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Autore: KikiShadow93    12/02/2015    7 recensioni
Durante una tranquilla giornata di navigazione, Barbabianca e la sua famiglia trovano qualcosa di incredibile in mare: una bambina, di cui però ignorano la vera natura.
Decidono di tenerla, di crescerla in mezzo a loro, ovviamente inconsapevoli delle complicazioni che questa scelta porterà, in particolar modo per l'arrogante Fenice.
Genere: Generale, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ciurma di Barbabianca, Marco, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Un'allegra combriccola di mostri.'
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La grande alleanza cammina come se il ritmo della loro andatura sia scandito da una musica che solo loro possono udire e si avvicinano all'insenatura del promontorio con passi uguali, percorrendo uguali distanze, anche se alcuni salgono un'erta sassosa, altri marciano su un sentiero pianeggiante e altri ancora avanzano sul letto sabbioso del fiume disseccato.
Si trovano ai piedi di quell'angusta insenatura nello stesso istante, tutti ben in linea, nel momento in cui l'alba veste di una luce di perla l'immenso territorio deserto dell'altopiano.
I Comandanti di Barbabianca, trattenuti nelle retrovie, osservano silenziosi i loro movimenti: li guardano con attenzione mentre lasciano passare davanti quella che è stata definita la Punta, composta dai Windigo, seguita poi dai vampiri e dai licantropi; infine, tutti li seguono, mettendosi spalla a spalla, scudo contro scudo.
Marco, dall'alto, vede scintillare nella pianura le punte delle sarisse dell'esercito nemico, come ariste in un campo di grano. Ancora non riesce a capacitarsi di come Peter sia riuscito a portarli tutti dalla propria parte in così poco tempo, ma sa che non è il momento per lambiccarsi il cervello, così dà ordine ai grifoni di tornare indietro e prendere posizione in cima al muro di roccia che la natura ha creato nel tempo, così da poter osservare e udire ciò che si dicono gli alleati.
Li guarda con attenzione mentre prendono posizione, fieri e determinati, ascoltando distrattamente i grifoni che, seppur con uno strano accento e termini molto semplici, si spiegano dove hanno avvistato la maggior parte dei cecchini.
Alzando gli occhi, la Fenice può osservare il notevole campo di battaglia - una pianura di poco meno di due chilometri di lunghezza e meno di uno di larghezza – e le numerosissime truppe: al centro e sulla sinistra sono schierati prima i Dragoni, molti dei quali a cavallo di enormi licantropi, e pochi vampiri, riconoscibili, come gli è stato detto da Wulfric, dagli elmi con le frange blu. I loro scudi lampeggiano riflettendo la luce del Sole che si alza nel cielo percorso da grandi nubi bianche.
Sarà un vero massacro, pensa, riabbassando lo sguardo sulle truppe.
In cima, al comando del Windigo Argo, vede finalmente la famosa falange, schierata su due file, che forma un muro di lance smisurate. All'interno, l'intera forza della “fanteria” degli immortali che terminava con i suoi compagni, tutti più o meno corazzati.
Fenrir, dal basso della sua posizione, osserva per un breve istante la Fenice appollaiata assieme ai suoi sottoposti e spera con tutto il cuore che riescano nell'impresa affidatagli. Se fallissero, pure la sua avanzata con Akemi risulterebbe molto più difficoltosa.
Dopo questa breve riflessione, durante la quale gli si è aggrovigliato insopportabilmente lo stomaco, volge lo sguardo sul fratello, intento a bisticciare allegramente con la figlia. Wulfric, accanto a loro, non ci pensa neanche a separarli, troppo divertito dalle frecciatine dell'amico.
L'Imperatore, consapevole della mancanza di tempo a loro disposizione, afferra saldamente il fratello per una spalla e se lo rigira tra le mani come se fosse un pupazzo, fissando intensamente lo sguardo nel suo.
«Ricordati ciò che abbiamo pianificato, fratello» afferma duramente «Impegnateli più tempo possibile, così che noi possiamo correre al palazzo. Poi comincerete ad avanzare e toglierete di mezzo gli eventuali superstiti e quelli che erano rimasti nell'ombra. Dovrete aprire un valico a Lilith quando sarà il momento.»
«Sei ripetitivo, mio Signore» lo sfotte Wulfric, tutt'altro che spaventato, avanzando lentamente «Ricordatevi che l'esito della battaglia sarà dettato soprattutto da ciò che avverrà a breve!» urla senza neanche voltarsi, facendo sogghignare i due fratelli.
«Lo sappiamo benissimo, idiota: la falange è l'incudine e la fanteria è il martello!*»
Prima che l'antico vampiro abbia la possibilità di andare a sistemarsi in mezzo ai pirati, Fenrir lo blocca e lo serra al petto e, per un attimo, si rivide ritto nella stanza che condivideva tutta la sua famiglia immersa nella penombra mentre stringeva a sé un bambino appena nato.
«Stai attento, fratello mio. In battaglia i colpi arrivano da tutte le parti.»
«Ci starò attento...» borbotta in risposta il vampiro, alzando gli occhi al cielo. Come se io non fossi mai stato in battaglia!, pensa prima di sparire tra la folla e indossare il proprio elmo.
La Punta è immobile e silenziosa, i licantropi sbuffano e agitano la testa, stufi dell'attesa.
Freki, ansioso di affondare le zanne nelle gole nemiche, si volta indietro a osservare i suoi compagni d'armi e vede volti grondanti di sudore sotto le visiere degli elmi, occhi che fissano immobili i bagliori delle armi nemiche, membra contratte nella spasmodica attesa dell'attacco. È il momento in cui ognuno di loro guarda da vicino la morte, il momento in cui il desiderio di vivere è più forte di qualunque cosa. È l'ora di liberarli dalla morsa dell'angoscia e di gettarli all'assalto.
Týr, con i piedi ben puntati a terra, lascia vagare a sua volta lo sguardo sui compagni e si sofferma per qualche istante di più sui pirati che gli stanno vicino: sono tesi come corde di violino, i volti imperlati di sudore. Una parte di lui vorrebbe dire loro che andrà tutto bene, che ne usciranno indenni, ma sa bene quanto loro che sarebbe una bugia enorme. Tanto vale, quindi, provare a fomentarli un poco.
«Ricordate questo giorno, pirati... perché questo giorno è vostro e lo sarà per sempre.»
I vari Comandanti osservano determinati e cupi in volto il Re vampiro, il cui sguardo fa salire loro un brivido lungo la spina dorsale. Che fosse pazzo lo sapevano perfettamente, ma non gli avevano mai visto una tale espressione da esaltato furioso.
I Windigo appostati in cima, con gli enormi scudi già abbassati per difendersi, fissano con astio crescente le truppe rivali ammassate a debita distanza davanti a loro. Sono tanti, troppi, sicuramente il loro numero è addirittura salito in quel breve giorno di attesa, ma la cosa non li spaventa: sono arrivati fin qui per vincere e, per Dio!, vinceranno, costi quel che costi!
Uno dei Generali avversari, un imponente Dragone a cavallo di un lupo mannaro, si porta in cima al resto dell'esercito, puntando l'enorme e lunga spada d'acciaio ricoperto d'argento contro i nemici.
«Deponete le armi e inchinatevi di fronte al grande Imperatore Peter!» urla determinato, non rendendosi neanche conto di quanto si stia rendendo ridicolo. Lui e tutte le sue truppe, che si sono inchinate di fronte ad un soggetto chiaramente inadatto a regnare e contro la quale hanno sempre combattuto loro stessi.
«Si è già proclamato Imperatore?» i versi strozzati di Geri arrivano nitidamente sia alle orecchie del fratello, sempre al suo fianco, sia a quelle dei vari immortali che lo circondano, scatenandone le risate.
«Avventato.» gli risponde ringhiando sommessamente Freki, che freme dalla voglia di poter stringere le fauci attorno al collo nerboruto di quel lupo così misero da farsi cavalcare da un Dragone.
Il Generale, fiero sulla sua cavalcatura, guarda con profondo sdegno quei mostri così determinati a combattere, provando stupidamente pietà nei loro confronti. Se sapesse quanto lo stanno deridendo per la sua sceneggiata, li odierebbe e basta.
Certo, qualche immortale alle sue spalle avrebbe anche la mezza intenzione di dirglielo, ma non fa in tempo: una lunga picca, lanciata ad enorme velocità, si pianta con precisione nel suo cranio, sbalzandolo violentemente all'indietro ed inchiodando il suo cadavere al suolo.
Le varie truppe guardano con orrore ciò che è riuscita a fare una vampira di basso rango come Mimì, furiosa come mai era stata in vita sua.
A poco sono servite le suppliche del fratello per farla rimanere a casa per riprendersi dall'attacco subito: la sua rabbia è cieca, la sua sete di sangue smisurata, e niente al mondo avrebbe potuto convincerla a rimanere con le mani in mano, neanche le profonde ferite che segnano la sua pelle candida.
L'esercito urla con rabbia di consegnare le armi e arrendersi, come ultimo, inutile avvertimento.
«Venite a prenderle!» urla per schernirli Kakashi, alzando la propria spada per aria, venendo imitato da tutte le teste calde come lui che, ovviamente, non possono resistere ad una tale provocazione.
Tutto poi cambia in un secondo: i nemici si lanciano alla carica, decisi a travolgergli e fargli abbassare le corazze, e i Windigo stringono immediatamente gli scudi con più forza, nascondendosi maggiormente.
«FERMI!» urla Argo, lanciando una veloce occhiata ai compagni riparati dietro al suo corpo. Tengono tutti gli scudi stretti e le lance pronte, e la cosa lo riempie di orgoglio: non pensava che un giorno avrebbe avuto l'onore di combattere al fianco di creature come Killian il Titano o Wulfric il Mietitore.
«Non cedete loro niente!» urla con rabbia Arista, alzando la propria ascia «Ma prendete da loro tutto
L'orda nemica si abbatte sopra ai Windigo e i Dragoni più veloci, coloro che avevano già deciso di sacrificarsi per una “giusta causa”, si infilzano sulle lance, riuscendo talvolta a spezzarle o dando comunque il tempo ai compagni di farlo per aprirsi un varco.
Quando riescono ad impattare contro gli scudi, spinti con forza dai compagni che seguono, riescono a trascinarli all'indietro di almeno un metro e mezzo, senza però riuscire a farli cadere. Per quanto l'urto sia stato potente, non sarà mai sufficiente per tirarli giù.
«TENERE!» urla ancora Argo, nascondendosi il più possibile dietro allo scudo e lanciando una fugace occhiata ai vampiri dietro di lui che con forza lo sostengono per non farlo indietreggiare.
«SPINGERE!»
Kakashi, incrociando gli sguardi rabbiosi di un paio di rivali, non riesce a trattenersi dallo sfidarli ancora di più, dal toccare la loro rabbia con le proprie frecciatine «Non sapete fare di più?!»
Le spinte sono sempre più forti, il terreno polveroso offre poco attrito e non riesce ad evitare che i nemici guadagnino terreno. Ma l'alleanza non demorde: continuano a stringere i denti e a tenere duro, ad impedire che riescano a far breccia nella corazza di scudi.
Poi, come un fulmine a ciel sereno, il capo dei Windigo dà l'ordine tanto atteso.
«ORA!» la sua voce è come un tuono che squarcia l'aria e tutti gli alleati si bloccano sul posto, imprimendo ancora più forza per resistere. I nemici non sanno cosa hanno in mente, erano preparati a tutt'altra strategia d'attacco, e quando di colpo i primi scudi si alzano e i Windigo si spostano quel tanto che basta per far scattare i vampiri alle loro spalle, non possono far altro che essere trafitti da lance e spade d'argento e cadere a terra senza vita.
L'alleanza comincia ad avanzare, spingendo con violenza il nemico e trafiggendo tutti coloro che, per loro sfortuna, si trovano proprio in prima e seconda linea.
Dalle retrovie i Comandanti di Barbabianca hanno modo di vedere solo in parte ciò che accade, e lentamente avanzano fino al punto in cui si ritrovano a calpestare decine su decine di corpi insanguinati.
«Infliggete il colpo di grazia a tutti quelli che continuano a muoversi.» ordina con tono duro Týr, lanciando poi una veloce occhiata al fratello e alla figlia in fondo alla fila. La guardia è alta e, a giudicare dall'espressione dell'Imperatore, la rabbia è disumana.
Lilith non corre nessun pericolo, si ripete per l'ennesima volta, sorridendole debolmente e rigirandosi per fracassare il cranio di un Dragone agonizzante ai suoi piedi. Fenrir la proteggerà, andrà tutto per il meglio.
Non ci vogliono che pochi minuti, poi, per riuscire a raggiungere la cima, e i Comandanti si ritrovano di fronte ad uno spettacolo a cui mai avrebbero pensato di poter assistere: tutte le peggiori creature uscite dagli incubi più atroci si stanno dando battaglia, senza esclusione di colpi.
La zuffa si accende ad ogni secondo sempre di più, diventando sempre più violenta e quasi primitiva.
Molti soldati di entrambi gli schieramenti cadono. Da una parte e dall'altra si cerca solo il varco per trafiggere e ferire, per sfoltire con le lame la massa nemica. Gli scudi dei fanti in prima linea sono già coperti di sangue, che gronda copioso sul terreno già scivoloso e ingombro di corpi agonizzanti.
Gli uomini di Barbabianca si lanciano all’assalto, gridando e correndo con il desiderio di vendetta nel cuore, riempiendo velocemente lo spiazzo che c'era tra loro e quei maledetti mostri. Il clangore dell'impatto esplode come un tuono in tutta la valle, spinto in alto dal grido di mille e più guerrieri travolti dalla furia della mischia.
È un impatto molto più violento del precedente, e bastano pochi secondi che la dura realtà si materializzi nelle loro menti, trafiggendo i loro cuori: non sono avversari qualsiasi, sono avvantaggiati e molto più forti.
Ma poi ripensano al sorriso di Satch, alle lacrime di Mimì e alla sua disperazione; rivedono il dolore negli occhi del babbo, l'angoscia nei volti di quei piccoli gemelli pestiferi mentre partivano; rivedono i volti di tutti loro, di quei mostri dall'animo altruista che stanno rischiando la propria vita per un loro compagno, e tutte le loro paure spariscono.
Alzano le armi lanciando un potente grido di guerra e corrono urlando come un'orda di belve, cacciando dal petto ogni paura, ansiosi solo di gettarsi nella mischia, nel furore del combattimento, dimenticando tutto, anche se stessi.
C'è chi spara, riuscendo a colpire Dragoni e vampiri con una precisione ineguagliabile, chi invece sfoggia i poteri del proprio Frutto del Diavolo, come Jaws, ora in grado di afferrare alcuni licantropi a mani nude e dare il tempo a Silly di sventrarli, o Ace, che spara piccole sfere di fuoco contro qualsiasi avversario gli capiti sotto tiro. Alle sue spalle, come se fosse la sua ombra, Freya non perde neanche un suo movimento e lo copre, decisa a proteggere il figlio dell'uomo che amava.
Týr, riconoscibile dal drago rosso a due teste sullo scudo, ha combattuto in prima linea con una foga inarrestabile, colpendo di spada e di scudo, fiancheggiato dai fidati compagni, Arista e Wulfric, fino al momento in cui non ha dovuto ripiegare per andare a liberare gli zombie. Lo stesso ha fatto anche il Mietitore, correndo il più velocemente possibile dalla parte opposta.
Adesso gli innumerevoli non-morti si aggirano lentamente per il perimetro e aggrediscono qualsiasi essere umano capiti loro vicino. Verranno uccisi tutti quanti alla fine, ma per loro fortuna neanche si renderanno conto di essere stati eliminati definitivamente.
Marco, assieme ai vari grifoni, sta finalmente riuscendo nel compito assegnatogli, e lentamente sta facendo uscire allo scoperto i vari cecchini, che vengono o uccisi dalle sue fiamme e dalla sua incredibile abilità nel corpo a corpo, o vengono trascinati in cielo dalle zampe artigliate dei grifoni e poi smembrati ad alta quota.
Di tanto in tanto la paura per la sorte dei suoi compagni prende il sopravvento su di lui, e quindi lancia veloci occhiate verso il campo di battaglia. I Comandanti se la cavano egregiamente, più di quanto chiunque sperasse, e questo lo rincuora.
Ci sono due dettagli che però non gli tornano: il primo e forse più evidente è il fatto che tutti preferiscano il combattimento corpo a corpo anziché usare le armi da fuoco; il secondo, invece, è il fatto che gli immortali usino prevalentemente anche loro armi bianche anziché denti e artigli.
Nessuno, poiché troppo preso dall'imminente guerra, gli ha spiegato che lo scontro si sarebbe svolto in questo modo per motivi piuttosto elementari: con la velocità e i riflessi di cui dispongono soprattutto i vampiri sarebbe inutile provare a sparargli, ed è quindi più semplice mandare a segno il colpo con uno scontro ravvicinato. Se infatti si riesce a ferire un immortale con dell'argento, questo perderà parte della sua forza, accecato da un dolore paragonabile ad uno spiedo rovente che ti trapassa il cervello centinaia di volte.
Gli immortali, dal canto loro, preferiscono combattere con le armi che si portano dietro dal momento in cui sono stati creati. Quelle armi li hanno difesi in vita e dopo la vita, li hanno accompagnati nel loro lungo e turbolento viaggio, e di conseguenza i possessori si fidano pure di loro.
Malgrado questo, se Marco avesse fatto attenzione per un secondo di più, avrebbe visto la furia di Mimì scatenarsi senza limite alcuno nel momento esatto in cui ha conficcato l'ascia da guerra - donatale da Astrid per il suo primo compleanno – dritto nella testa di un Dragone. Avrebbe anche visto il Titano scatenare tutta la sua furia, ergendosi in mezzo a quell'ammasso di bolgia urlante con la sua immensa stazza.
Si sarebbe anche reso conto che Blamenco e Curiel stanno sparando a tutto ciò che si muove, senza riuscire quasi mai a centrare il bersaglio, fatto che li riempie di sgomento. Loro sono formidabili artiglieri, non hanno praticamente mai mancato il bersaglio così miseramente, e la cosa gli si sta ritorcendo pericolosamente contro: Curiel si sta battendo furiosamente contro un enorme lupo mannaro, e Blamenco è immerso in un combattimento corpo a corpo con un enorme Windigo, che lo sbatte come un tappetto e lo lancia a terra in un bagno di sangue e fanghiglia.
Il primo viene prontamente soccorso da Killian, che afferra con le enormi zampe l'avversario per la mandibola e gli apre senza sforzo la testa in due, mentre in soccorso di Blamenco è corsa Arista, che disarma con pochi semplici colpi l'avversario ed infine, sorridendo sorniona, affonda le lunghe zanne bianche nella pelle sporca di sudore, polvere e sangue del malcapitato, riducendolo ad un guscio vuoto senza vita.
È questo il gioco in quell'ammasso di corpi ringhianti che si battono per la vita: mettere alla prova quei folli e valorosi umani e poi intervenire subito quando si trovano in difficoltà.
L'Imperatore, in fondo, è stato categorico: devono tornare vivi!

Fenrir e Akemi, nel frattempo, corrono l'uno di fianco all'altra, senza mai voltarsi indietro. A rallentarli, come l'Imperatore aveva previsto, ci sono molti abili combattenti di Peter, schierati sistematicamente vicino al castello come difesa personale. Pur avendolo calcolato, però, non riesce a spiegarsi per quale ragione lo abbia fatto... in fondo era lui a volere questa guerra!
«È un cagasotto
Fenrir non riesce a trattenere una lieve risata dopo l'affermazione della nipote, la cui adrenalina è ormai alle stelle. Tutto quel caos, quella morte e quel sangue hanno acceso nella sua mente quel meccanismo di autodifesa che da sempre provano a farle sbloccare e controllare. Quel meccanismo così potente e devastante che adesso le permette di buttarsi in scivolata a terra e sventrare dal basso i nemici che pensano erroneamente di impedirle di raggiungere suo fratello.
Fenrir, al suo fianco, non è certo da meno: la paura che possa accadere qualcosa a qualcuno della sua famiglia accende in lui quella fiamma devastante che da sempre prova a tenere incatenata, cosa che lo aiuta incredibilmente nei movimenti.
Affonda la lancia nei loro stomaci, trapassandoli. Li respinge con lo scudo, fracassando i loro crani. Mozza loro degli arti con la spada affilata che ha ricevuto dalla moglie il giorno delle loro nozze.
Li uccide tutti quanti, senza alcuna pietà, senza mai arrestare la propria corsa.
Corrono e combattono all'unisono, spalleggiandosi e finendo un nemico appartenente all'altra come per gioco. Talvolta ridacchiano mentre lo fanno, ormai resi ubriachi dal sangue e folli dall'adrenalina che li corrode dall'interno.
«Dobbiamo fare l'ultimo sforzo e andare là!» le urla Fenrir mentre trafigge un orrendo orco dalla pelle biancastra con la spada, conficcando la lama tra le costole e facendola risalire fino alla spalla opposta, lacerando tutto ciò che vi è in mezzo.
«Hai bisogno di riprendere fiato, nonnino?» sghignazza Akemi, adesso a cavalcioni sulla schiena di un grosso Dragone che pensava, stupidamente, di poterle tagliare la testa. Per sua sfortuna, adesso è lei a decapitarlo usando il bordo dello scudo.
«Smettila di giocare e muovi il culo!» le urla contro lo zio, afferrandola per un polso e aiutandola frettolosamente a rimettersi in piedi.
Durante la corsa le ha lanciato un scudo e una spada raccattate per la via, lanciando pure qualche occhiata ricolma di orgoglio verso i grifoni che si battono come furie: un attimo prima li vede volare in alto contro il Sole abbagliante, un attimo dopo sono in caduta libera e si schiantano addosso al nemico, mentre il compagno lo afferra per la testa con gli artigli e lo tira su, così da potergli infliggere il colpo di grazia.
«E ora?!» urla Akemi, rallentando leggermente alla vista dell'ultimo ostacolo che la separa dal proprio fratello.
Il grande cancello che un tempo impediva l'accesso all'enorme palazzo adesso è piegato di lato, mangiato dalla ruggine, e in più punti calpestato dai grossi e sgraziati mostri. Sfortunatamente per i due Lothbrook, però, è stato velocemente rinforzato con picche d'argento puro che nessuno dei due sarebbe mai in grado si raggirare senza farsi seriamente male.
Notano però che alcune delle mura sono state demolite nel tempo – Fenrir neanche ricorda di averle abbattute personalmente – ed è proprio da lì che decidono di entrare. Per farlo, però, devono riuscire a passare gli ultimi ostacoli che gli si piazzano di fronte: goblin.
L'Imperatore si slancia in avanti gridando e menando gran colpi di spada, così veloce che è difficile anche per la vista estremamente sviluppata degli immortali tenergli dietro. Akemi, lasciata indietro, non vuole essere da meno, e si getta nella massa, spingendo chi le viene addosso con il piccolo ma solido scudo e rovesciando sui lati e sulle basse picche d'argento poste dietro al muro i nemici già stremati dagli stenti, dalle veglie e dalla lunga fatica di mesi e mesi di continui spostamenti e rinunce.
Non gli ci vuole che una manciata di minuti per farli fuori tutti quanti, ed entrambi ne vanno dannatamente fieri, Akemi in particolare. In fondo non è mica da tutti abbattere così velocemente un'armata di goblin, e per lei il dettaglio che suo zio Fenrir le para il culo non conta praticamente niente.
«Ce la facevo benissimo anche da sola.» sibila indispettita quando si rende finalmente conto che, malgrado si sia battuta egregiamente, quasi tutti i caduti sono ammassati attorno al grande Imperatore.
«Ne sono sicuro, ma adesso spicciamoci eh!»
L'afferra nuovamente per un braccio e se la trascina ancora dietro, con l'unica differenza che adesso sta ben attento che il corpo della nipote aderisca il più possibile al suo.
È infatti ben consapevole che stanno per entrare nel luogo scelto da Peter per svolgere la parte cruciale della guerra, e che l'avrà sicuramente riempita di ostacoli per riuscire, nella peggiore delle ipotesi, a stancarli almeno un po'.
Una volta entrati dall'insenatura che si è creata dopo poco meno di dieci minuti prima, dopo che è stata lanciata una bomba a mano, si ritrovano in un ampio salone dal soffitto a cupola, con degli affreschi sbiaditi e semi-distrutti, e la mobilia fatta a pezzi.
«Ricorda quello che ti ha detto Freki sulla nave: devi andare in profondità, seguendo solo ed esclusivamente la scia più forte del suo odore.»
Akemi annuisce e subito prova a divincolarsi dalla sua presa per poter andare verso la traccia che ha fiutato non appena hanno messo piedi nell'enorme salone, ma Fenrir la blocca immediatamente, guardandola con sguardo fermo.
«Sii prudente, hai capito?»
Akemi annuisce e gli regala quello che potrebbe anche essere il suo ultimo sorriso, per poi dileguarsi correndo velocemente verso una scalinata di roccia che porta verso il basso.
Freki le ha detto e ripetuto che le celle dove tengono i prigionieri sono situate sotto terra e che per arrivarci dovrà prendere senza indugi la scalinata che proprio adesso sta percorrendo.
Le ha detto poi di svoltare a sinistra al primo bivio per poter raggiungere velocemente le celle e di pregare tutti gli déi che le ha fatto conoscere durante la permanenza ad Helheimr affinché la strada non sia stata sbarrata in qualche modo. Le ha infatti spiegato che la sua considerevole mole una volta trasformata le impedirebbe di passare attraverso quegli stretti cunicoli e di conseguenza sarebbe costretta a tornare indietro, ritrovare la strada giusta e poi imboccare il percorso più lungo e intersecato per raggiungere il medesimo posto.
Akemi adesso sta pregando gli déi. Tutti, dal primo all'ultimo. Pure il dio Loki, tanto dispettoso e caotico. Prega pure lui, lo implora di aiutarla a trovare la via, mentre il suo cuore batte sempre più velocemente ad ogni passo. Sente l'odore del sangue di Satch diventare sempre più forte mentre scende furiosamente quei ripidi scalini di roccia, e la cosa non può far altro che mandarla nel panico.
Sente distintamente il rumore di passi pesanti alle proprie spalle, ringhi sommessi e urla agghiaccianti. Impugna d'istinto la spada e si appoggia con le spalle al muro, impegnandosi con tutta sé stessa per isolare il rumore martellante del proprio cuore e concentrarsi su ciò che le accade attorno. Probabilmente, in realtà, forse le sarebbe risultato meglio non farlo, perché adesso si è perfettamente resa conto che altri le stanno alle calcagna, gridando il suo nome. Il fatto che qualcuno stia implorando pietà o che nell'aria c'è un insopportabile odore di sangue fresco non la toccata minimamente.
Ok, non fare la bambina adesso!, si ripete mentre respira affannosamente tenendo gli occhi chiusi. Tuo fratello è da queste parti, quindi adesso muovi il culone e sbrigati a trovarlo!
La sua folle corsa ricomincia e, forse grazie all'intervento dei suoi déi o forse per una semplicissima botta di culo sfacciata, riesce a raggiungere il lungo e incredibilmente buio corridoio dove sono situate le prigioni.
Non sa dove sia però, e tutte quante ospitano una persona. Tendendo l'orecchio sente che molti di loro non sono neanche più vivi, malgrado si reggano perfettamente in piedi e tendano le mani verso di lei.
Che triste destino..., pensa rammaricata, ricominciando immediatamente la sua ricerca disperata.
Dopo qualche istante, durante la quale ha sentito distintamente un potente ululato provenire da qualche piano sopra di lei, riesce a trovare la tanto agognata cella. Freki le aveva detto che sono pressoché impossibili da aprire, ma non ha alcuna intenzione di perdersi d'animo: calcia con quanta più forza può contro quella spessa porta rinforzata, fregandosene dell'insopportabile frastuono che questo provoca e del dolore che quasi l'acceca, e finalmente, dopo l'ennesimo calcio pieno di furia, riesce a spaccare la serratura che la teneva chiusa.
Per un attimo si sente al Settimo Cielo quando la porta si apre e può finalmente entrare, ma il suo entusiasmo si spegne in pochi secondi, e un grande vuoto le riempie il cuore quando lo vede riverso a terra privo di energie.
Una lacrima ribelle le solca la guancia, scendendo lentamente fino al mento. Sa però che non c'è tempo per piangere, che ogni secondo di esitazione potrebbe essere fatale per entrambi. Si asciuga gli occhi con un rapido gesto della mano, entra nella cella e accosta la porta dietro di sé.
«Satch...»
Si butta in ginocchio al suo fianco e gli passa delicatamente una mano sulla guancia, trattenendo il respiro finché non lo vede sbattere lentamente le palpebre.
«Ehi...» borbotta il pirata, cercando di mettere a fuoco in quella maledetta oscurità. Per qualche strano caso riesce a distinguere chiaramente i contorni della sorella, a seguire i suoi lineamenti stranamente nitidi in quell'oscurità accecante.
È disorientato, stanco e dolorante. L'unica cosa che vorrebbe fare in quel momento è poggiare la testa a terra e perdere di nuovo i sensi.
«Satch riesci a muoverti?» gli comanda sbrigativa, chinandosi sopra di lui mentre continua a carezzargli la fronte bollente come una madre affettuosa.
«M-mi han-no r-r-otto...» prende fiato, annaspa, e Akemi gli porge la piccola borraccia di cui si era premunita, lasciandolo bere lunghe sorsate di acqua fresca «...le gambe.»
La ragazza lascia saettare gli occhi su le gambe abbandonate e steccate alla meno peggio, e il sangue le si gela nelle vene.
Non sa se riuscirà a portarlo fuori da quella cella, verso i suoi compagni, indenne. E come potrebbe, in realtà? Se si trasformasse sarebbe pericoloso per tutti quanti. Troppo sangue, troppo scontro: diventerebbe una locomotiva!
L'unico modo che ha per riuscire ad uscirne, alla fine, è caricarsi in spalla l'amico ferito e pregare gli déi che gliela mandino buona anche questa volta, che non le mettano troppi avversari sulla via di fuga.
Prima, però, pensa bene di dare un minimo di energia all'amico, così da non farlo essere completamente un peso morto. Si morde con forza il polso, conficcandosi i lunghi canini affilati nella carne, da cui subito comincia a sgorgare sangue scuro e denso.
«Tira giù, ti darà un po' di forza.» ordina con tono fermo, continuando a guardarsi attorno con due grandi occhi da cervo. Si sente braccata, osservata, ed è quasi del tutto certa che qualcosa, o qualcuno, la stia aspettando poco lontano da quella porta.
Non può però permettersi di avere paura, non più di quella che già prova, ed è per questo che passa velocemente un braccio attorno alla vita del pirata e se lo carica in spalla, cercando di non sentire i suoi lamenti.
«Siete v-enuti p-per me?» mormora al limite delle proprie forze Satch, tenendo il corpo abbandonato contro quello della sorella. Quando l'ha afferrato e se l'è praticamente spalmato addosso, per Satch è stato quasi uno shock, ma ha preferito – saggiamente – sorvolare sul dettaglio che è completamente nudo come un verme e aggrapparsi con tutte le proprie forze a lei.
«Eravamo passati perché Peter voleva organizzare un trattato di pace per unire le due isole, e così hanno mandato me a prenderti. Stanno preparando dei pasticcini ai lamponi proprio adesso!»
Se ne avesse la forza, sicuramente la spingerebbe lontano da sé e le farebbe battere con forza la testa contro una parete, così, tanto per rimettere in chiaro chi comanda. Considerata la sgradevole situazione in cui si trova, però, si vede costretto a sbuffare e aspettare di essere condotto fuori.
Sul loro tragitto si ammassano sempre più corpi sanguinolenti, smembrati e fatti a pezzi. Alcuni di loro non sono più riconoscibili tanto è lo scempio.
«Sei stata tu?» le domanda a corto di fiato il Comandante che, contro ogni logica, si sente sempre più pieno di vita non appena si avvicina all'uscita.
«No.»
Avrebbe voluto, in realtà, ma non ha avuto il tempo materiale per sfondare ogni porta e trascinare i codardi che vi si erano nascosti in mezzo al corridoio per poi smembrarli. A dirla tutto, non sarebbe neanche stata capace di fare una cosa del genere, di ridurli ad un tale misero stato, ma sa bene chi, invece, ne è pienamente capace.

Rimane ben nascosto dietro ad un muro, immobile, senza respirare, aspettando. Il momento più propizio arriva dopo pochi istanti e, fulmineo come solo lui sa essere, allunga un braccio e conficca il pugnale in pieno petto all'avversario, per poi sgusciare alle sue spalle e recidendogli in profondità la gola con i lunghi artigli.
Lo osserva distrattamente mentre si accascia al suolo, con il sangue che veloce sgorga, per poi rigirarsi veloce e correre verso una delle torri.
Il percorso gli sembra tutto dannatamente uguale e si domanda, più di una volta, come se la stia cavando la nipote. Certo, l'odore del sangue di Satch lo ha sentito distintamente pure lui non appena hanno varcato la soglia, ma la ragazza non ha certo la sua esperienza sulle spalle né un olfatto tanto fine.
A dirla tutta, in un primo momento l'aveva seguita per facilitarle la fuga, sterminando senza sforzo tutti i poveri idioti che pensavano di poter attaccare uno della sua stirpe, ma è velocemente tornato sui suoi passi, e adesso si ritrova a correre con passo pesante per quei cunicoli.
L'odore di Peter è stato disseminato ovunque, reso più forte in determinati punti in cui il mannaro ha sfiorato le pareti con una goccia del proprio sangue, ma questo non lo confonde più di tanto: sa benissimo che Peter, da primadonna come è sempre stato, vorrà battersi in un luogo in cui potrà essere visto da tutti, e la decisione cade inevitabilmente sullo spiazzo in cima alla torre a sud, quella più alta e spaziosa.
Il problema per Fenrir sta nell'imboccare la strada giusta, cosa che, infine, riesce a fare, quando sente il fastidioso gracchiare di qualche goblin che, ignaro di essere ascoltato, esplicita che il loro Signore si trova poco sopra di loro e che devono fare piano per non essere colti con le mani nel sacco.
Ti sei circondato di idioti, pensa schioccando la lingua ed imboccando l'entrata a sinistra, salendo con passo leggero la stretta scalinata che lo condurrà verso una delle entrate per quella maledetta torre.
Credimi, Peter: te ne farò pentire.

«A-aspetta.» ansima dolorante Satch, come se avesse un macigno sui polmoni che gli opprime le vie respiratorie.
Akemi rallenta appena, senza però fermarsi. Devo assolutamente portarlo fuori da quei maledetti cunicoli polverosi e issarlo sulla groppa di un grifone in modo che venga subito trasportato all'isola, o per lui sarà la fine.
Il sangue che gli ha somministrato, infatti, non è sufficiente a guarirlo, e una dose maggiore gli fermerebbe il cuore. Pure il grande Barbabianca ha dovuto diminuire le dosi a causa del suo cuore malato, che miracolosamente è riuscito a reggere fino all'intervento di Wulfirc.
«N-on res-piro...»
Vorrebbe dirgli di tenere la bocca chiusa e risparmiare le energie, ma si trattiene. Prima di tutto perché non le pare il caso di infierire considerato quello che deve aver passato in quelle ore, secondo poi perché qualcosa è proprio dietro di loro.
Rischia il tutto per tutto, Akemi, lasciandosi scivolare Satch dalle braccia e brandendo la grossa spada con entrambe le mani, così da poter bloccare l'attacco della donna che la stava braccando.
Si muovono veloci, quasi danzando su un ritmo assente, incassando i colpi l'una dell'altra e bloccando i fendenti che provano a dilaniare.
Uno scontro alla pari, due assassine che bramano il sangue l'una dell'altra.
La fortuna, però, pare non voler più sorridere alla giovane Lothbrook, che per un breve istante perde la concentrazione quando Satch tossisce del sangue nero, a suo parere lo stesso che gli aveva fatto bere poco prima.
Si distrae a guardarlo, vorrebbe correre da lui, e la donna ne approfitta subito brandendo la spada e colpendola.
Akemi ha provato a rigirarsi, a bloccare la lama con la propria, ma è riuscita solamente a deviare di poco il colpo, facendo affondare la sua terribile lama d'argento nella propria gamba.
Sente la carne bruciare, il dolore annebbiarle la vista. Lancia un urlo a pieni polmoni e sferra un cazzotto alla cieca per allontanarla, senza però riuscire nel proprio intento.
Quando poi la donna l'afferra per i capelli e la strattona all'indietro, pronta ad affondare le zanne nella sua gola e portare la sua testa in dono al proprio Signore, Akemi reagisce, usando le tecniche base insegnatole da Freki: l'afferra a sua volta per i capelli e le molla un montante nelle coste, facendola annaspare e gemere di dolore; incrocia le dita dietro la sua nuca per poterla trattenere e subito comincia a tirarle forti ginocchiate nella bocca dello stomaco, fino a che l'altra non molla la presa.
Quando l'avversaria si inginocchia a terra, annaspando in cerca d'aria, Akemi raccoglie a fatica la propria spada e la alza, pronta a darle il colpo di grazia.
Ma l'avversaria non ha alcuna intenzione di lasciarsi sopraffare così, di lasciarsi uccidere da una ragazzetta, e come una molla torna in piedi, scaraventandosi con tutto il peso contro la ragazza. Sguscia subito di lato, prima che Akemi abbia il tempo di contrattaccare, e in un batter d'occhio la sua pelle si strappa ed emerge la bestia che vive dentro di lei, forte e selvaggia.
Satch, steso a terra, non ci pensa neanche a strisciare sotto ad un tavolo per ripararsi e rimane immobile al suo posto, a guardarle fronteggiarsi. Non capisce perché Akemi non assuma a sua volta la sua forma demoniaca, inconsapevole che la ferita causata dalla lama d'argento le impedisce di mutare correttamente. Rischierebbe di compromettere la gamba in modo irreparabile.
Sentendosi come una sciocca donzella in difficoltà, il Comandante si trascina su quel pavimento lercio e zeppo di pezzetti di vetro, metallo arrugginito e pietra, fino a raggiungere i lembi di carne insanguinata disseminanti dalla licantropa e, con quelli, le sue armi.
Nessuna delle due guerriere si è resa conto del suo movimento, dei suoi lamenti soffocati, ma la grossa lupa se ne accorge a proprie spese non appena arretra di qualche passo, portando l'enorme zampa a portata del pirata che, con l'ultimo briciolo di forze rimaste, impugna il pugnale con la lama d'argento e le trafigge l'arto.
La bestia ulula tutto il proprio dolore, incapace di spostare la zampa ferita e bloccata nel pavimento. Prova a rigirarsi per staccargli la testa con un morso, ma così lascia campo libero ad Akemi.
Accecata dalla rabbia e dalla paura di perdere il fratello, la giovane Lothbrook impugna la spada a due mani e lancia il suo ultimo, micidiale attacco.
La bestia si immobilizza senza emettere un solo verso, gli occhi spalancati per la sorpresa. Poi si accascia a terra, la lama ancora conficcata in profondità che le apre quasi in due la testa.
«C-osa faresti s-senza di me...?» ansima Satch, completamente sdraiato a terra ad occhi chiusi. Ha superato i propri limiti, spingendosi pericolosamente verso il punto di non ritorno.
Akemi non si perde in chiacchiere e, per ringraziarlo dell'intervento decisivo, estrae il pugnale dalla zampa della defunta avversaria e la scuoia sulla schiena, così da poter coprire le nudità dell'amico alla meglio ed evitargli quel forte imbarazzo che quasi lo immobilizzava poco prima.
«Andiamo dal babbo!» ringhia a denti stretti mentre se lo carica in spalla, percorrendo quei maledetti ultimi metri che la separano dai grifoni.
In cuor suo spera che non siano troppo in difficoltà, che corrano subito da lei e lo portino via, ma non appena i suoi occhi si abituano alla luce accecante del Sole, si accorge che le sue speranze sono state vane: tutti combattono con ferocia, molti cadono in picchiata, esanimi.
«Merda!»
Stringe la presa sul corpo del compagno e corre più veloce che può, ignorando il dolore alla gamba ferita, ignorando il sangue che cola sempre di più e l'infezione che velocemente si espande.
Ma neanche la sua determinazione può niente contro le astuzie dei Dragoni, che hanno preparato qualcosa di nuovo per i loro avversari: bombe a mano con frammenti di vibranio ricoperto d'argento. Non è tanto per l'ordigno esplosivo in sé che l'arma è tanto pericolosa, quanto per i frammenti che vengono lanciati ad enorme velocità, rompendo e penetrando tutto ciò che si trova sulla loro traiettoria.
Una di queste bombe esplode a tre metri scarsi di distanza dai due, e Akemi ha giusto il riflesso di spingere il più lontano possibile Satch, rimanendo però personalmente coinvolta.
Il pirata annaspa per terra e prova a rialzarsi, riuscendo però solo a voltare la testa.
Il sangue gli si gela nelle vene, il cuore stanco sussulta nel petto: un frammento ha spaccato la debole corazza sul petto della sorella e si è conficcato in profondità tra le sue costole.
Urla Akemi. Urla con tutto il fiato che ha nei polmoni, incapace di estrarre la scheggia ed evitare così che l'argento le comprometta gli organi interni.
In alto, stagliato davanti al Sole per non essere visto, Marco assiste sconvolto.

Due guerrieri goblin, rimasti a guardia della torre prescelta dal loro Sovrano, saccheggiano indisturbati le stanze lasciate incustodite dai Dragoni, pronti a darsela a gambe non appena si presenterà l'occasione.
A un tratto, nella luce ormai debole e incerta di una fiaccola, uno di loro nota abbandonato sul pavimento polveroso un braccialetto d’oro a forma di serpente e si avvicina velocemente, mentre il suo amico gli volta le spalle, con l’intenzione di prenderlo solo per sé. Ma quando si china per afferrarlo, un pugnale guizza come un lampo da dietro ad una parete e gli taglia la gola da un orecchio all’altro. Il goblin si accascia senza un gemito e un paio di forti mani artigliate lo trascinano via velocemente.
Il suo compagno, intento a mettersi nelle tasche quante più monete d'oro può, quando esce dalla stanza in cui stava frugando, si trova solo in mezzo a quel lungo cunicolo oscuro e comincia a chiamare l’amico, pensando che si sia nascosto per fargli uno scherzo di pessimo gusto.
«Su, vieni fuori, non fare lo stupido e aiutami piuttosto, che questa roba-» non fa in tempo a finire la frase: la stessa arma che aveva sgozzato l’altro gli si conficca tra le clavicole alla base del collo, affondando fino all’elsa. Il goblin crolla sulle ginocchia portando le mani al manico del pugnale, ma non ha la forza di estrarlo e cade in avanti con la faccia a terra.
Fenrir lo guarda con una miscela di disprezzo e pena nello sguardo, voltandosi di scatto quando sente un flebile rumore di passi provenire dal piano superiore. Dubita fortemente che Peter ne abbia piazzati altri, ed è per questo che si mette a correre su per le scale scivolose, raggiungendo il più in fretta possibile la sommità della torre che si apre su un'ampia terrazza.
Luogo perfetto per un duello, pensa guardandosi attorno con attenzione, non riuscendo a scorgere neanche l'ombra del figlio. In compenso, però, nota la battaglia che infuria in lontananza, e sente chiaramente l'odore del sangue che si mescola al terreno arido. Sente le loro grida, e non riesce ad evitare di desiderare, più di ogni altra cosa, di correre in loro soccorso e dare manforte.
Abbassando lo sguardo si accorge di un dettaglio che davvero non avrebbe voluto vedere: Lilith, la piccola e indifesa Lilith, annaspa in cerca di un'arma di fortuna, strisciando nella polvere con un pezzo d'argento ben conficcato nelle costole. Una lupa nera, grossa ed evidentemente affamata, la punta.
Tu non avrai mia nipote, puttana!, pensa oltremodo furioso, tirando fuori l'ultima arma che avrebbe pensato di usare.
Porta una mano dietro al corpo, dove ha nascosto sotto la veste una SeW 460 lucidata a specchio.
Lui, per natura, è sempre stato contro l'uso delle armi da fuoco. Le considera, per quanto ciò possa suonare inappropriato, barbare.
Calcola ogni cosa velocemente e non appena il momento è a suo favore, riapre l'occhio e preme il grilletto, gioendo interiormente quando vede quella bestia accasciarsi al suolo a pochi metri dalla ragazza.
La guarda ghignando mentre si contorce su sé stessa invocando aiuto, e quasi gli verrebbe da urlarle che sono dei coglioni, che li hanno sottovalutati e che i Dragoni non sono gli unici ad usare pallottole d'argento. Ma si trattiene. Si trattiene perché è un Signore, sennò le urlerebbe anche di peggio, probabilmente.
Si sente carico, adesso. Sente che potrebbe andare di corsa ad Ásgarðr, la dimora degli déi, e tornare ancora pieno di energia. Ma, purtroppo, il suo entusiasmo ha vita breve.
«Bel colpo.»
Si volta di scatto e, dopo secoli di lontananza, eccolo di nuovo lì: capelli neri come la morte, occhi privi di vita, pelle bianca come la neve, corpo scolpito nel marmo, e il ciondolo tribale che lui stesso gli regalò dopo il suo primo anno da immortale in bella vista sul torace.
«Peter.»



*In realtà sarebbe la cavalleria e non la fanteria, ma nel testo il termine cavalleria (perdonate la ripetizione) sarebbe risultato sbagliato perché, come è ovvio, nessuno di loro è a cavallo. È vero che più che altro della cavallerie facevano parte i nobili e nella fanteria quelli che prima, nella peggiore delle ipotesi, erano contadini, ma vaffanculo eh!


Angolo dell'autrice:
Buonsalve popolo di EFP!
Dopo una lunga attesa – ormai di routine –, eccomi di nuovo qui con un nuovo capitolo!
Ammetto di aver riscontrato non poche difficoltà dal momento che non avevo mai scritto scene di guerra, ma tutto sommato posso dirmi quasi soddisfatta del risultato.
I dettagli (soprattutto all'inizio) non sono stati scritti troppo nel dettaglio volutamente, poiché volevo dare un po' di dinamicità alla scena. Spero di essere riuscita nel mio intento!
Che altro dire? La strategia di battaglia e lo scontro in sé sono frutto di “studi” sulle usanze spartane e macedoni, che io amo profondamente – assieme ai vichinghi. So bene che stona abbastanza con il mondo di OP, ma mi piaceva davvero troppo e non ho saputo resistere! Spero che anche a voi sia piaciuto :3
Poi, beh... non volevamo che la nostra protagonista si trovasse in seria difficoltà? Certo che sì! Infatti ben due persone hanno dovuto salvarle la pelle! Che donna inutile! (?)
Nel prossimo capitolo scorrerà il sangue. Tanto sangue. Un po' di tutti, aggiungerei!
Ma, come detto in risposta di una recensione, il destino di ogni personaggio (anche di quelli che appariranno nel sequel) è già prestabilito e praticamente niente può farmi cambiare idea. Vi dico che ammazzando Dellinger (e quindi andando in culo ai piani di Oda-sensei) sono riuscita ad escogitare un particolare molto rilevante proprio per il sequel! (Perché dirlo? Semplice: per ribadire che ogni morte è già studiata e perché sono scema!)

Ci tengo a ringraziare Chie_Haruka, Aliaaara, Monkey_D_Alyce, Okami D Anima, Yellow Canadair, LevyChan98 e KING KURAMA per le recensioni che mi hanno lasciato nello scorso capitolo. Non potete neanche immaginare quanto mi abbiate resa felice! *w* Questa storia non andrebbe avanti senza il vostro appoggio, giuro!

A presto, un bacione
Kiki~

  
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