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Autore: AlexEinfall    09/02/2015    4 recensioni
[Casey/Severide] Prima mia long-fic su questa coppia, che credo abbia un grosso potenziale.
Severide affronta Casey circa il suo comportamento sconsiderato, ma le cose non vanno mai come ci si aspetta. Questo è l'inizio di qualcosa oppure le resistenze e l'antico astio ostacoleranno la loro strada?
Un giorno qualunque alla Caserma 51 è destinato a cambiare ogni cosa.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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6

Combatti o fuggi, fallo ora

    




   «Sei un polizziotto?»
   Il respiro della bionda era colmo del dolciastro sapore d'alcol e le parole strisciavano sulla lingua impastata. Severide rise, ingollando il resto del suo drink. Quella donna era il centro del suo universo, in quel momento, e lui era davvero ubriaco, molto più della notte in cui si era portato a casa Matt. Represse il pensiero, perché questa era la sua notte di svago, il suo momento di perdita e distacco dalla realtà. Al diavolo Matthew Casey e il confronto che non era andato come previsto -e lui, in fondo, non aveva previsto un bel niente.
   Il resto della nottata era per lui, ne aveva bisogno. Un altro corpo, un'altra notte, un altro risveglio senza ricordi.
 La strinse a sé e le sussurrò tutto ciò che poteva essere detto solo tra le lenzuola, o sul divanetto di un club qualunque. Lei esalò una risatina sul suo collo, spingendo il seno contro il suo braccio, dimentica di ogni curiosità sulla vita segreta di quel ragazzo dai bellissimi occhi lucidi.
  La sua lunga gamba si strinse intorno alle sue e le labbra gonfie gli leccarono la mascella, risalendo fino alla bocca. Kelly lasciò che le loro lingue si esplorassero a vicenda, cercando con le dita ogni parte nuda della pelle bianca di quella ragazza...il nome non era rilevante, nulla lo era.
   La musica rombava intorno a loro e andava bene, tutto andava bene.
   Era già troppo ubriaco per badarci, o per ricordare come si fosse ritrovato fuori dal locale con un labbro rotto e nessuna traccia della bionda.
   Si sedette sul marciapiede dietro un'auto, incollando la fronte al tessuto ruvido dei jeans.
  «Sta arrivando a prenderti» disse una voce roca dietro di lui, mentre il telefono veniva fatto scivolare nella tasca della giacca. Qualcuno gli diede una pacca sulla spalla, prima di andarsene e lasciarlo con un ultimo commento. «La tua ragazza ti ammazza.»
  Alzò la testa solo quando i fari di un'auto puntarono su di lui. Grugnì e parò il volto con un avambraccio, sentendo gli occhi in fiamme e la testa pompare come un grosso cuore gonfio. Riuscì vagamente a riconoscere la sagoma di qualcuno accovacciato al suo fianco, le mani salde sul suo braccio.
   Leslie?
  «Dai, alzati.»
  Protestò appena, troppo stanco e ubriaco per resistere. Tutto quello che voleva era restare seduto lì in eterno.
   Si ritrovò a tastare con i palmi la superficie di un'auto. Shay aprì lo sportello e lo aiutò a sedersi. L'auto ripartì e lui ciondolò la testa fino a trovare la giusta posizione contro il finestrino.
   «Questa è l'ultima volta che vengo a prenderti, Kelly.»


   Shay versò il caffé in una tazza e vi spruzzò dentro mezzo limone. Lo portò in salotto e glielo posò tra le mani. Lui lo guardò confuso, poi alzò un sopracciglio e sorrise.
 «Che devo farci?»
  «Berlo?»
  Kelly sbuffò e reclinò la testa contro lo schienale del divano. Lei gli afferrò la nuca e lo costrinse a riaddrizzarsi. «Caffé amaro e limone, per schiarirti la mente» bofonchiò.
   Essere tirata giù dal letto alle due di notte dalla voce rude di un barista, non era esattamente una cosa che poteva metterla di buon animo. Sapeva che Kelly aveva bevuto anche di più in passato e che aveva quello che si può definire un fegato di ferro, ma l'istinto del paramedico era difficile da sopprimere. Avrebbe dovuto semplicemente lasciarlo alla sua miseria, ma voleva almeno che da quella sveglia brusca ne uscisse qualcosa di produttivo. Perciò gli prese il mento tra le dita e cercò di farlo voltare per controllargli gli occhi. Lui la allontanò con un debole gesto della mano, rischiando di farsi cadere addosso il caffè bollente.
  «Okay...» mormorò, afferrando la tazza e portandogliela alle labbra. «Bevi e non discutere.»
  Dopo diversi tentativi, riuscì a vincerlo per stanchezza e a fargli prendere qualche sorso, senza però riuscire a evitare che gli sputasse addosso del caffé nel mentre. Si ripulì il volto e prese un fazzoletto dal tavolino, tamponandogli il taglio sul labbro. «Chi hai fatto arrabbiare stavolta?»
  Lui chiuse gli occhi e lasciò andare una risata amara. «Casey...»
  «Cosa? Casey era con te al club?»
  «Che? No no, lui era a casa sua.»
  «Sei ubriaco.»
  «Lui era ubriaco, non stasera eh...io no...»
  «Di che diavolo parli?»
  «Io volevo portarla a casa, sul serio. La bionda, intendo...davvero bello...bella, voglio dire...» continuò lui, lo sguardo assente e la voce impastata. «E poi non l'ho fatto. Dovevo farlo, vero? E' quello che faccio, no?» Rise stupidamente, prima di mormorare: «Ma c'è sempre lui nella testa, sai? Era dannatamente ubriaco...io no...non così.»
  Shay cercò di mettere insieme i pezzi di quello sproloquio, dubitando ci fosse una logica. «Quando?»
  «Prima dell'incidente. Ha dormito qui» sussurrò lui, battendo il palmo sul divano e ridendo senza senso. «Ci credi? Sul divano. È successo proprio qui...» Il suo corpo crollò e la testa finì sul cuscino. Chiuse gli occhi e proseguì a mugugnare frasi sconnesse.
  Shay scosse la testa, incredula, e si alzò piano.
  Casey aveva dormito sul divano la notte prima dell'incidente?
  Casey era ubriaco?
  Oh. Mio. Dio.
  «Sei andato a letto con Casey?» sbottò ad occhi spalancati.
  «Abbiamo fatto sesso, Shay.» Soffocò una risata sotto le braccia che gli coprivano il volto. Shay rimase immobile a guardarlo per diversi minuti, prima di lasciar andare un fischio e tornare a letto.
  Oh.
 



  La deprivazione di sonno non era un'esperienza nuova per Matthew Casey. Quando accadeva, non più di un paio di volte ogni tanto, si limitava a prendere i suoi attrezzi e cominciare uno dei lavori di ristrutturazione che teneva sospesi. C'erano sempre lavori da fare, le cose si rompevano o rovinavano ed andavano aggiustate, quelle nuove potevano essere migliorate. Quando non era soddisfatto, cominciava a costruire qualcosa: cucce per cani che consegnava al canile fuori città, cassette per uccelli che appendeva a dozzine nel cortile posteriore o regalava in giro, c'erano poi scatole, mobiletti o qualunque cosa gli venisse in mente. Creare era positivo, sempre.
   Non questa volta.
  Guardò l'orologio, sospirando al quadrante che, impassibile, mostrava le quattro e cinquantuno. Presto sarebbe sorta l'alba e l'avrebbe visto stanco e irritabile. L'unica cosa produttiva che era riuscito a fare era stato pulire il piccolo disastro di birra e vetri in cucina.
  Guardando alla finestra, gli sembrava quasi che il cielo si stesse schiarendo, sebbene mancasse ancora tempo perché il sole sorgesse. Era sospeso in quell'ora vuota, troppo tardi per dormire, troppo presto per trovare un'occupazione.
  Con un grugnito di frustrazione, si scoprì ad ammettere una crudele verità: si sentiva solo.
  Aveva provato quella stessa solitudine in ospedale, malgrado le visite dei colleghi e la costante presenza di Christie. Era come se tutte quelle persone attorno a lui non facessero altro che rendergli palese la mancanza di un solo elemento: Kelly Severide. Il tenente aveva aspettato ventiquattro ore, prima di presentarsi davanti al suo letto d'ospedale. Solo ora Matt sentiva quanto ne fosse rimasto ferito.
  Non si aspettava nulla, ma questo non voleva dire che facesse meno male. Eppure avrebbe potuto convivere anche con quello, gettarsi tutto alle spalle e racchiudere ogni emozione in una scatalo che avrebbe preso polvere nella soffitta della sua mente. Ancora una volta, Kelly aveva dovuto rovinare tutto, bussando alla sua porta e alla sua mente, spingendolo al limite tra rabbia e desiderio, e alla fine tirandolo dentro quel bacio.
   Le tende cominciavano a schiarirsi sotto il tocco del sole nascente, quando Matt riuscì a chiudere gli occhi e quasi scivolare nel sonno.
   In quel momento, mentre l'aria diventava via via più tiepida, si concesse il lusso di immaginare un finale diverso della storia. Nella sua mente, tornò a quello che era accaduto solo poche ore prima: in questo nuovo scenario, lui non allontanava il corpo di Kelly, ma lo attirava a sé, rilasciando se stesso in ogni spinta e gemito. Finivano sul tavolo, o lì contro il muro, spogliandosi a vicenda come se gli abiti andassero a fuoco; poi c'era solo la bocca di Kelly sulla sua, le sue mani sul suo torace e la sua vita pulsante in lui, o viceversa -chissà cosa avrebbe provato a dominare Kelly...il solo pensiero gli riscaldava le mani.
   Si rigirò tra le lenzuola, dando la schiena ai raggi solari sempre più nitidi. Arrotolò ancora il nastro dei ricordi, fino a ritornare al momento in cui la rabbia aveva prevalso sulla ragione. Faticò a individuarlo, ma alla fine ci riuscì.
   «Sei quasi morto, Matt, è una di quelle cose che cambiano tutto.»
  Questo gli aveva detto Kelly. Immaginò un corso diverso degli eventi: lui annuiva, perché davvero essere quasi morto aveva cambiato ogni cosa, quindi abbassava ogni difesa e la rabbia sfumava in una nuvola lontana fluttuando via dal suo corpo e, uscendo dalla finestra, portava con sè anche quella di Kelly. Matt allora ammetteva tutto,  perché accidenti a lui era piaciuto andare a letto con Severide e l'avrebbe rifatto subito; seguiva un'appagante conversazione a cuore aperto, con tanto di ammissioni e segreti rivelati.  Allora si sarebbe risvegliato con le spalle nude di Kelly sotto le dita e il suo respiro caldo tra i capelli scuri; l'uomo si sarebbe voltato e gli avrebbe sorriso, aprendo quei grandi occhi blu-verdi ancora assonnati, lo avrebbe baciato e avrebbe sentito il mondo tornare al suo posto.
  Stop!
  Matt spalancò gli occhi e si liberò delle coperte.
  Cercò di focalizzarsi sulla giornata che lo aspettava: erano le sei e tra due ore aveva appuntamento con Boden per discutere dell'incidente. Mentre cercava di scrollarsi di dosso la stanchezza, non poté fare a meno di pensare che avrebbe dormito come un angelo, se fosse avvenuto un misto dei due scenari.




   Quando aprì gli occhi, a Severide bastò spostare lo sguardo lungo il soffitto per sentire la prima fitta attraversargli le orbite e premergli le tempie.
  «Dannazione» ringhiò a denti stretti, registrando il secondo indizio della notte precedente: il labbro sembrò spaccarsi, tirando la pelle. Si passò la lingua sul taglio, ingoiando il sapore metallico del sangue che, a causa della sede della ferita, era ancora fresco. Si strofinò il viso, controllandosi poi le nocche: nessun segno di lotta.
  «Molto male...» Se non aveva neanche opposto resistenza a chiunque l'avesse colpito, doveva essersi conciato per bene.
  Non cercò neanche di riassemblare i pezzi di quello che era accaduto, limitandosi a strisciare in bagno e poi in cucina. Lì si sedette sullo sgabello, sentendo le energie pian piano tornare e i muscoli svegliarsi, grazie all'azione energizzante della doccia fresca.
  «'Giorno.»
  Shay gli sorriaw, per poi tornare alla caraffa del caffé. Kelly alzò un sopracciglio, colpito dalla strana sensazione che quel sorriso fosse...diverso. Quando la ragazza gli porse una tazza di caffé fumante e poggiò i gomiti sul piano, sorseggiando dalla propria, la sensazione divenne quasi certezza. Prima che potesse comprendere cosa stesse accadendo, Shay parlò con voce calma. «Allora, com'è stato scoparsi un altro tenente?»
  Kelly sentì il sorso di caffé risalirgli in gola e bruciargli. Tossì forte, prima di riuscire a ritrovare il controllo. Lanciò a Shay uno sguardo interrogativo e nei suoi occhi vide consapevolezza.
  Dannazione.
  Pezzi di ricordi cominciarono a sorgere alla sua coscienza. Si era addormentato sul divano, risvegliandosi in uno stato di malessere nel mezzo della notte, prima di raggiungere il letto. Ricordava il caffé con il limone, Shay che lo obbligava a berlo, lui che biascicava qualcosa...Dannazione! Le aveva raccontato tutto, o almeno abbastanza perché lei figurasse il quadro completo.
  La sua mente tornò all'ultimo ricordo lucido: lui che baciava Casey. Si morse il labbro, trovando conforto nel sapore del sangue, senza riuscire però ad allontanare quel senso di rimpianto sul fondo della gola. Sentiva di aver sbagliato tutto, come al solito, ma questa volta aveva ben chiaro quale fosse l'errore: scappare via. Lui, Kelly Severide, aveva sempre scelto combatti, non fuggi.
   Non credeva, ormai, di avere molto per cui combattere. La sua fuga era stato un messaggio ben chiaro.
  «Non è come pensi» disse senza pensarci.
  Lei si accigliò e sbuffò.
  «Sul serio vuoi prendere questa linea? Sono Leslie Shay! Bionda ma non stupida.»
  Lui sorrise, grattandosi la nuca.
  Shay poggiò una mano sulla sua, stretta attorno alla tazza, e lui alzò due occhi lucidi su di lei. Non erano rudi, ironici o luminosi. Sembravano...sconfitti. «Leslie, è stato un dannato errore» ammise, scuotendo la testa. «Eravamo ubriachi e, non lo so, le cose mi sono scivolate di mano...Lui era un disastro, sul serio. Ricordi quel tizio che ha messo fuoco alla propria casa? Si era addormentato con il sigaro in bocca e Matt non ci ha visto più. Quella sera sono andato a parlargli e...Sembrava sotto shock o qualcosa di simile, pensavo che un drink gli avrebbe fatto bene, sai. Poi sono diventati due, tre e alla fine eravamo ubriachi.»
  Si fermò, mordendosi il labbro.
  «E' stato bello, almeno?» provò Shay, attirandosi uno sguardo confuso. Tentò un sorriso, intrecciando le dita alle sue sulla tazza. Sentì la sua mano reagire e allentare la presa.
  «Diamine, è stato fottutamente bello.» Si sentì quasi sorpreso di averlo ammesso.
   Decisamente era stato fantastico e baciarlo, con lucidità e determinazione, era stato anche meglio.
   «E lui...insomma, ne avete parlato o roba simile?»
   Kelly non sapeva come rispondere, quindi scrollò le spalle. «Non sono una lesbica e sono quasi certo che non lo sia neanche lui.»
   Shay gli diede un pugno sulla spalla, strappandogli una risata.
  «Sei un maschilista, lo sai? Anche gli uomini possono parlare di sentimenti.» Lo fronteggiò con le braccia incrociate al petto, scrutanolo con quel suo sguardo indagatore e facendolo sentire come se mille luci fossero puntate su di lui. Poi sorrise e annuì, assestandogli una gomitata sul fianco. «Ne avete parlato!»
  «Direi più discusso...e comunque, non abbiamo chiarito niente. Non c'è nulla da chiarire.»
   «Certo certo.» Shay controllò l'orologio, poi sbuffò: «Turno tra trenta minuti.» Fece per andarsene, ma tornò sui suoi passi e lo fissò intensamente, puntandogli un dito contro. «La cosa non finisce qui.»
  Kelly aspettò di sentirla salire le scale, prima di rilasciare un lungo respiro. Finì il resto del suo caffé e assemblò un toast che il suo stomaco rifiutava. Mentre si preparava per il lungo turno che lo attendeva, ripensò alla notte precedente. Più che le parole corse e urlate tra loro, ciò che si fissò nelle sue ossa, senza abbandonarlo mai, fu lo sguardo di Matt e le sue labbra.
  Quando uscì nell'aria fredda di Chicago, era ormai convinto di aver commesso lo sbaglio più grande della sua vita, fuggendo via da quegli occhi e quelle labbra.
    



   Tony misurava il piccolo salotto di casa a grosse falcate, con le mani che frenetiche andavano al viso, ai fianchi e alla nuca. Era così agitato che gli sembrava di vedere ogni mobile di quella casa, così familiare, attraverso un velo d'acqua. Non era l'edificio a tremare, ma il suo intero corpo.
  «Tony...» pigolò suo padre, seduto sul divano.
  «Cosa, pa'!?» ringhiò, fermandosi davanti a lui. Afferrò il quotidiano sul tavolino e lo sventolò furioso. «Hai letto o sei completamente andato, uhm?»
  Il vecchio sospirò e fuggì lo sguardo del figlio, posando il proprio sulla grande foto incorniciata con legno laccato. Lui e Doris avevano ordinato quella cornice dall'Italia e lui ne andava fiero. Nell'immagine c'era un Anthony di cinque anni, con un grosso sorriso sul volto abbronzato e un cerotto sulla fronte. Doris era bella come sempre, il mento tirato su con dignità e le spalle ritte. Lui, Johnny, era più giovane e felice, i capelli neri ancora lucenti e vivi occhi blu.
  Fu destato dal quotidiano lanciatogli addosso. In un'altra vita, avrebbe preso a calci suo figlio. Ora, era solo stanco e dispiaciuto.
  «Accidenti, pa', hai quasi ucciso un fottuto vigile del fuoco! Un tenente! Hai idea che ti fanno se ti trovano? Quelli sono eroi!»
  Tony cercò di tornare lucido, stringendo i pugni lungo i fianchi. Per quanta rabbia provasse, non avrebbe mai osato colpire suo padre. Non era così che sua madre l'aveva cresciuto.
  Si passò le mani tra i capelli neri, respirando pesantemente, prima di congiungerle davanti al volto. «Okay» disse per calmarsi. Lo sguardo vacuo di suo padre gli fece drizzare i peli sulla nuca. Odiava vederlo in quello stato. Si sedette sul tavolino e gli strinse una mano sul ginocchio, attirando la sua attenzione. «Senti, mi dispiace, okay? Non ce l'ho con te, capito?»
  Gli occhi di Johnny divennero liquidi e Tony sentì il cuore stringersi. Come poteva avercela con suo padre, dopo quello che avevano passato? Dopo che lui si era letteralmente spezzato la schiena in fabbrica per tirarli su? Dopo che la mamma era morta e lui, Tony, aveva perso il lavoro? Dopo che...aveva tentato di ammazzarsi?
  «Sistemerò le cose, papà. Va bene?»
  «Cosa hai intenzione di fare?» chiese Johnny con occhi spaventati.
  Tony sorrise, ingoiando il groppo alla gola. «Tutto ciò che serve a salvare la mia famiglia.»

   
   «Hey, Capo, hai visto chi c'è in prima pagina!» urlò Hermann, sventolando in aria un quotidiano.
  Boden lo squadrò, alzando un sopracciglio.
   «Parlano di Casey, Capo» spiegò Mouch dal divano, prima di lanciare un'occhiata al collega. «E comunque è solo una trafila.»
  «Quel che è» fece Hermann, scrollando le spalle. «Il nostro tenente è un eroe.»
  «Non solo per la stampa» commentò Otis, afferrando una briosche dal piano della cucina e agitandola in direzione di Hermann. «Adesso niente staccherà le donne da lui.»
  «Scommetto che Severide è invidioso. Voglio proprio vedere la faccia che fa quando vede l'articolo.»
  Boden si schiarì la voce, congelando il sorriso sul volto di tre uomini. Quando ottenne silenzio, li guardò uno a uno e chiese: «Qualcuno ha visto Casey?»
  «No, Capo. Non è in malattia?» chiese Otis, perplesso.
  «Abbiamo un appuntamento» si limitò a dire il Capo, prima di voltarsi. «Se lo vedete, avvisatemi. Ah, e dite a Severide che lo cerco.»
  «Sarà fatto, Capo» urlò Hermann, mimando il saluto militare.
  Boden attese di raggiungere il suo ufficio, per sospirare pesantemente. Guardò le scartoffie che lo attendevano e si massaggiò il collo.
   L'istinto negli anni aveva scavato in lui gallerie profonde e bastava un dettaglio per destarlo. Ascoltarlo era d'obbligo, ignorarlo impossibile. Controllò ancora l'orologio e storse le labbra: Casey era in ritardo di mezzora e il suo istinto gli diceva che non era una coincidenza.
   Matthew Casey non era mai in ritardo.
   Si sedette alla scrivania e alzò la cornetta: al quinto squillo, cominciò a tamburellare le dita sul piano di legno.
  Matthew Casey non perdeva mai una chiamata del suo Comandante.
  C'era decisamente qualcosa che non andava.
  Un bussare deciso lo strappò ai suoi pensieri. «Entra.»
  Severide aprì la porta e la richiuse dietro di sé, sentendo nell'aria che qualcosa non andava. «Mi cercava, Capo?»
  «Hai visto Casey?»
  Vide il tenente spalancare gli occhi e deglutire, prima di ricomporsi e scuotere la testa.
  «Qualcosa non va?»
  Il suono dell'allarme li fece scattare. Erano già nel corridoio quando la voce asettica annunciò un incendio in un appartamento.
  Severide percorse il resto del tragitto fino al garage con il cuore in gola. Indossando stivali e divisa, incontrò lo sguardo di Dowson. «E' casa di Casey» disse con voce rotta dalla paura.
  Non seppe come, ma Kelly riuscì a parlare. «Lo so.»





  Diciotto secondi di immobilità. Diciotto e l'allarme sul giubotto comincia a suonare. Matthew aveva imparato molto presto ad avere paura di quel suono e, malgrado l'istinto entrasse in gioco al primo trillo per prepararlo a lottare, negli anni quel terrore primordiale non era mai diminuito, congelandogli le ossa.
  C'era silenzio, ora. Un lungo ed estenuante silenzio. Fermo nella stessa posizione da più di diciotto secondi, ritto in mezzo alla strada, non riusciva a sentire nulla se non un sordo fischio attraversargli le orecchie.
  La sua casa andava a fuoco. Era la fobia nascosta di ogni vigile del fuoco, vedere la propria vita divorata dalle fiamme come una vendetta dispettosa. Il tetto crollò con un rombo, che gli giunse come il suono lontano di un sasso che rotoli da una scarpata. Il fumo divenne nero, un grosso pennacchio contro il cielo bianco, e lui provò l'istinto di ripararsi, ma non riuscì a muoversi.
   Nella sua mente si rincorrevano parole pronunciate da una strana voce, in quella che sembrava un'altra vita: mio padre, diceva, lui non può andare in prigione.
  Mi dispiace, aveva pensato Matt, Lo so, lo capisco. Ma non lo aveva detto all'uomo che l'aveva colpito.
  Non posso...no no...tu devi capire, aveva detto.
  Sì, Matt capiva. Sì, sapeva che sarebbe morto entro diciotto secondi e nessun allarme l'avrebbe salvato. Il sangue correva troppo veloce lungo il collo.
  Poi tutto aveva preso fuoco e si era risvegliato sputando fumo e lacrime. L'istinto aveva fatto il resto: corri, perché non puoi combattere. Corri e non voltarti.
  Così aveva corso, schivando le fiamme e rotolando sul vialetto della sua casa distrutta. Si era alzato e tutto era diventato un film lontano.
  C'era puzza di benzina e carne bruciata che gli arrivava alle narici e le pizzicava.
  C'era una strana sensazione di calore, come se fosse troppo vicino a una stufa ma non riuscisse ad allontanarsi.
  Avvertì sirene in lontananza.
  Voci urlavano quello che sembrava il suo nome.
  Nei suoi occhi solo fumo, fiamme e una nebbia grigia che avvolgeva ogni cosa.
  Le finestre esplosero e ciò che rimaneva della carcassa della sua casa sembrò urlargli contro, in un boato che gli scosse il petto.
  Una mano pesante si abbatté sulla sua spalla, le dita come ferro intorno ai suoi muscoli tesi.
  Come uscendo da una torbida palude, le orecchie si stapparono con un flop deciso, e una voce le attraversò come una lama. Girò lentamente la testa e un dolore mai sentito prima esplose nel cranio, attraversandogli le tempie. C'erano aghi appuntiti che penetravano la carne del suo addome.
  Caldo, troppo caldo.
  Poi improvvisamente il freddo esplose e diramò dita lunghe su tutto il corpo, partendo da un punto sul suo viso e correndo lungo i nervi.
  Occhi blu spalancati come oceani lo fissavano. Labbra rosse si affannavano tra le parole.
  Poi divenne consapevole di ogni cellula del suo corpo e fu troppo.
  Accolse il buio con pace.



  Kelly guardò un secondo di troppo il corpo tra le sue braccia. Gli occhi che aveva incontrato i suoi erano stati vuoti, fino a un attimo prima di ruotà indietro e chiudersi. Era stato meno di un secondo, ma Kelly lo aveva visto, Kelly aveva visto Matt e lui l'aveva riconosciuto.
   Negli occhi azzurri c'era stata paura, confusione, dolore e infine gratitudine.
  «Qui!» urlò a Shay, riemergendo dalla nebbia.
   Aiutò Dowson a sistemare Matt sulla barella. Boden urlava ordini, gli idranti sparavano getti contro quella carcassa in fiamme che una volta era la casa di Casey. Non c'era più null'altro da fare che limitare i danni.
  Le divise che sferragliavano per la strada, le urla, l'acqua e il fuoco e il fumo, erano solo un caos indistinto intorno a Kelly. Tremava, sudore e sangue attaccati alle dita come guanti troppo stretti.
  «Ustioni serie. Hai il battito?»
  «Debole ma c'è. Guarda la testa, Gabby.»
  «Trauma alla tempia, dobbiamo stabilizzarlo subito.»
  Si prese la testa tra le mani, guardando i due paramedici affrettarsi intorno al corpo di Casey, circondate dai suoi uomini.
  Torce negli occhi.
  Mani sulla fronte.
  Il sangue inzuppava la sottile t-shirt e i pantaloni, entrambi bruciati e anneriti. La stoffa venne tagliata per rivelare il petto così fermo, così lento nel suo ispirare ed espirare. L'addome e tutto un fianco sembravano fumare, pelle rossa e nera. L'odore della carne bruciata era così forte da nausearlo.
 Fu appena consapevole delle dita che gentili, ma urgenti, strinsero il suo braccio.
 Gli occhi di Shay erano lucidi e lo invitavano. Guardò Dowson, già sul retro dell'ambulanza, intenta a poggiare garze imbevute sul corpo di Matt.
  Annuì a Shay e salì a bordo. L'ultimo sguardo che lanciò alla casa in fiamme era velato di lacrime.






Note: Eccomi eccomi. Mi sono portata avanti di un paio di capitoli, presa da un'improvvisa ispirazione. Quindi presto pubblicherò altro, perché sarebbe troppo crudele sospendere a lungo a questo punto della storia.
  Grazie a chi mi segue e mi sprona, consapevole o meno.
  A voi, Alex.
  
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