Ciao a tutti^^
Faccio subito una premessa: questo
capitolo non doveva
esserci, questa situazione di “stallo” non era
prevista. Ma avevo troppa voglia
di scrivere qualcosa di biografico xD
Dalla prossima volta si ritorna
alla trama originale^^
Grugnì
e mi fece scansare da parte
per scrutare il giardino della casa; dopo aver scoperto che
l’unica anima
ancora viva nel raggio di dieci metri ero io, mi guardò:
“E tu cosa mi
rappresenti?”.
Non
risposi. Non risposi non perché
ero ancora scosso dall’aver scoperto di essere ancora salvo,
ma ero scosso da
lui, dalla sua persona; non l’avevo mai visto senza la
maschera, le uniche
informazioni che avevo sul suo aspetto fisico erano che aveva gli occhi
chiari
e che era alto più di me.
Lo
ammetto, feci molta fatica a
riconoscerlo nell’uomo dal volto scoperto che mi si parava
davanti con
espressione scocciata per il mio silenzio, che durò fino a
quando non mi
schioccò le dita davanti al naso urlando qualcosa come
“Ciuchè!”, uno di quei
trucchetti che si usano per distrarre i bambini.
Mi
scossi dal mio torpore e blaterai
qualcosa come “Non mi aspettavo di vederti” o
“Potrei farti la stessa domanda”;
non ricordo, mi limitai a seguirlo nella casa al suo cenno. Ad ogni sua
mossa
continuavano ad apparirmi spicchi di personalità che non
avrei mai creduto che
lui potesse avere; il suo cenno era autoritario e allo stesso tempo
carismatico, non potei evitare di obbedirgli. Non so se questo mio
atteggiamento era dettato dal sentimento di sorpresa che ancora mi
pervadeva
o chissà
cos’altro, ma lo seguii.
Arrivammo
in soggiorno, dove un
ragazzotto steso accanto alla finestra stava assaporando gli ultimi
agonizzanti
attimi della sua vita, attraverso sospiri delicati e a malapena
percettibili,
che, però, il mio nuovo compagno sentii distintamente. Si
avvicinò a quello che
riconobbi come uno dei figli del padrone di casa e gli
sferrò un violento
calcio sul collo che lo fece rantolare per l’ultima volta;
sussultai schifato
e, come per consolarmi, mi disse: “Si chiama mala
provvidenza” mi disse,
chinandosi sul cadavere come se volesse baciarlo per ridargli un alito
di vita.
Costatato
il decesso, si spostò
dall’altro lato della stanza, verso una grossa libreria,
aprì la vetrata e
cominciò a scorrere i titoli dei libri, prendendone, di
tanto in tanto,
qualcuno: “Come mai sei finito qui?” mi chiese,
mentre afferrava un piccolo
libricino rosso. Mi strinsi nelle spalle e mi avvicinai: “Lo
stesso tuo motivo,
immagino. Fuga.” Sbuffò e lanciò il
libro dietro di sé, lungo la stanza; con un
nuovo moto di disgusto, constatai che cadde sul braccio inerme del
ragazzo
appena morto: “Dal passato?”
“…anche” la mia risposta poco convinta
lo
costrinse ad alzare gli occhi da un secondo libro, per puntarli contro
di me.
Rimasi stupito dalla facilità con cui riuscì a
leggere una nota di rammarico
nella mia voce, un senso di incompletezza. Non credevo che una persona
come lui
fosse così attento alle parole degli altri:
“Quell’anche” mi disse:
“Sottolinea
che c’è qualcosa di più del passato che
ti da fastidio. Sbaglio?” scossi la
testa: “Cos’è?”
tornò a passare le dita sulle pagine ruvide del libro.
Non
risposi. NON volevo rispondere.
Perché dovevo condividere con lui delle informazioni che
consideravo mie, solo
mie e assolutamente intime, intoccabili. Tranne che per Edmund.
Feci
finta di nulla e mi misi a
leggere alcuni titoli conservati nella libreria: “Toh,
guarda” dissi stupito:
“Leggevano Kant” ridacchiai al pensiero di
contadinotti che all’ora di cena,
appena dopo aver riposto le zappe e i restrelli, leggevano di filosofia
“Che
cosa di preciso?” “La critica della ragion
pratica” scrollò le spalle e tornò
alla sua lettura: “Già letto”.
Lo
guardai stupefatto. Già letto? Già
letto??!! Ma lui non era quello che pensava solo ai soldi? Quello che
leggeva
solo le taglie dei ricercati? E ora… legge Kant. Non è che
sapessi molto chi fosse di preciso questo
Kant, ma mi capita spesso di sentirlo nominare dai ragazzini, mentre
sto
facendo qualche lavoretto di manutenzione nella scuola. Tutto
ciò che so è che
rientra nell’argomento “filosofia”, ma
non saprei dire altro. Così, per
continuare il gioco, lessi anche i titoli dei libri vicini, i cui
autori
rientravano nella mia categoria di “filosofia”:
contai almeno altri dieci libri
sull’argomento che lui aveva letto.
Il
gioco finì quando gli proposi un
titolo di un tale
Stephen King e venni
severamente ripreso per il fatto che quest’ultimo non fosse
un autore di
filosofia. Però aveva letto anche quel libro.
Mi
sorpresi a fissarlo mentre leggeva
e scartava un libro dopo l’altro. Mi sorpresi che non lo
stavo fissando con
cattiveria, ma lo stavo studiando con attenzione e
curiosità. Era, come dire…
strano. So che mi aveva sempre stupito per il colorito della sua pelle,
che
tanti amavano definire “caffélatte” un
po’ per schernirlo, un po’ per dare un
nome a quel colore così particolare. Sapevo che
c’erano popolazioni dalla
carnagione più scura da qualche parte nel mondo, avevo visto
alcune foto sui
libri degli studenti; mentre facevo una pausa tra una porta rotta e un
tavolo
traballante, amavano mostrarmi con orgoglio i loro libri colorati e
pieni di
figure e a spiegarmi di cosa stavano parlando e cosa ne pensavano.
Ormai mi
consideravano uno di loro e questo mi faceva molto piacere.
Dicevo…
ah, sì. Confrontai
mentalmente il suo volto scoperto con quello scurito dal sole degli
uomini
nelle fotografie e mi stupii nel constatare dei lineamenti forti e allo
stesso
tempo fini, gli occhi chiari che contrastavano con i capelli che
tendevano
all’ebano. Sembrò non interessarsi al mio studio e
portai la mia attenzione
alle braccia e al petto. Beh, diciamolo, niente male, niente male
davvero;
forti, muscolosi, quasi scolpiti…
Sussultai
quando mi accorsi di
parlare come una ragazzina parla del ragazzo che le piace e un
po’ mi
vergognai, intimorito da ciò che aveva provocato quel moto
di attrazione nei
suoi confronti. Non è che… no, dai, non
scherziamo.
Dovevo
distrarmi e trovai sollievo
ripensando a dei pettegolezzi che mi avevano raccontato, non ricordo
chi, su di
lui, sulle sue origini; pettegolezzi di quartiere, si intende, ma
sempre
interessanti. Mi avevano raccontato la sua storia, almeno, la sua parte
di
storia prima di quella che lui raccontava quando interpellato,
cioè la sua
famiglia.
Io
avevo una famiglia. Avevo dei
genitori e dei fratelli, avevo addirittura zii e cugini, una famiglia
piuttosto
normale; mi stupii quando venni a sapere che lui era figlio di una
relazione
che non sarebbe dovuta neanche nascere. Mi dissero che sua madre, della
sua
relazione con una specie di capitano di un esercito che passava da
quella zona,
una cosa molto veloce per intenderci; mi dissero che quando lui nacque,
il
marito di lei lo accettò come se fosse un figlio e fu per
lui come un padre,
anche quando lei, dopo aver avuto un altro figlio da chissà
chi altro, era
scappata con un terzo amante e un terzo figlio in arrivo.
Rimasero
lui e il padre adottivo. Io non
so se ce l’avrei fatta a sopportare una situazione del
genere, insomma, quell’uomo
ha deciso di rimanere con la prova vivente del tradimento
dell’unica donna che
abbia mai amato da cui, ironia della sorte, non ha mai avuto figli.
Penso che
lui abbia sempre vissuto nella consapevolezza di essere nel posto
sbagliato,
accudito da una persona che non aveva nulla da condividere con lui, se
non l’odio
e l’amarezza del tradimento.
Ripeto,
non so chi mi ha raccontato
tutto questo, ma ricordo solo in che contesto era stato detto; dopo una
delle
nostre “riunioni”, durante le quali non si facevano
che risse su risse, una
spia che lavorava per noi l’ha insultato, dandogli del figlio
di buona donna,
per essere delicati. Gli saltò al collo e quasi lo uccise,
il poveretto se la
cavò con tre mesi di alimentazione attraverso una cannuccia
e una mascella
fracassata; quando riprese a parlare, chiese di uscire
dall’organizzazione.
Era
sempre stato molto pacato e
razionale, non riuscii a spiegarmi quella reazione, fino a quando non
mi
spiegarono quella storia e capii che quello era il peggior insulto che
gli
potessero rivolgere. Era per lui il più pesante e crudele
perché, aihmè,
conteneva un fondo di verità.