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Autore: IrethTulcakelume    10/02/2015    1 recensioni
“TACI! Basta! Perché ti ostini a cercare di farmi cambiare idea? Non riuscirai nel tuo intento, vai via!” Saga strinse i pugni, nel tentativo di non lanciarsi contro lo specchio e ridurlo in frantumi. Ma sapeva che non sarebbe bastato a far tacere quella parte di sé.
Il riflesso batté una mano sul pavimento con rabbia e disperazione. La voce gli uscì in un flebile sussurro, rotta dal pianto “Se non vuoi fermarti per la sopravvivenza di Atena, se non vuoi farlo per il bene degli altri Cavalieri, almeno… almeno fallo per lui.”
Genere: Angst, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Gemini Saga, Sagittarius Aiolos
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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PICCOLA PREMESSA: Questo è il primo capitolo di una storia di due soli capitoli, solo che ho preferito separarli perché li considero due
entità a loro stanti, pur essendo entrambi abbastanza corti.
Ho preferito lasciare il nome Micene e non usare Aiolos non per mancanza di rispetto verso il santo Masami (che sempre sia benetto, anche se ha disegnato un Cavaliere del Toro che mi ha fatta alquanto rabbrividire... povera me, ragazza nata sotto il segno del Toro), ma per una pura ragione affettiva: essendo cresciuta con l'edizione italiana, ho veramente a cuore questo personaggio, e non me la sono sentita di ridargli il suo nome originale. Ho invece ridato il nome originale a Saga perché, se mi permettete, nomi come "Gemini dei Gemelli", "Toro del Toro", "Aquarius dell'Acquario" mi fanno rabbrividire.
Detto ciò... vorrei dedicare questa storia a the Doctor Lion, che so essere un'accanita sostenitrice della coppia formata da Micene e Saga e che ha già letto questo primo capitolo.


 

LO SPECCHIO



Un suono di passi ruppe la quiete che si era venuta a creare in quella calda serata estiva. Le alte colonne di marmo bianco del Tredicesimo Tempio, percorse da minuscole crepe dovute ai secoli di storia che avevano visto scorrere dinanzi a loro, sarebbero state di lì a poco le uniche testimoni di una lotta che avrebbe cambiato per sempre il corso degli eventi. Il Grande Sacerdote Arles si era ritrovato spesso ad osservare quelle colonne, chiedendosi quante cose avessero dovuto vedere, di quanti eventi o azioni deplorevoli fossero state giudici e testimoni silenziosi. Forse, nessuno si era mai accorto di quanto fossero imponenti ed autorevoli, quelle bianche colonne di marmo, e quanto fossero tristi, nella loro possanza ed impotenza.
Il Grande Sacerdote camminava. Passi frettolosi, colmi di un’ansia che mai aveva provato nei suoi quindici anni di vita. Era quasi una corsa la sua, destinata a fermarsi di fronte ad un oggetto che da qualche tempo aveva iniziato a scatenare in lui un terrore cieco: uno specchio di forma ellittica, dai bordi dorati, che in quella notte rilucevano azzurrognoli, riflettendo la flebile luce dei dodici fuochi della Meridiana dello Zodiaco.
Vedendo lo specchio, Arles si bloccò di scatto, come se un muro invisibile gli avesse impedito di andare avanti, costringendolo a voltare il capo verso quell’oggetto che già rifletteva il suo profilo. Boccheggiò. Una forza invisibile prese possesso delle mani del Grande Sacerdote, che si sollevarono fino ad afferrare saldamente la pesante maschera rosso fuoco che copriva il suo viso, scoprendo una folta chioma di capelli grigio cenere e due iridi di un colore indefinito, tra l’azzurro del mare in tempesta e il verde smeraldo. Il riflesso nello specchio lo guardava triste, gli occhi velati di lacrime. Era identico a lui, tranne per i capelli di una particolare sfumatura di blu, irriproducibile perfino per il miglior pittore al mondo. Protese una mano verso Arles, che lo fissava con un’espressione quasi di paura.
“Sei ancora in tempo per fermarti.” La figura riflessa nello specchio non tentò nemmeno di nascondere il tono di supplica nella sua voce, pur tenendo ancora le lacrime intrappolate all’interno delle sue ciglia.
Il Grande Sacerdote abbassò per qualche secondo gli occhi, tentando di nascondere il terrore che si stava lentamente facendo largo dentro il suo cuore. Quando riaprì gli occhi, il suo viso era diventato una maschera d’indifferenza, e rispose con un tono basso, quasi arrendevole. “Ti sbagli, è già troppo tardi.” Voltò lievemente il capo, per non essere costretto a guardare il suo riflesso.
“Non è mai tardi per fare la cosa giusta, Saga!”
Il Grande Sacerdote trasalì. Non doveva chiamarlo in quel modo! E se qualcuno l’avesse sentito? “Taci!” gli urlò, quasi con disperazione. Quella maschera di finto disinteresse che aveva costruito era ormai andata in frantumi. No, non era vero, quella volta era già troppo tardi, non c’erano vie di scampo. Aveva preso una decisione, ed era deciso a restarvi fedele. Voltò le spalle allo specchio, continuando tuttavia a sentire lo sguardo del suo riflesso sulla schiena coperta da un candido mantello bianco.
“Aspetta, ti prego!” Le lacrime avevano ormai rotto l’argine, e il riflesso era caduto in ginocchio, forse troppo stanco di continuare a pregare qualcuno che non l’avrebbe mai ascoltato. Se stesso.
“Taci! Basta! Perché ti ostini a cercare di farmi cambiare idea? Non riuscirai nel tuo intento, vai via!” Saga strinse i pugni, nel tentativo di non lanciarsi contro lo specchio e ridurlo in frantumi. Ma sapeva che non sarebbe bastato a far tacere quella parte di sé.
Il riflesso batté una mano sul pavimento con rabbia e disperazione. La voce gli uscì in un flebile sussurro, rotta dal pianto “Se non vuoi fermarti per la sopravvivenza di Atena, se non vuoi farlo per il bene degli altri Cavalieri, almeno… almeno fallo per lui.”
Saga s’irrigidì improvvisamente, come se avesse ricevuto uno schiaffo in piena faccia. Sentiva la pelle bruciare per lo sforzo di restare calmo e di non frantumare lo specchio. Per un attimo, tutto scomparve in quella sala immersa nella penombra. “Lui… lui non è più niente per me, lo sai.” Ringhiò quasi nel dirlo. Lo disse a voce alta, per convincere il suo riflesso o forse, più probabilmente, per convincere se stesso.
Quello quasi ghignò, i capelli color del cielo notturno a coprirgli il viso. “Ma se non ci credi nemmeno tu.”
Saga si girò di scatto in un moto di rabbia, facendo turbinare la chioma argentea. “Adesso sono stanco di te! Non intrometterti più nelle mie decisioni, né tanto meno con lui. Non hai il diritto di parlarne, non sai niente.”
Il riflesso si rialzò in piedi, gli occhi ancora arrossati dal pianto. “Io posso anche non dirti più nulla, ma il fatto che tu stia sbagliando tutto non cambia. Lo stai perdendo, e se non cambierai idea, sarà davvero troppo tardi per chiedere perdono a Mic…”
“Non dirlo! Non dire il suo nome!” Urlò di nuovo. Stava perdendo il controllo, e se non si fosse sbrigato, avrebbe perso la sua occasione per portare a termine il suo compito. Corse attraverso la sala, scappando da quello specchio, dal suo riflesso, da se stesso. E mentre scappava, qualche lacrima si decise a scorrere sul suo viso, ma lui non vi badò.
Giunse ad una porta di legno. Sapeva che una volta attraversata quella porta, avrebbe finalmente potuto realizzare il suo desiderio: uccidere Atena. Le sue mani tremavano in modo incontrollato mentre le avvicinava alla maniglia d’ottone. Mancavano pochi centimetri, quando la tensione prese il sopravvento, e dovette appoggiarsi al muro accanto alla porta. Si era reso conto solo in quel momento di avere il fiatone, e di non aver ancora rimesso il suo elmo.
Ancora scosso dai tremiti, lo prese a due mani con forza e lo guardò per qualche secondo, come indeciso sul da farsi. Chiuse gli occhi, prendendo un grande respiro. Mentre lo indossava, un sussurro gli uscì furtivo dalle labbra, appena un mormorio, inudibile per chiunque non si fosse accostato al suo viso con l’orecchio. “Perdonami, Micene…
 
La Notte degli Inganni era iniziata.
  
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