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Autore: Ray Wings    10/02/2015    1 recensioni
Non voltare la testa, non andartene di nuovo! Sono cambiata. Sì, è vero, non sono più Alice! E questa ti sembra una colpa? Tu e il tuo strafottutissimo gruppo del cazzo mi avete trascinata qui: è solo colpa vostra. Mai più, mai più rivedrò gli occhi di mia sorella o di mia madre, ed è solo colpa vostra. Mai più rivedrò i tuoi occhi. Ma quelli non voglio nemmeno ricordarli, vuoti e disperati, mentre affondavano e annegavano e io impotente sulla spiaggia a pregare.
Mi avete lasciata sola, cazzo!
Sono rimasta in un angolo a piangere, come ho sempre fatto, aspettando l'arrivo di qualche supereroe dimenticandomi che questa è la fottuta realtà! Che qui si muore!
E sono morta.
Dimentica Alice...te la sei portata via.
So che sei un sogno, stai sfumando, comincio a non vederti più e so che quando aprirò gli occhi sarò di nuovo sola. Ma non voltare la testa. Guardami fino alla fine...guarda l'Oceano. Fino alla fine. Come ho fatto io. Pregando, sciocco, di svegliarti.
Manu. Guardami.
Ora sono Ocean.
[In revisione]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Daryl Dixon, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Aurora.

Ocean si lasciò cadere a terra, cercando ristoro sul cemento scomodo, o forse semplicemente incapace di reggersi ancora sulle sue tremolanti gambe. Qualcosa era esploso dentro lei, lo sentiva bruciare e distruggere. Si appoggiò con la schiena al muro lì vicino, scostata dal resto del gruppo, le braccia inermi, la testa reclinata in avanti, gli occhi vitrei spalancati a guardare il nulla e la sola compagnia di Max, preoccupato, e Molly, seduta accanto a sè, come lei, con lo sguardo vuoto fisso su chissà quale terrificante fantasma. Due anime sole e disperate che inutilmente cercavano di darsi calore con la vicinanza. Il foulard di Carol era ancora ben stretto tra le sue mani. Non voleva lasciarlo andare. Non voleva lasciarLA andare.
Niente gruppi!
Urlava la voce nella sua testa, ormai così remota.
Niente più persone da piangere.
Perchè? Perchè non si era ascoltata? Perchè ancora non riusciva ad accettare tutto questo? Il colpo le era arrivato così ben assestato da ridurla in brandelli. Max cercò di destarla, leccandole una guancia, lavandole via lo sporco del terreno, del sangue e delle lacrime. Niente. Non serviva a niente. Stava annegando anche lei, di nuovo, ancora e ancora, dentro quel maledetto Oceano.
<< Alice. >> una voce, un sussurro, pronunciò il suo nome d'origine. Come si era permesso? Lei non era più Alice! Alice era morta! Non voleva più saperne niente. Doveva fuggire da lì! Era colpa di Alice se di nuovo si stava ritrovando a piangere per qualcun altro. Alice doveva essere distrutta, non riesumata!
Alzò lo sguardo furiosa, incontrando occhi di ghiaccio, ma avvolti da una tenera foschia, come la brina sull'erba le mattine di primavera. Una scena idilliaca, ma per niente suggestiva. Non in quel momento. Riconobbe gli occhi, riconobbe il volto. Non riconobbe però la sua preoccupazione e la sua dolcezza.
Era colpa sua.
Il fuoco dentrò sè avvampò.
Era stato lui a portarla lì. A convincerla a restare e a strapparle di nuovo un lembo d'anima, uno dei pochi rimasti.
<< Ti ho detto che odio quel dannato nome!!! >> urlò con tutta la rabbia che aveva, nonostante il viso del ragazzo si trovasse a soli pochi centimetri dal suo. Un animale che ringhia sul muso di un altro con solo l'intenzione di allontanarlo, o lo avrebbe aggredito e ucciso.
Daryl si irrigidì. Non ne fu spaventato, nè dispiaciuto, solo tanto arrabbiato. Era quello il suo modo di ringraziare? Che diavolo le prendeva ora?
<< Mi stavo solo chiedendo se stavi bene! >> ringhiò soffusamente, in risposta al suo aggressore. Avrebbe intrapreso la lotta se ci fosse stato del tempo << Ma fa' come ti pare. >>.
<< Va' al diavolo, Daryl! Non ho bisogno di te e della tua assillante presenza. Devi starmi lontano, te l'ho già ripetuto altre volte! Lasciami in pace! >> continuò a invenire lei, ormai fuori controllo, in preda a una crisi d'ira, persa nei flutti del suo personale Stige, incapace di risalire a prendere aria, affogata da mani di cui non ne riconosceva la provenienza, evanescenti e informi.
Daryl non aspettò ancora: si alzò in piedi e si allontanò velocemente, senza rivolgerle altro sguardo o altra parola se non un ultimo << Puttana! >>. Odiava quel suo modo di fare. Era sempre stata una ragazza fastidiosa e scocciante, ma da quando si era unita ufficialmente a loro si era calmata molto, tanto che erano arrivati ad avere quel bellissimo rapporto che si era costruito nel tempo. Ora, però, sembrava tornata ai primi giorni, quando bastava niente per farla scattare come un animale selvaggio, irriconoscente e che vedeva il male anche nel semplice favore di farle delle frecce da degli stupidi legnetti. Non la sopportava quando faceva così, lei e i suoi capricci idioti da ragazzina vittimista, come se solo lei fosse quella che stava perdendo qualcosa in quei tempi. Anche lui aveva perso il fratello e molti amici, eppure non faceva tutte quelle sceneggiate isteriche. Era solo una stupida.
Glenn e Maggie seguirono il ragazzo con altrettanta urgenza, passando davanti a Ocean e dedicandole solo uno sguardo compassionevole. Ma questo lei non lo vide perchè era tornata ad osservare il foulard che stringeva tra le mani e che giaceva sulle sue ginocchia stese.
Max mugolò triste e si accucciò accanto a lei, percependo il suo dolore.
Beth si avvicinò a Molly e le si inginocchiò accanto << Molly, vieni con me? Ho bisogno del tuo aiuto. >> disse concedendole una carezza e un sorriso. Non era vero, ma voleva farla alzare e aiutarla a distrarsi. La bambina alzò gli occhi dapprima passivamente, poi improvvisamente si accese e scattò in piedi: velocemente corse via, inseguendo il trio che si stava avvicinando alle auto vicino ai cancelli. Non diede loro tempo quasi di notarla che già si era lanciata su Daryl, stringendogli la vita e affondando il viso nella sua camicia.
<< Non lasciarmi di nuovo, ti prego! >> piagnucolò senza alzare gli occhi, soffocando le parole tra i vestiti del ragazzo. Daryl si inginocchiò, facendola staccare da sè, per poterla guardare in viso << Torno presto, promesso. >>
Molly si coprì gli occhi con il braccio, asciugando malamente le lacrime che avevano cominciato a scendere copiose e lasciando parlare solo i suoi singhiozzi e lamenti.
Beth arrivò di corsa, trafelata e dispiaciuta di essersela lasciata scappare via. Si avvicinò a Molly e cercò di portarla via prendendola per mano, ma lei si ribellò di nuovo, strattonandosi, e si lanciò di nuovo contro Daryl, abbracciandolo << Non andare via! >>
<< Devo. >> disse semplicemente lui, stringendo le sue spalle con un braccio << Torno presto, davvero. >> poi si illuminò e cacciò una mano nella tasca posteriore dei jeans << Ehy! Guarda chi ho trovato. >> disse porgendo alla bambina la sua bambola, ridotta a uno straccio, ma ancora riconoscibile.
<< Bisognerà darle una sistemata, perchè non chiedi a Beth di aiutarti? >> disse.
Molly prese la sua bambola tra le mani: sembrava essersi calmata un po', anche se continuava a essere scossa dai singhiozzi. La presenza della sua bambola le dava sicurezza: era l'unica che non si trasformava, era l'unica che non moriva e mai l'avrebbe lasciata sola.
<< Beth non è un dottore. Hershel lo è...lui sa ricucire le persone. >> disse.
<< Esatto! Chiedi a Hershel di ricucirla e curarla, e nel frattempo vedrai che sarò di ritorno. >> cercò di dedicarle uno dei suoi sorrisi più dolci e convincenti, anche se gli riuscivano un po' male, soprattutto quando era in presenza degli altri.
<< Promesso? >> chiese lei ancora titubante e per niente convinta. Ma se Daddy diceva che sarebbe tornato allora lo avrebbe fatto. Lo faceva sempre.
<< Promesso. >> assicurò lui prima di alzarsi in piedi << Andiamo. >> disse poi rivoltò a Maggie e si mise in sella alla sua motocicletta.

Hershel controllò la bambina appena nata, vittima come sempre del suo istinto da medico: scrupoloso e attento, anche quando gli strumenti carenti non gliene davano troppo la possibilità. Sembrava però stesse bene, l'unica cosa di cui aveva bisogno era cibo (e presto sarebbe arrivato) e calore. Perciò appena Beth tornò insieme a Molly la chiamò a sè e gliela porse << Tornate dentro, tienila al caldo in una coperta, io arrivo subito. >> la figlia annuì, prese la piccola e, prima di seguire le indicazioni del padre, si avvicinò a Carl: aveva bisogno anche lui di una mano amica. All'improvviso si sentì sovraccarica, piena di preoccupazioni: Molly, Carl, la bambina...tutti contavano su di lei. All'improvviso si sentì così sola. Prima c'erano Lori e Carol ad aiutarla.
Quanto avevano perso in così poco tempo.
Si ritrovò di nuovo a chiedersi se ce l'avrebbero fatta.
<< Dottore! >> chiamò Molly avvicinandosi a lui, prima di seguire Beth, sua nuova balia per il momento << Hershel. Puoi guarirla? >> chiese porgendogli la sua bambola sventrata.
<< Oh, poverina. Com'è ridotta male. >> osservò Hershel prima di prenderla tra le mani e osservarla da vicino, sotto l'occhio attento e preoccupato della piccola rossa << Sarà un'operazione difficile, avrò bisogno di una buona assistente. >>
<< Posso aiutarti io! >> disse Molly istintivamente, poi si fermò a riflettere << Posso? >> chiese, insicura. Lei non aveva compiti nel gruppo, spesso passava le giornate ad annoiarsi con qualche foglio di carta e Max che rincorreva le palline che lei formava. Tutti sempre si affaccendavano e correvano, perfino Carl, ma lei doveva sempre e solo "restare lì e aspettare". Avrebbe davvero potuto fare qualcosa?
<< Certo! >> sorrise amichevole Hershel << Vai dentro con Beth e prepara per me la sala operatoria. >> disse facendole un occhiolino e porgendole di nuovo la sua Signorina Rosie. Molly la prese tra le braccia come fosse stata una bambina, imitando ancora una volta chi aveva intorno a sè, e seguì Beth verso l'interno della prigione dove poi avrebbe allestito un tavolino con ago, filo e qualche batuffolo di cotone che Beth avrebbe preso per lei da qualche cuscino inutilizzato.
Hershel li lasciò andar via e si avvicinò, sempre lento e barcollante, a un'altra persona che aveva bisogno del suo intervento anche se non glielo aveva chiesto esplicitamente << Ocean. >> disse << Fammi dare un'occhiata a quella spalla. >>
<< Va' via! >> si limitò a rispondere la ragazza, senza sforzare nemmeno troppo la voce. La rabbia nei confronti di Hershel certo non era come quella verso Daryl, ma non voleva più avere nessuno attorno a sè.
<< Ci potrebbero volere dei punti. >> insistè lui, fermandosi vicino alla ragazza e guardandola severo, come un padre guarda la propria figlia capricciosa che non vuol prendere la medicina.
<< Lasciami in pace. >> bofonchiò lei prima di sollevarsi in piedi, a fatica, aiutandosi col braccio ancora buono.
<< Ocean! Come stai? >> chiese Glenn, raggiungendo il gruppetto in quel momento, dopo aver lasciato la sua Maggie nelle mani di Daryl. La ragazza, sorpresa nel sentire la sua voce, non aspettandosi attenzioni anche da parte sua, sussultò e lo guardò spaventata e furiosa.
<< Lasciatemi in pace! >> urlò più forte mentre si allontanava rapidamente, cercando di rendere la sua richiesta più convincente da un plateale gesto del braccio. I due non insistettero ancora. Quella situazione aveva lasciato scossi un po' tutti, e li aveva quasi distrutti. Avevano perso tre dei loro, e i pochi rimasti erano abbattuti e arrabbiati. Carl non apriva bocca, Rick era sparito nei corridoi della prigione con un'ascia ben stretta in mano, e ora anche Ocean sembrava essere tornata la scontrosa che era all'inizio: schiva e cinica. Daryl e Maggie erano corsi a cercare cibo per la bambina, e neanche avevano avuto modo di permettere ai rimasti di preoccuparsi in un loro eventuale ritorno: non c'era tempo nè testa. Glenn scappò nei corridoi della prigione a cercare Rick per tentare di riportarlo indietro. Hershel seguì la figlia verso le loro celle: aveva una bambina di cui occuparsi e una bambola da rianimare. I due detenuti, rimasti senza parole e soli, si guardarono attorno dispiaciuti e confusi. Sembrava di trovarsi all'interno di un incubo, e i morti intorno a loro davano la giusta atmosfera. Si guardarono tra loro, chiedendosi cosa avrebbero fatto, ma lasciando la domanda campata per aria. Loro avrebbero dovuto aspettare, c'era altro di cui occuparsi e preoccuparsi. Delle persone erano morte quel giorno, era giusto dar a loro e al lutto la priorità.

Daryl e Maggie partirono per la cittadina che Glenn aveva indicato, diretti all'ipermercato, nella speranza di trovare qualcosa di utile, almeno momentaneamente, per la neonata. Ma non la raggiunsero: la strada bloccata li costrinse a fare una deviazione, e, quasi per miracolo, si trovarono di fronte un asilo. Decisero di tentare la sorte: chissà che non l'avesse messa sulla loro strada di proposito.
Maggie fu la prima a entrare, sfondando una finestra, seguita poco dopo da Daryl che intanto aveva dato un'occhiata nei paraggi per assicurarsi che strane sorprese non li cogliessero impreparati. Ispezionarono silenziosi il posto, aprendo ogni porta. Ma l'asilo sembrava tranquillo e abbandonato, se non per un opossum che aveva trovato rifugio (e forse cibo) in un armadio: non sarebbe uscito di lì se non appeso alla cintura di Daryl.
<< Ciao, cena. >> disse lui sorridendo soddisfatto del premio mentre si chinava a raccoglierlo.
<< Io non lo metto nel mio zaino. >> disse Maggie disgustata voltandosi, ormai tirato un sospiro di sollievo, per controllare gli scaffali e gli stipetti di quella che sembrava una cucina. Ringraziando ancora una volta Dio per averli aiutati, trovò quello che cercava. Certo non erano quantità industriali, ma per un po' sarebbero bastate. Cominciò a riempire il suo zaino, pensierosa.
<< Non avresti dovuto trattarla così. >> trovò poi il coraggio di parlare.
<< Trattare chi? >> chiese Daryl, non capendo da subito a cosa si stesse riferendo, ma intuendolo e cominciando già a provare un forte senso di irritazione.
<< Sai di chi parlo. >> sospirò lei, evitando di incrociare i suoi occhi e continuando a lavorare al suo raccimolo, anche se ormai aveva preso tutto quello che doveva << Ocean è solo ferita e spaventata. >>
<< Lo siamo tutti. Deve crescere. >> brontolò lui, cominciando a mettere più forza nel suo lavoro, non tanto per necessità, quanto per bisogno di sfogare in qualche modo la rabbia che stava nascendo in lui al ricordo della ragazza isterica che si era appena lasciato alle spalle, un Ocean che insisteva nel dar colpe agli altri, senza prendersi un briciolo di responsabilità.
Maggie sospirò ancora e si voltò, guardandolo questa volta << E' fragile! >>
Daryl si alzò in piedi, finendo di legarsi alla cintura la preda appena catturata, impegnando ancora i muscoli, e si voltò anche lui a guardare la ragazza, incrociando i suoi occhi, trasmettendo con i suoi tutta la rabbia che covava dentro << Non è affar mio. >> sibilò prima di incamminarsi lungo il corridoio, diretto alla seconda stanza, dove avrebbero cercato altro cibo e altri beni di prima necessità. Maggie gli andò dietro, insistendo << Certo che lo è! Sei la persona che al momento gli è più cara. >> ma Daryl questa volta non rispose, ignorandola, lascianola ai suoi discorsi.
Maggie sospirò ancora, prima di seguirlo all'interno di un'altra stanza << Tu sei innegabilmente più forte di lei, sai attutire meglio i colpi. Puoi essere forte per entrambi! >>
Daryl si fermò, guardandola di nuovo, sbuffando ma senza dire niente, e cominciando a rovistare tra gli scaffali della stanza appena imboccata. Trovò un paio di scatole e le porse a Maggie che le infilò distrattamente nel suo zaino, senza neanche guardare cosa stesse prendendo, aspettando una risposta che non sembrava voler venir fuori.
<< Non sono suo padre. Che si arrangi. Io non mi spacco la schiena e le palle per stare dietro a una ragazzina capricciosa che non vuole essere aiutata. Ribadisce che può farcela da sola, che vuol stare da sola. Bene! Che faccia pure! >> brontolò poi lui.
<< Non è la verità! Lo sai tu e lo sa lei. >> Maggie abbassò un attimo gli occhi, anticipando l'intimità della confessione che stava per fargli << Quando papà è stato morso ho creduto di averlo perso per sempre. Ero a pezzi, completamente distrutta, e me la rifacevo col mondo intero perchè a qualcuno dovevo pur dare la colpa! Me la sono presa anche con Glenn, ingiustamente. Ma lui è rimasto. E io non posso che ringraziarlo per averlo fatto. Avevo bisogno di lui allora più che mai, anche se dicevo il contrario solo perchè arrabbiata col mondo. >>
Daryl la guardò ancora, senza rispondere e uscì di nuovo dalla stanza, diretto alla successiva. Maggie continuò ad andargli dietro come un cagnolino, nella speranza capisse cosa stava cercando di dirgli.
Ma ancora senza soddisfazione. Era testardo e orgoglioso!
<< Daryl, per favore! >> disse lei, stufa di corrergli dietro inutilmente, fermandolo per un braccio e costringendolo a voltarsi.
<< Stalle tu dietro visto che ci tieni tanto! >> disse lui incazzato nell'istante in cui fu costretto a voltarsi dalla sua mano. Con un colpo del braccio si staccò con violenza dalla leggera presa della ragazza, lasciando fosse quel gesto a farle capire che doveva lasciarlo in pace.
<< Lei non ha bisogno di me, ha bisogno di te! >>
<< Stronzate! >> brontolò ancora riprendendo il suo percorso.
<< E' la verità! Tu sei più che un semplice amico... >> ma venne interrotta bruscamente da un << Cosa?! >> stizzito e ancora più furioso e si voltò a guardarla con la fronte aggrottata.
<< Io cosa?! >> sbuffò, trattenendo risate sarcastiche. Aveva il fuoco negli occhi << Hai letto troppi romanzi d'amore, principessa. Io e lei non stiamo insieme. Non sono nessuno, ok? >>
Maggie ne fu quasi spaventata, si leggeva chiaramente nel suo volto la rabbia che ora nasceva anche nei suoi confronti: forse per aver insistito tanto, o forse per aver insinuato che tra i due ci fosse chissà quale rapporto. Cercò di pensare a cosa rispondergli, non voleva farlo incazzare di più, ma ai suoi occhi era palese che tra i due non ci fosse il semplice affetto che poteva esserci tra amici. Tutti avevano notato gli sguardi, i sorrisi e i toni che i due avevano solo l'uno per l'altra. E tutti, anche loro stessi, avevano notato il bisogno fisico che avevano di aversi vicino. Per nessun motivo in particolare, se non quello di sentire una calda e rassicurante presenza che scalda loro la notte e allontana gli incubi.
<< Vado a fuori a fumarmi una sigaretta. >> disse poi lui, approfittando del silenzio riflessivo della ragazza: aveva bisogno di stare solo. Doveva sbollire. << Chiama se hai bisogno. Sono qui fuori. >> aggiunse prima di avviarsi verso la finestra da dove erano entrati.

Herhsel aveva appena concluso i suoi compiti. La bambina era al sicuro con Beth, al caldo, anche se tormentata dalla fame e probabilmente dalla paura. Carl con lei non le toglieva gli occhi di dosso, ma ancora non aveva aperto bocca. Molly era stata con lui mentre ricuciva come poteva la bambola, aggiungendo un po' d'imbottitura. Lei sembrava felice di poterla di nuovo abbracciare, ma Hershel non potè che notare come l'inquietante cicatrice che ora storpiava la povera Signorina Rosie facesse sembrare anche lei uno di loro: uno zombie. Anche lei morta e tornata in vita storpia e imbruttita dalla sua ferita. Anche lei non era riuscita a salvarsi da quel mondo così marcio che tutto prendeva e tutto uccideva. Aveva poi accompagnato la bambina nella sua stanza, dove era stato con lei per qualche minuto, raccontandole storie e passi della Bibbia nella speranza di rassenerare almeno in parte il suo cuore distrutto e terrorizzato. L'aveva appena lasciata dormire, stanca, distrutta da un pomeriggio che non si era meritata e che mai avrebbe dovuto passare. Glenn era tornato sui suoi passi, rientrando in cella, spaventato dal suo incontro con Rick.
<< E' uscito di testa. >> aveva comunicato prima di raccontare come l'amico l'avesse aggredito, probabilmente non riconoscendolo.
I due detenuti si erano offerti di aiutare in un momento così tragico, e così si erano appostati sulla torretta, di vedetta. Era l'unico modo che avevano per riempire la sera che andava calando. Non facevano parte di quella famiglia, non erano apprezzati nel loro blocco e le loro condoglianze suonavano così vuote e inutili.
<< Guarda. >> disse Axel all'amico, indicando un punto a ovest sull'ultima rete che dava all'esterno, dove erano raggruppati, schiacciati una decina di zombie. Oscar seguì il braccio dell'amico fino a trovare la figura nera, ricoperta di polvere e sangue, che aveva attirato la sua attenzione. Ocean era ferma immobile, in piedi, ben dritta, davanti alla rete, davanti ai suoi aguzzini che ringhiavano famelici, tanto vicina a loro da poter sentire la puzza dei loro aliti. Sarebbe bastato che uno di loro avesse avuto un dito più lungo e sarebbe arrivato ad afferrarla.
<< E' lì ferma da un'ora, sicuramente. >> disse ancora Axel senza toglierle gli occhi di dosso: lo spaventava e inquietava. Aveva visto i suoi occhi prima di allontanarsi, urlando contro i suoi amici: sembravano quelli di molti criminali che erano stati chiusi con loro per aver ammazzato in un momento di follia chissà quale parente o amico.
E il fatto che da così a lungo lei stesse in quella posizione, così vicina a loro, quasi a provocarli, confermava la sua idea che fosse una pazza schizzata.
Hershel uscì di nuovo e preoccupato si avvicinò al primo recinto, quello che dava sul cortile. Vide Ocean e la osservò qualche minuto. Aveva ancora la spalla che perdeva sangue, non aveva neanche provato a curarsi da sola. Andava controllata con urgenza. Ma soprattutto andava aiutata. Aveva visto anche lui i suoi occhi: non erano gli occhi di una pazza criminale, erano gli occhi di una donna distrutta dall'esistenza e che non desidera altro che chiuderli per sempre.
Si avvicinò a lei, percorrendo il vialetto che attraversava il cortile, oltre il cancello che portava all'altro viale, quello che percorreva tutto il perimetro esterno della prigione, e senza preoccuparsi di farsi sentire si avvicinò, ma rimase qualche metro distante, alle sue spalle, lasciandola sola in quello spazio che sembrava essersi ritagliata solo per sè. Riusciva ora a vedere il suo volto. Gli occhi piantati selvaggiamente in quelli di uno zombie che mugolava, ringhiava, a pochi centimetri dal suo naso. Alitava su di lei, ne sentiva il puzzo, e irrequieto cercava di mordere la rete per arrivare a quella carne che tanto portava bramava. La fronte aggrottata tanto da incurvare le sopracciglia sugli occhi stessi, facendo calare su essi un'ombra nera e spaventosa. La mascella contratta con tale forza da far sporgere una vena sul suo collo, e i denti lievemente scoperti. Un lupo pronto a saltare e azzannare chi lo sta minacciando. La mano sinistra avvolgeva l'elsa della sua spada al fianco, ancora grondande di sangue. Il petto sporto lievemente in fuori e la schiena ben dritta sottolineavano ancora la sua intenzionalità ad attaccare e smembrare la sua vittima, priva di ogni paura, accecata solo dalla furia. Aveva sentito arrivare Hershel, era difficile non sentirlo con le stampelle che ticchettavano a ogni passo sulla ghiaia, ma non ne aveva dato peso.
Restarono in silenzio: Ocean persa ancora nel suo mondo dantesco, colmo di dannati e demoni inquisitori, Herhsel triste spettatore di quel dramma che andava verificandosi davanti ai suoi occhi ma, ahimè, non su un palcoscenico.
<< Carol mancherà a tutti. E anche T-Dog. Era un bravo ragazzo. E Lori... >> sospese la frase sentendo un improvviso nodo bloccargli la gola. Aveva promesso così tanto a quella donna che ora giaceva sventrata nei corridoi, promesse che sentiva di aver mancato. Era incredibile, era stato l'ultimo a essere interpellato, eppure probabilmente era quello con più sensi di colpa.
Andrà tutto bene, vedrai.
<< Andrà tutto bene, vedrai. >> persona diversa, stessa promessa. L'avrebbe infranta?
Non sei sola.
<< Non sei sola. >> e fu proprio quell'ultima affermazione che fece irrigidire Ocean, accennando per la prima volta una risposta, seppur non verbale. Si voltò lentamente con gli occhi ancora infuocati.
<< Non sono sola. >> bisbigliò incredula. Il cuore in gola non le dava pace, martellava e bruciava: fuoco ardente, inferno in terra, brucia questa dannata peccatrice. Colpevole per l'eternità.
Si voltò di nuovo lentamente verso lo zombie davanti a sè, tornò a guardarlo e a lui ripetè in una smorzata risata sarcastica << Non sono sola. >>
Fece qualche respiro profondo. La rabbia aveva accecato i suoi occhi.
<< No, non lo sono. >> mugolò, ancora rigida e tesa. Poi scattò. Diede un colpo alla rete davanti a sè con entrambi i palmi aperti, talmente forte da farsi male, ma che gliene importava?
<< No, non lo sono! >> ripetè ancora lasciando che la voce rabbiosa uscisse gracchiante dalla sua gola, ancora rivolta al suo aguzzino perchè era proprio a lui che si stava rivolgendo << Ci siete voi con me, schifosi bastardi! Per sempre compagni di giochi, non è così? E' bello, divertente! Oh, ma certo, guarda come mi diverto con i miei compagni! >> urlò ancora e ancora, continuando a colpire la rete, riuscendo ad evitare le dita fameliche dei suoi interlocutori solo perchè repentinamente staccava le mani da lì. Un calciò colpì ancora e Hershel sussultò, spaventato per un attimo che l'avrebbe buttata giù. Ma rimase dov'era, incapace sicuramente di fermarla, ma anche perchè non ce n'era stato più bisogno. Lei stessa si era calmata e ora aveva cominciato a camminare nervosamente in cerchio, avanti e indietro, continuando ad avvicinarsi a loro, urlandogli in viso, tornando indietro e invenendo e bestemmiando contro quelli che ormai erano i padroni del mondo.
<< Maledizione, Hershel, guardaci! Siamo fuggiti per mesi, non dormendo la notte, e ora, al primo rifugio sicuro, perdiamo non uno ma ben 3 dei nostri! >> disse questa volta rivolta al vecchio, continuando a gesticolare nel folle desiderio di sfogarsi << Come puoi tornare a dormire sogni tranquilli? >>
Lo fissò qualche secondo, forte nella sua affermazione, affogata nella sua paura. Hershel non rispose. E lei tornò a camminare.
<< Lì dentro c'è chi ha ancora bisogno di te. >> disse Hershel dopo qualche minuto di riflessione, utile più a far sbollire i nervi della sua compagna che a fargli pensare la risposta migliore << Non è abbastanza? >>
<< Voi avete bisogno di me? >> gli urlò contro Ocean << E di cosa ho bisogno io non importa? >>
<< Nessuno ha detto questo. >> rispose con lo stesso tono Hershel, padre severo che non accetta il tono presuntuoso della figlia. Si avvicinò di un altro passo, facendo un sospiro tranquillizzante, poi tornò ad essere il solito calmo e dolce Hershel << Ocean, costa stai cercando qui fuori? >>
Incredibile come bastò quella semplice domanda per aprire una porta, far entrare luce, accecando la malcapitata che girava in tondo in una stanza completamente buia. Il fuoco dei suoi occhi si spense, lasciando fosse solo accecante e soffocante fumo a cingerla. Le spalle si rilassarono, abbassandosi di qualche centimetro. Si avvicinò di nuovo allo zombie che aveva di fronte e tornò a guardarlo, ma non più con aria di sfida. Stava cercando.
Stava diventando matta.
Doveva trovarlo.
Era quella la verità. Cercava.
Ma cosa?
<< Non lo so. >> bisbigliò. Deglutì mandando giù quel nodo che le aveva fatto morire in gola l'ultima sillaba << La fine. Credo. >>
Tanti erano i punti rimasti in sospeso. Tanti i pensieri che correvano in lei in quel momento, tante mani che la tiravano giù, sul fondo. La sua famiglia. Il suo gruppo. Manu.
Tanti addii mancati.
Tante frasi cominciate, senza mai essere terminate, lunghe, immense, piene di paroloni... toglievano il fiato.
Cercava Alice. Lei era uno zombie, era come loro, lei lo sapeva. Cercava Alice. Doveva ucciderla.
Prima che Ocean morisse.
Indietreggiò, quasi spaventata, incapace di sostenere quel peso. Voleva fuggire, ma non sapeva dove. Negò con la testa e cominciò a camminare velocemente verso la prigione, aggiungendo un ultimo confuso << Non lo so. >>
Hershel però la fermò, afferrandola con una mano.
<< Non lasciare che il tuo passato ti strappi via dal presente. Non so cosa sia accaduto al tuo vecchio gruppo, non hai mai parlato con nessuno di noi, tranne forse che con Daryl, ma qualsiasi cosa sia stata sicuramente ti ha segnato. Sei rimasta lì con loro troppo a lungo, Ocean. Ora lasciali andare. >>
Ocean volse un altro sguardo al gruppo di zombie che famelico era accalcato alla rete, disperati e ormai invisibili. Occhi vitrei ormai privi di vita. Aveva visto zombie che non erano zombie, aveva vissuto con zombie che non erano zombie, ma solo ombre e fantasmi.
Doveva lasciarli andare.
Un'espressione di dolore deformò per un attimo il suo viso, prima che venisse coperto dalle sue mani.
<< Chiedevano aiuto. >> mugolò lei tra i singhiozzi << Sono scappata. >> tentò di prendere aria, di respirare, ma sembrava che l'ossigeno quel giorno non le spettasse.
<< Non voglio più restar sola. >> ammise infine.
Perchè era questo che più di tutti attanagliava il suo cuore. Era stata abbandonata. Trascinata lontana da tutto ciò che aveva più caro, per poi essere lasciata sola. Manuele, quel giorno, si era dimenticato di lei. Per la prima volta in tutta la sua vita. Era la persona di cui più si fidava, il suo punto di riferimento, proprio come lo stava diventando quel gruppo. E l'aveva abbadonata.
Era un pensiero terribilmente egoista, tanto infantile da risultare quasi insensato.
Ma era la verità del suo cuore.
Non voleva più che accadesse.
Era una sciocca bambina che aveva paura del buio!
Tutti se ne andavano, nessuno restava. Legarsi a loro significava aspettare, di nuovo, di essere abbandonata.
<< Vieni, andiamo dentro. Tra poco farà buio e io voglio controllarti quella spalla. >> disse poi Hershel, abbandonando lì il discorso. Aveva tirato fuori il tizzone che l'ardeva, ora doveva solo aspettare che il fumo si diradasse.
Percorsero insieme il vialetto che conduceva al cortile e poi all'entrata della prigione.
La fece sedere al tavolino all'entrata, dove aveva radunato un po' dei suoi attrezzi e delle medicine e cominciò ancora una volta il suo lavoro. Ocean, di spalle davanti a sè, attendeva con la testa china in avanti e la maglietta calata sulle spalle, che il dottore finisse la sua visita.
<< Sei stata una sciocca ad aspettare tanto prima di farmela vedere. Ora mi toccherà il doppio del lavoro per riuscire a ripulirtela e cucirtela. >>
<< Mi dispiace. >> disse apatica Ocean, distratta da chissà quale altro fantasma nella sua mente.
Lasciali andare.

<< Dimmi un po'. >> riprese a parlare Hershel, intenzionato a non lasciarla sola nel suo oblio << Che cosa ti ha spinto a tornare? E' una domanda che ci siamo sempre posti ma nessuno ha mai avuto il coraggio di porgertela. >>
<< Non mangio nessuno, se avete delle domande potete pure farmele. >> rispose Ocean, ancora con tono basso e sforzato, ma non per questo meno intenzionata a lasciar il vecchio parlare da solo.
<< No, ma si evita sempre di far domande a chi ha dei dolorosi segreti da nascondere. >>
<< Era così evidente? >> chiese lei prima di lasciarsi scappare una smorfia di dolore, dovuta alle operazioni alla sua spalla.
<< Solo quando Daryl ha cominciato a chiamarti Alice. >> ci pensò un attimo su poi aggiunse << No, in effetti c'era stato il sospetto anche molto prima. >>
Ocean si ritrovò a sorridere ripensando alla sera con Daryl, davanti al fuoco, quando gli aveva detto di Alice. E lui le aveva invece parlato di Merle, suo fratello stronzo ancora vivo in chissà quale angolo di mondo e senza una mano.
Hershel colse il sorriso e non potè che compiacersene.
<< E' un bravo ragazzo. Ma siete entrambi così...scostanti. >> aveva cercato a lungo la parola da dire, ma non era riuscito a soddisfarlo lo stesso << Dovreste parlare un po' di più. >>
<< Parlare? Più di così? >> ridacchiò Ocean. Si sentiva diversa. Ma non ci fece caso. Era bastato nominare Daryl per riportarla su altri binari, completamente diversi dai precedenti. E benchè gli avesse urlato contro, poco prima, di andarsene al diavolo, sapeva perfettamente quanto in realtà le piacesse essere chiamata in quel modo da lui. Solo da lui. Da nessun altro, apparte Molly. Era il loro piccolo e intimo contatto, come le occhiate fugaci che si erano mandati più volte nei boschi mentre tentavano di catturare qualche scoiattolo. O i sorriso al chiaro di luna, con una sigaretta in mano e un tenero silenzio di compagnia.
<< Dire qualcosa solo per intraprendere un dialogo di circostanza non è parlare. >>
<< Aspetta. >> interruppe Ocean, tirando su le spalle e voltandosi a guardare il vecchio, costringendolo a interrompere il suo lavoro << Che stai cercando di insinuare? >> arricciò il naso. Aveva un brutto presentimento.
<< Ma niente, dico solo che quando il buio ti spaventa e ti senti sola...un'abbraccio può essere un ottimo amico e alleato. >> disse con un pizzico di malizia negli occhi.
<< No. >> sorrise imbarazzata Ocean e anche un pochetto infastidita << Tra me e Daryl non c'è niente! >>
<< Lo so. >> ammise l'anziano amico, costringendola a rivoltarsi per concludere la fasciatura che aveva appena sistemato, facendola girare intorno al braccio e sotto l'ascella << Ed è un peccato. >> ammise poi.
Ocean rispose con uno sbuffo sarcastico, per niente convinto e anche derisorio. Il vecchio stava delirando. Quante sciocchezze in così poco tempo. Gli voleva bene, era un ottimo amico ed era bello averlo accanto, ma da lì a dire che avrebbero potuto stare insieme...no. Mai.
Non ne voleva sapere niente dell'amore! E tanto meno con un tipo come Daryl, che tutto avrebbe fatto tranne che portare fiori o cioccolatini.
<< Sei a posto. Grazie per avermi permesso di guardarti. >> disse Hershel raddrizzandosi sulla sedia dove si era seduto per effettuare le sue operazioni. Ocean si tirò la camicia sulle spalle, coprendosi e si alzò, diretta alla sua cella, ma non senza prima essersi fermata a rivolgere all'anziano amico un sentito << Hershel... Grazie. >>
E non era per la spalla.

Un lieve rumore soffuso. Onde che andavano stendendosi e ritirandosi. Granuli bollenti tra le dita. Ma non scottavano. Erano caldi, anche troppo, ma le dita non bruciavano. Aprì gli occhi. Il sole era accecante.
Si guardò confusa attorno.
Sapeva dov'era... e ne aveva paura.
Si sollevò di scatto, pronta a dirigersi dove avrebbe trovato la solita figura nera dagli occhi vitrei sprofondare sotto il pelo dell'acqua. Come ogni notte...tentava di salvarlo. Ma finiva con l'affogare insieme a lui.
I primi passi nel mare rumoreggiarono fastidiosi. La vide. Era lì, davanti a sè, evanescente e terrificante. Scura e irraggiungibile. Ma lei era testarda e l'avrebbe raggiunta. Prima o poi ce l'avrebbe fatta.
<< Manu! >> chiamò, ma non sentì la sua voce.
Poi si bloccò.
No.
Doveva lasciarlo andare.
Abbassò gli occhi al mare che le accarezzava i polpacci. Era rosso amaranto. Un Oceano di sangue.
Alzò gli occhi di nuovo alla figura davanti a sè.
Sì, l'avrebbe lasciata andare. Non avrebbe più tentato quella folle e inutile corsa, che come tutte le notti si concludeva nel respiro che mancava e l'acqua nei polmoni che rubava tutto ciò che di più caro aveva. E quella figura dagli occhi vitrei non l'avrebbe vista.
La fissò.
Si stava voltando. Avrebbe visto quegli occhi vuoti e disperati ancora un'ultima volta.
Ma il cuore sobbalzò quando per la prima volta non si trovò ciò che si aspettava. Gli occhi che aveva incrociato non erano verdi, non erano mascherati da degli occhiali, non erano quelli che a lungo l'avevano abbandonata.
Il fiato le mancò e cominciò a correre.
<< No. >> mormorò. Sforzò le gambe e si aiutò con le braccia ad andare più veloce.
<< No! Ti prego, no! >> pianse. Lo raggiunse. Era riuscita! Allungò una mano verso lui: l'avrebbe afferrato e finalmente stretto a sè. Mai più sola. Avrebbe vinto.
Ma il terreno mancò improvvisamente, i suoi piedi caddero non trovando più un appoggio e la mano che aveva allungato sfiorò solamente la figura che ancora immobile la fissava, in attesa, e un ultimo grido prima che l'acqua soffocasse ancora i suoi polmoni << Daryl! >>
Le mani inutilmente si allungavano verso l'alto. Non sapeva nuotare. Non sarebbe arrivata in cima. Non avrebbe più preso fiato. Sarebbe morta...come tutte le volte. Il rosso macchiava i suoi occhi. Aveva paura.
Di nuovo.
Li chiuse.
Stava piangendo? Ne sentiva il bisogno, ma l'acqua intorno a lei le impedivano di capire cosa fosse il liquido che inumidiva le sue guance.
Anche lui. Sola ancora una volta.
Senza rendersene conto aveva riposto in lui la stessa sicurezza che aveva riposto qualche mese prima in Manuele. Il suo punto fisso, il pupazzo da stringere la notte per non temere il buio. L'aveva trovato di nuovo. E lo stava perdendo di nuovo.
Non l'hai lasciato andare una voce brontolò dentro lei.
Non voglio pianse in risposta.
Qualcosa afferrò la sua mano. Una presa ferrea, quasi da farle male.
Aprì gli cochi appena in tempo per vederlo: la stringeva, la baciava e insieme risalivano e sconfissero l'oceano. Gli occhi azzurri, lembi strappati al cielo, ora erano chiusi, serrati in un'espressione disperata.
Si lasciò stritolare dalle sue braccia ormai troppo grosse per le sue minute spalle. Si abbandonò.
Poteva farlo. Lo sapeva.
E insieme ripresero fiato.

<< Oh mio Dio! >> balbettò Ocean, seduta sul suo letto, gli occhi sbarrati in una chiara espressione allibita. Il lenzuolo ben stretto, stritolato, tra le sue dita.
<< Che diavolo mi ha fatto quel vecchio?! >> brontolò spostandosi lentamente, ancora shockata per quanto aveva appena sognato. Lasciò cadere le gambe penzoloni giù dal letto a castello.
Si fermò un istante. Un altro ricordo improvviso era balenato. La fulminavano in continuazione. Immagini tanto assurde per la sua mente razionale, da sfiorare l'incubo.
Che diavolo! Aveva appena finito di dire che non avrebbe mai voluto una storia d'amore, tanto meno con un tipo come lui e poi andava a fare certi sogni.
<< Mi deve aver iniettato un antidolorifico troppo forte. >> giunse alla conclusione, non riuscendo proprio a comprendere come la sua mente fosse riuscita a produrre un film del genere. Scese dal letto e si rese conto solo allora delle voci che provenivano dall'intero della prigione. Le voci del suo gruppo. Stavano parlando tra loro all'entrata, nella prima saletta, dove c'era il tavolino che Hershel aveva usato come sala operatoria. Uscì dalla sua cella stiracchiandosi e grattandosi pigramente la testa. Uno sbadiglio uscì dalle sue labbra, storpiando il suo volto. Porbabilmente aveva dormito male: si sentiva a pezzi.
E questo spigava anche il perchè di certi sogni.
<< Sì. >> disse una voce molto dolce e così delicata nel suo sussurro da far venire dei dubbi a Ocean sulla sua provenienza. Riconosceva la voce, ma non il tono. Non l'aveva mai sentito così.
<< Ti piace? Eh? >> chiese ancora il solito tono amorevole.
Arrivò al cancello e da lì si affacciò, cercando di guardare cosa stesse succedendo.
Era stato Daryl a parlare. Allora aveva sentito bene! Era la sua voce. Teneva in braccio la bambina di Rick: il suo tocco su di lei era così leggero e la sua voce così morbida da non sembrare lui. La stava allattando e dondolando. Era così dolce.
<< Piccola spaccaculi. >> il nomignolo fece ridere tutti i presenti, Ocean compresa. Sì, era proprio lui. Non si era sbagliata e quello era stato il suo marchio di fabbrica.
<< Ti piace, tesoro? Piccola Spaccaculi. >> continuò a sussurrare al piccolo scrigno delicato che aveva tra le braccia. Ocean non riuscì a togliergli gli occhi di dosso: era così diverso dal solito. Possibile che fosse sempre lui? Non l'aveva mai visto circondato da quell'aura così calda. Solo qualche volta, quando aveva parlato con Molly, ma era stato un po' diverso con lei. Forse perchè più grandicella, o forse semplicemente perchè solo ora stava venendo fuori quel lato di sè.
Si poggiò con la testa allo stipite della porta in ferro e continuò a osservarlo intenerita e completamente rapita da quel lato di sè che tanto aveva tenuto nascosto.
Era stata una sciocca quel pomeriggio. Si era lasciata abbattere, si era lasciata distruggere, dimenticando cosa ancora poteva stringere a sè. Non era ancora la fine, non doveva mollare. Lei non sarebbe stata quel Manuele che disperato si lasciava affogare nell'Oceano, dimenticandosi di chi ancora aveva bisogno di lui.
Sospirò abbassando lo sguardo, pensierosa, e decise di uscire a prendere un po' d'aria. Daryl ancora non le aveva rivolto lo sguardo e probabilmente non l'avrebbe fatto ancora per molto. Era stata una vera stronza quel pomeriggio, non si meritava di essere trattato così. Se non le avesse rivolto la parola ancora a lungo lei lo avrebbe capito e compreso.
Si sistemò gli abiti addosso e si avviò verso l'uscita della prigione. Aveva bisogno di prendere un po' d'aria: aveva bisogno di veder le stelle.
Andò sulla torretta di guardia dove c'era Oscar, ancora in disparte, ma ancora impegnato nella sua campagna d'amicizia.
<< Sto io qua >> gli disse << Vai pure a riposare un po'. >> sorrise cercando di essere convincente e amichevole. Oscar accettò la gentil concessione, era stato tutto il giorno lì, aveva bisogno di staccare un po'. La ringraziò e la lasciò sola con i suoi pensieri, gli addii ai fantasmi e le sue stelle.

Non seppe bene quanto tempo passò, forse solo pochi minuti, quando sentì dei passi leggeri e quasi timidi dietro di lei. Poggiata coi gomiti alla ringhiera di fronte si voltò, senza spostarsi di lì, osservando chi era andato a farle compagnia nella sua solitaria notte.
Si sorprese, ma fu felice, quando vide che era Daryl. Aveva lasciato la bambina probabilmente a Carl o Beth e l'aveva raggiunta. Si sfilò il solito pacchetto di sigarette dalla tasca, ne estrasse una, che si portò alle labbra e poi ne offrì un'altra alla sua compagna, che ben accetto. Altrettanto generoso fu nel offrire il suo accendino.
E rimasero in silenzio. Di nuovo immersi nel loro consolatorio e dolce silenzio che tutto diceva.
Hershel sbagliava quando diceva che avevano bisogno di parlare. Loro già si dicevano tutto così.
Ma una cosa andava detta a voce.
<< Mi dispiace per oggi. >> disse Ocean, riuscendo a fatica a metter da parte l'orgoglio. Poi si voltò a guardarlo << Puoi chiamarmi Alice, se ti piace. >>
Daryl ricambiò il suo sguardo e annuì semplicemente, senza aggiungere altro, prima di tornare a fissare davanti a sè. Era così pensieroso.
Il silenzio calò di nuovo, ma quella volta non fu dolce e complice, come tutti gli altri. Era strano.
Quasi...imbarazzante.
Dovreste parlare.
Lei è fragile.
Sei la persona che gli è più cara in questo momento.
Noi non stiamo insieme!
Lo so...ed è un peccato.

Non voglio più esser sola.

<< Senti, io... >> si voltò, e fino a quel momento avrebbe giurato di sapere perfettamente cosa gli stava per dire. Gli stava per dire qualcosa di importante... ne era certa! Era qualcosa che doveva essere detto. O forse una semplice frase di circostanza? Una delle loro solite?
Non lo seppe più.
Dimenticò tutto nell'istante in cui alle sue labbra fu impedito di andare oltre, bloccate e ammutolite da un disperato, quanto altrettanto incazzato, bacio.



N.D.A

Aaaaaaaaaaaaaaaaaahhhhh credevate eh!!! "Pf, questa aggiorna una volta ogni morte di Papa, chissà quando arriverà il prossimo", ahahah e invece stavolta vi ho fregati! Tiè beccatevi questo capitolo nuovo di zecca (oltre al mondo nuovo di zecca e alla ragazza nuova di zecca e...così via).
Ok, lo ammetto...ho tirato le tre per ben 3 notti pur di scriverlo >__> E l'ho riletto una volta sola (quindi confido nel mio occhio addormentato di prima mattina, pregando non mi abbia tradito o ingannato xD). Volevo postarlo u.u non ce la facevo.
Eeeee quindi niente... BAM!

Ah! Approfitto di questo angolin...one... per spiegarvi (almeno per 'sta volta :P) il titolo del capitolo u.u sono tre motivi:
1) Aurora è il nome della principessa che viene svegliata da un bacio.
2) Aurora è il nome della fase di passaggio dalla notte al giorno (e quindi rieccolo il "risveglio", il passaggio dalle tenebre alla luce ecc ecc).
E infineeeeeeeeee 3) Da wiki: "
La luce dell'aurora è di colore inizialmente lilla-lavanda, poi tende al pesca-arancio. La luminosità deriva dalla rifrazione dei raggi solari: infatti i raggi, che possiamo considerare paralleli, nell'aurora debbono attraversare strati più profondi dell'atmosfera." ...quindi...niente...durante l'Aurora si va più in profondità.
Fico è? :P
E' tutto!!
Un saluto.

Ray.

   
 
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