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Autore: fanny_rimes    13/02/2015    7 recensioni
Damon Salvatore, affascinante seduttore, fa strage di cuori — e di vittime — sullo sfondo di una Chicago proibizionista. Ma stavolta ha giocato con i sentimenti della donna sbagliata: una strega che lo condannerà a 100 anni di prigionia insieme ad un'Originale compagnia, a meno che il suo gelido cuore non impari ad amare.
Chicago, giorni nostri:
Per sfuggire ad un temporale estivo e ad un autostoppista molesto, Elena si ritrova davanti a quella che, dall'esterno, appare come una vecchia dimora abbandonata e distrutta dal tempo...
L'amore vero può davvero sciogliere un cuore di ghiaccio?
Dal testo:
Elena emise un gemito sommesso. «Vi prego, lasciatemi andare.»
Damon la guardò per un istante, allungando una mano per sfiorarle il viso in una leggera carezza da cui lei si ritrasse con un brivido. «Mi spiace, Elena, ma credo proprio che per un po' resterai con noi.»
Ispirato ai film "Beauty and the Beast" e "Beastly" e un tantino al classico Disney.
|AU| AR|
[Scritta per il contest a Turni "Qui comandano i Pacchetti", di DonnieTZ]
Genere: Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Damon, Salvatore, Elena, Gilbert, Elijah, Klaus, Mikael, Rebekah, Mikaelson | Coppie: Damon/Elena
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Pacchetto scelto: Strada
- Genere o sottogenere: soprannaturale o thriller o introspettivo 
- Azione: nascondersi
- Oggetto: macchina
- Immagine:http://s681.photobucket.com/user/Jens_wall/media/Rain/dark_and_foggy_streetjpg.jpg.html
- Citazione: “l’oscurità è un ottimo posto in cui nascondersi”






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Incontro




Chicago, 1930
Damon stava sorseggiando tranquillamente il suo Bourbon, quando qualcosa attirò la sua attenzione: qualcosa con lunghi capelli bruni elegantemente raccolti sulla nuca scoperta, un viso piccolo dalla pelle olivastra e occhi coloro cioccolato che ammiccarono con malizia nella sua direzione, convincendolo ad abbandonare il suo whisky per avvicinarsi al piccolo tavolino in ferro a cui la ragazza era seduta.
Indossava un abito bianco che lasciava molto poco all'immaginazione e con la punta delle dita — fasciate da lunghi guanti candidi — giocherellava distrattamente con le perle che portava al collo.
«Una donna come te non dovrebbe starsene qui tutta sola» disse, non appena le fu abbastanza vicino da far sì che la sua voce fosse udibile al di 
sopra delle note del sax che riempivano la stanza.
«E immagino che tu stia per mettere fine a questa mancanza» rispose, accavallando le gambe con fare disinvolto e mostrando con fin troppa audacia che la lunghezza della sua gonna era poco consona alle leggi in vigore in città. Dopotutto, il solo fatto che si trovasse in quel club clandestino stava a dimostrare la sua scarsa attitudine a rispettare le regole.
Un cameriere passò loro accanto reggendo un vassoio e Damon afferrò due calici di champagne prima di accomodarsi accanto a lei.
«Mi sembra solo assurdo che una donna così bella non abbia un'orda di uomini al seguito.»
La giovane piegò le labbra in un sorriso seducente, poi prese un sorso dal bicchiere. «Forse stavo solo aspettando l'uomo giusto a farmi compagnia, signor...»
«Salvatore. Damon Salvatore.»
La donna si portò di nuovo il bicchiere alle labbra.
«Posso sapere anch'io il tuo nome?»
«Mi chiamo Katherine.»


«Sono lì dentro da ore.» Rebekah azionò il grammofono, tentando di coprire il coro di gemiti e cigolii provenienti dal piano di sopra.
«Gelosa?» commentò suo fratello, senza preoccuparsi di nascondere il divertimento nella sua voce.
«Non essere villano, Niklaus» s'intromise il maggiore. «Nostra sorella ha ragione.» Si alzò dal divano, lisciando una piega invisibile sul suo abito dal taglio perfetto. «È ora che quella ragazza lasci questa casa, non possiamo permetterci di attirare troppa attenzione, e Damon si sta lasciando dietro una scia di cadaveri che potrebbe destare sospetti. Inoltre, non sono d'accordo sul fatto che porti in casa nostra le sue donne.»
Rebekah lanciò un'occhiata di riconoscimento ad Elijah e un'altra carica di disprezzo all'altro fratello, che proruppe in una sonora risata. «Oh, andiamo. A quanto pare il proibizionismo vi ha resi più moralisti di quel che ricordavo.» Si avvicinò al mobile bar su un lato della stanza per versarsi da bere. «Dopotutto, Damon è un amico. E le persone dovrebbero essere contente quando i loro amici si divertono.»
In quel momento, un tonfo sordo, seguito da un fracasso assordante, si udì dal piano di sopra.
Nessuno dei tre ebbe il tempo di fare un solo passo, che scorsero la figura di Damon rotolare dalle scale e fermarsi gemente al centro della stanza.
«Tu, insignificante vampiro, volevi usare la compulsione per sbarazzarti di me.» La donna in cima alle scale aveva gli occhi iniettati di sangue: i capelli scuri fluttuavano nell'aria come scompigliati da un vento invisibile.
Rebekah scorse con disgusto i chiari segni rossi lasciati dai denti del vampiro sul suo petto, sul collo e sui polsi e si costrinse a non immaginare su quale altra parte del corpo lui l'avesse morsa.
«In realtà, la mia idea iniziale prevedeva di dissanguarti a morte, ma Elijah non è d'accordo con l'idea di disseminare cadaveri per la casa» fu la risposta beffarda del bruno, che tentò di alzarsi dal pavimento con uno scatto.
La donna sollevò appena una mano e una nuova forza lo immobilizzò a terra.
«Qualcuno vuole darmi una mano?» imprecò tra i denti.
«Hai portato una strega a casa nostra e ora chiedi il nostro aiuto? Be', credo che tu te la sia cercata.» La voce di Rebekah si alzò di qualche tono, mentre faceva ripartire il grammofono con la chiara intenzione di non intervenire.
«Mi spiace, Barbie, non avevo idea che fosse una strega, altrimenti l'avrei mollata con più gentilezza» replicò piccato.
La rabbia della strega esplose in tutta la sua furia, sollevando una violenta raffica che distrusse gran parte dell'arredamento.
«Brutta stronza» gridò la vampira, muovendosi per attaccare mentre il suo prezioso disco finiva in mille pezzi, ma venne sbalzata all'indietro, sbattendo violentemente contro la parete alle sue spalle.
«Bene, bene, bene» disse la donna, avvicinandosi di qualche passo al vampiro. «Mi conquisti col tuo fascino da cattivo ragazzo, poi mi porti qui e, dopo esserti divertito tutta la notte, cerchi di scaricarmi usando la compulsione.»
Damon fece una smorfia tentando nuovamente di rimettersi in piedi, ma senza successo. «Innanzitutto, credo tu ti sia divertita tanto quanto me» rispose con un ghigno. «Inoltre, la compulsione avrebbe funzionato benissimo se tu non fossi stata una strega.» Damon emise un verso seccato.
«Dal momento che non sembri affatto pentito della cosa, ho deciso che meriti una punizione.»
«Io credo che tu abbia già fatto abbastanza» s'intromise Klaus, guardando furioso il corpo della sorella accasciato contro la parete.
La strega non si scompose. Gettò un'occhiata di disprezzo ai due originali e riprese a parlare: «Non vi consiglio di intervenire.»
«Spiacente, strega» commentò l'ibrido. «Ma non credo di aver bisogno dei tuoi consigli.» Scattò verso la donna, ma un violento dolore alla testa lo costrinse ad accasciarsi al suolo. Si strinse la testa tra le mani, urlando, mentre la vista si annebbiava e le forze venivano meno.
«Io non ci proverei» aggiunse la strega rivolta all'altro fratello che si era appena mosso verso di lei, prima di tornare a voltarsi verso Damon.
«Tu credi che le donne abbiano come unico scopo quello di soddisfarti, pensi di essere irresistibile e di avere il diritto di trattarci esclusivamente come fonte di cibo e di piacere.» Fece una pausa, arricciando le labbra come se stesse rincorrendo un pensiero e, subito dopo, sorrise compiaciuta. «Ed è per questo che la tua maledizione riguarderà proprio una donna. Il tuo cuore arido è ciò che ti ha condotto a questa situazione ed è per questo che, per rompere l'incantesimo, il tuo cuore dovrà imparare ad amare.»
Damon emise un verso derisorio. «Amare? Sul serio?»
«Oh, credimi, quella sarà la parte meno difficile. Per spezzare l'incantesimo, dovrai anche fare in modo che la ragazza di cui ti innamorerai, si innamori a sua volta di te.»
«Be', spero che la tua maledizione abbia una scadenza a lungo termine» commentò l'altro.
La figura della strega fu avvolta da una nuova folata di vento e, quando parlò, la sua voce risuonò distorta alle loro orecchie. «Ti concedo cento anni per trovare qualcuno che ti ami, prima che l'albero lasci cadere i suoi fiori.» Sul lucido pavimento di legno comparve la sagoma di un'enorme e rigogliosa quercia. «Quando tutti i fiori saranno caduti, il tuo tempo scadrà. Non potrai lasciare questa casa, finché le parole "ti amo" non ti libereranno dall'incantesimo.»
«Be', amico, spero per te che tu sappia sfruttare alla svelta il tuo fascino» commentò l'ibrido. «Perché non passerò qui i prossimi cento anni.»
Ma la strega non aveva ancora terminato. «Nessuno di voi potrà uscire di qui» aggiunse. «Avrete una quantità di sangue sufficiente a sopravvivere per i prossimi cento anni. Trascorso questo lasso di tempo... be', sapete cosa succede ad un vampiro che smette di nutrirsi, vero?» commentò con un sorrisetto malvagio che le deformò i tratti del volto.
Stavolta fu Elijah a scattare verso la donna, ma non appena la sua mano la sfiorò, un turbine di vento scaturì dalle sue mani, scaraventandolo dall'altra parte della stanza.
«Anzi» proseguì la donna. «Voglio rendere le cose ancora più divertenti.» Il tono della sua voce cambiò ancora. «Umani, vampiri, licantropi o streghe non riusciranno a vedere questa casa. Sarete invisibili agli occhi delle altre creature.»
Stavolta una nota di panico si avvertì nella voce di Damon. «Tu sei pazza. Come faremo a spezzare l'incantesimo, allora?»
«Credo che la cosa non mi riguardi» fu l'arida risposta della strega, prima che sparisse nel nulla. Elijah corse alla porta, che rimase sigillata, poi provò con le finestre. Niklaus si scagliò contro la parete di cemento, tentando di abbatterla, ma non riuscì nemmeno a scalfirla.
Assalito dalla rabbia, si lanciò contro Damon, ancora disteso sul pavimento. «Dammi una sola ragione per cui non debba ucciderti all'istante» ringhiò, stringendogli le mani alla gola.
«Perché sono l'unico che può farvi uscire di qui» sussurrò l'altro in un gemito.
«Hai sentito quella maledetta strega, è impossibile sciogliere l'incantesimo.»
Fu Elijah a rispondere: «Ogni incantesimo ha un punto debole, fratello, dovresti saperlo. Dobbiamo solo scoprire quale sia e uscire di qui.»


Chigago, 2015

Elena tentò per l'ennesima volta di mettere in moto la sua auto, ma tutto ciò che ottenne fu un sommesso gorgoglio.
«Dannazione!» imprecò, sbattendo un pugno contro il cruscotto e afferrando il telefono che aveva lanciato sul sedile accanto un attimo prima. La batteria era andata.
Con un sospiro di frustrazione, gettò un'occhiata sconsolata fuori dal finestrino. Aveva iniziato a piovere, e una leggera nebbiolina si stava addensando lungo i margini della strada deserta che si allungava di fronte a lei.
Auto in panne, telefono fuori uso e un inquietante temporale estivo in arrivo: quanti film dell'orrore aveva visto che iniziavano proprio allo stesso modo?
Un brivido le corse lungo la schiena. «Coraggio, Elena. Va tutto bene» disse tra sé e sé, spalancando lo sportello e tirandosi il cappuccio della felpa sulla testa. «Sono cose che succedono quando si decide di fare un giro in macchina nel bel mezzo del nulla in piena notte. Si spostò sul ciglio della strada, incamminandosi alla luce tenue dei lampioni nella speranza che qualche altro insano di mente avesse la sua stessa pessima idea di passare per quel posto deserto, o di riuscire a trovare un'area di rifornimento.
Aveva percorso appena un chilometro, quando l'inconfondibile rumore di un motore la distolse dai suoi pensieri tetri.
Si voltò di scatto verso i fari luminosi che si avvicinavano, sporgendo il pollice. L'autista parve ignorarla, ma a un tratto inchiodò di colpo, fermandosi a qualche metro da lei con uno stridio di freni.
Elena si lasciò andare ad un sospiro di sollievo. Aveva i vestiti ormai zuppi e i capelli bagnati le si erano appiccicati fastidiosamente al viso.
«La ringrazio, la mia auto si è fermata un po' più indietro e il mio telefono non funz-»
Non appena l'uomo all'interno dell'auto abbassò il finestrino, Elena venne investita da un odore acre di alcol e tabacco. Un sorrisetto lascivo gli deformava il volto paonazzo. «Ehi, splendore, vuoi compagnia?» Il tizio si sporse un po' in avanti, tentando di afferrarle la mano posata sullo sportello.
«Sono solo... ho solo bisogno di un telefono, la prego.» Un passaggio era decisamente fuori discussione. Non avrebbe messo piede in quell'auto nemmeno morta.
«E perché dovrei darti il mio telefono?» L'uomo pareva decisamente confuso.
Lei si sposto una ciocca umida dal viso e tentò di apparire tranquilla. «Ho bisogno di chiamare un carro attrezzi. Se lei fosse così gentile da prestarmi il suo cellulare solo un secondo...»
Non riuscì a terminare la frase, perché il tizio aveva spalancato lo sportello e adesso si trascinava goffamente fuori dalla macchina. «Ho un'idea: io sarà gentile con te, se tu sarai gentile con me per i prossimi dieci minuti. Che te ne pare?»
Elena rimase impietrita, mentre l'uomo si avvicinava. Senza indugiare oltre, la ragazza lanciò un grido: «Stia lontano da me» gli intimò, indietreggiando verso il margine nella strada. La sua scarpa sprofondò in una pozza fangosa e per poco non si ritrovò per terra.
Lo sconosciuto non parve per niente intimorito, anzi. Pur barcollante, distese le braccia verso di lei nel tentativo di afferrarla. Elena si rese conto che gridare non sarebbe servito a niente: non c'era nessuno nei paraggi, nessuna auto nelle vicinanze né, tantomeno, una qualche abitazione.
Tentò di scacciare la sensazione di terrore che le aveva attanagliato lo stomaco e prese a correre verso il piccolo bosco che costeggiava la strada.
“Devo trovare un posto dove nascondermi”, fu il suo unico pensiero, mentre si lanciava attraverso gli alberi e il terreno fangoso, verso l'interno del bosco, lì dove la vegetazione era così fitta che nemmeno la pioggia riusciva a penetrarvi.
Si fermò a ridosso di un tronco, tentando di regolarizzare il respiro e tendendo le orecchie nel tentativo di cogliere qualche rumore.
Un gufo bubolò poco distante e per poco Elena non si lasciò scappare un grido. In lontananza riusciva a sentire il lieve scroscio della pioggia e il rumore delle foglie al vento, ma nient'altro. Emise un sospiro di sollievo e, solo in quel momento, si accorse dell'imponente costruzione che si ergeva alle sue spalle. Più che una casa pareva una reggia, anche se le pessime condizioni in cui era ridotta e il degrado in cui si trovava il giardino le fecero supporre fosse disabitata.
“Magari riesco ad entrare, comunque”, pensò, avvicinandosi con cautela, cercando di fare meno rumore possibile.
I gradini di legno scricchiolarono sotto le sue scarpe e la maniglia d'ottone dell'enorme porta d'ingresso, sporca e scrostata, le scivolò tra le mani non appena tentò di abbassarla. Si ritrovò all'interno di un ampio salone. La luce della luna s'insinuava a fatica attraverso i versi opachi e Elena riuscì a scorgere solo un grosso divano in perfette condizioni e un mobile colmo di bicchieri sporchi. Si voltò in direzione di una lunga scala che conduceva al piano superiore, ma proprio mentre si avvicinava al primo gradino, un'ombra scura si proiettò sul muro di fronte a lei.
Si voltò di scatto, ritrovandosi a fissare un paio di occhi di ghiaccio.
«Katherine» sussurrò il loro proprietario, arricciando le labbra in un'espressione rabbiosa.
«No.» Elena indietreggiò, sbattendo contro il corrimano. «Sono... mi chiamo Elena. La mia macchina si è fermata a qualche chilometro da qui e...» Il ragazzo continuava a fissarla con occhi gelidi.
«Come sei entrata?»
«Mi spiace.» Deglutì con forza, mente il cuore cominciava a martellarle forte nel petto. «La porta era aperta, credevo che la casa fosse disabitata. Volevo solo ripararmi dalla pioggia.»
Per un attimo, il giovane parve confuso. Il suo sguardo indugiò sul viso di lei, gli occhi ridotti a due piccole fessure e la fronte corrugata, come se non potesse credere a ciò che stava vedendo.
Elena gettò un'occhiata veloce alla porta. Un paio di metri la separavano dall'uscita e, se avesse corso veloce, forse ce l'avrebbe fatta ad uscire di lì.
Si piegò leggermente per scartare il ragazzo, poi scattò verso l'altra parte della stanza. Le sue dita sfiorarono il legno e, per un istante, credette di avercela fatta. Ma poi qualcuno la afferrò per le spalle, mandandola a sbattere contro la parete con una tale violenza da toglierle il fiato.
«Katherine.» Di nuovo quel nome, ma stavolta a pronunciarlo era stata una giovane donna dai lunghi capelli biondi. Aveva le pupille dilatate e gli occhi iniettati di sangue e — Elena avvertì le gambe cederle dal terrore — dalle labbra socchiuse spuntavano quelle che parevano essere zanne.
La ragazza le strinse una mano intorno alla gola, impedendole di respirare.
«No!» Mentre la testa diventava sempre più leggera e i polmoni sembravano voler esplodere da un momento all'altro, qualcuno urlò. «Quella non è Katherine, Rebekah. Le somiglia ma... non è lei.»
D'un tratto la presa si allentò ed Elena si accasciò al suolo, portandosi le mani al collo e tossendo con forza alla ricerca di ossigeno.
«Se questa non è Katherine, come ha fatto ad entrare?»
«Non lo so. Ma se la uccidi non lo sapremo di certo.» Damon si chino sulla ragazza, che si rannicchiò contro la parete ormai in preda al terrore. «Come sei entrata qui?» ripeté.
«Io... stavo scappando da un uomo e... cercavo un posto per nascondermi. Ti prego, non farmi del male» mormorò tra le lacrime.
Il giovane scosse la testa, piegando le labbra in un breve sorriso di scherno. «E ti sei addentrata in un luogo sconosciuto, di notte, nel bel mezzo del nulla? Una scelta stupida, direi.»
«Magari avrà pensato che l'oscurità fosse un buon luogo per nascondersi» intervenne la bionda.
«Be', si sbagliava. L'oscurità è solo un ottimo posto per incontrare creature maledette.»
L'altra afferrò un lembo della sua giacca per attirare l'attenzione del ragazzo, scuotendolo con forza. «Potrebbe essere lei, Damon. La ragazza che spezzerà la maledizione. Lei ci vede!»
Elena emise un gemito sommesso. «Vi prego, lasciatemi andare»
Damon la guardò per un istante, allungando una mano per sfiorarle il viso in una leggera carezza da cui lei si ritrasse con un brivido. «Mi spiace, Elena, ma credo proprio che per un po' resterai con noi.»

 

                                                                                                                                                                                                         
Damned Again: A quanto pare, in questo periodo ho una fissa con le maledizione. Dopo Elena, quindi, stavolta torna a Damon che stavolta ha giocato a fare il bello e dannato con la donna sbagliata. Negli ultimi giorni sono abbastanza stressata e ho tante, troppe cose da fare, eppure impegnarmi a scrivere questi ultimi due giorni mi ha torata un po' su di morale.
È solo un prologo e un accenno di storia per ora, ma spero di avervi incuriosite almeno un po'.
Baci
♥ Fanny
 

 

   
 
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