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Autore: L o t t i e    13/02/2015    1 recensioni
«Sei una cretina», iniziò lui accomodandosi sul letto ad una piazza e mezza: aveva ancora la giacca. «Puoi accusarlo di tutto, tranne che non ti voglia bene... a modo suo.»
Ah, ecco.
William sottolineò, a mente, «a modo suo» un paio di volte, in rosso. Ripassandolo più volte.
Quelle semplici frasi stesero un velo scuro sul viso di porcellana della vampira, la quale preferì stare in piedi; se si aspettava la comprensione faceva prima a gettarsi dalla finestra, l'umano. Non dopo aver parlato al cellulare con una fanatica, non dopo aver ricevuto un bacio dal suo creatore ubriaco e con chissà quali sensi di colpa venuti a galla.
«Non ti permetto di parlarmi così», si impose pacatezza, danzando verso l'armadio per prelevare dei vestiti più leggeri. Vide il ragazzo schiudere le labbra, forse per parlare ancora, protestare. Fu più veloce.
[Da revisionare!]
Genere: Fantasy, Malinconico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Vampire - the series.'
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Profumo di rose e panna montata.








Non si stupì di sentire i passi frenetici di Trevor venire verso la sua camera, difatti gli aprì la porta ancor prima che bussasse ― almeno lui l'avrebbe fatto.
D'altro canto il ragazzo, senza fare domande, le si fiondò addosso, in un abbraccio ferreo.
«Ma che diamine avete tutti?!», esclamò stizzita lei, protestando debolmente, ma ricambiando in qualche modo.
Dopo un sospiro di puro sollievo, qualche attimo più tardi, Trevor la lasciò.
«Sei una cretina», iniziò lui accomodandosi sul letto ad una piazza e mezza: aveva ancora la giacca. «Puoi accusarlo di tutto, tranne che non ti voglia bene... a modo suo.»
Ah, ecco.
William sottolineò, a mente, «a modo suo» un paio di volte, in rosso. Ripassandolo più volte.
Quelle semplici frasi stesero un velo scuro sul viso di porcellana della vampira, la quale preferì stare in piedi; se si aspettava la comprensione faceva prima a gettarsi dalla finestra, l'umano. Non dopo aver parlato al cellulare con una fanatica, non dopo aver ricevuto un bacio dal suo creatore ubriaco e con chissà quali sensi di colpa venuti a galla.
«Non ti permetto di parlarmi così», si impose pacatezza , danzando verso l'armadio per prelevare dei vestiti più leggeri. Vide il ragazzo schiudere le labbra, forse per parlare ancora, protestare. Fu più veloce.
«Nulla. Sai cosa ha fatto, qualche minuto dopo che sono tornata? Mi ha baciata, Trevor» ed il ragazzo strinse la stoffa dei pantaloni beige tra le dita. «Ho il sapore d'alcool appicicato alle labbra», continuò lei ― senza pietà, «sai qualte volte mi ha toccata e ridotto quasi alla morte prima di questo? No? Allora non provare a giustificare le sie manie di controllo! Hai sentito, vampiro?», dopodiché osservò l'umano, le labbra rigide ed algide, «ora, se permetti, andrei a fare un bagno.»
Era diventata brava a zittire la gente, pensò Trevor, ed anche ad ucciderla con le parole ― taglienti come un coltello da cucina. Non lo sapeva lui. Nonostante ciò le sue parole, «mi ha baciata», continuavano a rimbombargli nelle orecchie, come il suono di un martello pneumatico.

«Ha ragione lei, caro umano dal cuore d'oro.»
Lo appostrofò il tedesco dal soggiorno mentre scendeva le scale. Scorse un braccio di Claude cingere, anzi, penzolare dalla spalliera del divano: era ovvio che avesse sentito la loro discussione, ma il fatto che assumesse un comportamento così passivo era il preambolo di un crollo di nervi. Il caro umano dal cuore d'oro se ne rendeva conto.
«Smettila di bere e vai a riposarti», gli posò una mano sulla spalla, Trevor.
«Non vuoi unirti a me?», gli propose l'altro, affabile, porgendogli la bottiglia pressocché vuota.
Il diciannovenne negò con altrettanta cortesia osservando il viso del vampiro prendere una sfumatura alquanto sinistra che poi scemò in un broncio.
«Pensi anche tu che sia ubriaco?», grugnì, lo sguardo verde assottigliato.
«Io? Macché! Sono solo fedele alla leggenda che i vampiri debbano dormire di giorno!»
«Non ri credo», ridacchiò, «dài, un goccetto solo! Sono disposto a regalarti anche la bottiglia!»
Dannazione, era senza speranze ― appurò il ragazzo.
«Oppure», soffiò il tedesco, una ventata d'alcool che stordì l'umano, «per aver tentato di mettere una buona parola con William vorresti una ricompensa
Non gli piaceva.

Un po' rigida, dopo aver messo il comò dietro la porta per una qualche sicurezza, scivolò dentro la vasca piena d'acqua calda e schiuma bianca al profumo di rose.
Sentiva i muscoli del collo tutti rigidi. Pensò che avrebbe avuto bisogno di messaggio rilassante con oli profumati e... sì, avrebbe continuato a sognare. Le andava bene anche quell'oretta a mollo in quel pezzetto di paradiso.
Soffiò via una montagnetta di schiuma.
Il solo pensiero di affrontare un'intera giornata come i primi mesi, chiusa lì, la feceva stare male ― peggio della claustrofobia. Magari ne avrebbe approfittato per visitare le stanze più remote della villa. Le sembrò un buona idea.
Sbuffando dalle narici mandò via un ancipelago di bollicine, poi si tirò su.
L'acqua sembrava essere diventata gelatia alle rose ― chissà che gusto avrebbe avuto.
Gusto.
A proposito di gusto, pensò. Era da un po' che non mangiava e non ne sentiva nemmeno il bisogno, ma lo sfizio di sentire il sapore di qualcosa di commestibile sul palato premeva.
Affondò una mano nella gelatina alle rose: la schiuma si era fatta panna montata ed il suo corpo di bolle. Era piacevole osservare le tessere di mosaico blu notte appannarsi a causa del vapore che poi condensava e gocciolava, giù, ai piedi del muro.
Ipnotico.
Di nuovo, si immerse nella vasca, toccando il fondo con la schiena, completamente ― i lunghi capelli a farle da cuscino ed i suoni attutiti dal muro di gelatina.







* * *









Non poteva tornare a casa prima delle due.
Sua mamma era in casa, il fratello a raccattare un qualsiasi lavoro, il padre, erborista, al suo negozio.
Lei, piccola umana, a bazzicare per le viuzze dopo aver accompagnato l'amica al limite del boschetto. Non sembrava particolarmente allegra di tornare in quel posto.
Non li conosco, si disse.
Odiava ammetterlo, ma la sua forza da maschiaccio ed il suo viso innocente decorato dalle lentiggini non sarebbero serviti contro dei vampiri.
Anche William lo era.
Già.
E poi c'era anche una donna, ma ne ignorava il nome.
I raggi pallidi di un sole tiepido le carezzarono il viso. Le mani le prudevano ― era inutile. Samantha Walsh era inutile.
La cruda verità la schiaffeggiò in viso in modo assai violento.
Calciò via un sassolino, poi... si ricordò qualcosa.

Come poteva averlo dimenticato?!
-Sì?-
«Sono Samantha, una compagna di Nicole.»
-Oh! Capisco, ti serve qualcosa?-
Una palazzina di tre piani con terrazzo, completamente bianca e balconi neri finemente lavorati con un portone di tutto rispetto e massiccio.
Il citofono inghiottiva le sue parole e poi ne sputava altre.
Si chiedeva perché avesse rimosso tale informazione dalla testa, forse perché era la casa si colei che non sopportava.
Sì, plausibile.
Colei che l'accolse fu la madre di Nicole ― strano, pensava lavorasse. Una donna molto più bella della figlia, con capelli ondulati color sabbia che le arrivavano a metà schiena ed occhi simili a due acquamarine; ben piazzata in quanto altezza, forse un metro e settantacinque.
Avrebbe preferito lei in classe al posto della quattr'occhi.
«Un favore», iniziò accomodandosi su una sedia.
La madre di Nicole (pareva avesse un nome del tipo Amélie, dalla faccia. L'avrebbe chiamata così) le si sedette di fronte.
«Ti va un bicchiere d'aranciata?»
«No, grazie.»
«Tua madre sa che marini la scuola?», le sorrise, senza arroganza.
Provava un certo rispetto per quella donna.
«No, dovevo aiutare una mia amica.»
«Capisco. Allora, che tipo di favore, mia figlia ti ha di nuovo detto qualcosa di offensivo?»
Scosse il viso con l'ombra di un sorriso che le minacciava le labbra. «Veramente volevo chiederle se domani possiamo studiare con sua figlia.»
«Voi, chi? E perché lo chiedi a me?», ridacchiò Amélie.
«Ah, beh...»
Ed ora cosa avrebbe inventato?







* * *









Era felice.
Dopo molto tempo.
Vivere in quell'enorme abitazione con quel peso gravante sulle sue spalle era asfissiante. Dovendo anche nascondere le proprie relazioni. Gli aveva fatto un favore, il suo vecchio, a disconoscerlo o come diamine si diceva.
Parigi.
Adorava come quel nome gli si posava tra le labbra. Abituato al freddo norvegese, sentiva quasi caldo in quel mese di marzo. Caldo! Ah.
Quelle tre, per il momento, ore di lavoro erano trascorse più che bene: gli avevano assegnato quattro classi, le più bisognose ― due seconde e due terze. La 2ªG lo incuriosiva di più, tra le altre; forse perché la frequentava una ragazza albina ― sì. Istintivamente ravvivò il ciuffo di capelli innevato.
Neru.
Sorrise. Avrebbe dovuto farci l'abitudine.
L'ultima cosa, anche se, a pensarci meglio, sarebbe dovuta essere la prima, che gli rimaneva da fare era trovare un appartamento. Momentaneamente tornò all'albergo per posare la borsa con gli elenchi ed i vari libri di testo e si infilò in tasca il portafogli ed il cellulare ― doveva anche cambiare la scheda telefonica.
«Styrke og mot!1»
Strinse i pugni ed uscì, pieno di buoni propositi, animato dall'entusiasmo.







* * *









Nuovo messaggio:
“Ho risolto il problema con Nicole.
Per te alle sei va bene?
In ogni caso, ricordi come si chiama la madre di Nicole?”


Tipico di Samantha dimenticarsi i nomi della gente; Charlotte, si chiamava così e alle sei andava benissimo ― glielo scrisse.
Non sapeva perché... avrebbe solo dovuto ringraziare Samantha almeno mille volte prima di chiederle qualche altro favore. Chiederle, seh. Glielo aveva praticamente ordinato, ma le migliori amiche si comprendono a vicenda, no? E poi, loro, avevano superato tante di quelle liti che si sarebbero pure potute insultare pesantemente... in modo amichevole.

“Davvero?
Strano, ha la faccia da Amélie. (...)”

“Sam, di che diamine parli?”

“Nulla, nulla!!
A domani, bye! ♡”


La solita, si ritrovò a sbuffare mentalmente. Lanciando il cellulare sul letto ― dove fece qualche rimbalzo e poi si fermò, riprese in mano la spazzola continuando a carezzare i lunghi capelli bianchi: le arrivavano ai fianchi, superandoli di qualche centimetro. La cura che riservava loro sfiorava il maniacale; eppure non ricordava quando aveva inziato. Iniziato a farli crescere, spazzolarli ogni santo giorno, spuntarli di un centimetro ogni tanto, assicurarsi di non avere doppie punte.
Si alzò e, a piedi scalzi, si avviò alla finestra per sbirciare fuori: il cielo si era fatto meraviglioso, piccoli pezzetti di nuvole si erano messi in fila perdendosi all'orizzonte, sulla punta della Tour Eiffel, sovrastando ogni abitazione.
Con uno scatto la aprì, respirando a pieni polmoni l'aria che si faceva gentilmente strada tra le mura di quella stanza pregna d'oscurità.
Indossò una camicetta ed andò in esplorazione.

Si accorse che, stranamente, tutte le stanze che provava ad aprire erano chiuse a chiave ― soprattutto le più remote. Imprecò sottovoce, giunta alla fine di un altro corridoio, posò la mano sulla maniglia in ottone e tentò di aprire, sapendo già di dover fare retrofront ― eppure.
La porta cedette, il suo braccio scivolò.
Era aperta.
Vi erano due finestre ornate di tende giallo ocra, le pareti color salmone; stonava con il resto della villa. Sembrava inutilizzata da molto ed il pulviscolo di divertiva a giocare sui raggi di luce che filtravano dalla stoffa. Tutto l'ambiente aveva un nonsoché di caloroso, come se fosse qualcosa a sé stante. In mezzo alla stanza su un ampio tappeto bordeux vi era un pianoforte nero a coda, splendidamente tenuto.
Ma perché? Non aveva mai sentito Claude o Trevor suonare, lei invece, oh... Attratta come una falena dal fuoco, si avvicinò, sfiorando il coperchio della tastiera, acchiappando un poco di polvere col dito. Brividi le corsero lungo il braccio, giù nella schiena ― chiuse gli occhi.
Osservò meglio quel nero lucido, scorgendo inciso un nome: «Henrike Ophelia Krämer», disse sottovoce ed una brezza si infiltrò sotto la camicia di cotone. Strano, gli specchi erano chiusi.
«Che ci fa qui?», dura, quella domanda le perforò le orecchie.
Claude.
Si voltò di scatto e, attraverso i filamenti bianchi, lucidi che per un attimo le coprirono la visuale, scorse un luccichio cremisi. Poi si accorse che il suo interlocutore era senza maglietta: gli occhi turchesi studiarono per qualche attimo quell'addome scolpito nel marmo.
«Nulla.»
Il vampiro mosse un passo verso di lei, aveva ripreso quell'aria austera, la sbronza gli era già passata? I capelli erano scarmigliati, neri quanto la vernice dello strumento musicale; non passò molto prima che un angolo di quelle labbra peccatrici si alzasse, mostrando in contemporanea un canino ed il solito, ma soprattutto solido, ghigno.
«Chi è Henrike?», accidenti alla sua lingua.
L'altro finse nonchalance, eppure le iridi si congelarono, come offese, come ad ammonirla ― deglutì.
«Ti ho dato il permesso di andartene in giro?»
«Non ne ho bisogno.»
«Ah», era ad un pelo dalle sue labbra e quella furbamente girò il viso, si compiacque: imparava in fretta la sua principessa, «davvero?», le ringhiò quindi scendendo percorrendo il delicato profilo.
«Sì. Non mi hai risposto, chi è Henr―»
«Esci da questa stanza o giuro che non avrai più modo di parlare.»
Le promise, l'alito gelido che le premeva e graffiava la pelle del collo: masochista, la rimproverò una vocina, che tutto sommato, doveva riconoscerlo, non aveva tutti i torti. Sapeva quando prendere alla lettera le parole di Claude ed in un soffio sparì, come neve trasportata dal vento.













Deliri Note dell'autrice:
«Styrke og mot!1»: dal norvegese “forza e coraggio!”

Eccomi, gentah! ò3ò
Cavoli, ci credete? Sono puntuale! Siate fieri di me cari lettori perché tra qualche attimo potrei seriamente avere una crisi isterica tra la connessione internet che mi fa i dispetti e certa gente rompi coglioni scatole che anche al fine settimana non sono contente e devono torturarti.
Venendo al capitolo, sono molto soddisfatta! I tasselli del puzzle si stanno pian piano unendo e chissà che Claude Bei-Addominali Von Ritcher non vuoti il sacco a William! So che aspettate il tanto atteso incontro tra Will ed Elijah aka Neru―... *grilli ed insetti vari* (?) Va bene, mi sto solo facendo i filmini.
VBB.
Ringrazio tutti voi che continuate a leggere facendo alzare il conto delle visite, aiut, siete tantissimi! *commoss* E ovviamente _Night e Requiem_Banshee che hanno recensito, soprattutto mi scuso con quest'ultima: risponderò al più presto! ;___;
Bacini,
―L o t t i e.
  
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