Capitolo 17
La realtà di un incubo
- Seconda parte -
Massimo Girotti e Lucia Bosè
Berlino
ovest, 10 ottobre 1950
Werner
mise in moto la macchina con rabbia e paura. Era certo che Nadine non l’avrebbe
mai perdonato e sentiva ormai lontano il suo amore. “Sono un idiota! Un idiota!
Un idiota sono!” si sfogò, battendo ripetutamente i pugni sul volante. Poi mise
la testa tra le mani: sembrava quasi esplodergli mentre il nodo dei sensi di
colpa gli stringeva fortemente la gola. Tentò di calmarsi, esalando un profondo
e tremante sospiro e partì, con il cuore ferito da un enorme e incolmabile
vuoto.
Città di Fürstenberg/Havel
Kurt uscì di casa per primo, lasciandosi alle spalle una forte scia di
profumo e un incrocio di sguardi attoniti. Nadine ed Engel condividevano lo
stesso stupore nel vedere l’uomo preparato come per un appuntamento importante
e la stessa stanchezza per una notte trascorsa insonne e in lacrime. Entrambe
immaginavano la vera intenzione di Kurt. “Voglio che tu sappia che non ho
niente contro di te …” esordì Engel, spostandosi nervosamente un riccio biondo
dietro l’orecchio “… Che non ti porto nessun rancore.” Nadine la guardò e, in
quell’istante, abbandonò il proprio dolore per entrare nel dramma della donna.
Nei suoi occhi verdi, ormai spenti, vide un’anima ferita da un amore a metà.
L’uomo che aveva sposato non l’amava come lei avrebbe voluto essere amata e
questo dramma, struggente e mortificante per Engel e tante altre donne, era
cominciato anche nella sua vita. “Ravensbrück non cambierà nulla, anzi …” Nadine le prese una mano
“… farò il possibile per aiutarti.” Engel le strinse anche l’altra mano e
disse: “Grazie, Nadine. Spero di rivederti, magari in un’occasione più serena.”
Le due donne tentarono di sorridersi ma invano poiché la fortissima commozione,
che attanagliava entrambe, non diede loro questa libertà. Il risultato fu quasi
una smorfia. Qualche istante dopo, Nadine era sotto casa ed Engel alla finestra
ad osservare Kurt intento ad aprire lo sportello della macchina alla donna. Per
sua moglie, invece, era ormai da tempo che aveva smesso di farlo. Engel si
volse di scatto e, poggiando le spalle alla parete, scoppiò in un pianto
disperato per poi lasciarsi lentamente scivolare sul pavimento. Non avrebbe mai
dovuto sposarlo e si diede della stupida superba per aver pensato di poterlo
cambiare. Kurt amava ancora Nadine.
“Grazie, Kurt.”
sussurrò Nadine, accennandogli un debole sorriso. L’uomo rispose ricambiando il
sorriso ma nel suo traspariva un inopportuno entusiasmo dato che a breve
sarebbero ritornati a Ravensbrück, un campo di concentramento, “l’inferno delle
donne”, luogo d’immani torture. Il comportamento di Kurt confermò la sensazione
di Nadine che aspettava il momento giusto per intervenire e farlo ragionare e
porre fine a quella situazione per lei imbarazzante. E il momento giusto non
tardò ad arrivare. Kurt distolse lo sguardo dalla strada per rivolgerlo a
Nadine che fissava il vuoto. Era triste Nadine, triste e bella, bella come non
mai e, in un secondo di lucida follia, colse in lei indifferenza e disprezzo.
“Per quanto tempo ancora pensi di andare avanti così?” esordì, improvvisamente
nervoso. La donna sobbalzò e, quasi urlando, rispose: “Così come?!” “Negando a
me e a te stessa …” “Cosa?!” Nadine lo interruppe bruscamente e, con tono
autorevole, disse: “Ferma la macchina, per favore. Dobbiamo parlare.” Sedettero
a un tavolino all’aperto di un caffè, deserto a quell’ora del pomeriggio.
L’aria era piacevolmente fresca e un debole vento muoveva appena le foglie di
un albero lì vicino. Per qualche istante, i due si guardarono in silenzio
mentre un raggio di sole li avvolse con il suo tenue calore facendo socchiudere
gli occhi di Kurt e illuminare di riflessi rossi i capelli lunghi e ondulati di
Nadine. Le ginocchia tremavano e i cuori battevano più forte. Poi la donna
prese un bel respiro e iniziò a parlare: “Quando i nazisti ti portarono via da
me, sentii un dolore lacerante come se qualcuno mi avesse strappato il cuore
dal petto. Mi sentivo morire e volevo morire ma nella mia testa risuonavano
sempre e forti le tue parole che mi esortavano a lottare e vivere. Mi feci
forza e andai avanti perché non volevo che il tuo sacrificio fosse stato vano.
Il tuo amore mi aveva salvato. Ma un giorno iniziai a provare rabbia verso di
te e il mio amore scomparve lentamente, bruciando nell’inferno di Ravensbrück.
La vita del campo era sempre più dura, il giorno sembrava non finire mai, i
nazisti diventavano sempre più crudeli ed io ero sempre più stanca e affamata.
Mi stavano riducendo a un niente e dentro di me non c’era più spazio per l’amore.
In quell’inferno, non riuscivo più ad amarti …” Kurt la interruppe e, in
lacrime, disse: “Perdonami, Nadine.” “No, non dirlo, Kurt. Io ti ringrazio
perché il tuo amore è stato come una luce nel buio per me, come un faro nella
tempesta, è stato una speranza nella mia disperazione. Io ti ho amato tanto,
Kurt, davvero tanto. Ma poi è tutto finito come finisce un bel sogno …” la voce
di Nadine si ruppe per la commozione “… Conserverò sempre nel mio cuore un bel
ricordo del nostro amore e anche tu dovresti, se davvero mi hai amato. Ed è in
nome di quell’amore che non puoi continuare a tormentarti e far soffrire tua
moglie.” Kurt si sentì guardato dentro, toccato nelle profondità dell’anima e,
ormai arreso, confessò: “Non riuscirò mai ad amarla come ho amato te.” “Devi
scegliere di amarla …” ribatté Nadine, con tono fermo “… Lei lo ha fatto
nonostante tutto.” “Pensi che saremmo stati felici insieme, Nadine?” chiese
l’uomo, mentre grosse lacrime continuavano a bagnargli il viso. “Non lo so. So
soltanto che adesso la mia felicità è nelle mani di mio marito e negli occhi di
mio figlio.” rispose e anche lei scoppiò in lacrime.
Werner salì di corsa le
scale e bussò fortemente alla porta di Kurt, trovandosi di fronte la moglie.
Tentò di regolare il respiro, troppo affannoso per poter subito spiegarsi ma
Engel, che aveva già capito, lo anticipò e disse: “Sono andati a Ravensbrück.”
La sua voce fioca, spezzata e i suoi occhi tristi, velati di lacrime
confermarono e incrementarono la paura di Werner.
Ravensbrück, campo di
concentramento
Nadine si strinse nel
cappotto, incrociando le braccia per proteggersi da un’improvvisa ventata
d’aria fredda mentre Kurt, completamente immerso nel dolore e nell’angoscia dei
ricordi, si avvicinò di più alla rete di filo spinato. Era lì, in quel luogo –
teatro della ferocia umana –, adesso avvolto da un tetro silenzio, che aveva
perso una parte di se stesso. La donna esalò un profondo sospiro e, molto
lentamente, lo seguì. Il sole era quasi giunto al tramonto ma i suoi colori non
bastavano a coprire il grigiore del campo. Anche Nadine iniziò a ricordare e,
di colpo, il macigno delle atrocità viste e subite a Ravensbrück le piombò
rovinosamente addosso. Si aggrappò con una mano al filo
spinato e, soffocando uno straziante urlo di dolore, cadde in ginocchio sul
terreno fangoso. “Nadine!” esclamò Kurt, preoccupato mentre la donna scoppiò in
un pianto convulso e disperato, al limite di una crisi isterica. La sollevò da
dietro e, staccandole la mano che iniziava a sanguinare dalla rete di filo
spinato, la strinse a sé per calmarla. Ma proprio in quel momento arrivò Werner
che da lontano e nel buio fraintese ogni cosa. “Nadine, ti prego, calmati.”
supplicò Kurt, trattenendo atterrito le lacrime. Poi la voltò e, prendendole il
viso tra le mani, insisté: “Ti prego!” In quel gesto, Werner vide un bacio e
fece del suo incubo una realtà.
Un uomo ma chi
è?
Non dire che
assomiglia a me.
Le mani non le
ha oppure sì.
E poi cos’ha?
Io muoio, io se
lascio te son solo.
Ma insieme a te
io vedo che un fantasma c’è.
Bruno Lauzi,
Amore caro amore bello