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Autore: AlexEinfall    18/02/2015    3 recensioni
[Casey/Severide] Prima mia long-fic su questa coppia, che credo abbia un grosso potenziale.
Severide affronta Casey circa il suo comportamento sconsiderato, ma le cose non vanno mai come ci si aspetta. Questo è l'inizio di qualcosa oppure le resistenze e l'antico astio ostacoleranno la loro strada?
Un giorno qualunque alla Caserma 51 è destinato a cambiare ogni cosa.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Dalle macerie alla vita
 


 


  Il Camion 81 si era proprosto di liberare dai detriti la casa di Casey, in modo da permettere alle indagini di cominciare. Era bastato che Boden desse un cenno del capo per far correre i vigili sul posto. Kelly non aveva neanche dovuto chiedere il permesso per aggiungersi al gruppo.
  Il fuoco aveva sfiorato le due case vicine, lasciando sulle mura esterne lingue nere che salivano fino alle finestre. Kelly rimase in piedi nello stesso posto in cui aveva trovato Matt, chiuse gli occhi e prese un grosso respiro. Dietro le palpebre gli apparve l'immagine del tenente steso in quel dannato letto, avvolto dalle garze. Boden gli strinse una spalla e lo invitò a seguirlo all'interno.
  Il pavimento del secondo piano aveva ceduto, riversando detriti lungo tutto il pianterreno. Sulle loro teste si intravedeva il cielo racchiuso nei brandelli di soffitto ancora intatti.
 Kelly si fece strada nel salotto, dove ogni mobile era stato deformato dal fuoco, alcuni frantumati dal crollo. Dovette fare uno sforzo immenso per focalizzarsi sul suo compito.
  Fece disporre gli uomini in una catena, per passare i detriti fino all'esterno. Kelly, all'inizio del corteo, urlava ordini per rendere la procedura più veloce e liscia possibile. Prima avessero liberato la zona, prima la polizia avrebbe cominciato a indagare.
   Si bloccò quando, alzando un'asse, scoprì il pavimento annerito; spazzando via la fuliggine, i suoi guanti incontrarono una macchia scura e secca. Deglutì a fatica, realizzando che era il sangue di Casey.
  Boden gli lanciò uno sguardo di comprensione, prima di chinarsi e cominciare ad aiutarlo con il resto dei detriti.
  Avevano appena iniziato a liberare la cucina, quando il telefono di Boden squillò. L'uomo fermò i lavori e rispose, indossando un'espressione tesa. Lo sentì annuire in ascolto e, infine, sorridere.
  «Che succede?» sputò fuori Kelly.
  «Era l'ospedale» urlò Boden in modo che tutti potessero sentirlo. «Casey si è svegliato!»
  
 


   Scollando le palpebre, la prima cosa che vide fu una nebbia soffice, che si dissipò in un alone sempre più ampio.
  La seconda cosa che Matt registrò furono due mani, strette intorno al metallo delle sbarre al lato del letto.
  La terza necessitò uno sforzo immenso per sollevare il volto di pochi centimetri: gli occhi di Kelly.
  In essi passò sorpresa, subito sostituita da sollievo e gioia. Doveva essere uno specchio di ciò che lui stesso provò.
  Tentò di parlare, ma non sembrava che le parole volessero costruirsi nella sua mente e uscirgli dalle labbra.
  Ricordava vagamente di aver aperto gli occhi e di aver visto infermiere accorrere intorno a lui. Forse era solo un sogno, si disse, incapace di capire dove fosse. Cercò di muoversi e ciò che provò fu solo dolore.
  Una scarica di terrore gli attraversò la mente, mentre i ricordi tornavano cpnfusi.
  Mosse le labbra nel tentativo di comunicare, gli occhi che passavano sul suo corpo e cercavano di localizzare l'origine del dolore, che emergeva piano come una piccola fiamma. Sarebbe diventato un incendio, lo sentiva già grugnire sotto la superficie della pelle. I muscoli si tesero, tremando per lo sforzo, e le orecchie si riempirono del sordo tonfo del suo battito, sovrastando il bip frenetico del monitor.
 «Matt.»
  Alzò la testa e vide negli occhi blu il riflesso del suo stesso panico.
  Mosse la mano e riuscì a incontrare la sua. La strinse con quanta forza aveva e si concentrò solo su quella sensazione. La pelle ruvida del dorso sotto i polpastrelli, le nocche delle dita intrecciate e premute le une contro le altre, la forza del bisogno di un contatto riassunta in quel semplice gesto.
  La sua mente crollò di nuovo nella nebbia e non seppe quantificare o afferrare il tempo che scivolò via, o quanto rimasero fermi con le dita dell'uno intrecciate a quelle dell'altro. Da qualche parte in mezzo a quel lungo risveglio, la lucidità strisciò nel suo corpo. Chiuse gli occhi per quello che sembrò un anno e quando li riaprì Kelly era ancora lì.
  Le loro dita si sciolsero e la mano ricadde sul materasso.
  «Mi hai spaventato a morte» disse Kelly con un sorriso, mascherando la preoccupazione. I suoi occhi percorrevano il corpo di Matt come a cercare il filo da tagliare per evitare l'esplosione.
  Lui attese che tornassero nei suoi, prima di sorridere. O almeno, credette di farlo.
  Tentò di parlare, senza successo. Kelly gli spostò la mascherina dal volto e gli passò un bicchiere d'acqua, che gli sembrò una benedizione per la gola secca.
  «Come ti senti?»
  Era una domanda stupida, realizzò Kelly, ma non era riuscito a trattenersi.
  Matt tirò le labbra in un quieto sorriso, ma non rispose. Passarono secondi di adattamento al nuovo stato di coscienza, prima che la sua voce arsa tornasse.
  «Cosa diavolo è successo? Mi sento come un pacco di pocporn nel microonde.»
   Kelly trattenne una risata al tentativo di umorismo del biondo.
  «Hai dormito per tre giorni. Ti sei svegliato qualche ora fa ma eri...diciamo un po' confuso e ti hanno sedato... La tua casa...è, uhm, andata a fuoco. Ti ho trovato in mezzo alla strada, eri ferito e sei svenuto. Hanno indotto il coma per via, sai, della ferita alla testa» disse indicandosi la fronte, «e del resto.»
  Il resto?
 Come evocato da quelle parole, il dolore tornò ad aggredirlo. Matt strinse i denti, pronto a giurare di non aver mai sentito nulla di simile. Tutta la parte destra del suo corpo era in fiamme, come se ogni cellula dal collo alla caviglia fosse stata tagliuzzata minuziosamente e riempita di acqua bollente.
  Kelly alzò una mano, che rimase come un fantasma ad aleggiare sulla sua spalla. La ritirò subito, poggiandola a disagio sulla gamba.
 «Hai delle ustioni» Incosciamente, toccò il proprio addome, quasi lo sentisse gemere di dolore. «Non è tanto brutto. Voglio dire...nulla che una camicia e un paio di pantaloni non possano coprire.»
  Matt si sorprese di se stesso quando non riuscì a trattenere una breve risata.
  Tentò di alzarsi a sedere, ma Kelly lo tenne giù con una mano sulla spalla sana. «Hey, buono. Devi riposare.»
  Riluttante, Matt si lasciò scivolare sul materasso, stringendo i denti contro il dolore. Guardò il proprio braccio fasciato e alzò la mano per toccare i bordi delle garze. Riuscì a risalire fino alla spalla prima di incontrare pelle liscia e illesa.
   «I dottori dicono che la maggior parte delle ferite guarirà da sola. Se tutto va bene, non lasceranno molte cicatrici. La testa è a posto, giusto un paio di punti.»
  «Mmm...Ne sto collezionando troppi...un giorno dovrò ritirare il premio, uhm?» scherzò, ma il suo sorriso era più tirato e triste.
  Isolò la paura e tutte le emozioni negative che tentavano di aggredirlo, concentrandosi solo su una cosa: era vivo e Severide era lì. Si schiarì la voce, sentendo la gola grattare.
  «Kelly.»
  Il moro alzò su di lui gli occhi e rimase attonito di fronte alla forza che, dietro il dolore e la stanchezza, emanavano quelli di Matt.
  «Tornerei indietro se potessi.»
  Kelly avrebbe voluto dire sì, anche io, e subito, ma non disse nulla. Si sporse e gli voltò il viso con una mano, premendo delicatamente sulla mascella bordata di nero. Si avvicinò quanto bastava per posare le labbra sulle sue. Lo sentì esitare, solo un attimo prima di rispondere al bacio. Si staccò lentamente, desiderando quel momento durasse all'infinito, ma bisognoso d'aria. Lo guardò e lo vide sorridere, prima di alzare due dita e asciugargli la guancia con le nocche. A Kelly non importava di piangere, perché era pronto a giurare di non essere mai stato così felice.
  Un bussare insistente alla porta lo fece sussultare.
  Si raddrizzò, strofinandosi il viso. Matt rivolse lo sguardo alla finestrella nella porta e vide un'infermiera sorridere imbarazzata.
  «Mmm...sono sicuro che sarà argomento di gossip.»
  Severide rise, prima di dargli una stretta alla mano e uscire.
  Matt vide l'infermiera entrare, porgergli domande e controllare le flebo, ma la sua mente era altrove. Era così felice di essere vivo, malgrado tutto, che voleva solo annullare ogni dolore e cullarsi in quel piacere. L'occhio gli cadde sulla pompetta per la morfina e fu tentato di premerla fino a consumarsi il pollice.
  L'infermiera non obiettò e si profuse in spiegazioni sul suo utilizzo, prima di premerla.
  Matt saggiò le proprie labbra, ancora intrise del sapore di Kelly, prima di sentire la dolce mano del piacere e dello stordimento trascinarlo nel sonno.
  L'ultimo pensiero fu l'assoluta certezza che Kelly sarebbe stato lì, al suo risveglio.







   Richiudendo piano la porta della stanza, il sollievo e la gioia si sfaldarono di fronte alla realtà quando raggiunse Boden e Antonio Dowson in fondo al corridoio.
   Nella sala d'attesa, gli uomini della Caserma 51 saltarono dalle loro sedie, aggredendolo con domande sulle condizioni di Matt. Frastornato da quell'accoglienza, Kelly fu interrotto dall'arrivo di un medico che portava con sé un'espressione cordiale e un paio di sottili occhiali.
  «Immagino voi siate la famiglia di Matthew Casey» disse il dottore, porgendo la mano a Boden. «Dottor Steven Callighan. Prenderò in cura Matthew.»
  «Wallace Boden» rispose l'uomo stringendo saldamente la mano del medico. «Cosa puoi dirci?»
  «Dunque, dal suo risveglio i parametri vitali sono migliorati ed è stabile. Lo terremo in terapia intensiva ancora per un po'. Il rischio di infezioni non è ancora scongiurato, ma generalmente le sue condizioni sono incoraggianti.»
  Tutti rilasciarono sospiri e sorrisi trattenuti per tre giorni.
   «Quanto dovrà rimanere in ospedale?» chiese Gabriela.
   «Almeno ventuno giorni» rispose Callighan, risistemandosi gli occhiali.
   Di fronte allo sguardo confuso dei due paramedici, lanciò uno sguardo al detective, che annuì e prese parola.
   «Abbiamo concordato con il direttore dell'ospedale che questo è il luogo più sicuro in cui stare per Casey. Metteremo un ufficiale davanti alla sua porta, per sicurezza. C'è il rischio che chiunque sia stato torni a cercarlo, senza contare che non ha una casa in cui stare.»
   Boden passò lo sguardo tra i vigili, prima di concordare. «Ovviamente noi non lo lasceremo solo.»
  Callighan si schiarì la voce, attirando l'attenzione dei presenti. «Ora, se volete scusarmi, ho un paziente da controllare.»
   Congedato, il medico percorse il corridoio, svanendo nella stanza di Casey. Boden non perse tempo, allontanandosi con il detective e il tenente, in modo da non farsi udire dal resto della caserma.
   «Dimmi che avete qualcosa.»
   Il detective scosse la testa, rinfoderando le braccia sul petto. «Per ora ancora nulla, ma ci stiamo lavorando. La casa è abbastanza agibile da cominciare i prelievi della scientifica, ma per i risultati delle analisi bisogna aspettare. Ora che Casey è sveglio, possiamo solo sperare che sappia dirci qualcosa.»
  «D'accordo, prima cominciate meglio è.»
  «Questa è la nostra idea» rispose Antonio scrollando le spalle.
  «Lui che diavolo ci fa qui?» ringhiò Kelly, fissando un punto dietro le spalle del detective, che si voltò e imprecò a denti stretti.
  Hank Voight li approcciò con un cenno del capo. «Comandante.»
  «Voight» lo salutò l'uomo, incrociando le braccia al petto.
  «E' uno scherzo?» sbottò Kelly, fissando Antonio.
  «Sono a capo dell'indagine, Tenente Severide» rispose l'uomo con noncuranza.
  Kelly ignorò il detective, rivolgendo ad Antonio uno sguardo tra lo stupito e il collerico. «Vuoi davvero farlo entrare in quella stanza?»
  «No, sarò io a parlare con Casey» rispose caustico Dowson, lanciando uno sguardo al capo. «Non vogliamo agitarlo.»
  «Allora che diavolo vuoi?»
  «Kelly» lo richiamò a voce bassa Boden. «Nessuna faida, non qui.»
  Voight infilò le mani nelle tasche della giacca di pelle, fissando dritto Severide. «Sono qui per portarti in centrale, ci serve aiuto a capire il nostro piromane. La squadra che avete mandato a liberare il posto ha fatto un buon lavoro, abbiamo già mandato dentro la scientifica e scattato qualche foto.»
  A Severide passarono per la mente una marea di insulti e modi per farla pagare, fisicamente, all'uomo. Quando il caos Voight era scoppiato, lui non aveva saputo intervenire o aiutare Casey, troppo distanti per comunicare davvero. Ora lo aveva di fronte e tutta la rabbia sommersa tornava. Si impose la calma, focalizzando tutte le sue emozioni negative sul responsabile, o i responsabili, di quanto accaduto a Casey.
  Guardò Boden in cerca di permesso. Al suo cenno di assenso, si avviò lungo il corridoio a passo deciso.
  Voight sospirò e si congedò, raggiungendo il tenente.
  «Sai che non me la bevo che vuoi aiutare Casey» disse Kelly, appena prima di salire in auto.
  «Non c'è bisogno che tu lo creda» rispose Voight aprendo lo sportello.


   Severide aveva sfogliato quelle foto più e più volte, fino ad imprimersele in mente. Aveva cercato di compartimentalizzare e restare obiettivo, ma poi vedeva un particolare di quella casa distrutta e sentiva un macigno rotolargli in petto.
  Fu strappato ai suoi pensieri dalla voce roca di Voight.
  «Allora, Tenente?»
  Si ricompose e sparpagliò delle foto sulla scrivania, indicando vari punti per tracciare un percorso. «Il fuoco è partito dal secondo piano. È entrato dalla porta sul retro, ha colpito Casey, poi è salito e ha cosparso tutto di benzina. Questi sono i resti di una tanica che ha lasciato di sopra come accellerante, per essere certo di fare più danni possibile. Ha continuato fino all'uscita e qui» puntò alla foto di un angolo del soggiorno, «vedi questi vetri più spessi? Una bottiglia, forse di birra.»
  «Una molotov?»
  «E' uscito e l'ha lanciata. Non lo troverete in nessun reparto ustionati, il bastardo non si è fatto un graffio.» Senza volerlo, strinse una delle foto tra le dita, rilasciandola quando si accorse del gesto.  
  Voight lo osservò con cura, prima di sospirare e incrociare le braccia al petto.
  «Sapeva quello che faceva. Le telecamere non lo hanno beccato, nessun testimone l'ha visto-»
  Fu interrotto dallo sbuffo irritato di Kelly.
  «-o se l'ha visto non parla» preciso Voight.
  «Perché non chiedi ai tuoi amici
  «Già fatto» disse Voight, fronteggiandolo e mantenendo il suo sguardo. «Come ho detto, non ci sono testimoni.»
  Kelly strinse i pugni sui fianchi, le pupille dilatate e la mascella serrata. Voight fece un passo indietro, alzando le mani in segno di resa.
  «Kelly Severide» sillabò lentamente. «Sembri un uomo che cerca vendetta. Non devo dirti di fidarti del sistema, sarebbe inutile, giusto?»
  «Prendi quel bastardo» ringhiò Kelly, afferrando il fascicolo e voltandosi.
  Voight lo lasciò andare, certo che non ci fosse molto che potesse dire o fare per tenerlo a bada.


.....

   Quando Matt riaprì gli occhi, Boden era seduto sulla sedia e gli sorrideva. Alle sue spalle, Antonio Dowson si staccò dal muro al quale era poggiato e lo fiancheggiò.
  «Felice di vederti sveglio, Matt.»
   Si tirò a sedere con lentezza, graziato dall'effetto dei medicinali.
   «Sono piuttosto resistente, Capo» disse con un sorriso.
  Antonio rise, incrociando le braccia al petto. «Qualcuno direbbe indistruttibile.»
  Matt accettò il bicchiere d'acqua offerto da Boden e lo bevve lentamente, prima di risistemarsi sui cuscini. «Se hai bisogno di una deposizione, è meglio farlo subito.»
  Non aveva idea di quanto avesse dormito dopo aver visto Kelly e di quanto a lungo la morfina gli avrebbe permesso di ignorare il dolore.
  Antonio annuì, tirando fuori dalla tasca il taccuino e la penna.
  Matt reclinò la testa contro il cuscino e cominciò a raccontare tutto quello che ricordava. Raccontò dell'incidente sul ponte: aveva notato l'uomo agitarsi e urlare ed era corso a calmarlo, ovviamente senza successo; tra le urla era riuscito a capire la dinamica dell'incidente, prima di finire sbalzato oltre la balaustra. Passò poi a raccontare di come quella mattina si era svegliato per andare in Caserma ed era stato aggredito dal figlio del suddetto uomo, adducendo come movente il bisogno di difendere il padre dalla prigione.
   Quando finì, Antonio tamburellò la penna sui fogli, prima di  lanciare uno sguardo a Boden. Il Comandante reclinò la testa in direzione della porta, spingendo il detective a rinfoderare il tacuino.
  «Bene, Matt, ci sei stato molto utile. Tra qualche ora manderemo un disegnatore per l'identikit, se te la senti.»
  «Scherzi? Voglio chiudere questa storia» disse con voce più roca, la stanchezza e il dolore che cominciavano a prevalere sulla razionalità.
  Seguì con lo sguardo Antonio uscire, prima di rivolgersi a Boden, ogni traccia di sorriso cancellata da un'espressione tesa. C'era un'idea che si era insinuata nella sua mente e non voleva abbandonarlo, l'immagine di una persona che tornava a perseguitarlo. Cercò di controllare la rabbia e di non farla trasparire dalla voce.
  «So che probabilmente Voight è a capo delle indagini» cominciò, aspettando che Boden annuisse per continuare. «Lo posso accettare...ma deve farmi un favore.»
  «Quello che vuoi, Matt.»
  «Lo tenga lontano da Severide.»
  Boden lo guardò con un misto di sorpresa e tristezza, ma annuì. «Stai tranquillo.»
  Matt si sforzò di rimanere vigile, ma Boden colse i segni della sua recita molto velocemente e si congedò, lasciandolo al suo riposo. Chiuse gli occhi, sperando che al suo risveglio non ci sarebbero stati brutti ricordi e domande scomode, ma un paio di occhi lucidi e un sorriso che cominciava ad anelare come aria.
 

   June l'infermiera gli aveva detto che Matthew stava dormendo e che probabilmente non si sarebbe svegliato per le prossime due o tre ore, per via di tutte le medicine che gli circolavano nel corpo. Kelly aveva scrollato le spalle ed era entrato, richiudendo la porta. Non aveva bisogno che Matt fosse sveglio, gli bastava vederlo.
   Aveva passato il giorno a correre dietro ad Antonio e Voight, a controllare e ricontrollare la casa di Casey. Era stremato e frustrato dal silenzio delle indagini. La scientifica aveva rinvenuto diverse impronte sulla porta forzata dall'agressore, ma il riscontro aveva portato solo allo stesso Casey e ad un vicino che lo aveva aiutato in alcuni lavori.
   Smettila di correre dietro ai responsabili, gli aveva detto Shay. Va da lui.
   Così era uscito dal parcheggio della Caserma e aveva guidato fino all'ospedale.
  La stanza era silenziosa e l'unica fonte di luce veniva da una piccola lampada a neon posta sulla porta, oltre la quale echeggiava il suono ovattato di suole di gomma e piccole ruote.
  Kelly passò i polpastrelli sul casco poggiato sulle gambe, fermandosi a lisciare i contorni della stampa gialla: CASEY. Glielo avevano consegnato in ospedale dopo l'incidente del ponte, insieme alla divisa; da allora Kelly aveva tenuto il casco in auto, senza realmente farsene un problema.
  Matt teneva gli occhi chiusi, il petto che si alzava ed abbassava regolarmente, dando all'ambiente asettico e statico una parvenza di vita e movimento. Kelly si sporse a carezzargli i capelli, sfiorando di poco il bozzo sulla tempia, dove i punti spessi e neri davano un'aspetto grottesco alla pelle arrossata. Malgrado ciò, a Kelly non era mai sembrato più bello.
  Spostò la mano sul collo e sulla linea della mascella, perdendosi a contemplare tutto ciò che non aveva mai avuto il coraggio di vedere, non così. Non poteva davvero credere che fosse lì, vivo, che quegli occhi l'avessero ancora guardato con lo stessa luce limpida. Sorrise, certo che non avrebbe mai potuto provare nella sua vita una gioia paragonabile a quella di poche ore prima, quando Matt aveva finalmente aperto gli occhi e gli aveva sorriso.
   Ritirò la mano quando lo vide muoversi e risistemarsi, ancora nel sonno, voltando la testa verso di lui. Lo guardò a lungo, prima di prendere il casco e poggiarlo sul comodino. Si bloccò, indeciso se fare ciò che sentiva con estrema necessità di dover fare. Scosse la testa e lasciò andare ogni pensiero, chinandosi e posando le labbra sulla fronte liscia di Matt. Si morse il labbro inferiore, sospeso sul suo volto, e si chinò ancora per lasciare un leggero bacio sulle labbra.
  «Buonanotte, Matt» bisbigliò, prima di uscire e tornare a casa. Forse, si disse, questa volta sarebbe riuscito a dormire.


   Matt si svegliò nel mezzo della notte, strappato all'incoscienza da un incubo fin troppo reale. Si guardò attorno, quasi aspettandosi di vedere fiamme e fumo avvolgere il suo letto. Rassicurato dalla stanza vuota, si passò una mano sul volto. Era stato vicino a credere di essere realmente ancora in quella casa e di non riuscire a muoversi, sveglio ma paralizzato.
  Si tirò a sedere e passò i polpastrelli sul braccio fasciato, lo sguardo rivolto al cielo scuro nascosto dietro le tende.
  Sembrava che la sua mente si divertisse a torturare se stessa, proponendogli scenari sempre più crudeli. In quest'ultimo, c'era Severide, ed era così dannatamente tangibile che non si sarebbe sorpreso se lo avesse trovato accanto al letto. C'erano così tante cose che avrebbe voluto dirgli, così tanti nodi da sciogliere, che non sapeva da dove cominciare.
  Prese il bicchiere d'acqua dal comodino, e le sue dita incapparono in un oggetto che aveva imparato a conoscere come il retro della propria nuca.
  Lo afferrò e lo portò in grembo, saggiandone le linee così familiari. Il suo casco, l'unica protezione tra un soffitto e la propria testa, era lì tra le sue mani e lui non aveva nessun dubbio su chi lo avesse portato.
   Chiuse gli occhi, saggiandosi il labbro inferiore. Si stupì a riuscire a richiamare il sapore del bacio di ore prima, quasi fosse passato solo un attimo.
  Sorrise e si stese, sperando che quel casco potesse in qualche modo proteggere anche la sua mente.












Note: Grazie a voi che mi lasciate sempre un commento incoraggiante, questa storia sta andando avanti grazie a voi (i blocchi sono brutte bestie e a volte serve solo una spinta). Ho già pronti un bel po' di capitoli e la storia sta iniziando ad andare oltre quello che avevo pianificato. Accidenti, mi sono divertita così tanto a scrivere poche altre volte in passato! A costo di essere ripetitiva, grazie di cuore!
  PS: Vi assicuro che i tempi dell'annusarsi a vicenda, del guardo ma non tocco e dei sì ma anche no stanno finendo per i due tenenti. In fondo, all you need is love, right?
  See you soon.
  Alex.
  
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