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Autore: Smaugslayer    08/02/2015    2 recensioni
[seguito di Quidditch con delitto, http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2540840&i=1]
I (doppi)giochi sono aperti, e questa volta condurranno Sherlock Holmes e John Watson dal 221B di Baker Street al numero 12 di Grimmauld Place, Londra.
Se a Hogwarts i due eroi erano al centro delle vicende, ora saranno trasportati dalla storia del Ragazzo Sopravvissuto fino al cuore della Seconda Guerra Magica. E per tenere fede alle proprie convinzioni dovranno tradirle...
Genere: Avventura, Fantasy, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: John Watson, Mary Morstan, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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“Basta, io torno indietro” sbottò John.
 
Abernathy e Clarisse ebbero il buon senso di non trattenerlo.
 
“Fai attenzione”, lo pregò lei. John prese nuovamente in prestito la sua bacchetta, infilò il mantello e dopo aver lanciato un’ultima occhiata ai due amici abbracciati sul divano si Materializzò sull’isola di Azkaban.
 
La temperatura sembrava scesa di diversi gradi rispetto a poco prima, ma forse era l’assenza di Sherlock a fargli ghiacciare le membra. Non sapeva nemmeno dove andare senza di lui, si sarebbe sicuramente perso e sarebbe morto lì, oppure i Dissennatori l’avrebbero trovato e gli avrebbero risucchiato l’anima. Gli avevano portato via Sherlock, e gli avrebbero strappato anche tutti i ricordi di lui…
 
Notò due Dissennatori in cima alla fortezza, e si affrettò a prendere la rincorsa ed entrare. La galleria era claustrofobica, ma lui non si concesse il tempo di pensarci: doveva trovare Sherlock il prima possibile, quella era l’unica cosa che contava.
 
Quando giunse alla conca esterna aveva il fiatone. “Sherlock!” urlò, incurante di ogni precauzione. “Sherlock!”
 
Riprese a correre senza nemmeno sapere dove andava, percorrendo gallerie che salivano e scendevano, scale a chiocciola e corridoi ciechi che lo costringevano a tornare sui suoi passi. Si nascondeva ogni volta che scorgeva un guardiano pattugliare la prigione dall’alto.
 
La disperazione si stava rapidamente impossessando di lui. Non avrebbe sopportato perdere Sherlock di nuovo. La prima volta era stata un’agonia, e non avrebbe potuto passarci attraverso una seconda volta, non avrebbe retto un secondo lutto… amava quell’uomo, lo amava come non avrebbe mai creduto di poter amare, non sarebbe sopravvissuto senza di lui e non aveva alcuna intenzione di farlo.
 
Sherlock!”
 
Possibile che continuasse a rendersi conto solo quando era troppo tardi di quale immenso privilegio gli era stato concesso? Lui, John Hamish Watson, uomo banale e ordinario, aveva avuto l’onore di poter amare una persona straordinaria come Sherlock e di essere amato da lui, per qualche ragione che ancora non riusciva a comprendere totalmente. E l’amore non aveva mai intaccato la loro amicizia, l’aveva solo resa più completa: quante persone hanno la stessa opportunità nella vita? Doveva trovarlo. Salvarlo. Dirgli che lo amava. Lui preferiva sempre i fatti alle parole, preferiva dimostrargli il suo amore piuttosto che esplicitarglielo, ma ora sentiva anche il bisogno di spiegargli con chiarezza cosa provava, per eliminare qualsiasi forma di dubbio. Era stanco delle incomprensioni: da ragazzo era stato uno stupido, aveva preteso da lui più di quanto lui potesse dargli e l’aveva perso; e quando era tornato non avevano fatto altro che danzarsi attorno senza mai sfiorarsi, evitando un confronto verbale che avrebbe sicuramente messo in chiaro ogni cosa. Persino la sera in cui si erano baciati non c’era stata una dichiarazione, tralasciando quella che Sherlock il giorno prima mentre delirava.
 
Individuò un grosso assembramento di Dissennatori attorno ad un unico punto, e un flebile barlume di speranza si accese nelle sue viscere. Si trovavano all’aperto, ma non nella cava principale, bensì su un versante secondario su cui si inerpicava un solo sentiero.
 
Sherlock!” ruggì con rinnovato vigore, lanciandosi nella scalata della ripa. Per qualche ragione, i Dissennatori si stavano rapidamente disperdendo sollevandosi in aria, allontanandosi dal punto in cui era… era nulla. Quando John giunse sul pianale, si accorse di essere solo. Sherlock non era lì. Non era lì.
 
In compenso, i Dissennatori si erano accorti della sua presenza e due o tre di loro stavano lentamente planando verso di lui.
 
Si sforzò di non lasciarsi impadronire di nuovo dallo sconforto, o non ne sarebbe uscito vivo.
Sherlock che gli diceva di non poter stare lontano da lui, Sherlock che lo baciava… “Expecto patronum!” Aveva scelto due dei suoi ricordi più felici, ma dalla bacchetta uscì solo qualche sbuffo di fumo azzurrino.
 
John?” gracchiò una voce che inizialmente John non riuscì a localizzare.
 
“Sherlock?” Era lui, era Sherlock, ne era sicuro, avrebbe riconosciuto la sua voce ovunque, ma dove diavolo era? “Sherlock!”
 
Sentì un sibilo che poteva somigliare a un “Sono qui.”
 
Solo allora capì: i Dissennatori erano accerchiati attorno ad una delle celle… e all’interno di quella cella c’era Sherlock.
 
Corse verso di lui e si ritrovò con le spalle alle sbarre, circondato da Dissennatori che non riusciva a scacciare. Attorno a lui, ora, c’era solo oscurità. Riusciva a percepire il metallo freddo sulla sua schiena, ma non vedeva più nulla: né le stelle, né la luna, né la pallida luce delle fiaccole nella galleria da cui era giunto. Non riusciva più a respirare, gli sembrava che una morse gli stesse schiacciando lo sterno. Senza pensarci due volte, aprì il cancello e si gettò dentro, rinchiudendosi in prigione con Sherlock.
 
Il suo migliore amico era a terra, con la schiena appoggiata al muro sudicio e la testa rivolta perso l’alto; respirava a fatica, come se lottasse per far entrare l’aria.
Imprecando sonoramente John si accasciò accanto a lui, gli prese le spalle fra le mani e lo strinse a sé, felice di trovarlo vivo, anche se in quelle condizioni. “Tu, idiota… che cosa ti è successo?”
 
Lo sguardo di Sherlock era vacuo, ma non come quando stava delirando: stavolta era perfettamente cosciente, sembrava solo… vuoto. “Niente” rispose. “Ho tenuto a bada i Dissennatori una, due, tre volte, ma ero solo, e loro sono tanti. All’inizio ce la facevo, ma quelli continuavano a gettarsi su di me, e per uno che sconfiggevo ce n’erano due ad attaccarmi…” persino il suo tono di voce era privo di colore. “Continuavano ad arrivare e si avvicinavano sempre di più, e io ero sempre più debole, e alla fine non sono più riuscito ad evocare un patronus e ho dovuto chiudermi qui dentro perché non mi risucchiassero l’anima.”
 
Merlino.” John posò le mani a terra, incurante della sporcizia e della muffa, e scivolò a sedere accanto a lui. Ora che i Dissennatori erano lontani riusciva di nuovo a respirare, e poco importava che l’aria fosse gelida e malsana. Il muro e il pavimento erano freddi, ma da Sherlock proveniva ancora quel calore umano che nessuno gli avrebbe mai strappato. John si appoggiò alla sua spalla e socchiuse gli occhi.
 
“Perché non ci hai ancora tirati fuori?” mormorò Sherlock.
 
“Non lo deduci?”
 
“Non ci riesco.”
 
“La bacchetta non è mia, ma di Clarisse. Lei me l’ha prestata, ma questo non la rende mia, e quindi non risponde come dovrebbe. Non funziona se provo a formulare incantesimi potenti, come l’Incanto Patronus… l’ho capito dopo che non sono riuscito ad aprire quel cancello. Sei l’unico che può tirarci fuori di qui.”
 
“Non ce la faccio.” La voce di Sherlock si ruppe, e John tolse la testa dalla sua spalla per guardarlo: i suoi occhi erano lucidi di lacrime. “Non riesco a pensare a un singolo momento felice in tutta la mia vita. Me li hanno portati via tutti.”
 
“Merlino” imprecò lui, battendo una mano per terra. “Ti rendi conto che se tu non ce la fai restiamo bloccati qui, vero?”
 
Sherlock si prese la testa fra le mani, scosso da tremiti.
 
“Non riesci a rievocare proprio nessun ricordo felice?”
 
“Ci sto provando!” sbraitò Sherlock. “Continuo a sentire voci, e grida nella mia testa, e… non ci riesco, John! Non ne ho più nessuno!”
 
Lui sospirò, affranto. Gli mise un braccio attorno alle spalle nel tentativo di confortarlo. “Allora sarà il caso di dartene uno nuovo” mormorò.
 
“John, mi dispiace. Mi dispiace. Se non fosse per me, tu ora saresti felice. Non avresti dovuto affrontare tutto questo. Vorrei che ci fosse un modo per tornare indietro e cancellare ogni cosa” farfugliò Sherlock.
 
John prese un profondo respiro. “No, non dire così. Non cancellerei mai questo, mai. Sì, magari non avrei dovuto passare ciò che sto passando ora, ma non avrei nemmeno te, e preferirei provare tutto il dolore e la sofferenza del mondo che perdere te.”
Sherlock sollevò lo sguardo verso di lui, attonito. “Ma... perché?”
 
“...perché ti amo” disse lui in un sussurro, come sempre quando esprimeva i suoi sentimenti.
 
Perché?” ripeté.
 
Lui sorrise ed emise un grugnito: a volte Sherlock poteva essere tremendamente stupido. “È così e basta, non puoi pretendere una spiegazione. Probabilmente perché sei la persona più meravigliosa che abbia mai conosciuto, e perché voglio passare con te ogni singolo istante della mia vita, e già che siamo in tema, vedi di tirarci fuori di qui, perché non ho intenzione di trascorrere i miei ultimi momenti in questo posto, anche se con te.”
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Sherlock si schiarì la gola. “E così, tu… mi… ami?” chiese con titubanza. Accavallò le gambe e unì le dita sotto il mento, e quell’immagine così familiare riscaldò il cuore di John: eccolo lì, Sherlock Holmes seduto sulla sua poltrona nera al 221B di Baker Street, in attesa di una risposta da parte sua.
 
“Sì, certo” rispose semplicemente. “Certo che ti amo. Pensavo fosse… piuttosto ovvio.”
 
Sherlock scosse la testa con incredulità. “Non lo era.”
 
“Non…”
 
“John, penso che sia necessario dirtelo.” Afferrò i braccioli della poltrona come aveva fatto John la notte in cui lui delirava: con timore, ma anche speranza e aspettativa, in preparazione al grande salto.
 
“No, non devi…”
 
“John, io non so se ti amo.”
 
“Bene.” John si passò una mano sul volto, affranto.
 
“Non so se ti amo,” proseguì imperterrito Sherlock, “perché ho capito che l’amore non è solo una questione di chimica, non è fatto solo di pulsazioni accelerate e pupille dilatate e quant’altro, e non so che cosa dovrei provare per te o cosa le persone dovrebbero provare per le altre persone, non so se è normale che io voglia baciarti adesso o in qualsiasi altro momento, ma so che per me tu sei l’uomo più coraggioso e gentile e saggio che abbia mai conosciuto, l’unico con cui mi piaccia stare e a cui io pensi costantemente… e non so che cosa ti abbia spinto a scegliere me quando chiaramente sono una persona orribile, ma l’unica ragione per cui non mi comporto in modo ancora più orribile è che cerco-- che voglio essere migliore per te e cercherò sempre, in tutti i modi, di essere più meritevole di ciò che tu mi dai.”
 
John era senza parole. Lo fissò per quello che parve un tempo interminabile, finché Sherlock gli domandò se avesse detto qualcosa di sbagliato.
 
“No, non l’hai fatto” sospirò lui, sentendo sciogliersi il nodo che aveva in gola. Si sporse verso di lui, pronto a baciarlo, ma con sua sorpresa Sherlock si tirò indietro.
 
“Sherlock?”
 
Lui inclinò la testa, scrutandolo. I suoi occhi sembravano meno affilati del solito, come se si fosse appena tolto un peso dallo stomaco e per la prima volta nella sua vita fosse veramente rilassato. “John…” disse con voce sommessa. “John.”
 
“Cosa?”
 
“Vuoi ballare?”
 
Quella richiesta inaspettata lo fece sogghignare. “Ballare? Adesso?”
 
“Sì, adesso.”
 
“Bene, balliamo.”
 
Si alzarono in piedi, e Sherlock gli tese una mano e gli circondò la vita; intrecciarono le dita come avevano fatto prima di entrare ad Azkaban, e John gli posò l’altra mano sulla spalla.
 
Dopo qualche passo falso, riuscirono a trovare un ritmo. Anni di amicizia avevano insegnato loro a muoversi in perfetta sincronia come in quel momento. Anni di incomprensioni, malintesi e illusioni non li avevano preparati a quella tensione, al tamburellare sordo che sentivano nelle orecchie e al disperato desiderio che quella meravigliosa tortura avesse termine. Si avvicinarono sempre di più, finché John poté posare la testa sul petto di Sherlock e ascoltare il battito accelerato del suo cuore.
 
“Perché?” mormorò.
 
“Perché cosa?”
 
“Perché balliamo?”
 
“L’ultima volta che l’abbiamo fatto era per il tuo matrimonio. Stavolta voglio ballare con te solo perché mi piace.”
 
Lo fece chinare, sorreggendolo con una mano ben salda dietro la schiena per poi riportarlo in posizione eretta. “E qui è dove ti ho detto che avreste dovuto baciarvi”, disse a bassa voce.
 
“Seguirò sicuramente il consiglio. E stavolta non ho intenzione di farmi interrompere” sussurrò John.
 
“Stai tranquillo. A quanto ne so, avevi una moglie sola.”
 
Le labbra di John si incurvarono in un sorriso spontaneo, seguito poco dopo da una risatina, che si trasformò a breve in una fragorosa risata. Anche Sherlock iniziò a ridacchiare, divertito dal proprio umorismo nero.
 
“Era pessima”, riuscì a dire, controllandosi per un attimo prima di ricominciare a sghignazzare.
 
“Orribile” convenne John, senza fiato dal ridere.
 
Quando si baciarono, fu come la prima volta, tanti anni prima, nella Stramberga Strillante.
 
 
 
“Quindi non sarebbe un problema se capitasse un’altra volta.”
“No, sarebbe solo un incrocio di variabili. Sempre nel caso che si possano incrociare.”
Sherlock si chinò in avanti, piegando lievemente il capo, e lasciò che le loro labbra si scontrassero con dolcezza. John si protese verso di lui nel sentire il suo tocco e gli afferrò il volto con entrambe le mani, affondando le dita tra i suoi riccioli per attirarlo a sé, e lui si aggrappò a lui con tutta la forza che riuscì a trovare, e, abbandonata ogni forma di dubbio, chiuse gli occhi.
  
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