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Autore: LilithJow    17/02/2015    2 recensioni
«Lo sai, in fondo, hai sempre avuto ragione» proseguì la ragazza. «Non siamo poi così diversi».
Le palpebre di Ward si sollevarono lentamente. Ancora non osò voltarsi. «No» sussurrò. «Noi siamo diversi». Fu a quel punto che girò su stesso e tornò a rivolgere il proprio sguardo a Skye. Anche quella volta durò tutto una frazione di secondo. «Io non farei mai nulla per ferirti» mormorò ancora «invece tu mi fai continuamente del male. Questo non ci rende uguali».
Genere: Angst, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Grant Ward, Skye
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Maybe we'll be lovers, maybe someday'
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"now I do"

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Quanto tempo era passato?

Skye era sicura di aver contato ogni singolo secondo speso appoggiata a quella dannata porta, anche se, ad un certo punto, i numeri erano divenuti troppo complicati e troppo pesanti per essere tenuti a mente e per tal motivo era svanita anche la sua concezione del tempo.

Le lacrime si erano esaurite. Per quanto si sforzasse di spremere i propri occhi e farne uscire ancora perché era così liberatorio farlo, il pianto si era bloccato, svanito, dissolto, come se il suo corpo non avesse più i mezzi per sostenerlo.

Lei, d'altra parte, si sentiva incredibilmente stanca e a pezzi, proprio come si era sentita quando Tripp si era smaterializzato sotto il suo sguardo inerme.

Avrebbe voluto parlare, fare uscire dalla propria bocca qualche suono che, quasi sicuramente, sarebbe stato, ancora una volta, il suo nome, ma non riuscì nemmeno in quell'intento.

Forse avrebbe dovuto alzarsi e andare via, altrove. Forse avrebbe dovuto stare semplicemente sola perché, in fondo, era ciò che si meritava. Eppure una parte della sua testa la teneva inchiodata al pavimento.

E quanto tempo era passato, allora?

Senza che ci fosse alcun preavviso, l'aria si riempì di un rumore diverso dai singhiozzi e sussurri della ragazza. Skye udì chiaramente gli ingranaggi della serratura sfregarsi gli uni contro gli altri, il che la convinse a sollevare di poco il capo e a passarsi una mano sul viso in modo distratto.

La porta blu si aprì lentamente, cigolando. Ward era in piedi dall'altra parte della soglia, ancora con la stessa identica espressione distaccata stampata in viso. Fissò Skye per una frazione di secondo e poi sospirò.

«Alzati» ordinò. Lei non se lo fece ripetere due volte, anzi, probabilmente lo avrebbe fatto anche se non le fosse stato detto. Fu sul punto di aprir bocca e replicare, ma con un cenno Ward la invitò ad entrare e non fu necessario ribadire nemmeno quello.

«Hai cambiato idea?» fu la prima cosa che Skye riuscì a dire, senza neanche guardarsi attorno. I suoi occhi erano ricaduti sul viso ancora basso dell'ex Specialista.

«No» disse lui, scuotendo appena il capo. Ward tenne lo sguardo fisso sul pavimento e, quando lo spostò, fece i salti mortali per evitare che esso ricadesse sulla ragazza. «Però prima di rendere il tutto definitivo, magari potrei ascoltarti».

Skye si lasciò scappare inconsapevolmente un sorriso, che si affrettò a nascondere quanto prima. Sebbene una parte di lei fosse effettivamente felice di tale nuova possibilità, non poteva certo lasciarsi andare del tutto.

Annuì, in maniera distratta, e accettò un ulteriore invito da parte dell'uomo che le indicava il piccolo divano di pelle marrone sul quale, poco dopo, si sedette. Lui prese posto sulla poltrona dello stesso colore e i suoi occhi si indirizzarono verso un punto vuoto. Skye se ne rese conto nell'immediato e non fu complicato farlo: solitamente, gli occhi di Ward erano sempre indirizzati verso di lei e notare la loro assenza fu facile.

«Allora» esclamò l'uomo. «Cosa è successo esattamente quella notte?».

Skye deglutì a fatica. «Il finimondo» rispose. «Tripp è morto, proprio davanti a me e...».

«Sì, saltiamo la parte che so già» lui la interruppe. «Dopo cosa è successo?».

La ragazza sospirò. In realtà gli aveva già accennato qualcosa quando si era presentata davanti alla sua porta, ma, evidentemente, in quell'occasione lui non l'aveva del tutto ascoltata.

«Sono cambiata» proseguì, allora. «E intendo letteralmente cambiata. Mi accadono cose strane. Ciò che mi circonda inizia a tremare, in alcuni casi ho anche fatto esplodere degli oggetti, ed accade... Non lo so, credo accada più che altro quando le mie emozioni sono troppo forti».

«Tipo adesso?».

Skye fece una smorfia. Non riuscì a cogliere il senso di tale domanda, almeno finché non notò come la lampada posta sul tavolino proprio accanto a lei stesse vibrando sempre più forte.

La ragazza strizzò gli occhi e prese un respiro profondo. Contò fino a dieci prima di sollevare le palpebre e, per sua fortuna, nessun altro oggetto aveva iniziato ad essere scosso.

«Sto cercando di controllarlo» si giustificò «ma è piuttosto... Complicato». Skye fece una breve pausa. Cercò gli occhi di Ward, sperando che essi potessero incrociarsi con i propri anche solo per sbaglio, ma, purtroppo, ciò non avvenne, così proseguì il discorso: «Fitz ha persino supposto che se riuscissi a concentrarmi in maniera perfetta, sarei in grado di fare esplodere un cuore umano con la sola forza del pensiero. Sembra assurdo, ma ha anche aggiunto che è scientificamente possibile, quindi...».

Quella frase restò in sospeso. Skye smise di parlare, iniziando a fissare Ward in modo più persistente. Lui era immobile, con le labbra socchiuse e lo sguardo ancora perso nel vuoto. Era come se solo il suo corpo fosse presente e il suo spirito, invece, lontano anni luce da quella stanza.

«Tutto qui?» esclamò all'improvviso, il che portò la ragazza a sobbalzare sopra i cuscini del divano. Fu in quell'istante che Ward finalmente si voltò e solo per una frazione di secondo osò incrociare gli occhi di Skye. Si affrettò subito a guardare da un'altra parte.

«Credo di sì» mormorò lei, incerta. Era confusa. Aveva altro da dire, aveva talmente tante cose da dire che le stava scoppiando la testa, eppure la sua risposta intese tutt'altro.

«Bene» disse Ward, alzandosi in piedi. «Puoi fare una doccia, se vuoi. Poi però devi andartene. Chiuditi soltanto la porta alle spalle, non penso che qualcuno avrà mai il coraggio di entrare qui dentro per rubare qualcosa».

Skye trattenne il respiro. Per un attimo non fu strettamente certa di aver capito bene e si convinse del fatto di aver frainteso le sue parole. Ma c'era ben poco da fraintendere.

«C-come?» balbettò.

«Mi hai sentito» sentenziò lui.

La ragazza sbuffò e si tirò su, in modo da poterlo guardare meglio in viso, per quanto ciò fosse possibile dal momento che lui cercava in ogni maniera di evitarlo. «Perché mi hai fatto tornare dentro se il tuo obiettivo era cacciarmi via di nuovo?» chiese, esasperata.

«Volevo sapere delle cose da te» rispose l'uomo, schietto. «Ora le so, quindi non ho più la necessità che tu resti qui».

Skye si morse appena il labbro inferiore. «Mi hai usata?» disse, rischiando di soffocare. Ward accennò un sorriso privo di qualsivoglia sentimento. «Il che è più o meno quello che hai fatto tu quando volevate spedirmi a mio fratello come fossi un dannato pacco».

«Smettila di fare la vittima».

«Non lo sto facendo. Ti sto solo trattando esattamente come tu tratti me. È equo, non trovi?».

La ragazza non rispose a ciò. Fu incapace di muoversi e riuscì soltanto a fissarlo finché lui non scosse di poco il capo e si voltò con l'intento di abbandonare la stanza. Skye strinse i pugni lungo i fianchi, tentando di non perdere il controllo perché se così fosse stato, probabilmente l'intero edificio sarebbe andato in mille pezzi.

Si sentiva in dovere di fermarlo poiché tale discussione non poteva rimanere senza una conclusione e lei era stanca di essere in bilico.

«Una volta mi hai detto che un giorno avrei capito» esclamò, allora. Come aveva ben previsto, la sua frase ebbe successo nel fermare i passi di Ward. L'uomo, tuttavia, continuò a darle le spalle.

«Adesso capisco» continuò lei, imperterrita. «Capisco cosa vuol dire vivere nel terrore di deludere qualcuno, di fare cose che non vorresti solo per rendere quel qualcuno orgoglioso di te. Ora capisco come ci sente quando la gente che ti sta intorno ha paura di ogni tua azione. E capisco come ci si sente quando la persona per cui probabilmente provi qualcosa non ha nemmeno il coraggio di guardarti negli occhi».

Skye non fu in grado di vederlo, ma Ward chiuse gli occhi. Cercò di ignorare le sue parole, ma, in qualche modo, esse erano troppo acute e martellanti per non essere prese in considerazione.

«Lo sai, in fondo, hai sempre avuto ragione» proseguì la ragazza. «Non siamo poi così diversi».

Le palpebre di Ward si sollevarono lentamente. Ancora non osò voltarsi. «No» sussurrò. «Noi siamo diversi». Fu a quel punto che girò su stesso e tornò a rivolgere il proprio sguardo a Skye. Anche quella volta durò tutto una frazione di secondo. «Io non farei mai nulla per ferirti» mormorò ancora «invece tu mi fai continuamente del male. Questo non ci rende uguali».

«Ora non lo sto facendo. Sto cercando di rimediare».

«Forse è troppo tardi per farlo».

Tale frase colpì la ragazza come avrebbe fatto una palla di cannone in pieno stomaco. Fu difficile da sopportare, il che indusse i suoi occhi a farsi lucidi.

«Questa è una grande stronzata» urlò. «Non è tardi. Non è mai troppo tardi. Sì, non possiamo cancellare ciò che è successo. Io non posso dimenticare le tue bugie e tu non puoi passare sopra a quei tre proiettili. Non subito, non nell'immediato, però col tempo... Io sono convinta che col tempo anche le ferite più gravi si possano rimarginare lasciando dietro solo una cicatrice che alla fine non provoca più dolore».

Ward abbozzò un sorriso, malinconico. «E' molto poetico, Skye» disse poco dopo «ma non penso possa funzionare così tra noi».

Skye rise istericamente. Avrebbe voluto urlare in quel momento e il suo corpo stava già iniziando a reagire. Percepiva quella sensazione strana alla bocca dello stomaco, un calore che da lì partiva e si propagava nei suoi quattro arti.

Strinse i pugni lungo i fianchi e la sua mascella si serrò. Avvenivano delle reazioni nel suo corpo che non riusciva a controllare, così come non fu in grado di tenere a bada ciò che successe negli attimi seguenti.

Ward percepì una profonda fitta al petto che lo portò a cadere sulle ginocchia e che spezzò il suo respiro. Era quel medesimo dolore che lo aveva colpito già una volta e, di nuovo, sotto gli occhi di Skye.

Il fiato gli mancava e la sua vista aveva iniziato ad appannarsi.

La ragazza rimase impassibile per dieci lunghissimi secondi come fosse chiusa in una bolla di sapone. Quando essa scoppiò, la realtà la investì a pieno.

I suoi poteri si erano fatti strada nel suo inconscio e si erano attivati senza che se ne rendesse conto. E stavano agendo su Ward, stavano facendo tremare il suo cuore col solo scopo di farlo smettere di battere.

«No» soffocò Skye quando realizzò ciò che stava accadendo. Scosse violentemente il capo e strizzò gli occhi. Sperò che quello bastasse a porre fine a tutto, ma non fu così.

Il cuore di Ward continuò ad essere stretto in una morsa. Skye gli crollò davanti nella sua identica posizione. Prese il suo volto tra le mani e lo costrinse a guardarla mentre ancora faceva fatica a respirare e, di lì a poco, avrebbe perso i sensi.

«Non so come farlo smettere» singhiozzò la ragazza. «I-io non lo so, mi... Mi dispiace, non so farlo smettere».

L'uomo riuscì a malapena a muovere le labbra. Nessun suono comprensibile uscì dalla sua bocca, ma Skye fu piuttosto convinta che avesse sussurrato il suo nome.

 

  
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