forte. È molto dolce, ma varia fra lo speziato e il pungente.

Da questo capitolo non mi aspetto nulla, in verità. Lo pubblico con tanto tempo in ritardo, ma non ho nemmeno il tempo di emettere un fiato tra i vari impegni. È persino uno sputo piccolino e questo.
Spero vi sia piaciuto, in qualche modo; che la storia non risulti piatta. Un grazie grande grande a chi ancora la legge, chi mi consiglia e suggerisce.
Il prossimo, in tutta sincerità, non so se verrà pubblicato puntualmente, sigh.
Alla prossima! ☆
―L o t t i e.
  
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