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Autore: Sundy    01/12/2008    1 recensioni
Raccolta di dieci storie, ciascuna per una coppia diversa, che ruotano intorno al tema della lettera d'amore. SPOILER per chi non abbia seguito l'anime fino alla fine.
Genere: Romantico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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2 - Shogo & Shirley

Avvertimenti: What if..?


“E’ ... strano.” – pensa Shogo, avvolto nel giubbotto un po' sdrucido con cui cerca di ripararsi dai primi freddi, le lenti degli occhiali che rifrangono doppiamente il luccicare umido della strada, attraverso la grande vetrina. Non riesce a definire meglio la sensazione che gli lascia sulla lingua la semplicità disarmante del gelato al fiordilatte, dopo tanto tempo. E’ la terza volta in questa settimana, e almeno la decima nell’ultimo mese, che si ferma nella luce morbida ma un po’ troppo intensa per i suoi gusti di quella gelateria, ma la sensazione di estraneità non è ancora passata.

Da piccolo, Shogo Asahina andava matto per il gelato. Un ricciolo di vaniglia morbida e fredda era di norma più che sufficiente a placare i malumori di quel bambino frignone e disappetente, ed il gelato era rimasto uno dei pochi piatti che smuovevano l’entusiasmo del ragazzetto un po’ scontroso che lui era diventato, fino al giorno in cui la guerra aveva travolto la sua quotidianità fin nei suoi dettagli più banali, e il sapore dolce della crema di latte e ghiaccio, rigorosamente di produzione britanna, si era fatto per lui irreversibilmente cattivo. Chiba non perdeva occasione per fargli notare quanto potesse essere un atteggiamento da integralisti fanatici – qualcosa che il Colonnello sicuramente non approvava - intestardirsi su una sciocchezza del genere, ma durante i lunghi anni della resistenza, Shogo aveva osservato un’astinenza rigorosa da quel suo unico peccato di gola, e riscoprirlo adesso gli lascia addosso una sensazione ambigua di rifiuto e fascinazione insieme.

Si guarda intorno, cercando elementi all’interno del negozio che servano a giustificare la sua istintiva diffidenza, ma solo i lampadari e il banco frigo sono rimasti gli stessi degli anni dell’occupazione; il proprietario ora è un ometto rotondo del Kyushu che ha imparato a fare il gelato dai suoi vecchi padroni e che ha rilevato l’attività dopo la liberazione. Ha provveduto a sostituire i leziosi quadretti con puttini in amore e le sedie di ferro battuto smaltate di bianco con pannelli di sobria tela naturale decorati con rami di ciliegio in fiore e sgabelli alti di legno chiaro, conferendo così al locale un gusto abbastanza giapponese da far sentire Shogo autorizzato a lasciare il suo radicalismo fuori dalla porta e a varcare la soglia dell’ingresso. Anche i nomi dei gusti sui cartellini sono scritti in eleganti kanji dorati e sulle palettine di legno è impresso a fuoco un lapidario – prodotto in Giappone.

Le uniche cose britanne rimaste nel negozio sono i lampadari, il banco frigo, e la commessa, che sorride maldestra e alza gli occhi verdi al soffitto cercando di ricordare le parole necessarie a spiegare la differenza tra gianduia e cioccolato, e confondendo la mandorla con la noce sotto lo sguardo paziente e benevolo di due anziane signore con nipotini al seguito.

Le lampade troppo potenti gli fanno venire mal di testa, il bancone ha quella irritante bombatura mangiaspazio che poteva venire in mente solo a un britanno, ma tutte le volte che Shogo mette piede in quel locale non riesce a non indugiare con lo sguardo sulle guance rosee della commessa e sull’arancio inconcepibile dei suoi capelli che spuntano dalla cuffietta, chiedendosi che cosa la porti a lavorare part-time in quella gelateria del quartiere giapponese, come se fosse una cosa da niente.

La ragazza britanna è certamente arrivata in Giappone al seguito degli invasori che ne hanno calpestato la dignità, è arrivata camminando attraverso i sentieri spianati di ciò che Shogo ha odiato e combattuto con tutte le sue forze – profitto, interesse, dominazione, agio borghese, salotti per bene – la sua pelle di rosa è fiorita nel giardino di un mondo che Shogo ha sempre disprezzato, eppure, o forse proprio per questo non può fare a meno di sentirsi curioso.

Non ha idea di cosa stia cercando, la ragazza della gelateria, ma la leggerezza con cui lei si muove in quel quartiere così straniero, gli occhi aperti, avidi di cogliere, di capire, immune agli sguardi che l’arancio acceso dei suoi capelli le attira addosso, tutto in lei rompe gli schemi della diffidenza reciproca di cui sa di essere stato ben più che prigioniero. Non gli piace il sapore del suo accento quando si sforza di pronunciare correttamente – domo arigatou gozaimasu - ma la dolcezza con cui le si illuminano gli occhi e le si piegano le labbra è sufficiente a smorzare il gusto aspro delle sue consonanti troppo marcate. E’ strano sulla sua lingua il nome del gelato al fiordilatte, e Shogo non riesce a definire meglio la sensazione che lascia nelle sue orecchie la leggera deformazione che quelle parole familiari subiscono attraverso la voce morbida di lei, come non riesce a smettere di fissare quei capelli incredibili e il movimento ansioso dei suoi occhi quando insegue la parola esatta, continuando a confondere la mandorla con la noce, alla ricerca, forse, di qualcosa di più profondo. E Shogo si accorge, raschiando con la paletta il fondo della coppetta, che nonostante tutto il rancore e la diffidenza passata, sarebbe felice di insegnarle la differenza tra la noce e la mandorla, e forse anche qualcosa sul resto.

Sfila rapidamente dal taschino del giubbotto una matita e scrive, su uno dei tovagliolini rigorosamente prodotti in Giappone, i caratteri di ‘mandorla’ e ‘noce’ con la pronuncia esatta e l’equivalente anglosassone, e prosegue, in inglese, sotto “ti aspetto alle sette e mezza all’angolo della strada, se vuoi continuare con gli altri gusti.” Sorridendo a stento - non è mai stato un tipo troppo espansivo - le porge il tovagliolino insieme alle monete esatte per la sua coppetta baby al fiordilatte, e solo voltandosi verso l’uscita si rende conto che quel messaggio stringato, ai limiti della maleducazione - un messaggio degno del bigliettino che uno scolaretto di prima media può lanciare alla sua compagna di classe quando la maestra è voltata verso la lavagna - scritto in inglese su un tovagliolino di cellulosa, sono le prime parole che mette nero su bianco per una donna in tutta la sua vita. Fa appena in tempo a vedere gli occhi verdi foglia della ragazza spalancarsi per la sorpresa, e il suo sorriso inseguirlo oltre la vetrina, prima che un attacco di catastrofico imbarazzo lo metta definitivamente in fuga. Ma non andrà lontano; l’angolo della strada è solo a pochi metri di distanza.


Nota : so che non si fa così, ma non ho avuto per niente, ma proprio per niente voglia di controllare, se ‘mandorla’ e ‘noce’ esistono in giapponese, come si scrivono, come si leggono…. Quindi se qualche nippon-nerd si accorge che è una cosa senza senso quella che ho scritto, ed è così gentile da correggermi, o fornirmi un’alternativa di gusti di gelato, gliene sarò infinitamente riconoscente.XD
Domo arigatou gozaimasu : forma molto educata di ringraziare, equivale a 'grazie mille'

Dedicata a Aryehn/Gaia Loire, che scrive - credo - la miglior Shirley del mondo. Io quando si tratta di lei mi limito a giocare con le bambole XD
  
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