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Autore: Loop    05/12/2008    1 recensioni
Come a volte un viaggio porta a fare scoperte singolari, attraverso il passato e l'anima stessa, come dentro di noi può esserci molto di più di quel che sembra. Come per caso, un giorno, qualcuno potrebbe scoprire che anche nel suo giardino fioriscono rose malsane
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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rose 6b

capitolo Sesto

Calando le Ombre

Nella notte, Florent aveva trovato il suo rifugio.

Che, quando il sole muore dietro l’orizzonte, le ombre crescono, divorando il paesaggio, e le lacrime si nascondono meglio, come d’altronde l’anima stessa.

E per questo motivo decise di finire la sua gioventù nella casa del crepuscolo, aspettando lo sfiorire di una vita che non voleva più vivere.

Quando era arrivato per la prima volta nell’immensa Parigi, lo aveva fatto in condizioni disumane, incrostato di fango, sangue e sporcizia, affamato e delirante; a soccorrerlo era stata una fanciulla di forse vent’anni, che proprio nella notte esercitava la sua professione, e che lo aveva portato con sé nella maestosa villa appena fuori la città, famosa come locale di divertimento, più ricercata di qualsiasi altro bordello del paese, dove di notte ella prodigava i suoi servigi a chi ne richiedesse.

Lo aveva fatto non per coscienza o quant’altro, ché a Parigi di spiantati mezzo morti se ne trovano anche troppi, ma perché sotto lo strato di sudiciume aveva scorto quella bellezza eccessivamente raffinata per un qualsiasi morto di fame, il bagliore infiacchito ma pur sempre accecante della mortale appariscenza del suo viso orientale.

Ma soprattutto, nei suoi occhi dorati aveva scorto il bagliore del guadagno, più luminoso e accecante di qualsiasi altra cosa.

“Qui avrai un tetto sulla testa e tre pasti, per cominciare” gli aveva detto conducendolo per i grandi corridoi dai soffitti istoriati, verso le sue stanze, per ripulirlo e renderlo presentabile agli occhi della madama Augusta, proprietaria del complesso; “Ma soprattutto qui avrai ricchezza. Da come guardi questi corridoi si vede che devi essere stato un poveraccio, ma non devi più temere” gli disse fermandosi, posandogli le mani sulle spalle e sorridendo gentilmente, “Qui la tua bellezza sarà ricompensata a peso d’oro. Le cose belle devono stare con le cose belle, sai?”.
Florent la guardava stupito, incapace di controbattere.
Non sapeva dove si trovasse ne chi fosse la ragazza, ma iniziava a capire.

Qualcuno doveva averglielo detto, un tempo, che il suo posto era in un bordello. Forse mentre viaggiava verso Parigi. Ma i ricordi erano confusi, sprazzi di nero sul terreno battuto, ombre di uomini e dolori lancinanti mischiati a fame e debolezza, e distinguerli era impossibile.

E mentre la ragazza favoleggiava sulla sua futura vita, arrivarono nella sala delle vasche, dove qualche ragazza si stava preparando per la serata.

La ragazza, che finalmente si era presentata come Eleonore, lo immerse senza troppi complimenti nell’acqua profumata, e prese a strofinarlo energicamente per ripulirlo persino della sua stessa pelle.

Florent non pensò nemmeno di protestare, e stringendo i denti si sottopose al lento scuoiamento, sperando per lo meno di ritrovare poi il colore della sua pelle intatto.

Quando ebbe finito di scrostargli di dosso la sporcizia, l’acqua era quasi marrone, e i capelli erano ancora un groviglio impastato.

E intraprendendo una personalissima crociata, Eleonore si applicò con tutta la sua forza per districargli i nodi, strappando capelli e parassiti, consumando quasi tutto l’olio profumato per i capelli che le ragazze usavano in un mese.

Ma quando Florent riemerse finalmente non molto illeso dall’acqua, Eleonore rimase senza fiato.
Gli si riempirono gli occhi di lacrime, pensando a dove lo aveva portato, e in un moto di struggimento, si portò una mano alla bocca, e con gli occhi lucidi sussurrò impercettibilmente un “Mi dispiace” che si perse nell’eco dei soffitti altissimi.

Florent era tornato il giovane del ruscello, le sue membra erano tornate pure, lisce, dolci come lo erano sempre state, la sua pelle era tornata cacao distillato, misto di miele e latte.

Alcune ragazze arrossirono vistosamente, altre si voltarono dall’altra parte; insolita reazione per chi è abituato alla nudità maschile.

Florent, da sotto le ciglia, incrociò lo sguardo lacrimoso dei grandi occhi blu di Eleonore, e dolcemente le disse “No, non dispiacerti. Qui è il mio posto”; e l’amarezza delle sue parole sconvolse il cielo e la terra, così come il cuore indurito e calloso della povera Eleonore, che in quel momento avrebbe voluto piangere tutte le sue lacrime, per la prima ed ultima volta.

Ma si costrinse ad ingoiare la tristezza, e abbandonando lo sconforto gli tese un panno con cui coprirsi, e sorridendo, stavolta senza artificio, di un sorriso materno e malinconico, gli fece strada verso le sue stanze, dove avrebbero scelto i suoi vestiti.

Camminarono per un po’, di nuovo percorrendo i maestosi corridoi, senza riuscire ad emettere suoni.

Arrivarono finalmente davanti alla stanza della ragazza, che aprendo la porta lo fece entrare.

Richiudendo la porta a chiave dietro di sé, evitando così irruzioni indesiderate, Eleonore si sedette sul morbido letto a baldacchino che troneggiava a ridosso d’una parete, facendo bella mostra delle sue preziose stoffe.

Florent rimase immobile, al centro della stanza, con il panno di lino stretto addosso, a proteggersi dal freddo.

“Ascoltami Florent, ho commesso un errore” disse infine la ragazza, cercando le parole nel suo scarso vocabolario, ma impregnandole di tutta la dolcezza che le era possibile, “Non avrei mai dovuto portarti qui. Ma possiamo rimediare. Ti posso trovare una stanza piccola nel centro, e magari potrei anche pagarti qualche libro per studiare. Ti piacerebbe studiare? E poi potrei trovarti un lavoretto, così, per mantenerti. E poi…”
“Eleonore. Va bene così. Ti ringrazio, ma resterò qui. Lavorerò nel posto che mi spetta, non dovrai preoccuparti per me in alcun modo. Il tuo dovere l’hai fatto.”

Mi hai portato sulla mia strada.

Perché è questo che merito, per non avere il coraggio di seguirti, Lilian.

Eleonore sospirò, sconfitta.

E per quanto le faceva male, oramai non poteva cambiare la situazione; non c’era rimedio al suo errore.

“Va bene, come vuoi. Ora dobbiamo cercarti qualcosa da mettere”

Così dicendo andò verso un vecchio armadio in mogano tarlato, e aprendo l’ultimo cassetto, iniziò a rovistare in cerca di qualche abito maschile lasciato dall’ultimo ragazzo che aveva lavorato lì.

E qualcosa in effetti trovò.

Un po’ fuori moda, ma andava bene.

Se a madama fosse piaciuto, ci avrebbe pensato lei a comprargli abiti nuovi.

E come avrebbe potuto non piacergli?

Fu così che Florent si perse nella notte, volontariamente, senza voltarsi indietro.

S’addentrò da solo, senza guida, nelle paludi dell’anima.

Dimentico di se stesso, volontariamente suicida.

Le notti passavano frenetiche, frementi, sotto lenzuola di seta o divani di broccato, scivolando sull’epidermide come gocce d’inchiostro, raccogliendosi lentamente nell’anima, coagulandosi in una macchia che oscurava il cuore, annullando la vita.

E come vino, il suo sangue ogni notte era versato in calici di cristallo, e al miglior offerente veniva offerto su d’un vassoio cesellato in oro e argento, colmo di fiori e frutti; e lentamente fluiva dal calice alla gola di un occasionale assassino, volontariamente, senza strenue resistenze che avrebbero soltanto prolungato un’agonia malata, senza coscienza, senza desiderio di luce.

Per Florent il sole era morto con Lilian, e con esso la vita e la speranza; viveva senza voglia, punendosi ogni qual volta gli era possibile, dannandosi per una bellezza che non voleva sfiorire, ma che si acuiva dolorosamente con gli anni.

E mentre gli efebici adolescenti crescendo perdono grazia, divengono ispidi e rozzi, la sua bellezza andava affilandosi giorno per giorno, assumendo sempre più contorni delicati da giovane uomo, carichi di una virilità insinuante, sottile, elastica e nervosa.

I suoi passi presero grazia, ad imitazione delle sue dolci colleghe, e la sua voce divenne roca, sensuale, graffiata dall’alcol e dal fumo nel periodo dell’adolescenza, addolcita da un timbro morbido e basso.

E i suoi occhi acquisirono una luce nuova, inquietante; i contorni di zucchero parevano sempre chiarissimi al lume delle candele, oro colato si sarebbe detto, ma cerchiati di un intenso nero.

E dentro di essi si scorgeva la rabbia e l’aggressività spaventosa che lo divoravano all’alba, sentimenti nati dalla frustrazione e dall’abbandono.

A ventitré anni, la leggenda della sua bellezza aveva girato il mondo.

E proprio a causa di essa, un giorno fatale di fine estate portò con sé l’aroma di fiori passiti e i capelli d’oro del giovane Cècil.

§§§§§§§§

Note dell’autrice

Sono in un ritardo pazzesco, e giuro che mi dispiace T_T, ad ogni modo, giusto per scongiurare l’insorgere di altri dubbi, Cécil è un maschio.

Mi auguro di aggiornare il più presto possibile, se così non fosse, avrete il diritto di inveire violentemente contro di me ù_ù”

Con affetto,

Vale

  
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