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Autore: Altair13Sirio    12/02/2015    2 recensioni
Kate è una tredicenne ribelle e solitaria. Ha pochi amici e non va d'accordo con i suoi genitori. Una notte torna a casa dopo una festa, e durante il suo ritorno a casa succedono cose strane... E' una ragazzina coraggiosa, affronta il pericolo a testa alta, ma ha paura... Una grande paura che la opprime nei momenti peggiori.
Kate è seguita da qualcuno, o qualcosa, e sente la sua presenza e la sua influenza farsi sempre più insistenti, e non ha nessuno con cui confidarsi, nessuno a cui appoggiarsi...
Lei è piccola. E' solo una piccola ragazzina che vorrebbe essere grande, e non può nulla contro i pericoli del mondo, ma ci sarà qualcuno, o qualcosa, a proteggerla, alla quale si affezionerà particolarmente, amandolo e desiderandolo, confidandosi con egli, diventando "sua"... Il suo angelo custode.
Genere: Fluff, Horror, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Non-con, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Monster'
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Le due ragazze rimasero a chiacchierare parecchio nella caffetteria, poi pagarono le loro consumazioni e uscirono, decidendo che avrebbero fatto una passeggiata, guardando qualche vetrina dei negozi, chiacchierando spensieratamente e fermandosi davanti alla vetrina della pasticceria. Sia Kate che Jennifer, infatti, erano molto golose; ogni volta che uscivano era immancabile la sosta alla pasticceria della città. Gli bastava restare ad ammirare per alcuni minuti tutti quei dolci che ogni giorno venivano sfornati nella cucina di quel posto, ma raramente entravano a comprare qualcosa… Alcune volte si erano messe all’opera per cuocere un dolce tutto loro, di solito a casa di Kate, ma i risultati non erano mai stati molto incoraggianti…
Dopo una mattinata passata a camminare avanti e indietro per le strade e le piazze della città, a chiacchierare e a sognare tutti quei dolci che avevano visto, Kate e Jennifer si salutarono, e ognuna andò verso casa sua. Jennifer doveva fare poca strada rispetto a Kate, dato che casa sua era più centrale rispetto a quella dell’amica, mentre Kate avrebbe dovuto attraversare il corso prima di raggiungere la strada dove avrebbe trovato la sua casa, assieme alle altre dei suoi vicini…
Kate era una ragazza solitaria e nonostante stesse appena tornando da una passeggiata con la sua amica, la solitudine la prese di nuovo con sé, facendole temere la folla e i luoghi aperti. Così preferì prendere delle stradine secondarie, piuttosto che seguire la strada principale per arrivare a casa. Così avrebbe fatto prima e sarebbe rimasta rilassata.
Era qualcosa che non sapeva spiegarsi: quando era con la sua amica, Kate non aveva nessun problema a relazionarsi con la gente, a passeggiare per le strade affollate… Quando rimaneva da sola, ecco che improvvisamente si sentiva persa, ogni estraneo era una minaccia e le strade affollate diventavano delle giungle impraticabili. Sapeva che c’era qualcosa che non andava in lei, ma non poteva farci niente, se la sua natura era quella significava che avrebbe dovuto conviverci.
Le piaceva girare per i vicoli, nel silenzio. Era passato mezzogiorno, quindi la gente cominciava a tornare a casa per pranzare, ed era proprio quello che stava facendo lei. Non c’era nessuno in quelle stradine, e questo le dava ancora più sicurezza, anche se a una persona normale non sarebbe piaciuta quell’atmosfera… Una ragazzina, da sola, in una stradina poco frequentata, a un orario morto come quello si sarebbe dovuta sentire impaurita, avrebbe dovuto desiderare di arrivare a casa il più in fretta possibile, per evitare di fare qualche brutto incontro. Anche se la città dove viveva Kate era un posto piccolo, non bisognava mai ignorare i pericoli…
Ma a Kate non importava se qualcuno la stesse seguendo; aveva una lingua abbastanza tagliente da poter riuscire a scampare da qualunque situazione, anche se non era in grado di lottare contro un uomo più grande e forte di lei… Ma perché le stavano entrando in testa questi pensieri? Tornare a casa da sola non l’aveva mai preoccupata, mai! La sera precedente era tornata a casa attraversando una foresta inquietante e non aveva sentito niente. Adesso perché stava pensando a quello? Aveva malditesta… Forse la stanchezza l’aveva confusa…
Kate cominciò a guardarsi intorno, alla ricerca di qualcosa che non c’era; qualcosa che si sarebbe aspettata di vedere, ma che non sapeva riconoscere… Che diavolo le stava succedendo? Si girò di scatto, guardando una scala antincendio pensando di trovarci qualcuno sopra, poi si voltò e adocchiò una finestra chiusa; le sembrava di aver percepito un movimento dietro di essa…
La tensione stava crescendo e nella sua testa cominciarono a nascere suoni che non c’erano realmente. Sentì di nuovo quello strano suono simile a quello di un vetro che si infrange e quella dolorosa fitta alla testa, ma questa volta era diverso: il suono era più rapido e sembrava essere più forte; mentre prima sembrava che uno specchio si fosse scheggiato, adesso sembrava che lo stesso specchio si fosse distrutto in mille pezzi che però non erano caduti, e la fitta durò più a lungo della prima volta. Questa volta la fitta non scomparve come aveva fatto prima, ma si affievolì lentamente, rimanendo una presenza costante nella testa di Kate, che si mise le mani alle orecchie e chiuse gli occhi piegandosi verso il basso. La testa le faceva male e non capiva cosa le stesse succedendo, poi aprì gli occhi, incapace di restare ferma ad aspettare il nulla e vide in fondo al vicolo una figura alta e nera; era la stessa cosa che aveva visto in casa sua, ma questa volta l’immagine era più vivida: aveva fattezze umane, nonostante l’altezza fosse eccessiva, e il colore della pelle troppo pallido ricordava un manichino di quelli che si vedevano nei negozi di abbigliamento, anche perché indossava proprio un abito insolito, un completo da uomo con una cravatta rossa. Le gambe e le braccia erano molto più lunghe del normale, ma Kate non riuscì a vedere niente sul suo viso; nessun tratto somatico, niente che potesse farle riconoscere quell’essere…
Sentì una voce roca alle sue spalle. Un lampo la accecò per un istante e quando riacquisto la vista, l’essere in fondo al vicolo non c’era più. La testa le faceva ancora leggermente male, ma lasciò andare le mani e raddrizzò lentamente la schiena. Si voltò e vide un uomo vestito con abiti sporchi e vecchi che la guardava in modo strano:<< Ti sei persa, piccolina? >> Chiese con un sorriso inquietante.
Kate lo fissò impassibile. Per favore, no… Pensò annoiata. L’aveva scambiata per una bambina, sicuramente. Dal suo sguardo aveva già capito che quell’uomo voleva una preda, ma aveva scambiato lei per quello che cercava. << Senti, non è il momento adatto… >> Disse alzando una mano e strofinandosela alla fronte. << E poi non sono chi tu pensi. >> Aggiunse seccata.
Quell’uomo però non cambiava espressione. Fece un passo verso Kate, cosa che la fece sbuffare.
<< Ascoltami, sono ben oltre la fascia di età che stai cercando, quindi mi dispiace dirtelo, ma hai proprio scazzato alla grande. >> Disse seccamente mettendosi la mano al fianco e spostando il peso da una gamba all’altra. L’uomo però non sembrava ascoltare. Continuava ad avanzare mantenendo quell’espressione inquietante che lo caratterizzava. Kate cominciò a sentirsi a disagio, e cominciò a indietreggiare. Forse a quell’uomo non importava molto dell’età delle sue vittime. Forse si era cacciata in un guaio, alla fine.
<< Posso aiutarti io a ritrovare la strada di casa… >> Mormorò quello alzando le mani. Quel gesto, unito a quella frase fece tremare di terrore Kate.
<< Trovo la strada di casa da sola, grazie. >> Cercò di tagliare corto lei, ma l’uomo continuava ad avanzare e a spingerla verso un muro.
<< Io sono tuo amico, non devi avere paura. >> Disse sorridendo quell’uomo. Il suo tono sembrava suggerire sicurezza, ma il suo sguardo era spaventoso, la sua mente era già a quando avrebbe strappato i vestiti di dosso a Kate.
Perché? Pensò Kate disperata. Si accorse di non poter andare da nessuna parte quando sentì il muro dietro la sua schiena. Imprecò sottovoce, maledisse sé stessa per la sua arroganza e fissò con orrore l’uomo che si avvicinava lentamente a lei. Gli occhi fissi su di lei. Le mani puntate verso di lei. Voleva proprio lei.
Kate chiuse gli occhi e pregò che l’uomo la risparmiasse, che riacquistasse il buon senso, o che almeno non ci mettesse troppo a fare quello che voleva fare, ma ormai aveva capito che non sarebbe sfuggita alla follia di quell’uomo: il suo petto si alzava e si abbassava rapidamente, il suo cuore batteva all’impazzata, e il sudore colava dalla sua fronte. Era pallida e all’improvviso le sembrò di essere diventata più piccola. Si chiese che cosa stesse facendo l’uomo, se le fosse addosso, o se si stesse ancora avvicinando. La paura di ritrovarselo davanti era grande, ma la paura di non sapere cosa stesse facendo era ancora più grande, e Kate decise di aprire gli occhi.
Aprì prima uno e poi l’altro occhio, scoprendo così che l’uomo si era fermato. Era immobile a pochi metri da lei, e fissava con occhi terrorizzati il muro dietro di lei. Sembrava aver visto qualcosa di terribile. Kate si guardò dietro, alzò lo sguardo sopra la sua testa, cercando di capire cosa avesse visto l’uomo, ma niente attirò la sua attenzione. A un certo punto quello fece un passo indietro, seguito da un altro passo. Poi si girò e scappò urlando, lasciando allibita Kate.
La ragazza si era salvata per un pelo. Forse quel tipo era scappato da un manicomio, altrimenti non si sarebbe spiegata la sua reazione, però si cominciò a guardare intorno con circospezione, pensando che forse qualcosa di pericoloso c’era davvero in quel vicolo.
Non vide niente, ma si mise a correre, desiderando di arrivare a casa più in fretta possibile. La sua corsa non fu molto lunga, ma raggiunse casa sua con il fiatone. Infilò la mano in tasca e prese le chiavi della porta. Cercò di infilare la chiave nella toppa, ma quella le cadde. Kate imprecò di nuovo e si piegò per raccoglierla. Sentì una presenza alla sua destra quando si fu rialzata, e cercò di aprire la porta più in fretta possibile. La aprì e sarebbe entrata, se una voce non l’avesse fatta sobbalzare.
<< Kate? >> Era una voce conosciuta, quella del vicino, che era appena uscito di casa sua e la stava guardando confuso con una tazzina di caffè in mano. Kate si voltò ansimando; per un attimo aveva pensato che si trattasse di qualche essere strano, invece era solo il suo vicino, la persona più gentile del mondo. Lo fissò un po’ sollevata mentre riprendeva fiato e quello le rivolse uno sguardo interrogativo. << C’è qualcosa che non va? >> Chiese piegando la testa e inarcando un sopracciglio.
Kate scosse la testa ansimando. << No… >> Sussurrò senza voce. << No. >> Ripeté con più forza. In realtà c’era un casino nella sua testa, non aveva idea di cosa stesse succedendo, ma non aveva intenzione di riordinare le idee ora o di parlarne con qualcuno. Voleva solo chiudersi in casa sua, l’unico posto dove nessuno l’avrebbe potuta spaventare. << Va tutto bene… Solo… >>
Tucker la guardò confuso e con un mezzo sorrisetto.
<< E’ solo che ho una gran fame e vorrei mangiare al più presto. >> Disse tutto ad un fiato. Tucker annuì sospirando.
<< Quindi è per questo che correvi… Bé, non posso biasimarti. >> Disse guardandosi l’orologio. << Di solito sono io quello che pranza tardi, ma a quanto pare oggi mi hai battuto. >> Sorrise e fece per aprire la sua porta.
Kate sorrise non comprendendo cosa il vicino volesse dire. Era ancora confusa, la testa le faceva male da morire e i polmoni continuavano a chiedere aria. Aprì lentamente la porta salutandolo e si infilò in casa sua, sbattendo la porta e appoggiandocisi con la schiena.
Trasse un sospiro di sollievo dopo che ebbe chiuso a chiave e si sentì le gambe cedere. Scivolò così lungo la porta fino a cadere a terra, dove riprese fiato. Si guardò le gambe distese sul pavimento e aspettò che smettessero di tremare. In casa sua almeno era al sicuro.
Sentì una corrente d’aria fresca accarezzarle il viso. Si sentì sollevata mentre quel vento rilassante la sfiorava delicatamente. << Un momento. >> Disse all’improvviso aprendo gli occhi. Sua madre aveva aperto le finestre quella mattina. Erano rimaste aperte da allora.
Kate si rialzò di corsa e scappò in cucina, dove trovò una finestra spalancata, le tende svolazzavano ai lati. La chiuse senza perdere tempo, facendo sbattere le ante e corse nell’altra stanza. Nel soggiorno non c’erano finestre aperte, quindi passò a quella successiva. Il salone aveva due finestre alte di cui una era aperta; la ragazza scattò per chiuderla e uscì da lì salendo le scale di corsa. Nel bagno le finestre venivano lasciate quasi sempre chiuse, e nelle camere da letto la madre di Kate le apriva la mattina. La ragazza passò prima in camera dei suoi genitori; la finestra era aperta. La raggiunse rapidamente scavalcando il letto matrimoniale e chiuse le ante che conducevano al balcone. Scappò dalla stanza e corse in camera sua, per assicurarsi che anche lì le finestre fossero ben chiuse. Le tende si agitavano per il vento e sentì un suono di carta stropicciata non appena raggiunse la porta. Saltò in mezzo al disordine e si lanciò praticamente contro le ante del balcone per chiuderle. Per sua fortuna non si fece niente cadendo, e non sbatté col viso al vetro, ma fece un gran fracasso quando urtò un mobile alla sua sinistra. Kate ritirò la mano e gemette infastidita, imprecando contro quel mobile. Vide qualcosa cadere da sopra di esso e frantumarsi contro il pavimento, spargendosi per tutta la stanza. Kate ritrasse mani e piedi e sussultò lanciando un urletto acuto.
Rimase immobile ad osservare i cocci di quel qualcosa che ancora non aveva identificato. Ne approfittò per riprendere fiato; dopo la corsa fino a casa, Kate aveva avuto poco tempo per respirare, ed era scappata subito dopo per chiudere le finestre.
<< Oh, no… >> Mormorò sconfortata quando capì cosa si era rotto. Si mise in ginocchio e si abbassò per vedere da più vicino i cocci. Era una vecchia statuetta di una ballerina a cui Kate teneva molto. Era un regalo di suo nonno. Ce l’aveva da moltissimo tempo, era sempre rimasta lì con lei, e anche se sembrava essersene dimenticata, per lei quella piccola statuetta significava molto. Era l’unico ricordo di suo nonno che aveva… Nonostante tutte le fotografie e i cimeli, quelle cose per lei non significavano nulla. Le piccole cose, come quel vecchio regalo che le aveva fatto all’età di quattro anni, cariche di affetto e felicità, erano per lei i veri ricordi.
Si sentì molto triste ora che si era rotta quella vecchia statuetta. Tutto perché le era venuto un attacco di panico. Ripensò alla sua reazione mentre raccoglieva i cocci. Un attacco di panico… Si sentì stupida per aver agito in modo così impulsivo per una semplice fantasia! L’uomo che aveva incontrato doveva avere dei problemi mentali e si era sicuramente immaginato qualcosa, ma la sua paura aveva contagiato Kate, che credendo nell’esistenza di qualche pericolo era scappata terrorizzata a rinchiudersi a casa. E ora aveva rotto la sua statuetta. Si sentì proprio una stupida, si diede della idiota più volte, poi, una volta raccolti tutti i frammenti della ballerina, li ripose sul mobile. Non voleva buttarli, erano troppo importanti per lei.
Suo nonno era l’unico adulto che sembrava averle sempre voluto bene incondizionatamente; quando se n’era andato Kate aveva pianto tanto. Aveva vissuto i momenti più belli della sua vita con lui, le aveva dato quelle sensazioni che con i suoi genitori non aveva mai ricordato. Secondo lei, se fosse stato ancora in vita, sarebbe stato anche l’unico a trattarla come un’adulta, non come una bambina, come facevano tutti.
Kate si diresse verso l’uscita, scoprendo così cos’era quel rumore di carta stropicciata: il vento aveva fatto cadere tutte le pagine che aveva riposto sul comodino quella mattina e si erano sparse per tutto il pavimento. L’inquietudine e il timore di una presenza oscura in quel posto si fecero di nuovo vivi in Kate. La ragazza raccolse lentamente le pagine e le portò con sé in giro per la casa.
Ispezionò con attenzione tutte le stanze, assicurandosi che ci fosse solo lei in casa; poi andò nel salone dove di solito tenevano qualche festa, dove lei e la sua amica Jennifer avevano passato la maggior parte delle loro notti in bianco, dove si riposava quando non c’era nessuno in casa; dove c’era anche un vecchio caminetto che i suoi genitori non accendevano mai.
A Kate piaceva bruciare le cose. La affascinava vedere come gli oggetti venissero consumati lentamente dal fuoco, e ogni tanto trovava qualche pezzetto di carta da buttare, prendeva il suo accendino e gli dava fuoco, e restava lì immobile a fissare quel frammento di carta finché la fiamma non si estingueva, e della carta non restava che cenere.
Non sapeva perché volesse farlo, ma quelle pagine la avevano inquietata dal primo momento in cui le aveva viste. Prese l’accendino che teneva sempre in tasca e provò ad accenderlo. Mentre lo accendeva guardò un’altra volta le pagine. Sembravano pesare più di quanto dovessero. Le sembrò che la stessero guardando. Distolse lo sguardo e si concentrò sull’accendino, che finalmente si accese. Avvicinò la carta alla fiammella e la accese per un angolo, poi gettò i fogli nel caminetto, osservandoli mentre si consumavano e si cancellavano.
Sono solo dei pezzi di carta… Pensava mentre li guardava bruciare. Non significavano niente, come anche il senso di inquietudine che l’aveva accompagnata lungo la via per casa e la reazione di quell’uomo di fronte a… Niente. Non c’era niente in quel vicolo. Non c’era mai stato niente, né lì, né nel bosco, né in casa sua. Era solo un’invenzione della sua mente dovuta alla comparsa di quelle strane pagine.
Kate si perse nelle fiamme nel caminetto fissandole intensamente, guardando la carta che si comprimeva e si combureva lentamente… Ma in realtà non si stava consumando. La carta non stava bruciando e non sembrava nemmeno ritrarsi a causa del fuoco; era immobile. Le fiamme ricoprivano le pagine e avevano un aspetto ben vivo, ma quelle non ardevano.
Kate indietreggiò lentamente, spiazzata da quella scena. Non riusciva a credere ai suoi occhi. Corse in cucina a prendere dell’acqua. Tornò nella stanza con una bottiglia d’acqua tra le mani e la versò sulle fiamme, provocando così un gran fumo che fece tossire la ragazza e le fece lacrimare gli occhi. Quando il fumo se ne fu andato da lì, Kate scoprì con orrore che le pagine, nonostante il fuoco e l’acqua subito dopo, erano ancora lì, intatte, una sopra l’altra; si poteva leggere benissimo ogni singola lettera sopra di esse.
Presa dallo sconforto, la ragazza avvicinò timidamente una mano ai fogli di carta, temendo di bruciarsi, ma quando ebbe afferrato le pagine scoprì che non solo erano intatte, ma la loro temperatura era perfettamente normale, e la carta non era neanche umida. Sembravano le pagine di un quaderno nuovo di scuola, ancora intatte e perfettamente lisce.
Le allontanò dal viso e le fissò con terrore. << Che diavolo è questa roba? >> Disse tremando. Sperava che le stesse pagine potessero darle una risposta. Non si sarebbe sorpresa se all’improvviso avessero parlato con lei. Voleva solo sapere che diavolo stava succedendo.
Ma nessun tipo di risposta venne dalle pagine, che rimasero silenziose e misteriose, quasi come se la stessero osservando, come se volessero capire che tipo di persona fosse Kate.
Il tipo di persona che non si arrende! Fu la risposta che si diede da sola, e all’improvviso sentì un moto di rabbia salirle in corpo. Alzò la mano sinistra all’altezza della destra e cominciò a tirare e a strappare la carta. Stava funzionando! Le pagine si stavano strappando, non erano indistruttibili.
Kate non si fermò finché non ebbe reso quelle otto pagine a innumerevoli, minuscoli coriandoli. Poi li lanciò in aria, fissandoli mentre scendevano lentamente a terra. Si scoprì affaticata da quel gesto. Aveva il fiatone e il suo cuore aveva ricominciato a battere all’impazzata, forse perché sentiva di aver fatto qualcosa che non doveva fare…
Kate fissò i frammenti delle pagine caduti a terra con sguardo feroce e respirò a fondo. Annuì soddisfatta e si voltò, uscendo dalla stanza a testa alta, lasciando quella confusione lì a terra.
   
 
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