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Autore: Ray Wings    14/02/2015    5 recensioni
Non voltare la testa, non andartene di nuovo! Sono cambiata. Sì, è vero, non sono più Alice! E questa ti sembra una colpa? Tu e il tuo strafottutissimo gruppo del cazzo mi avete trascinata qui: è solo colpa vostra. Mai più, mai più rivedrò gli occhi di mia sorella o di mia madre, ed è solo colpa vostra. Mai più rivedrò i tuoi occhi. Ma quelli non voglio nemmeno ricordarli, vuoti e disperati, mentre affondavano e annegavano e io impotente sulla spiaggia a pregare.
Mi avete lasciata sola, cazzo!
Sono rimasta in un angolo a piangere, come ho sempre fatto, aspettando l'arrivo di qualche supereroe dimenticandomi che questa è la fottuta realtà! Che qui si muore!
E sono morta.
Dimentica Alice...te la sei portata via.
So che sei un sogno, stai sfumando, comincio a non vederti più e so che quando aprirò gli occhi sarò di nuovo sola. Ma non voltare la testa. Guardami fino alla fine...guarda l'Oceano. Fino alla fine. Come ho fatto io. Pregando, sciocco, di svegliarti.
Manu. Guardami.
Ora sono Ocean.
[In revisione]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Daryl Dixon, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Zombie.

Ocean scese rapida gli scalini che dividevano la sua cella dal livello sottoelevato, dove si erano stabiliti la maggior partedei membri del gruppo. Sembrava un'altra persona rispetto al giorno prima, l'angoscia e la paura erano svanite nel nulla. Si era svuotata del tutto ed era tornata la stessa Ocean determinata e combattiva che era una volta. E quella mattina era pronta a rimettersi al lavoro: aveva tanti progetti in testa. Voleva parlare con Molly, stare un po' con lei, ristabilire un contatto. Era stata una giornata da incubo anche per lei,anzi, forse soprattutto per lei, ed era stata così egoista da lasciarla sola. Poi avevano un cortile da ripulire completamente, equilibri da ristabilire, e voleva al più presto sellare la sua Peggy e ritornare a fare qualche corsa nei dintorni, esplorando la zona nella speranza di trovar qualcosa di utile. Era quello il suo compito, era quello il suo destino: restar rinchiusa la soffocava. Ogni tanto doveva uscire, girare, esplorare. Voleva adrenalina nelle vene.
Si strinse la coda dei capelli appena sistemata e mise il piede sull'ultimo scalino quando si trovò la strada bloccata da un imbarazzato, ma sorridente, Glenn. Le guance avvamparono e gli occhi fuggirono lontani.
<< Ciao. >> disse infine lui dopo aver più volte tentato di aprir bocca.
Ocean cercò di sorridere cordiale, ma riuscire a incrociare i suoi occhi risultava ancora impossibile.
<< Buongiorno. >> disse schiva prima di scappar via, ma fu fermata di nuovo da Glenn che la richiamò alle sue spalle << Senti... scusa per ieri sera. >> ammise sincero << Non pensavo...voi... >>

Già...la sera prima. Probabilmente il vero motivo per cui quella mattina era così piena di energie.
Anche se lo riteneva incredibile e assolutamente non plausibile.
Daryl non l'aveva fatta parlare, qualsiasi cosa lei avesse avuto da dire era caduta nel vuoto all'istante. Non aveva la più pallida idea del perchè, ma l'aveva baciata. E, suo malgrado, aveva dovuto ammetere che non era stato per niente male. Sapeva di fumo e fatica, ma le sue labbra erano morbide e delicate. E lei si era ritrovata completamente spiazzata dal quel gesto improvviso. Aveva smesso di ragionare, inebriata, non era riuscita a capire cosa stesse accadendo: sentiva solo che le piaceva. La presa su di lei si era fatta ferrea, avida e gelosa, un bambino che stringe il suo giocattolo per proteggerlo da chi vuol portarglielo via. E anche quello incredibilmente le era piaciuto. Aveva sentito il muro freddo dietro la schiena: quando ci era arrivata? Come? L'aveva spinta? Eppure non se n'era resa conto. Aveva la mente nel vuoto, guidata solo da istinti primordiali, priva di ogni forma di critica e razionalità.
Aveva sentito il suo corpo schiacciarsi tra il muro e quello del ragazzo davanti a sè. Il collo sollevato, per riuscire a raggiungere la sua altezza, aveva cominciato a dolerle, ma non le importava. Voleva andare avanti. Aveva sentito i suoi capelli ruvidi e rovinati scorrerle tra le dita. La leggera barba accennata le pizzicava il mento. La mano di Daryl poggiata sulla sua guancia la accarezzava, dolce, ma brusca ed esigente continuava a tirarla a sè. Non voleva lasciarla andare.
Sarebbe finito tutto in una nuvola di fumo. L'ultimo sbuffo.
Lo sapevano. E non volevano.
Probabilmente neanche lui sapeva bene cosa stesse facendo. Ma lo faceva. E bastava.
Zombie, morti, addii e speranze perdute. Tutto ammucchiato momentaneamente in un angolo. L'avrebbero poi affrontato insieme.
Quello era il loro abbraccio disperato nel buio nel tentativo di bastarsi a vicenda.
E disperato era quel bacio, così violento, ma rispettoso e delicato nello sfiorare le ferite.
Poi tutto era finito troppo bruscamente con il rumore di una porta che si spalancava e la voce di Glenn che comunicava << Ehy, ragazzi vi do il cambio? >>
O almeno quello era ciò che aveva cercato di dire, prima che la bocca glielo avesse impedito, restando spalancata nell'istante in cui aveva visto i due avvinghiati e schiacciati al muro. Una remota parte di lui aveva pregato che non fosse stato sentito e cercò di arretrare silenzioso portandosi dietro la porta, ma vane erano state le sue speranze. I due avevano già puntato i loro occhi sorpresi e imbarazzati al coreano che aveva tentato di salvarsi con un ultimo << Scusate. >>
Daryl e Ocean erano rimasti qualche secondo confusi, risvegliati troppo bruscamente da una sveglia troppo rumorosa. Si erano guardati e si erano allontanati l'uno dall'altro con gli occhi di chi ha appena fatto una grandissima cazzata.
<< No... Io... >> aveva cominciato Ocean abbassando gli occhi e passandosi una mano sulla testa per sistemarsi i capelli << Io stavo andando via. >> e si era allontanata con la stessa velocità di un ladro che ha appena rubato il portafoglio a una vecchietta.

<< Non hai interrotto niente. >> cercò di smorzare l'imbarazzo << E' stato solo un gesto impulsivo. >> non era poi troppo errato. Alla fine non c'era stato niente. Era solo stato un attimo di confusione e debolezza...o almeno credeva.
<< Ora... >> continuò lei sempre balbettante, indicando un punto invisibile alle sue spalle << ...devo andare. >>
<< Certo! >> annuì schivo Glenn permettendole di allontanarsi.
Arrivò alla saletta fuori dalla zona celle, appena dopo il primo cancello, la loro "area ristoro" e lì trovò tutti gli altri, seduti un po' ovunque, a mangiare chissà quale schifezza arrangiata tra quelle trovate alla mensa.
<< Buongiorno! >> salutò raggiungendo con rapidità il tavolino rotondo dove erano posate un po' di scatole aperte. Scompigliò i rossi capelli di Molly, lì seduta, con la testa che a malapena riusciva ad arrivare alla tazza e le gambe penzoloni sotto lo sgabello. Le diede un bacio sulla testa e si inginocchiò avvicinando il viso alla bambina, la quale si voltò a guardarla sorpresa.
<< Hai impegni per oggi, principessa? >> sussurrò nel silenzio dei suoi compagni, allungando una mano sul tavolo e afferrando uno dei biscotti che uscivano da una delle scatole. Molly negò con la testa, senza ancora parlare, ancora abbattuta per quanto successo.
<< Bene, allora sei tutta mia. >> sorrise ancora e la tirò con una mano a sè per poterle stampare un altro bacio sulla tempia, cosa che la bimba sembrò apprezzare visto il sorriso che nacque sul suo volto.
Si alzò di nuovo, diretta alle celle dove si sarebbe preparata. Non voleva perdere tempo, non quel giorno. Non voleva fermarsi. Si era svegliata carica e doveva restare in quelle condizioni. E quale modo migliore per tenere lontani malinconia e fantasmi se non quello di tenersi impegnati? Herhsel aveva ragione. Loro avevano ancora bisogno di lei. Non doveva mollare. Aveva fatto una promessa.
<< Sei di buon umore, oggi. >> constatò Hershel, costringendola a voltarsi per dedicare uno sguardo anche a lui. L'affermazione l'aveva lasciata un po' confusa inizialmente, soprattutto perchè aveva sentito un pizzico di malizia nella sua voce, ma la risposta alla sua domanda le balenò in mente non appena, voltandosi, vide gli sguardi ridenti dei suoi compagni scendere lentamente da lei alla tazza che tenevano tra le mani. A Beth scappò un risolino e il suo sguardo si spostò verso Carl, seduto vicino a lei, incrociandosi, complici.
Sapevano.
Glenn non era riuscito a tenere la bocca chiusa, come suo solito, e già di prima mattina tutta la prigione urlava pettegolezzi inutili e inapproppriati. Aprì bocca per dir qualcosa, ma l'imbarazzo gliela fece richiudere. Guardò Daryl, forse cercando supporto, ma lui sembrava non preoccuparsi della situazione e continuava tranquillo a divorare il suo pasto frugale. O forse era solo un modo per tenersene fuori.
<< Bambini. >> si lasciò sfuggire infine Ocean, scocciata per le derisioni. Alla fine era solo stato un bacio, cosa c'era di strano? Neanche alle elementari l'avevano tanto presa in giro per aver stretto la mano al compagno che le piaceva.
L'affermazione fece scattare qualche risata soffusa, non più di derisione, ma solo divertite per il suo modo di reagire e adibite a smorzare un po' la tensione. Una di quelle risate che dicono "Non preoccuparti, stiamo solo scherzando."
Stava per rivoltarsi di nuovo e tornare sui suoi passi quando videro Rick sbucare dal corridoio ed entrare nel blocco. Non aveva più gli occhi di un folle, sembrava che la notte passata a sfidare la morte fosse bastata a permettergli di sfogarsi e tornare il solito Rick pacato e razionale di un tempo. O almeno queste furono le impressioni.
Si avvicinò a suo figlio, sotto lo sguardo preoccupato di tutti i presenti, e comunicò con semplicità << Ho ripulito il blocco delle caldaie. >>
<< Quanti ce n'erano? >> chiese Daryl preoccupato.
<< Non lo so. >> ammise Rick << Dieci...venti... >> fece un sospiro << Devo tornare là. Volevo solo vedere come stava Carl. >> disse ancora prima di cercare di allontanarsi, ma Glenn si alzò rapidamente e cercò di andargli incontro, chiamandolo.
<< Possiamo portare noi fuori i corpi. Non devi farlo tu. >> disse sperando di convincerlo a calmarsi, dedicarsi un po' di tempo per sè e per riposare. Ma Rick tagliò subito i ponti dicendo, col tono di chi fa un favore a qualcuno, che l'avrebbe fatto lui.
Si avvicinò rapido a Daryl chiedendo se aveva pistola e coltello, e lui rispose affermativamente, senza togliergli di dosso gli occhi preoccupati, aggiungendo subito dopo che avevano però poche munizioni e che sarebbe dovuto essere scrupoloso nell'usarle.
<< Maggie e io volevamo fare un giro questo pomeriggio. >> comunicò Glenn << Possiamo cercare pallottole e latte artificiale. >>
<< Andrò con loro. Possiamo coprire una zona più ampia e magari sperare che questo ci porti più fortuna. >> annunciò Ocean.
<< La stanza del generatore è pulita. Axel lo sta riparando, in caso d'emergenza. Ripuliremo anche i piano inferiori. >> disse infine Daryl. E Ocean ebbe una strana sensazione...come di smarrimento. Era la prima volta in quasi un anno che a stabilire cosa fare e come farlo non era Rick, ma esattamente l'opposto. Si stavano autogestendo, il loro pilastro non li sorreggeva più e loro dovevano far forza sulle loro capacità. La struttura stava cominciando a vacillare. Erano forti, avrebbero resistito probabilmente, ma non avere più una sicurezza ben ferma era comunque disarmante.
Rick approvò, senza aggiungere troppo e fuggì via, quasi fosse di fretta, senza neanche ascoltare il richiamo insistente e preoccupato di Hershel, lasciandosi dietro un altro rumoroso silenzio.

Ocean rientrò nella sua cella e decise di aspettare la fine della colazione della bambina per conto proprio, aprofittando di quel vuoto per pulire e affilare un po' la lama che in quei giorni aveva trascurato. Rimpianse di non avere di nuovo con sè la sua sacca con tutte le sue cose. Stupidaggini per la gran parte, niente che veramente gli fosse servito, ma era una sicurezza che si portava sempre appresso. Lì dentro c'erano le sue cose. Ora non erano altro che giocattoli per zombie, o tesori per qualche passante. Prese la spada da sopra il piccolo tavolino vicino al suo letto a castello, ma il movimento dell'oggetto pesante fece cadere a terra la cotta che era mal riposta proprio sotto di lei. La raccolse e la piegò malamente per rimetterla lì, ma qualcosa attirò la sua attenzione. Un piccolo cimelio abbandonato in fondo al mare, di cui si era dimenticata.
Il suo ciondolo.
Il ciondolo che le aveva costruito e regalato suo nonno poco prima di morire, e che, a sua volta, aveva già cominciato a morire, perdendo qualche petalo. Lo guardò per un istante, sentendo di nuovo la mano gelida dei suoi fantasmi sfiorarle la schiena, ma non si lasciò abbattere. Lo afferrò e guardandolo indietreggiò di qualche passo fino a raggiungere il letto dietro sè e sedersi. La cotta cadde rumorosamente a terra e le mani, ormai entrambe libere, si impegnarono in carezze ed esplorazioni, come se fosse un oggetto appena scoperto. Lo voltò e lesse la sua scritta.
Ricorda.
Un triste sorriso ravvivò un po' quel volto che di nuovo stava perdendosi nelle ombre. Accarezzò la scritta.
Il tempo ti sfugge dalle dita, bambina mia, come i petali di questo fiore. Ne perdi qualcuno, sempre, inevitabilmente. E quando il fiore sarà ormai morto e privo di petali ti renderai conto di quanto era bello in realtà in passato. Ma allora sarà ormai troppo tardi per saggiarne il profumo.
Ricordati del tempo. Non dimenticartelo o ti scapperà via e tu neanche lo vedrai.
Ricordati.

Lei se n'era dimenticata. Aveva commesso l'errore che quel ciondolo le aveva impedito più volte di commettere. Non aveva guardato e approfittato del suo fiore quando era ancora bello, e ora che era morto...ora che Carol, T-Dog e Lori erano morti, lei non poteva più saggiarne il profumo. E lo rimpiangeva.
<< Mi dispiace, nonno. >> sussurrò tra sè e sè.
Max entrò nella cella, scodinzolante come sempre, leccandosi i baffi ancora sporchi di chissà quale saziante pasto. Si avvicinò alla sua padrona e annusò quello strano oggetto che teneva tra le mani, incuriosito. Ocean sorrise guardando gli occhi vivaci e sempre brillanti del suo amico. Lo invidiava così tanto. Si infilò la collana, nascondendo il ciondolo sotto la camicia e dedicò qualche minuto al compagno migliore che avesse mai avuto con carezze e grattate dietro l'orecchio.
<< Vado a vedere come sta Rick. >> sentì dire da Hershel al piano di sotto, seguito da altre voci confuse e soffuse. Si stavano sparpagliando: la colazione era finita.
<< Ci andiamo a fare un giretto oggi. Eh, amico? Come i vecchi tempi, solo io e te. Contento? >> disse Ocean alzandosi in piedi. Max rispose con un'altra scodinzolata, lasciando a Ocean la tenera convinzione che avesse capito. Uscì dalla sua cella e scese di nuovo i gradini, dirigendosi verso la solita saletta ristoro. Incrociò Daryl sulla porta, seguito da Oscar e Carl, ma questi ultimi due proseguirono lasciandoli soli.
<< Vado con Carl e Oscar a fare un giro nei corridoi. Controlliamo che non ci sia rimasto nessuno zombie da ieri. >> informò lui, come se fosse stato tenuto a farlo. Ocean annuì << Ok. Io resto un po' con Molly. Ha bisogno che qualcuno le stia più dietro, quella bambina è troppo sola. >>
Questa volta ad annuire fu Daryl. Sapevano entrambi quanto Molly soffrisse quella situazione, sola e sempre in fuga, e anche ora che finalmente avevano trovato un posto tranquillo non poteva che starsene per conto proprio a giocare con la sua bambola, in compagnia, qualche volta, di Beth o Carol. Ma ora Carol era morta e Beth era sempre impegnata a tenere la nuova nascitura.
<< Bene. >> disse lui semplicemente prima di riprendere il suo percorso, dietro ai due che l'avevano lasciato poco prima, diretto alla sua "camera" per prendere balestra e frecce.
<< Daryl, senti... >> lo fermò Ocean voltandosi immediatamente, senza aspettare che fosse troppo lontano per parlargli. Il ragazzo si fermò a guardarla, aspettando di sapere cosa avesse da dirgli. Possibile non ci arrivasse da solo? Possibile non avesse niente da dire riguardo alla sera prima? Sembrava se ne fosse dimenticato: nè un cenno, nè uno sguardo o una parola. Come se niente fosse. Ma lo stesso non valeva per lei. Aveva passato una notte in bianco a rimuginare e sentire lo stomaco attorcigliarsi più volte, cercando di snodarsi e uscire da quel labirinto, cercando di capire cosa fosse successo e soprattutto perchè.
Ma alla fine...cosa si aspettava? Lei era una ragazza, era ovvio che a certe cose dava peso. Lui... beh, non sembrava proprio il tipo.
Una botta e via, dicevano in Italia.
<< ...per ieri sera... >> cominciò lei abbassando gli occhi e accarezzandosi la nuca imbarazzata << ...Io non...non volevo, ecco. Non voglio rovinare tutto, è stato... >>
<< ...Un attimo di confusione. >> la anticipò lui. Ma allora era d'accordo con lei! Ci aveva pensato, non si era dimenticato. Ocean alzò lo sguardo soddisfatta, si era tolta un peso dal cuore, e annuì sorridente << Sì. Abbiamo passato una brutta giornata, eravamo stanchi e confusi, non eravamo lucidi. >> aveva smesso di balbettare. Si era sentita decisamente meglio.
Era stato bello, sicuramente un'esperienza da ricordare, ma non voleva che niente cambiasse. Lei non provava niente per Daryl se non profondo affetto, non era decisamente il tipo con cui avrebbe intrapreso una relazione. Ma non voleva perderlo per una sciocchezza da ragazzini in preda agli ormoni.
<< Certo. >> annuì lui abbassando per un attimo gli occhi e allontanandosi subito dopo.
Qualcosa era andato storto.
Ocean aggrottò la fronte: erano d'accordo, avevano pensato la stessa cosa, lui stesso l'aveva anticipata dicendo che era stato un errore, eppure era stato così strano. Raramente i suoi occhi permettevano di vedere cosa ci fosse lì dentro, erano spesso velati da uno spesso strato di disprezzo e violenza. Non che fosse davvero così, ma faceva la parte del cattivo ragazzo. Eppure le era parso, quella volta, di cogliere qualcosa in quegli occhi schivi e freddi, qualcosa che tanto somigliava...alla delusione.
Che ci fosse rimasto male?
Scosse la testa. Probabilmente l'aveva solo immaginato. Forse erano solo i suoi desideri proiettati nei suoi occhi: alla fine, per quanto sentisse che era giusto così, la sua parte femminile urlava sdegnata per essere stata "usata", anche se era ridicolo. Ma quale donna accetta di essere trattata come quella sera per poi essere "scaricata"? Anche se era proprio quello che voleva. Orgoglio.
Sì, probabilmente si era sbagliata.

Entrò nella saletta e si guardò attorno. Ormai era deserta, ognuno era tornato ai propri posti e ai propri incarichi. Solo una figura giaceva a terra, seduta con la schiena poggiata al muro, e i lunghi capelli rossi sciolti sulle spalle. Ocean le si avvicinò e silenziosa si mise a sedere vicino a lei. Non era più la bambina allegra e vitale che era stata un tempo. Quel mondo stava uccidendo anche lei. Doveva salvarla.
Si allungò a prendere uno dei fogli di carta che aveva di fronte, unica fonte di distrazione che a volte aveva e sempre in silenzio tornò a poggiarsi al muro, piegando più volte il foglio tra le mani.
Ne costruì un aereoplanino, alitò sulla punta e poi lo fece volare, facendolo cadere neanche un metro da loro. Molly guardò l'aereo sorpresa, ma non disse niente.
Ocean si piegò in avanti, prese un altro foglio e fece un altro aereo.
<< Tieni. Prova tu. >> disse porgendolo alla rossa. Molly afferrò il foglietto piegato come aveva visto fare alla ragazza e lo guardò per un minuto curiosa e sorpresa, prima di lanciarlo come poteva, facendolo schiantare di punta proprio davanti ai suoi piedi.
Ocean rise divertita e lo afferrò di nuovo. Stirò le pieghe che si erano formate nella caduta e lo porse nuovamente alla bambina, ma non senza prima aver di nuovo alitato sulla punta. Non sapeva a cosa servisse, non l'aveva mai saputo, ma sapeva che andava fatto così.
<< Lancialo così. >> spiegò afferrando la manina piccola e delicata nella bambina e guidandola nella sua traiettoria.
Questa volta l'aereoplano andò poco più lontano. Non raggiunse il compagno, ma almeno un po' era volato.
<< Mi insegni? >> chiese Molly voltandosi a guardarla con gli occhi incuriositi << Mi insegni a costruirlo? >>
<< Certo! >> disse Ocean entusiasta, prendendo il terzo foglio di carta che aveva davanti e cominciando la sua lezione di "piegamento".
<< Ora prova tu. >> invitò, lasciando che la piccola se la cavasse da sola. Ci mise un po', sbagliando qualche passaggio all'inizio, ma dopo un paio di correzioni Molly riuscì a costruire il suo primo aereoplanino di carta. Provò a lanciarlo...e di nuovo cadde davanti ai suoi piedi.
Ocean rise ancora << Imparerai. Devi esercitarti tanto. >> sorrise e Molly corse a prendere altri fogli. Si sedette di nuovo vicino alla ragazza e riprese a costruire aereoplani, sotto lo sguardo attento e vigile di una mammina che tanto aveva promesso e che, come tutte le mamme, poi se n'era dimenticata.
<< Sai cosa mi manca più di tutti? >> mormorò dopo un po', poggiando la testa dietro di sè. Sorrise e si voltò a guardare la piccola che aveva interrotto i suoi esercizi per poterla ascoltare curiosa.
<< Il gelato! >> ammise la ragazza avvicinandosi al suo orecchio, come fosse stato un segreto. Molly annuì energicamente << Anche a me! >> poi ci pensò un po' << Tu mangiavi il gelato? >>
Ocean la guardò sdegnata e offesa << Se mangiavo il gelato? Tesoro, io ero la Regina dei mangiatori di gelato! Il mio preferito era quello al cioccolato. >>
<< Anche il mio! >> esultò la bambina, sorridendo. Nei suoi occhi opachi si intravide una piccola scintilla. Ancora troppo debole e sola, ma pur sempre un inizio.
<< No? >> chiese Ocean fingendo incredulità << Sul serio? Non ci credo! Allora abbiamo gli stessi gusti! >>
<< E il tè alla pesca! >> disse la bimba ancora.
<< Adoro il tè alla pesca! >> assecondò Ocean << E la pizza! Ti piaceva la pizza? >> Molly annuì ancora e Ocean tornò a guardare davanti a sè, sentendosi l'acquolina in bocca << Una sottile pizza napoletana, come quella che faceva la pizzeria di fiducia dietro casa mia, la più buona del mondo, col bordo alto,tanta mozzarella, funghi e prosciutto cotto. >> lo stomaco brontolò rumorosamente in risposta alle sue languide fantasie e questo fece scoppiare a ridere tutte e due.
Il sole era sorto di nuovo.
Nessuna delle due si era posta il problema che quelle fossero e sarebbero rimaste solo fantasie. Non importava. Anche solo ricordare certe cose bastava.
E il sole raggiunse il suo punto più alto con una velocità che da tempo non ricordava.

<< Devi proprio andare? >> chiese Molly tirando i pantaloni di Ocean per attirare la sua attenzione, distraendola dal suo lavoro: stava sellando Peggy, preparandosi per seguire Maggie e Glenn nella cittadina lì vicino. Poi si sarebbero separati e avrebbero cercato ognuno per conto proprio. Era una gioia per Ocean, anche se uscire metteva paura: adorava girovagare in sella alla sua adorata Peggy, a fianco del suo fidato Max. Lo aveva fatto così a lungo, e ora invece era diventata una rarità. Ne sentiva la mancanza.
Si voltò a guardare la bambina << Torno presto. >> sorrise.
Molly non sembrò convinta << Resti con me? Possiamo giocare ancora! >> cercò di convincerla.
Ocean sorrise ancora intenerita e le diede un bacio sulla fronte << Quando torno giocheremo tantissimo. E ti prometto che ti porterò un regalo. Magari qualche gioco nuovo. >>
Molly sembrò illuminarsi << Vorrei un libro! >>
<> chiese Ocean sorprendendosi di sentire una tale richiesta. Credeva che bambine della sua età pensansero solo a bambole, ciottoli e altri giochi del genere.
<< La mamma mi leggeva sempre un libro prima di andare a letto. >> arrossì di colpo << Magari potresti leggermelo, qualche volta, la sera. >>
Il cuore di Ocean sembrò esplodere. C'era così tanta tenerezza, tristezza e malinconia in così poco. Gli occhi le si inumidirono e per non farsi vedere in quello stato, abbracciò la bambina.
<< Ti porterò il libro più bello che ci sia. >> sussurrò lottando contro il nodo che si stava formando in gola per la commozione.
<< Ora vai. Hershel ti sta aspettando. Ha bisogno di una buona assistente. >> le fece l'occhiolino e Molly si esaltò ancora << Sì, ha detto che sono stata brava con la Signorina Rosie! Vuole ancora il mio aiuto! >>
<< Bravissima! Vai! >> la incoraggiò << Ci vediamo più tardi. >> salutò vedendola correre via nella sua gonna sempre troppo ingombrante. Si fermò, si voltò e alzando la mano sopra la testa salutò energicamente << Ciao a dopo! Torna presto! >>
<< Pronta, Ocean? >> chiese Glenn prima di dirigersi all'auto, distraendo la ragazza dal suo saluto intimo con il suo piccolo tesoro.
<< Sì, datemi un ultimo minuto. >> disse prima di allontanarsi tenendo tra le mani le redini della cavalla. Si avvicinò rapidamente alle lapidi improvvisate che avevano dedicato alle tre morti del giorno prima. Il funerale era stato rapido e doloroso, anche perchè c'era ancora tanto da fare e Rick continuava a stare nascosto nei corridoi della prigione. E lei...beh, aveva osservato un po' da lontano. Non si era voluta inserire. Non aveva voluto piangere. Ma non per questo li aveva dimenticati.
Si fermò a osservare le lapidi qualche istante, pensierosa e rammaricata. Il foulard di Carol era stato legato e ben stretto intorno al suo bicipite, in segno di lutto. E probabilmente sarebbe rimasto lì a lungo. Abbassò gli occhi e sospirò.
Lasciali andare.
Infilò la mano dentro la camicia e tirò fuori il suo ciondolo a fiore. Si avvicinò alla prima lapide, quella dedicata a Lori e si inginocchiò lì davanti. Staccò un petalo dal suo fiore, sforzandosi un po', fece poi una piccola buca con le dita e lo posò dentro. Ricordò il sorriso di Lori mentre ricopriva quel piccolo pegno. Ricordò la sua voce. Il suo amore per Carl.
Non avevano mai legato troppo, ma non per questo non meritava di essere ricordata e salutata. Lei era il cuore di Rick, e ora che era morta Rick era caduto. E senza lui tutti loro erano in bilico e distrutti.
Si spostò di qualche passo, arrivando di fronte alla lapide di T-Dog e ripetè la stessa operazione. Staccò un petalo e lo sotterrò lì davanti.
E ricordò.
Ricordò il suo silenzioso sostegno, il suo essere sempre pronto ad aiutare e buttarsi nel pericolo solo per poter salvare una vita in più.
E un altro petalo per Carol.
Sorrise nel ricordare la prima volta che le aveva offerto la colazione nel tentativo di far amicizia. Sorrise nel ricordare le domande che le faceva, curiosa e desiderosa di avere la sua forza non sapendo che già ce l'aveva; nel ricordare la loro fuga dalla fattoria, la dolcezza con cui lei le parlava e tentava di farla ridere; il sostegno; le battute che le rivolgeva quando lei imparava a sparare mentre Ocean continuava a restare la solita imbranata.
Una lacrima le rigò il viso, lacrima che venne subito asciugata dal dorso della mano.
Accarezzò il petalo a lei destinato prima di sotterrarlo.
<< Addio, amica mia. >> disse senza impedire ancora alle lacrime di bagnarle il viso. Non ne venne distrutta, ma lasciava che scorressero via e dava loro il giusto rispetto.
Restò lì con loro qualche altro minuto, poi ricacciò il ciondolo dentro la camicia e tornò al cancello con Peggy, dove ad aspettarla ansiosi c'erano già pronti Glenn, Maggie e Max.
<< Siamo pronti! Possiamo andare! >> annunciò cercando di ricomporsi. Salì a cavallo tornando a rimirare il mondo da lassù. Max salì in macchina insieme alla coppia. Axel aprì il cancello, permettendoli di uscire, e il mondo si preparò a riceverli.

<< Ci ritroviamo qui tra un paio d'ore. >> comunicò Ocean, mentre aspettava che Max fosse scaricato dall'auto << Perlustro la zona a ovest, voi andate a est. >>
<< Ok, a più tardi. >> disse Maggie dal finestrino abbassato.
<< Non allontanarti troppo, dobbiamo essere a portata di sparo se succede qualcosa! >> disse Glenn dal lato del guidatore.
<< Sì, non temere! >> rassicurò Ocean prima di partire nella sua direzione, separandosi dalla coppia, seguita da Max. Si inoltrarono per le stradine deserte della piccola città rurale: era davvero molto piccola, ci avrebbero messo poco a visitarla tutta. Forse due ore erano anche troppe.
Scese da cavallo alla prima casa incontrata e legò Peggy a un palo lì vicino.
Sfoderò la sua spada e incitando il cane a seguirla si avvicinò silenziosa all'entrata. Aveva il cuore che batteva a mille, l'adrenalina era tornata a scorrere nelle sue vene, ed era felice di poter di nuovo girare da sola, senza preoccuparsi di guardare le spalle degli altri.
Diede un paio di colpi alla porta chiusa, aspettando per sentire se c'era movimento all'interno. Silenzio. Entrò aprendo lentamente. La casa, come molte altre, era sottosopra. Silenziosa e rapida entrò nella prima stanza, poi nella seconda e con tranquillità ispezionò l'abitazione completa.
<< Neanche un pannolino. >> brontolò uscendo, seguita come al solito da Max << Pare che questa famiglia non avesse figli, non c'è neanche un giocattolo. >> disse avvicinandosi a Peggy e cominciando a slegarla.
Uno sparo.
Sobbalzò.
Guardò verso est. Proveniva da lì.
Il cuore cominciò a martellarle in petto.
Glenn...Maggie!
<< Merda! >> brontolò cominciando a tremare. Lo sparo improvviso l'aveva terrorizzata. Credeva fosse deserto quel posto, non aveva visto mandrie in giro. Che diavolo era successo? Slegò Peggy il più rapidamente possibile e salì in sella, prima di correre più veloce che potè verso il luogo.
Rimasero nell'ombra, coperti dagli alberi.
Fece cenno a Max di stare buono e in silenzio, e ringraziò l'intelligenza del cane.
C'era una persona seduta in terra e teneva Maggie ben stretta, con una pistola puntata alla sua tempia.
<< Io lo conosco. >> sussurrò mentre un flash le balenò in testa. Quella era l'uomo che aveva visto passare in jeep tempo prima, quando era andata in giro sola, senza Max e Peggy, poco prima di ritornare alla fattoria del suo vecchio gruppo. Le era rimasto impresso il coltellaccio che aveva al posto di una mano: neanche fosse stato capitan uncino!
<< Sali in macchina Glenn! Guidi tu! >> minacciò.
"Lo conosce" pensò. Glenn non sarebbe stato mai così idiota da dire il suo nome al primo malcapitato, sicuramente se lui sapeva come si chiama era perchè si conoscevano già da prima.
"
Chi diavolo è?" pensò ancora mentre vedeva la scena svolgersi davanti a sè. Glenn fece come disse l'uomo, entrarono tutti e tre in macchina e in poco tempo partirono.
<< Max stai qui! >> ordinò facendogli un cenno con la mano. Avrebbe dovuto correre per riuscire a stargli dietro, il cane non avrebbe retto a lungo. Max mugolando, triste per non poter stare insieme alla sua padrona, si acquattò, abbassando le orecchie.
<< Bravo. Stai qui! >> ordinò ancora prima di speronare la cavalla e correre rapida dietro l'auto, qualche metro dietro, sempre tenendosi più o meno nascosta dagli alberi a bordo strada, in modo da non farsi notare. Se si fosse buttata a capofitto in un salvataggio da sola probabilmente ne sarebbe uscita distrutta. Doveva agire nell'ombra, scoprire dove li stava portando prima di tutto e poi sarebbe tornata alla prigione, avrebbe riunito il gruppo e sarebbero andati a salvarli insieme.

Legò la cavalla a un albero. Il sole stava cominciando a calare, la sera stava arrivando. Le fece una carezza sul muso e le dedicò un po' di dolcezza, sperando di tranquillizzarla.
<< Arrivo. >> bisbigliò << Mi avvicino solo per vedere meglio. Torno subito. >>
Seguendo l'auto era arrivata a quella che sembrava una città fortificata. C'erano mura di pneumatici tutte intorno, ma da dentro arrivavano voci e rumori, segno che era abitato. Delle persone facevano avanti e indietro sulla cima del muro, come sentinelle, ben armate. Quatta e coperta dall'ombra della sera e dagli alberi si avvicinò a sufficienza per riuscire a vedere la scena che si stava svolgendo a quella che sembrava un'entrata secondaria.
Un uomo uscì dal cancello e si avvicinò al finestrino dell'auto, chinandosi per parlare con chi stava dentro. Fu una conversazione rapida perchè tempo qualche secondo e l'auto ripartì, entrando in città, seguita poco dopo dall'uomo che aveva parlato con loro.
Ocean ebbe un tuffo al cuore.
<< No. >> si sorprese a sussurrare.
Lo conosceva! Conosceva quella persona! Come avrebbe potuto scordarla?
Si sentì mancare.
I fantasmi erano tornati a urlare "aiuto" in lontananza.
Serrò la mascella e costrinse una lacrima a tornare indietro.
<< Vaffanculo. >> si ritrovò a singhiozzare in Italiano. Strinse tra le dita quel ramo che aveva afferrato, per spostarlo un po' e permetterle di vedere. Lo strinse talmente forte che lo spezzò.
Lasciali andare suggerì una voce nella sua testa.
<<
Non questa volta. >> ringhiò prima di sfoderare la pistola << Non questa volta. >>

Un colpo di pistola costrinse l'uomo di guardia sul muro a voltarsi, sussultando. Un suo amico, da sotto, lo guardò spalancando gli occhi << Era fottutamente vicino!! >> disse e si avvicinò al camioncino parcheggiato poco lontano. Afferrò un fucile e se lo appese in spalla, prima di correre verso il cancello << Presto, apri! John! >> chiamò << Vieni con me, sbrigati! >>
Un altro ragazzo dai capelli degni di Bob Marley corse verso di lui, litigando con il fucile che faticava a stare in spalla.
<< Sta facendo buio. Tenete gli occhi aperti! >> suggerì l'amico sul muro.
Il cancello si aprì e i due corsero fuori, dirigendosi verso il punto dove avevano sentito il colpo di pistola. Nel frattempo un gruppo di 4 o 5 zombie sbucò dagli alberi, sulla destra del cancello. Il ragazzo di guardia puntò i suoi occhi, e il mirino del suo fucile con silenziatore, verso gli intrusi. L'altro uomo, l'addetto alla chiusura e apertura del cancello, si affacciò, prima di fare il suo lavoro, e diede una mano al compagno con la sua pistola.
Presi dal loro lavoro, nessuno notò l'ombra che acquattata era sgattaiolata dietro l'uomo al cancello, dentro le mura e si era infilata nel primo cespuglio a sinistra, appena dentro.
Ocean uscì lentamente la testa, controllando la situazione. C'era un paio di uomini che passeggiavano non molto lontano, ma non erano troppi e sicuramente non erano preoccupati di un'eventuale intrusione.
Cercando di restare bassa e silenziosa sgattoiolò dietro un bidone della spazzatura, poco lontano dal suo cespuglio, e di nuovo si sporse per guardare e controllare che nessuno l'avesse vista. Il ragazzo addetto al cancello rientrò, chiudendoselo alle spalle, e l'uomo sul muro tornò a passeggiare avanti e indietro. Avevano fatto fuori gli zombie che Ocean aveva attirato lì con l'intenzione di distrarli, e gli altri due erano ancora persi tra gli alberi a cercare la pistola che aveva sparato. A cercare la sua pistola. Quella che in realtà sarebbe dovuta servire solo per comunicare a Glenn e Maggie che era in pericolo.
Aspettò che il tipo sul muro le voltasse le spalle per controllare la zona dietro e cominciò a correre, sempre bassa, lungo il perimetro della casa che fiancheggiava. Svoltando l'angolo si trovò di fronte a un piccolo cortiletto, con qualche sedia sparsa, qualche rottame e un'auto abbandonata. Non sembrava esserci nessuno. Poco più avanti continuava un vialetto, diretto chissà dove. Ocean schiacciò le spalle al muro e attraverò il cortile, diretta al vialetto. Non aveva la più pallida idea di dove stesse andando, aveva solo un obiettivo in testa e cercava di seguire l'istinto. Ma non conosceva il luogo e non sapeva dove poteva essersi cacciato. Ma chissà che alla fine cercando cercando non l'avrebbe trovato.
Si fermò a una porta, probabilmente un'entrata sul retro di quella che sembrava una baracca, e lì fu costretta a inchiodarsi, quando essa si aprì. Un uomo uscì a passo leggero e sicuro, con una sigaretta tra le labbra, mormorando qualcosa a chissà chi dietro di lui, poi la socchiuse. Ocean strinse la pistola che aveva tra le mani: la odiava. Ma metteva paura. E questo bastava.
Si avvicinò rapidamente,approfittando delle sue momentanee spalle e gli puntò la pistola alla testa, togliendo la sicura. Il rumore metallico fece irrigidire tanto l'uomo che la sigaretta gli scappò dalle labbra e alzò lentamente le mani.
<< Ciao. >> salutò lei tranquilla e sicura << Mi inviti a cena? >> chiese sarcastica.
L'uomo cercò di cacciare gli occhi indietro nel tentativo di capire chi lo stesse minacciando << Cosa vuoi? >> chiese semplicemente.
<< Sto cercando un tuo amico. Poco più basso di te, quattro capelli neri in testa ben diradati, baffetti ridicoli e occhi color vomito. >>
L'uomo aggrottò la fronte, non riuscendo a capire di chi diavolo stesse parlando << Indossava una stupida camicia a quadri rossa, stasera. L'ho visto fuori dal cancello, è andato a parlare con i due prigionieri che avete preso stasera. >>
<< Noi non abbiamo nessun prigioniero. >> disse l'uomo.
<< Stronzate!! >> sibilò Ocean premendo la canna della pistola contro la sua nuca, costringendolo a ripetere a mitragliatrice << Ok, ok, ok. >> impaurito.
<< C'è un tuo amico dentro? >> chiese Ocean riferendosi alla persona con cui aveva parlottato prima di ricevere la sua pistola alla testa << Digli di chiamarlo. Se provi ad accennargli che sono qui ti ammazzo! >>
L'uomo non aggiunse altro e lentamente si voltò e provò ad abbassare le mani << Tienile su!!! >> minacciò Ocean premendo ancora la pistola contro la vittima.
<< Se mi vede con le mani alzate sospetterà qualcosa, non credi? >> provocò l'uomo.
Ocean si fece avanti di un passo e prese la sua mano sinistra, l'alzò e la premette contro la porta che ora era accostata << Lei sta qui. >> suggerrì << L'altra al muro. Lì, ben alzata. Così sembrarà che tu sia solo appoggiato. Apro io la porta. >>
L'uomo così si fissò con le mani alte e ben piantate una alla porta leggermente socchiusa e l'altra al muro vicino. Ocean accanto a lui cercò di restare nascosta, ma teneva sempre d'occhio e sotto tiro l'uomo che aveva davanti. Aprì di qualche centimetro la porta, quel tanto che bastava per permettergli di affacciarsi e lo incalzò a parlare.
<< Ehy, Rob. >> chiamò all'interno. Il suo amico rispose a monosillabo, dalla voce sembrava distante qualche metro, forse in fondo al corridoio dove si affacciava l'uomo.
<< Va' a chiamare Mickey, per farvore. >>
<< Vattelo a chiamare da solo, amico! Non rompere le palle a me. >> borbottò la voce scocciata dall'interno.
<< Rob!!! >> lo richiamò ancora.
<< Non fare facce, ti vedo. >> bisbigliò Ocean, tenendolo d'occhio.
<< Fai come ti ho detto! E' urgente, per favore! >> brontolò l'uomo sotto pressione. Stava cominciando a sudare freddo. A nessuno piace avere una pistola carica puntata alla nuca.
<< Che palle, va bene, vado. >> sbuffò la voce.
Si sentirono dei passi allontanarsi e i due rimasero per un attimo tesi, poi l'uomo tirò un sospiro e ritirò indietro il viso, cercando di guardare la ragazza.
<< Ho fatto come volevi. Ora lasciami andare. >>
Ocean scoppiò a ridere << Sono donna, non scema! >>
<< Cos'hai intenzione di fare, si può sapere? >> brontolò l'uomo, visibilmente irritato per quella situazione.
<< I miei ragazzi sono qui nei paraggi, hanno accerchiato il vostro campo, siamo un centinaio. Appena li faccio un cenno loro invaderanno la vostra cittadina del cazzo. >>
<< Menti. >>
<< Vuoi provare? >> sorrise maliziosa Ocean << Ma dimmi. Come vanno le cose a casa, eh? Tutto bene? Moglie? Figli? >> sorrise ancora. E risultò ancora più inquietante. C'era una luce nei suoi occhi, un fuoco ardente, ma il suo viso angelico ingannava. Era come l'immagine di una bambina che aveva il diavolo negli occhi: metteva i brividi.
L'uomo deglutì ma non rispose.
<< Andiamo. Non vorrai deludermi. >> insistette Ocean.
<< Non ho moglie. >> ammise lui. Era un fascio di nervi, glielo si poteva vedere perfino nelle dita che se avessero potuto avrebbero scavato solchi nel metallo della porta e del muro.
<< Ah no? E com'è che ti chiami? Potrebbe interessarmi. >> sorrise lei maliziosa. Si stava prendendo gioco di lui, glielo si leggeva negli occhi. E questo lo mandava ancora di più su tutte le furie. Non rispose, ma la loro chiacchierata fu interrotta da un sonoro e agitato << Ehy!!! >> provenire dalle spalle di Ocean.
Si voltarono entrambi e lei ebbe la prontezza di afferrare all'istante l'uomo per il collo della maglia e tirarselo davanti, costringendolo sempre con la pistola a seguire i suoi movimenti. Degli spari partirono, ma Ocean non ebbe tempo nè modo di vedere chi fosse stato ad averli aggrediti. I proiettili avevano colpito l'uomo che aveva usato da scudo, poi velocemente si era infilata all'interno della baracca ed era scappata lungo il corridoio. Sentì il cigolio della porta all'entrata: chiunque l'avesse vista e aggredita era entrato, ma ancora riuscì a evitare gli spari, svoltando appena in tempo.
<< Ferma!! >> urlò ancora la voce.
<< Che succede? >> gli fece eco un'altra sbucata da chissà dove.
Ocean si infilò la pistola nella cintura dei pantaloni e si fiondò contro un'altra porta, sperando di aver indovinato e che avesse dato sull'esterno. La spalancò e uscì fuori senza neanche guardare, preoccupata solo di chiudersela alle spalle in tempo per fermare i proiettili che ancora tentavano di raggiungerla.
<< E tu chi diavolo sei? >> un'altra voce. Sfoderò la spada ben prima di voltarsi e la puntò al suo interlocutore.
Spalancò gli occhi e serrò la mascella.
<< Tu. >> sibilò.
L'aveva trovato.
L'uomo intuì che la ragazza lo conosceva perciò arricciò le sopracciglia, cercando di mettere a fuoco.
Poi si illuminò.
<< Mi ricordo di te. >> disse poco prima di assumere un ghigno. Un misto tra l'assurdo e il divertito.
<< Sei ancora viva. >> aggiunse incredulo.
<< Tornata dalla tomba per ucciderti. In ginocchio! >> ordinò, notando che l'uomo ancora non aveva sfilato dalla fondina la sua arma. Alle sue spalle la porta in ferro si spalancò e ne uscirono tre uomini, che subito andarono ad accerchiare la coppia.
<< Andiamo, non fare sciocchezze. Non vedi che sei decisamente messa male? >> constatò con sicurezza l'uomo dalla camicia a quadri rossa. Ma Ocean non sembrò voler cedere. Aveva il fiato pesante che le faceva alzare e abbassare ritmicamente le spalle. I denti ben serrati avevano cominciato a farle male. Lo sguardo sembrava stesse uccidendo al posto della spada.
Non si rendeva pienamente conto di ciò che stava succedendo. Non vedeva niente intorno a sè. Nè la cittadina sconosciuta, nè gli uomini. Nessuno. Solo quel fottuto stronzo dalla camicia rossa a quadri. E detestava vederlo ancora in piedi che respirava e parlava.
<< In ginocchio. >> sibilò ancora, minacciosa.
<< Abbassa l'arma. Non hai nessuna possibilità. >> invitò ancora l'uomo e coraggiosamente portò una mano davanti a sè, poggiandola sulla spada e cercando di scansarla lentamente.
<< Brava. Così. >> disse vedendo come il suo atto sembrava stesse riuscendo. La lama stava cominciando ad abbassarsi sotto al suo tocco.
<< Possiamo parlare. Non ti faremo del male se collabori. >> continuò la sua opera di convincimento.
E quasi sembrava esserci riuscito, quando Ocean con un colpo secco roteò la spada e la fece volare verso l'alto, portandosi dietro il dito mignolo dell'uomo, il quale urlò dal dolore e non potè che chinarsi in avanti, sopraffatto e sorpreso.
Lanciò alla ragazza davanti a sè lo sguardo più furioso che avesse mai sfoderato prima di allora.
<< Finirai all'Inferno, ragazzina. >> minacciò lui.
<< Tu verrai con me. >>


N.D.A

Ciaooo sono sempre iooo, il vostro capoooo *cit* xD
Sono super rapidissima in questo periodo!!! *swiiiiiishhhh*
Ok.... perchè il capitolo si intitola Zombie se in realtà gli zombie non si vedono manco una volta?? (apparte quelli che lei attira alle mura di Woodbury... Ma sono solo state comparse, non le ho manco pagate se non in buoni pasti da 5 euro u.u)
Perchè qui lo zombie è lei.
E' uno zombie quando accecata dalla rabbia dimentica il piano originale (tornare alla prigione e avvertire gli altri) ma si tuffa senza manco un piano in mezzo al nemico. Guidata solo da istinto, niente razionalità, e, sempre mossa dal suo istinto e dalla sua "fame", prosegue.
E' uno zombie quando dice "tornata dalla tomba per ucciderti". Sì, perchè lei è tornata...doveva essere morta e invece è tornata.
Maaaa...chi sarà questo misterioso uomo dalla camicia a quadri rossa? :3 lo scoprirete nel prossimo episodio!
*parte la sigla* naranaaaannaaaa narananaaaa naràààà nanaranannaaaaaa naranannaaaaaaaa narààà....

   
 
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