Zombie.
Ocean
scese rapida gli scalini che dividevano la sua cella dal livello
sottoelevato, dove si erano stabiliti la maggior partedei membri del
gruppo. Sembrava un'altra persona rispetto al giorno prima,
l'angoscia e la paura erano svanite nel nulla. Si era svuotata del
tutto ed era tornata la stessa Ocean determinata e combattiva che era
una volta. E quella mattina era pronta a rimettersi al lavoro: aveva
tanti progetti in testa. Voleva parlare con Molly, stare un po' con
lei, ristabilire un contatto. Era stata una giornata da incubo anche
per lei,anzi, forse soprattutto per lei, ed era stata così
egoista
da lasciarla sola. Poi avevano un cortile da ripulire completamente,
equilibri da ristabilire, e voleva al più presto sellare la
sua
Peggy e ritornare a fare qualche corsa nei dintorni, esplorando la
zona nella speranza di trovar qualcosa di utile. Era quello il suo
compito, era quello il suo destino: restar rinchiusa la soffocava.
Ogni tanto doveva uscire, girare, esplorare. Voleva adrenalina nelle
vene.
Si
strinse la coda dei capelli appena sistemata e mise il piede
sull'ultimo scalino quando si trovò la strada bloccata da un
imbarazzato, ma sorridente, Glenn. Le guance avvamparono e gli occhi
fuggirono lontani.
<<
Ciao. >> disse infine lui dopo aver più volte
tentato di aprir
bocca.
Ocean
cercò di sorridere cordiale, ma riuscire a incrociare i suoi
occhi
risultava ancora impossibile.
<<
Buongiorno. >> disse schiva prima di scappar via, ma fu
fermata
di nuovo da Glenn che la richiamò alle sue spalle
<< Senti...
scusa per ieri sera. >> ammise sincero <<
Non
pensavo...voi... >>
Già...la
sera prima. Probabilmente il vero motivo per cui quella mattina era
così piena di energie.
Anche
se lo riteneva incredibile e assolutamente non plausibile.
Daryl
non l'aveva fatta parlare, qualsiasi cosa lei avesse avuto da dire
era caduta nel vuoto all'istante. Non aveva la più pallida
idea del
perchè, ma l'aveva baciata. E, suo malgrado, aveva dovuto
ammetere
che non era stato per niente male. Sapeva di fumo e fatica, ma le sue
labbra erano morbide e delicate. E lei si era ritrovata completamente
spiazzata dal quel gesto improvviso. Aveva smesso di ragionare,
inebriata, non era riuscita a capire cosa stesse accadendo: sentiva
solo che le piaceva. La presa su di lei si era fatta ferrea, avida e
gelosa, un bambino che stringe il suo giocattolo per proteggerlo da
chi vuol portarglielo via. E anche quello incredibilmente le era
piaciuto. Aveva sentito il muro freddo dietro la schiena: quando ci
era arrivata? Come? L'aveva spinta? Eppure non se n'era resa conto.
Aveva la mente nel vuoto, guidata solo da istinti primordiali, priva
di ogni forma di critica e razionalità.
Aveva
sentito il suo corpo schiacciarsi tra il muro e quello del ragazzo
davanti a sè. Il collo sollevato, per riuscire a raggiungere
la sua
altezza, aveva cominciato a dolerle, ma non le importava. Voleva
andare avanti. Aveva sentito i suoi capelli ruvidi e rovinati
scorrerle tra le dita. La leggera barba accennata le pizzicava il
mento. La mano di Daryl poggiata sulla sua guancia la accarezzava,
dolce, ma brusca ed esigente continuava a tirarla a sè. Non
voleva
lasciarla andare.
Sarebbe
finito tutto in una nuvola di fumo. L'ultimo sbuffo.
Lo
sapevano. E non volevano.
Probabilmente
neanche lui sapeva bene cosa stesse facendo. Ma lo faceva. E bastava.
Zombie,
morti, addii e speranze perdute. Tutto ammucchiato momentaneamente in
un angolo. L'avrebbero poi affrontato insieme.
Quello
era il loro abbraccio disperato nel buio nel tentativo di bastarsi a
vicenda.
E
disperato era quel bacio, così violento, ma rispettoso e
delicato
nello sfiorare le ferite.
Poi
tutto era finito troppo bruscamente con il rumore di una porta che si
spalancava e la voce di Glenn che comunicava << Ehy,
ragazzi vi
do il cambio? >>
O
almeno quello era ciò che aveva cercato di dire, prima che
la bocca
glielo avesse impedito, restando spalancata nell'istante in cui aveva
visto i due avvinghiati e schiacciati al muro. Una remota parte di
lui aveva pregato che non fosse stato sentito e cercò di
arretrare
silenzioso portandosi dietro la porta, ma vane erano state le sue
speranze. I due avevano già puntato i loro occhi sorpresi e
imbarazzati al coreano che aveva tentato di salvarsi con un ultimo
<<
Scusate. >>
Daryl
e Ocean erano rimasti qualche secondo confusi, risvegliati troppo
bruscamente da una sveglia troppo rumorosa. Si erano guardati e si
erano allontanati l'uno dall'altro con gli occhi di chi ha appena
fatto una grandissima cazzata.
<<
No... Io... >> aveva cominciato Ocean abbassando gli
occhi e
passandosi una mano sulla testa per sistemarsi i capelli
<< Io
stavo andando via. >> e si era allontanata con la stessa
velocità di un ladro che ha appena rubato il portafoglio a
una
vecchietta.
<<
Non hai interrotto niente. >> cercò di
smorzare l'imbarazzo <<
E' stato solo un gesto impulsivo. >> non era poi troppo
errato.
Alla fine non c'era stato niente. Era solo stato un attimo di
confusione e debolezza...o almeno credeva.
<<
Ora... >> continuò lei sempre balbettante,
indicando un punto
invisibile alle sue spalle << ...devo andare.
>>
<<
Certo! >> annuì schivo Glenn permettendole di
allontanarsi.
Arrivò
alla saletta fuori dalla zona celle, appena dopo il primo cancello,
la loro "area ristoro" e lì trovò tutti gli
altri, seduti
un po' ovunque, a mangiare chissà quale schifezza arrangiata
tra
quelle trovate alla mensa.
<<
Buongiorno! >> salutò raggiungendo con
rapidità il tavolino
rotondo dove erano posate un po' di scatole aperte.
Scompigliò i
rossi capelli di Molly, lì seduta, con la testa che a
malapena
riusciva ad arrivare alla tazza e le gambe penzoloni sotto lo
sgabello. Le diede un bacio sulla testa e si inginocchiò
avvicinando
il viso alla bambina, la quale si voltò a guardarla sorpresa.
<<
Hai impegni per oggi, principessa? >> sussurrò
nel silenzio
dei suoi compagni, allungando una mano sul tavolo e afferrando uno
dei biscotti che uscivano da una delle scatole. Molly negò
con la
testa, senza ancora parlare, ancora abbattuta per quanto successo.
<<
Bene, allora sei tutta mia. >> sorrise ancora e la
tirò con
una mano a sè per poterle stampare un altro bacio sulla
tempia, cosa
che la bimba sembrò apprezzare visto il sorriso che nacque
sul suo
volto.
Si
alzò di nuovo, diretta alle celle dove si sarebbe preparata.
Non
voleva perdere tempo, non quel giorno. Non voleva fermarsi. Si era
svegliata carica e doveva restare in quelle condizioni. E quale modo
migliore per tenere lontani malinconia e fantasmi se non quello di
tenersi impegnati? Herhsel aveva ragione. Loro avevano ancora bisogno
di lei. Non doveva mollare. Aveva fatto una promessa.
<<
Sei di buon umore, oggi. >> constatò Hershel,
costringendola a
voltarsi per dedicare uno sguardo anche a lui. L'affermazione l'aveva
lasciata un po' confusa inizialmente, soprattutto perchè
aveva
sentito un pizzico di malizia nella sua voce, ma la risposta alla sua
domanda le balenò in mente non appena, voltandosi, vide gli
sguardi
ridenti dei suoi compagni scendere lentamente da lei alla tazza che
tenevano tra le mani. A Beth scappò un risolino e il suo
sguardo si
spostò verso Carl, seduto vicino a lei, incrociandosi,
complici.
Sapevano.
Glenn
non era riuscito a tenere la bocca chiusa, come suo solito, e
già di
prima mattina tutta la prigione urlava pettegolezzi inutili e
inapproppriati. Aprì bocca per dir qualcosa, ma l'imbarazzo
gliela
fece richiudere. Guardò Daryl, forse cercando supporto, ma
lui
sembrava non preoccuparsi della situazione e continuava tranquillo a
divorare il suo pasto frugale. O forse era solo un modo per tenersene
fuori.
<<
Bambini. >> si lasciò sfuggire infine Ocean,
scocciata per le
derisioni. Alla fine era solo stato un bacio, cosa c'era di strano?
Neanche alle elementari l'avevano tanto presa in giro per aver
stretto la mano al compagno che le piaceva.
L'affermazione
fece scattare qualche risata soffusa, non più di derisione,
ma solo
divertite per il suo modo di reagire e adibite a smorzare un po' la
tensione. Una di quelle risate che dicono "Non preoccuparti,
stiamo solo scherzando."
Stava
per rivoltarsi di nuovo e tornare sui suoi passi quando videro Rick
sbucare dal corridoio ed entrare nel blocco. Non aveva più
gli occhi
di un folle, sembrava che la notte passata a sfidare la morte fosse
bastata a permettergli di sfogarsi e tornare il solito Rick pacato e
razionale di un tempo. O almeno queste furono le impressioni.
Si
avvicinò a suo figlio, sotto lo sguardo preoccupato di tutti
i
presenti, e comunicò con semplicità
<< Ho ripulito il blocco
delle caldaie. >>
<<
Quanti ce n'erano? >> chiese Daryl preoccupato.
<<
Non lo so. >> ammise Rick <<
Dieci...venti... >>
fece un sospiro << Devo tornare là. Volevo
solo vedere come
stava Carl. >> disse ancora prima di cercare di
allontanarsi,
ma Glenn si alzò rapidamente e cercò di andargli
incontro,
chiamandolo.
<<
Possiamo portare noi fuori i corpi. Non devi farlo tu. >>
disse
sperando di convincerlo a calmarsi, dedicarsi un po' di tempo per
sè
e per riposare. Ma Rick tagliò subito i ponti dicendo, col
tono di
chi fa un favore a qualcuno, che l'avrebbe fatto lui.
Si
avvicinò rapido a Daryl chiedendo se aveva pistola e
coltello, e lui
rispose affermativamente, senza togliergli di dosso gli occhi
preoccupati, aggiungendo subito dopo che avevano però poche
munizioni e che sarebbe dovuto essere scrupoloso nell'usarle.
<<
Maggie e io volevamo fare un giro questo pomeriggio. >>
comunicò Glenn << Possiamo cercare pallottole
e latte
artificiale. >>
<<
Andrò con loro. Possiamo coprire una zona più
ampia e magari
sperare che questo ci porti più fortuna. >>
annunciò Ocean.
<<
La stanza del generatore è pulita. Axel lo sta riparando, in
caso
d'emergenza. Ripuliremo anche i piano inferiori. >> disse
infine Daryl. E Ocean ebbe una strana sensazione...come di
smarrimento. Era la prima volta in quasi un anno che a stabilire cosa
fare e come farlo non era Rick, ma esattamente l'opposto. Si stavano
autogestendo, il loro pilastro non li sorreggeva più e loro
dovevano
far forza sulle loro capacità. La struttura stava
cominciando a
vacillare. Erano forti, avrebbero resistito probabilmente, ma non
avere più una sicurezza ben ferma era comunque disarmante.
Rick
approvò, senza aggiungere troppo e fuggì via,
quasi fosse di
fretta, senza neanche ascoltare il richiamo insistente e preoccupato
di Hershel, lasciandosi dietro un altro rumoroso silenzio.
Ocean
rientrò nella sua cella e decise di aspettare la fine della
colazione della bambina per conto proprio, aprofittando di quel vuoto
per pulire e affilare un po' la lama che in quei giorni aveva
trascurato. Rimpianse di non avere di nuovo con sè la sua
sacca con
tutte le sue cose. Stupidaggini per la gran parte, niente che
veramente gli fosse servito, ma era una sicurezza che si portava
sempre appresso. Lì dentro c'erano le sue cose.
Ora non erano altro che giocattoli per zombie, o tesori per qualche
passante. Prese la spada da sopra il piccolo tavolino vicino al suo
letto a castello, ma il movimento dell'oggetto pesante fece cadere a
terra la cotta che era mal riposta proprio sotto di lei. La raccolse
e la piegò malamente per rimetterla lì, ma
qualcosa attirò la sua
attenzione. Un piccolo cimelio abbandonato in fondo al mare, di cui
si era dimenticata.
Il
suo ciondolo.
Il
ciondolo che le aveva costruito e regalato suo nonno poco prima di
morire, e che, a sua volta, aveva già cominciato a morire,
perdendo
qualche petalo. Lo guardò per un istante, sentendo di nuovo
la mano
gelida dei suoi fantasmi sfiorarle la schiena, ma non si
lasciò
abbattere. Lo afferrò e guardandolo indietreggiò
di qualche passo
fino a raggiungere il letto dietro sè e sedersi. La cotta
cadde
rumorosamente a terra e le mani, ormai entrambe libere, si
impegnarono in carezze ed esplorazioni, come se fosse un oggetto
appena scoperto. Lo voltò e lesse la sua scritta.
Ricorda.
Un
triste sorriso ravvivò un po' quel volto che di nuovo stava
perdendosi nelle ombre. Accarezzò la scritta.
Il
tempo ti sfugge dalle dita, bambina mia, come i petali di questo
fiore. Ne perdi qualcuno, sempre, inevitabilmente. E quando il fiore
sarà ormai morto e privo di petali ti renderai conto di
quanto era
bello in realtà in passato. Ma allora sarà ormai
troppo tardi per
saggiarne il profumo.
Ricordati
del tempo. Non dimenticartelo o ti scapperà via e tu neanche
lo
vedrai.
Ricordati.
Lei
se n'era dimenticata. Aveva commesso l'errore che quel ciondolo le
aveva impedito più volte di commettere. Non aveva guardato e
approfittato del suo fiore quando era ancora bello, e ora che era
morto...ora che Carol, T-Dog e Lori erano morti, lei non poteva
più
saggiarne il profumo. E lo rimpiangeva.
<<
Mi dispiace, nonno. >> sussurrò tra
sè e sè.
Max
entrò nella cella, scodinzolante come sempre, leccandosi i
baffi
ancora sporchi di chissà quale saziante pasto. Si
avvicinò alla sua
padrona e annusò quello strano oggetto che teneva tra le
mani,
incuriosito. Ocean sorrise guardando gli occhi vivaci e sempre
brillanti del suo amico. Lo invidiava così tanto. Si
infilò la
collana, nascondendo il ciondolo sotto la camicia e dedicò
qualche
minuto al compagno migliore che avesse mai avuto con carezze e
grattate dietro l'orecchio.
<<
Vado a vedere come sta Rick. >> sentì dire da
Hershel al piano
di sotto, seguito da altre voci confuse e soffuse. Si stavano
sparpagliando: la colazione era finita.
<<
Ci andiamo a fare un giretto oggi. Eh, amico? Come i vecchi tempi,
solo io e te. Contento? >> disse Ocean alzandosi in
piedi. Max
rispose con un'altra scodinzolata, lasciando a Ocean la tenera
convinzione che avesse capito. Uscì dalla sua cella e scese
di nuovo
i gradini, dirigendosi verso la solita saletta ristoro.
Incrociò
Daryl sulla porta, seguito da Oscar e Carl, ma questi ultimi due
proseguirono lasciandoli soli.
<<
Vado con Carl e Oscar a fare un giro nei corridoi. Controlliamo che
non ci sia rimasto nessuno zombie da ieri. >>
informò lui,
come se fosse stato tenuto a farlo. Ocean annuì
<< Ok. Io
resto un po' con Molly. Ha bisogno che qualcuno le stia più
dietro,
quella bambina è troppo sola. >>
Questa
volta ad annuire fu Daryl. Sapevano entrambi quanto Molly soffrisse
quella situazione, sola e sempre in fuga, e anche ora che finalmente
avevano trovato un posto tranquillo non poteva che starsene per conto
proprio a giocare con la sua bambola, in compagnia, qualche volta, di
Beth o Carol. Ma ora Carol era morta e Beth era sempre impegnata a
tenere la nuova nascitura.
<<
Bene. >> disse lui semplicemente prima di riprendere il
suo
percorso, dietro ai due che l'avevano lasciato poco prima, diretto
alla sua "camera" per prendere balestra e frecce.
<<
Daryl, senti... >> lo fermò Ocean voltandosi
immediatamente,
senza aspettare che fosse troppo lontano per parlargli. Il ragazzo si
fermò a guardarla, aspettando di sapere cosa avesse da
dirgli.
Possibile non ci arrivasse da solo? Possibile non avesse niente da
dire riguardo alla sera prima? Sembrava se ne fosse dimenticato:
nè
un cenno, nè uno sguardo o una parola. Come se niente fosse.
Ma lo
stesso non valeva per lei. Aveva passato una notte in bianco a
rimuginare e sentire lo stomaco attorcigliarsi più volte,
cercando
di snodarsi e uscire da quel labirinto, cercando di capire cosa fosse
successo e soprattutto perchè.
Ma
alla fine...cosa si aspettava? Lei era una ragazza, era ovvio che a
certe cose dava peso. Lui... beh, non sembrava proprio il tipo.
Una
botta e via, dicevano in Italia.
<<
...per ieri sera... >> cominciò lei abbassando
gli occhi e
accarezzandosi la nuca imbarazzata << ...Io non...non
volevo,
ecco. Non voglio rovinare tutto, è stato... >>
<<
...Un attimo di confusione. >> la anticipò
lui. Ma allora era
d'accordo con lei! Ci aveva pensato, non si era dimenticato. Ocean
alzò lo sguardo soddisfatta, si era tolta un peso dal cuore,
e annuì
sorridente << Sì. Abbiamo passato una brutta
giornata, eravamo
stanchi e confusi, non eravamo lucidi. >> aveva smesso di
balbettare. Si era sentita decisamente meglio.
Era
stato bello, sicuramente un'esperienza da ricordare, ma non voleva
che niente cambiasse. Lei non provava niente per Daryl se non
profondo affetto, non era decisamente il tipo con cui avrebbe
intrapreso una relazione. Ma non voleva perderlo per una sciocchezza
da ragazzini in preda agli ormoni.
<<
Certo. >> annuì lui abbassando per un attimo
gli occhi e
allontanandosi subito dopo.
Qualcosa
era andato storto.
Ocean
aggrottò la fronte: erano d'accordo, avevano pensato la
stessa cosa,
lui stesso l'aveva anticipata dicendo che era stato un errore, eppure
era stato così strano. Raramente i suoi occhi permettevano
di vedere
cosa ci fosse lì dentro, erano spesso velati da uno spesso
strato di
disprezzo e violenza. Non che fosse davvero così, ma faceva
la parte
del cattivo ragazzo. Eppure le era parso, quella volta, di cogliere
qualcosa in quegli occhi schivi e freddi, qualcosa che tanto
somigliava...alla delusione.
Che
ci fosse rimasto male?
Scosse
la testa. Probabilmente l'aveva solo immaginato. Forse erano solo i
suoi desideri proiettati nei suoi occhi: alla fine, per quanto
sentisse che era giusto così, la sua parte femminile urlava
sdegnata
per essere stata "usata", anche se era ridicolo. Ma quale
donna accetta di essere trattata come quella sera per poi essere
"scaricata"? Anche se era proprio quello che voleva.
Orgoglio.
Sì,
probabilmente si era sbagliata.
Entrò
nella saletta e si guardò attorno. Ormai era deserta, ognuno
era
tornato ai propri posti e ai propri incarichi. Solo una figura
giaceva a terra, seduta con la schiena poggiata al muro, e i lunghi
capelli rossi sciolti sulle spalle. Ocean le si avvicinò e
silenziosa si mise a sedere vicino a lei. Non era più la
bambina
allegra e vitale che era stata un tempo. Quel mondo stava uccidendo
anche lei. Doveva salvarla.
Si
allungò a prendere uno dei fogli di carta che aveva di
fronte, unica
fonte di distrazione che a volte aveva e sempre in silenzio
tornò a
poggiarsi al muro, piegando più volte il foglio tra le mani.
Ne
costruì un aereoplanino, alitò sulla punta e poi
lo fece volare,
facendolo cadere neanche un metro da loro. Molly guardò
l'aereo
sorpresa, ma non disse niente.
Ocean
si piegò in avanti, prese un altro foglio e fece un altro
aereo.
<<
Tieni. Prova tu. >> disse porgendolo alla rossa. Molly
afferrò
il foglietto piegato come aveva visto fare alla ragazza e lo
guardò
per un minuto curiosa e sorpresa, prima di lanciarlo come poteva,
facendolo schiantare di punta proprio davanti ai suoi piedi.
Ocean
rise divertita e lo afferrò di nuovo. Stirò le
pieghe che si erano
formate nella caduta e lo porse nuovamente alla bambina, ma non senza
prima aver di nuovo alitato sulla punta. Non sapeva a cosa servisse,
non l'aveva mai saputo, ma sapeva che andava fatto così.
<<
Lancialo così. >> spiegò afferrando
la manina piccola e
delicata nella bambina e guidandola nella sua traiettoria.
Questa
volta l'aereoplano andò poco più lontano. Non
raggiunse il
compagno, ma almeno un po' era volato.
<<
Mi insegni? >> chiese Molly voltandosi a guardarla con
gli
occhi incuriositi << Mi insegni a costruirlo?
>>
<<
Certo! >> disse Ocean entusiasta, prendendo il terzo
foglio di
carta che aveva davanti e cominciando la sua lezione di "piegamento".
<<
Ora prova tu. >> invitò, lasciando che la
piccola se la
cavasse da sola. Ci mise un po', sbagliando qualche passaggio
all'inizio, ma dopo un paio di correzioni Molly riuscì a
costruire
il suo primo aereoplanino di carta. Provò a lanciarlo...e di
nuovo
cadde davanti ai suoi piedi.
Ocean
rise ancora << Imparerai. Devi esercitarti tanto.
>>
sorrise e Molly corse a prendere altri fogli. Si sedette di nuovo
vicino alla ragazza e riprese a costruire aereoplani, sotto lo
sguardo attento e vigile di una mammina che tanto aveva promesso e
che, come tutte le mamme, poi se n'era dimenticata.
<<
Sai cosa mi manca più di tutti? >>
mormorò dopo un po',
poggiando la testa dietro di sè. Sorrise e si
voltò a guardare la
piccola che aveva interrotto i suoi esercizi per poterla ascoltare
curiosa.
<<
Il gelato! >> ammise la ragazza avvicinandosi al suo
orecchio,
come fosse stato un segreto. Molly annuì energicamente
<<
Anche a me! >> poi ci pensò un po'
<< Tu mangiavi il
gelato? >>
Ocean
la guardò sdegnata e offesa << Se mangiavo il
gelato? Tesoro,
io ero la Regina dei mangiatori di gelato! Il mio preferito era
quello al cioccolato. >>
<<
Anche il mio! >> esultò la bambina,
sorridendo. Nei suoi occhi
opachi si intravide una piccola scintilla. Ancora troppo debole e
sola, ma pur sempre un inizio.
<<
No? >> chiese Ocean fingendo incredulità
<< Sul serio?
Non ci credo! Allora abbiamo gli stessi gusti! >>
<<
E il tè alla pesca! >> disse la bimba ancora.
<<
Adoro il tè alla pesca! >>
assecondò Ocean << E la
pizza! Ti piaceva la pizza? >> Molly annuì
ancora e Ocean
tornò a guardare davanti a sè, sentendosi
l'acquolina in bocca <<
Una sottile pizza napoletana, come quella che faceva la pizzeria di
fiducia dietro casa mia, la più buona del mondo, col bordo
alto,tanta mozzarella, funghi e prosciutto cotto. >> lo
stomaco
brontolò rumorosamente in risposta alle sue languide
fantasie e
questo fece scoppiare a ridere tutte e due.
Il
sole era sorto di nuovo.
Nessuna
delle due si era posta il problema che quelle fossero e sarebbero
rimaste solo fantasie. Non importava. Anche solo ricordare certe cose
bastava.
E
il sole raggiunse il suo punto più alto con una
velocità che da
tempo non ricordava.
<<
Devi proprio andare? >> chiese Molly tirando i pantaloni
di
Ocean per attirare la sua attenzione, distraendola dal suo lavoro:
stava sellando Peggy, preparandosi per seguire Maggie e Glenn nella
cittadina lì vicino. Poi si sarebbero separati e avrebbero
cercato
ognuno per conto proprio. Era una gioia per Ocean, anche se uscire
metteva paura: adorava girovagare in sella alla sua adorata Peggy, a
fianco del suo fidato Max. Lo aveva fatto così a lungo, e
ora invece
era diventata una rarità. Ne sentiva la mancanza.
Si
voltò a guardare la bambina << Torno presto.
>> sorrise.
Molly
non sembrò convinta << Resti con me? Possiamo
giocare ancora!
>> cercò di convincerla.
Ocean
sorrise ancora intenerita e le diede un bacio sulla fronte
<<
Quando torno giocheremo tantissimo. E ti prometto che ti
porterò un
regalo. Magari qualche gioco nuovo. >>
Molly
sembrò illuminarsi << Vorrei un libro!
>>
<
<<
La mamma mi leggeva sempre un libro prima di andare a letto.
>>
arrossì di colpo << Magari potresti
leggermelo, qualche volta,
la sera. >>
Il
cuore di Ocean sembrò esplodere. C'era così tanta
tenerezza,
tristezza e malinconia in così poco. Gli occhi le si
inumidirono e
per non farsi vedere in quello stato, abbracciò la bambina.
<<
Ti porterò il libro più bello che ci sia.
>> sussurrò
lottando contro il nodo che si stava formando in gola per la
commozione.
<<
Ora vai. Hershel ti sta aspettando. Ha bisogno di una buona
assistente. >> le fece l'occhiolino e Molly si
esaltò ancora
<< Sì, ha detto che sono stata brava con la
Signorina Rosie!
Vuole ancora il mio aiuto! >>
<<
Bravissima! Vai! >> la incoraggiò
<< Ci vediamo più
tardi. >> salutò vedendola correre via nella
sua gonna sempre
troppo ingombrante. Si fermò, si voltò e alzando
la mano sopra la
testa salutò energicamente << Ciao a dopo!
Torna presto! >>
<<
Pronta, Ocean? >> chiese Glenn prima di dirigersi
all'auto,
distraendo la ragazza dal suo saluto intimo con il suo piccolo
tesoro.
<<
Sì, datemi un ultimo minuto. >> disse prima di
allontanarsi
tenendo tra le mani le redini della cavalla. Si avvicinò
rapidamente
alle lapidi improvvisate che avevano dedicato alle tre morti del
giorno prima. Il funerale era stato rapido e doloroso, anche
perchè
c'era ancora tanto da fare e Rick continuava a stare nascosto nei
corridoi della prigione. E lei...beh, aveva osservato un po' da
lontano. Non si era voluta inserire. Non aveva voluto piangere. Ma
non per questo li aveva dimenticati.
Si
fermò a osservare le lapidi qualche istante, pensierosa e
rammaricata. Il foulard di Carol era stato legato e ben stretto
intorno al suo bicipite, in segno di lutto. E probabilmente sarebbe
rimasto lì a lungo. Abbassò gli occhi e
sospirò.
Lasciali
andare.
Infilò
la mano dentro la camicia e tirò fuori il suo ciondolo a
fiore. Si
avvicinò alla prima lapide, quella dedicata a Lori e si
inginocchiò
lì davanti. Staccò un petalo dal suo fiore,
sforzandosi un po',
fece poi una piccola buca con le dita e lo posò dentro.
Ricordò il
sorriso di Lori mentre ricopriva quel piccolo pegno. Ricordò
la sua
voce. Il suo amore per Carl.
Non
avevano mai legato troppo, ma non per questo non meritava di essere
ricordata e salutata. Lei era il cuore di Rick, e ora che era morta
Rick era caduto. E senza lui tutti loro erano in bilico e distrutti.
Si
spostò di qualche passo, arrivando di fronte alla lapide di
T-Dog e
ripetè la stessa operazione. Staccò un petalo e
lo sotterrò lì
davanti.
E
ricordò.
Ricordò
il suo silenzioso sostegno, il suo essere sempre pronto ad aiutare e
buttarsi nel pericolo solo per poter salvare una vita in più.
E
un altro petalo per Carol.
Sorrise
nel ricordare la prima volta che le aveva offerto la colazione nel
tentativo di far amicizia. Sorrise nel ricordare le domande che le
faceva, curiosa e desiderosa di avere la sua forza non sapendo che
già ce l'aveva; nel ricordare la loro fuga dalla fattoria,
la
dolcezza con cui lei le parlava e tentava di farla ridere; il
sostegno; le battute che le rivolgeva quando lei imparava a sparare
mentre Ocean continuava a restare la solita imbranata.
Una
lacrima le rigò il viso, lacrima che venne subito asciugata
dal
dorso della mano.
Accarezzò
il petalo a lei destinato prima di sotterrarlo.
<<
Addio, amica mia. >> disse senza impedire ancora alle
lacrime
di bagnarle il viso. Non ne venne distrutta, ma lasciava che
scorressero via e dava loro il giusto rispetto.
Restò
lì con loro qualche altro minuto, poi ricacciò il
ciondolo dentro
la camicia e tornò al cancello con Peggy, dove ad aspettarla
ansiosi
c'erano già pronti Glenn, Maggie e Max.
<<
Siamo pronti! Possiamo andare! >> annunciò
cercando di
ricomporsi. Salì a cavallo tornando a rimirare il mondo da
lassù.
Max salì in macchina insieme alla coppia. Axel
aprì il cancello,
permettendoli di uscire, e il mondo si preparò a riceverli.
<<
Ci ritroviamo qui tra un paio d'ore. >>
comunicò Ocean, mentre
aspettava che Max fosse scaricato dall'auto << Perlustro
la
zona a ovest, voi andate a est. >>
<<
Ok, a più tardi. >> disse Maggie dal
finestrino abbassato.
<<
Non allontanarti troppo, dobbiamo essere a portata di sparo se
succede qualcosa! >> disse Glenn dal lato del guidatore.
<<
Sì, non temere! >> rassicurò Ocean
prima di partire nella sua
direzione, separandosi dalla coppia, seguita da Max. Si inoltrarono
per le stradine deserte della piccola città rurale: era
davvero
molto piccola, ci avrebbero messo poco a visitarla tutta. Forse due
ore erano anche troppe.
Scese
da cavallo alla prima casa incontrata e legò Peggy a un palo
lì
vicino.
Sfoderò
la sua spada e incitando il cane a seguirla si avvicinò
silenziosa
all'entrata. Aveva il cuore che batteva a mille, l'adrenalina era
tornata a scorrere nelle sue vene, ed era felice di poter di nuovo
girare da sola, senza preoccuparsi di guardare le spalle degli altri.
Diede
un paio di colpi alla porta chiusa, aspettando per sentire se c'era
movimento all'interno. Silenzio. Entrò aprendo lentamente.
La casa,
come molte altre, era sottosopra. Silenziosa e rapida entrò
nella
prima stanza, poi nella seconda e con tranquillità
ispezionò
l'abitazione completa.
<<
Neanche un pannolino. >> brontolò uscendo,
seguita come al
solito da Max << Pare che questa famiglia non avesse
figli, non
c'è neanche un giocattolo. >> disse
avvicinandosi a Peggy e
cominciando a slegarla.
Uno
sparo.
Sobbalzò.
Guardò
verso est. Proveniva da lì.
Il
cuore cominciò a martellarle in petto.
Glenn...Maggie!
<<
Merda! >> brontolò cominciando a tremare. Lo
sparo improvviso
l'aveva terrorizzata. Credeva fosse deserto quel posto, non aveva
visto mandrie in giro. Che diavolo era successo? Slegò Peggy
il più
rapidamente possibile e salì in sella, prima di correre
più veloce
che potè verso il luogo.
Rimasero
nell'ombra, coperti dagli alberi.
Fece
cenno a Max di stare buono e in silenzio, e ringraziò
l'intelligenza
del cane.
C'era
una persona seduta in terra e teneva Maggie ben stretta, con una
pistola puntata alla sua tempia.
<<
Io lo conosco. >> sussurrò mentre un flash le
balenò in
testa. Quella era l'uomo che aveva visto passare in jeep tempo prima,
quando era andata in giro sola, senza Max e Peggy, poco prima di
ritornare alla fattoria del suo vecchio gruppo. Le era rimasto
impresso il coltellaccio che aveva al posto di una mano: neanche
fosse stato capitan uncino!
<<
Sali in macchina Glenn! Guidi tu! >> minacciò.
"Lo
conosce"
pensò. Glenn non
sarebbe stato mai così idiota da dire il suo nome al primo
malcapitato, sicuramente se lui sapeva come si chiama era
perchè si
conoscevano già da prima.
"Chi
diavolo è?"
pensò ancora
mentre vedeva la scena svolgersi davanti a sè. Glenn fece
come disse
l'uomo, entrarono tutti e tre in macchina e in poco tempo partirono.
<<
Max stai qui! >> ordinò facendogli un cenno
con la mano.
Avrebbe dovuto correre per riuscire a stargli dietro, il cane non
avrebbe retto a lungo. Max mugolando, triste per non poter stare
insieme alla sua padrona, si acquattò, abbassando le
orecchie.
<<
Bravo. Stai qui! >> ordinò ancora prima di
speronare la
cavalla e correre rapida dietro l'auto, qualche metro dietro, sempre
tenendosi più o meno nascosta dagli alberi a bordo strada,
in modo
da non farsi notare. Se si fosse buttata a capofitto in un
salvataggio da sola probabilmente ne sarebbe uscita distrutta. Doveva
agire nell'ombra, scoprire dove li stava portando prima di tutto e
poi sarebbe tornata alla prigione, avrebbe riunito il gruppo e
sarebbero andati a salvarli insieme.
Legò
la cavalla a un albero. Il sole stava cominciando a calare, la sera
stava arrivando. Le fece una carezza sul muso e le dedicò un
po' di
dolcezza, sperando di tranquillizzarla.
<<
Arrivo. >> bisbigliò << Mi
avvicino solo per vedere
meglio. Torno subito. >>
Seguendo
l'auto era arrivata a quella che sembrava una città
fortificata.
C'erano mura di pneumatici tutte intorno, ma da dentro arrivavano
voci e rumori, segno che era abitato. Delle persone facevano avanti e
indietro sulla cima del muro, come sentinelle, ben armate. Quatta e
coperta dall'ombra della sera e dagli alberi si avvicinò a
sufficienza per riuscire a vedere la scena che si stava svolgendo a
quella che sembrava un'entrata secondaria.
Un
uomo uscì dal cancello e si avvicinò al
finestrino dell'auto,
chinandosi per parlare con chi stava dentro. Fu una conversazione
rapida perchè tempo qualche secondo e l'auto
ripartì, entrando in
città, seguita poco dopo dall'uomo che aveva parlato con
loro.
Ocean
ebbe un tuffo al cuore.
<<
No. >> si sorprese a sussurrare.
Lo
conosceva! Conosceva quella persona! Come avrebbe potuto scordarla?
Si
sentì mancare.
I
fantasmi erano tornati a urlare "aiuto" in lontananza.
Serrò
la mascella e costrinse una lacrima a tornare indietro.
<<
Vaffanculo. >>
si ritrovò a singhiozzare in Italiano. Strinse tra le dita
quel ramo
che aveva afferrato, per spostarlo un po' e permetterle di vedere. Lo
strinse talmente forte che lo spezzò.
Lasciali
andare
suggerì una voce nella
sua testa.
<<
Non questa volta. >>
ringhiò prima di sfoderare la pistola << Non
questa
volta. >>
Un
colpo di pistola costrinse l'uomo di guardia sul muro a voltarsi,
sussultando. Un suo amico, da sotto, lo guardò spalancando
gli occhi
<< Era fottutamente vicino!! >> disse e si
avvicinò al
camioncino parcheggiato poco lontano. Afferrò un fucile e se
lo
appese in spalla, prima di correre verso il cancello <<
Presto,
apri! John! >> chiamò << Vieni
con me, sbrigati! >>
Un
altro ragazzo dai capelli degni di Bob Marley corse verso di lui,
litigando con il fucile che faticava a stare in spalla.
<<
Sta facendo buio. Tenete gli occhi aperti! >>
suggerì l'amico
sul muro.
Il
cancello si aprì e i due corsero fuori, dirigendosi verso il
punto
dove avevano sentito il colpo di pistola. Nel frattempo un gruppo di
4 o 5 zombie sbucò dagli alberi, sulla destra del cancello.
Il
ragazzo di guardia puntò i suoi occhi, e il mirino del suo
fucile
con silenziatore, verso gli intrusi. L'altro uomo, l'addetto alla
chiusura e apertura del cancello, si affacciò, prima di fare
il suo
lavoro, e diede una mano al compagno con la sua pistola.
Presi
dal loro lavoro, nessuno notò l'ombra che acquattata era
sgattaiolata dietro l'uomo al cancello, dentro le mura e si era
infilata nel primo cespuglio a sinistra, appena dentro.
Ocean
uscì lentamente la testa, controllando la situazione. C'era
un paio
di uomini che passeggiavano non molto lontano, ma non erano troppi e
sicuramente non erano preoccupati di un'eventuale intrusione.
Cercando
di restare bassa e silenziosa sgattoiolò dietro un bidone
della
spazzatura, poco lontano dal suo cespuglio, e di nuovo si sporse per
guardare e controllare che nessuno l'avesse vista. Il ragazzo addetto
al cancello rientrò, chiudendoselo alle spalle, e l'uomo sul
muro
tornò a passeggiare avanti e indietro. Avevano fatto fuori
gli
zombie che Ocean aveva attirato lì con l'intenzione di
distrarli, e
gli altri due erano ancora persi tra gli alberi a cercare la pistola
che aveva sparato. A cercare la sua pistola. Quella che in
realtà
sarebbe dovuta servire solo per comunicare a Glenn e Maggie che era
in pericolo.
Aspettò
che il tipo sul muro le voltasse le spalle per controllare la zona
dietro e cominciò a correre, sempre bassa, lungo il
perimetro della
casa che fiancheggiava. Svoltando l'angolo si trovò di
fronte a un
piccolo cortiletto, con qualche sedia sparsa, qualche rottame e
un'auto abbandonata. Non sembrava esserci nessuno. Poco più
avanti
continuava un vialetto, diretto chissà dove. Ocean
schiacciò le
spalle al muro e attraverò il cortile, diretta al vialetto.
Non
aveva la più pallida idea di dove stesse andando, aveva solo
un
obiettivo in testa e cercava di seguire l'istinto. Ma non conosceva
il luogo e non sapeva dove poteva essersi cacciato. Ma
chissà che
alla fine cercando cercando non l'avrebbe trovato.
Si
fermò a una porta, probabilmente un'entrata sul retro di
quella che
sembrava una baracca, e lì fu costretta a inchiodarsi,
quando essa
si aprì. Un uomo uscì a passo leggero e sicuro,
con una sigaretta
tra le labbra, mormorando qualcosa a chissà chi dietro di
lui, poi
la socchiuse. Ocean strinse la pistola che aveva tra le mani: la
odiava. Ma metteva paura. E questo bastava.
Si
avvicinò rapidamente,approfittando delle sue momentanee
spalle e gli
puntò la pistola alla testa, togliendo la sicura. Il rumore
metallico fece irrigidire tanto l'uomo che la sigaretta gli
scappò
dalle labbra e alzò lentamente le mani.
<<
Ciao. >> salutò lei tranquilla e sicura
<< Mi inviti a
cena? >> chiese sarcastica.
L'uomo
cercò di cacciare gli occhi indietro nel tentativo di capire
chi lo
stesse minacciando << Cosa vuoi? >> chiese
semplicemente.
<<
Sto cercando un tuo amico. Poco più basso di te, quattro
capelli
neri in testa ben diradati, baffetti ridicoli e occhi color vomito.
>>
L'uomo
aggrottò la fronte, non riuscendo a capire di chi diavolo
stesse
parlando << Indossava una stupida camicia a quadri rossa,
stasera. L'ho visto fuori dal cancello, è andato a parlare
con i due
prigionieri che avete preso stasera. >>
<<
Noi non abbiamo nessun prigioniero. >> disse l'uomo.
<<
Stronzate!! >> sibilò Ocean premendo la canna
della pistola
contro la sua nuca, costringendolo a ripetere a mitragliatrice
<<
Ok, ok, ok. >> impaurito.
<<
C'è un tuo amico dentro? >> chiese Ocean
riferendosi alla
persona con cui aveva parlottato prima di ricevere la sua pistola
alla testa << Digli di chiamarlo. Se provi ad accennargli
che
sono qui ti ammazzo! >>
L'uomo
non aggiunse altro e lentamente si voltò e provò
ad abbassare le
mani << Tienile su!!! >>
minacciò Ocean premendo ancora
la pistola contro la vittima.
<<
Se mi vede con le mani alzate sospetterà qualcosa, non
credi? >>
provocò l'uomo.
Ocean
si fece avanti di un passo e prese la sua mano sinistra,
l'alzò e la
premette contro la porta che ora era accostata << Lei sta
qui.
>> suggerrì << L'altra al muro.
Lì, ben alzata. Così
sembrarà che tu sia solo appoggiato. Apro io la porta.
>>
L'uomo
così si fissò con le mani alte e ben piantate una
alla porta
leggermente socchiusa e l'altra al muro vicino. Ocean accanto a lui
cercò di restare nascosta, ma teneva sempre d'occhio e sotto
tiro
l'uomo che aveva davanti. Aprì di qualche centimetro la
porta, quel
tanto che bastava per permettergli di affacciarsi e lo
incalzò a
parlare.
<<
Ehy, Rob. >> chiamò all'interno. Il suo amico
rispose a
monosillabo, dalla voce sembrava distante qualche metro, forse in
fondo al corridoio dove si affacciava l'uomo.
<<
Va' a chiamare Mickey, per farvore. >>
<<
Vattelo a chiamare da solo, amico! Non rompere le palle a me.
>> borbottò la voce scocciata dall'interno.
<<
Rob!!! >> lo richiamò ancora.
<<
Non fare facce, ti vedo. >> bisbigliò Ocean,
tenendolo
d'occhio.
<<
Fai come ti ho detto! E' urgente, per favore! >>
brontolò
l'uomo sotto pressione. Stava cominciando a sudare freddo. A nessuno
piace avere una pistola carica puntata alla nuca.
<<
Che palle, va bene, vado. >> sbuffò la voce.
Si
sentirono dei passi allontanarsi e i due rimasero per un attimo tesi,
poi l'uomo tirò un sospiro e ritirò indietro il
viso, cercando di
guardare la ragazza.
<<
Ho fatto come volevi. Ora lasciami andare. >>
Ocean
scoppiò a ridere << Sono donna, non scema!
>>
<<
Cos'hai intenzione di fare, si può sapere? >>
brontolò
l'uomo, visibilmente irritato per quella situazione.
<<
I miei ragazzi sono qui nei paraggi, hanno accerchiato il vostro
campo, siamo un centinaio. Appena li faccio un cenno loro invaderanno
la vostra cittadina del cazzo. >>
<<
Menti. >>
<<
Vuoi provare? >> sorrise maliziosa Ocean <<
Ma dimmi.
Come vanno le cose a casa, eh? Tutto bene? Moglie? Figli?
>>
sorrise ancora. E risultò ancora più inquietante.
C'era una luce
nei suoi occhi, un fuoco ardente, ma il suo viso angelico ingannava.
Era come l'immagine di una bambina che aveva il diavolo negli occhi:
metteva i brividi.
L'uomo
deglutì ma non rispose.
<<
Andiamo. Non vorrai deludermi. >> insistette Ocean.
<<
Non ho moglie. >> ammise lui. Era un fascio di nervi,
glielo si
poteva vedere perfino nelle dita che se avessero potuto avrebbero
scavato solchi nel metallo della porta e del muro.
<<
Ah no? E com'è che ti chiami? Potrebbe interessarmi.
>>
sorrise lei maliziosa. Si stava prendendo gioco di lui, glielo si
leggeva negli occhi. E questo lo mandava ancora di più su
tutte le
furie. Non rispose, ma la loro chiacchierata fu interrotta da un
sonoro e agitato << Ehy!!! >> provenire
dalle spalle di
Ocean.
Si
voltarono entrambi e lei ebbe la prontezza di afferrare all'istante
l'uomo per il collo della maglia e tirarselo davanti, costringendolo
sempre con la pistola a seguire i suoi movimenti. Degli spari
partirono, ma Ocean non ebbe tempo nè modo di vedere chi
fosse stato
ad averli aggrediti. I proiettili avevano colpito l'uomo che aveva
usato da scudo, poi velocemente si era infilata all'interno della
baracca ed era scappata lungo il corridoio. Sentì il cigolio
della
porta all'entrata: chiunque l'avesse vista e aggredita era entrato,
ma ancora riuscì a evitare gli spari, svoltando appena in
tempo.
<<
Ferma!! >> urlò ancora la voce.
<<
Che succede? >> gli fece eco un'altra sbucata da
chissà dove.
Ocean
si infilò la pistola nella cintura dei pantaloni e si
fiondò contro
un'altra porta, sperando di aver indovinato e che avesse dato
sull'esterno. La spalancò e uscì fuori senza
neanche guardare,
preoccupata solo di chiudersela alle spalle in tempo per fermare i
proiettili che ancora tentavano di raggiungerla.
<<
E tu chi diavolo sei? >> un'altra voce.
Sfoderò la spada ben
prima di voltarsi e la puntò al suo interlocutore.
Spalancò
gli occhi e serrò la mascella.
<<
Tu. >> sibilò.
L'aveva
trovato.
L'uomo
intuì che la ragazza lo conosceva perciò
arricciò le sopracciglia,
cercando di mettere a fuoco.
Poi
si illuminò.
<<
Mi ricordo di te. >> disse poco prima di assumere un
ghigno. Un
misto tra l'assurdo e il divertito.
<<
Sei ancora viva. >> aggiunse incredulo.
<<
Tornata dalla tomba per ucciderti. In ginocchio! >>
ordinò,
notando che l'uomo ancora non aveva sfilato dalla fondina la sua
arma. Alle sue spalle la porta in ferro si spalancò e ne
uscirono
tre uomini, che subito andarono ad accerchiare la coppia.
<<
Andiamo, non fare sciocchezze. Non vedi che sei decisamente messa
male? >> constatò con sicurezza l'uomo dalla
camicia a quadri
rossa. Ma Ocean non sembrò voler cedere. Aveva il fiato
pesante che
le faceva alzare e abbassare ritmicamente le spalle. I denti ben
serrati avevano cominciato a farle male. Lo sguardo sembrava stesse
uccidendo al posto della spada.
Non
si rendeva pienamente conto di ciò che stava succedendo. Non
vedeva
niente intorno a sè. Nè la cittadina sconosciuta,
nè gli uomini.
Nessuno. Solo quel fottuto stronzo dalla camicia rossa a quadri. E
detestava vederlo ancora in piedi che respirava e parlava.
<<
In ginocchio. >> sibilò ancora, minacciosa.
<<
Abbassa l'arma. Non hai nessuna possibilità.
>> invitò ancora
l'uomo e coraggiosamente portò una mano davanti a
sè, poggiandola
sulla spada e cercando di scansarla lentamente.
<<
Brava. Così. >> disse vedendo come il suo atto
sembrava stesse
riuscendo. La lama stava cominciando ad abbassarsi sotto al suo
tocco.
<<
Possiamo parlare. Non ti faremo del male se collabori. >>
continuò la sua opera di convincimento.
E
quasi sembrava esserci riuscito, quando Ocean con un colpo secco
roteò la spada e la fece volare verso l'alto, portandosi
dietro il
dito mignolo dell'uomo, il quale urlò dal dolore e non
potè che
chinarsi in avanti, sopraffatto e sorpreso.
Lanciò
alla ragazza davanti a sè lo sguardo più furioso
che avesse mai
sfoderato prima di allora.
<<
Finirai all'Inferno, ragazzina. >> minacciò
lui.
<<
Tu verrai con me. >>
N.D.A
Ciaooo
sono sempre iooo, il vostro capoooo *cit*
xD
Sono
super rapidissima in questo periodo!!! *swiiiiiishhhh*
Ok....
perchè il capitolo si intitola Zombie se in
realtà gli zombie non
si vedono manco una volta?? (apparte quelli che lei attira alle mura
di Woodbury... Ma sono solo state comparse, non le ho manco pagate se
non in buoni pasti da 5 euro u.u)
Perchè qui lo zombie è lei.
E'
uno zombie quando accecata dalla rabbia dimentica il piano originale
(tornare alla prigione e avvertire gli altri) ma si tuffa senza manco
un piano in mezzo al nemico. Guidata solo da istinto, niente
razionalità, e, sempre mossa dal suo istinto e dalla sua
"fame",
prosegue.
E'
uno zombie quando dice "tornata dalla tomba per ucciderti".
Sì, perchè lei è tornata...doveva
essere morta e invece è
tornata.
Maaaa...chi
sarà questo misterioso uomo dalla camicia a quadri rossa? :3
lo
scoprirete nel prossimo episodio!
*parte la sigla* naranaaaannaaaa
narananaaaa naràààà
nanaranannaaaaaa naranannaaaaaaaa
narààà....