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Autore: Sara Saliman    18/02/2015    6 recensioni
Dopo un lungo silenzio, la fronte di Zeus si spianò.
-Sta bene, Ade. A me la Superficie, a Poseidone il Mare. A te, qualunque sia il motivo, il Sottosuolo.-
Così si ebbe la divisione del Mondo, come ancora lo conoscono gli umani.
E così ebbe inizio la mia storia, sebbene allora io non fossi ancora nata.
Genere: Drammatico, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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Un grazie ai lettori e commentatori, e a Leda Swan per il betaggio!

§§§§
 
Leucippe mi puntò contro un dito accusatore e aggrottò le sopracciglia brune.
-Kore, non verrai alla festa così!-
Era tanto indignata che arrossii e mi voltai verso lo specchio accanto a letto, in cerca di conferme. L’abito che avevo scelto era di un pallido color lavanda; lo scollo arrivava sotto la linea sottile delle clavicole e schiacciava il mio già scarsissimo seno. I capelli biondi, sciolti sulle spalle, costituivano il mio unico ornamento, insieme a un sottile bracciale di margherite.
-Cos’ho che non va? Mi vesto spesso così ed è sempre andato bene!-
Leucippe affondò le mani nei capelli bruni e lanciò un gemito che avrebbe fatto invidia a una baccante.
–Certo che va bene! Va bene per correre nei boschi, e arrampicarsi sugli alberi, e immergere i piedi in un torrente e acchiappar trote! Ma a un banchetto sull’Olimpo non è previsto nulla di tutto questo!-
Schiacciai le mani contro le labbra per soffocare una risata, che Leucippe stroncò con un’occhiata truce.
-Insomma, mi ascolti?- sbottò, lanciandomi contro un cuscino.
Afferrai il cuscino al volo e me lo pigiai a forza dentro la scollatura. Puntellai le mani sui fianchi stretti e sporsi il petto in fuori, rimirando allo specchio quel seno improvvisato.
–Così andrebbe meglio, vero?-
Leucippe si nascose il viso fra le mani.
-Ti vendo… giuro che ti vendo al mercato!-
Estrassi cuscino dalla scollatura e lo appoggiai sul pavimento, ridendo. Ne approfittai per occhieggiare di nuovo la mia figura allo specchio. Per come la vedevo, il vestito che avrei scelto non aveva importanza. Niente di ciò che avrei indossato avrebbe cambiato quel che ero: una giovinetta di media altezza, dal seno piccolo e i fianchi stretti. Le mie braccia erano sottili, abbronzate per la vita all’aria aperta; i lineamenti del mio viso erano minuti, gli zigomi alti e spigolosi, appena addolciti dal biondo dei miei capelli ondulati. Avevo occhi allungati, bruni come la terra smossa, e una bocca espressiva come quella di mia madre, ma incline al broncio anche quando sorridevo. Mi piaceva la piccola fossetta sul mento appuntito: Estia raccontava che quando Zeus mi prese in braccio per la prima volta, poggiò l’indice proprio in quel punto e sussurrò “Benvenuta, Persefone”.
Non ero bella, ma indossavo con naturalezza il mio aspetto: trovavo che mi si addicesse, proprio come l’abito che avevo scelto per la festa.
Leucippe, invece, scuoteva la testa con aria sconsolata.
-Sei una giovane donna: perché non cominci a comportarti come tale?- Mi raggiunse da dietro e mi cinse la vita con le braccia, appoggiando il mento sopra la mia spalla. Nello specchio era bellissima, con quei capelli rosso bruni che le ricadevano sulle spalle e lungo la schiena in onde compatte, e la pelle bianca e rosa, vellutata come un’albicocca matura. Leucippe mi affondò le mani nei capelli biondi e me li sollevò sopra la nuca, rivelando la curva del mio collo. -Questi, ad esempio. Non puoi più portarli sciolti come una bambina: potremmo acconciarli in qualche modo!-
-Dobbiamo proprio?-
Mi sottrassi al suo tocco e Leucippe mi lasciò scivolare via.
-Ormai sei una giovane donna: presto ti accorgerai del tuo effetto sugli uomini. Anche tua madre dovrà rassegnarsi.-
Il suo tono pieno di tenerezza mi strinse il cuore.
-Sono sempre la stessa Kore- protestai, dubbiosa. -Nessun dio sano di mente mi guarderebbe due volte!-
Leucippe mi scrutò da sotto le ciglia, con un sorriso malizioso.
-Vogliamo scommettere?-
 
§§§§
 
La luminosità della giornata era quasi accecante, il cielo così blu da sembrare il frammento di un vaso di Cipro.
Tra la folla di satiri che saltavano e zufolavano, intravidi le spalle nude di mia madre: indossava un abito di broccato azzurro, lucente sotto i raggi del Sole. I boccoli biondi erano raccolti in un’acconciatura di fiori color magenta, e poche, lunghissime ciocche le ricadevano come miele fuso lungo la schiena. Una cinta di spighe di grano fittamente intrecciate le adornava la vita, mettendo in risalto la forma generosa dei suoi fianchi.
-Mamma!- chiamai.
Lei affondò la mano nel ricco panneggio dell’abito e sollevò leggermente l’orlo, voltandosi nella mia direzione. Una collana d’oro, anch’essa in foggia di spighe di grano, scintillava al suo collo.
Sollevai un braccio. –Mamma, sono qui!-
Feci per correrle incontro, ma una fitta delle scarpine di raso mi ricordò che non era l’atteggiamento che ci si aspettava da me. Lanciai un’occhiata truce a Leucippe, che mi sorrise sorniona, e mi avviai verso mia madre, sforzandomi di tenere un passo aggraziato e sentendomi, invece, penosamente goffa.
Quando la raggiunsi le rivolsi un rigido inchino. Subito dopo, ridendo, le gettai le braccia al collo.
-Mamma, sei bellissima!-
–Kore! Cosa ci fai qui?- Ricambiò a lungo l’abbraccio, riempiendomi le guance di baci. Era morbida e calda come pane fresco, il suo abbraccio era dolce come i frutti che maturavano sotto il sole brillante della Sicilia.
Quando si staccò da me, mi prese il viso fra le mani e squadrò con apprensione i miei capelli raccolti e gli orecchini di perla che portavo ai lobi, come non fosse del tutto certa di riconoscere nella fanciulla così agghindata la ragazzina che aveva lasciato a casa poche settimane prima.
Capivo che non si aspettava di vedermi lì, meno che mai vestita come un’adulta, e per un attimo mi sentii in colpa, come se avessi in qualche modo deluso le sue aspettative.
Ad ogni modo mamma mi sorrise, dicendo come sempre qualcosa di gentile.
-Hai messo l’abito azzurro: indossiamo gli stessi colori!-
Mi sistemai una ciocca dietro l’orecchio.
-Volevo fossi felice di me.- dissi con una punta di ansia, cercando di non pensare alla tunica color lavanda che aveva tanto scandalizzato Leucippe.
-Demetra!- La voce potente di Zeus ci fece voltare entrambe.- …Kore?-
Da quanto tempo non lo vedevo?
Per me Zeus era il protagonista degli aneddoti di Ermes e delle storie che Estia raccontava accanto al fuoco. Zeus era il nostro sovrano, Zeus governava sull’Olimpo e la Superficie, Zeus era il signore del Fulmine e ci aveva salvati tutti squarciando il ventre di Crono e portando l’Ordine sul mondo. Io sapevo chi fosse mio padre, eppure non lo conoscevo: lo rincorrevo con urgenza nelle storie che ascoltavo, e che richiedevo avidamente senza che riuscissero mai davvero a dissetarmi.
Adesso, vedendolo avvicinarsi, sapendo che era stato lui a ricordarsi di me –proprio di me!- e a volermi lì, ebbi un tuffo al cuore, che cercai goffamente di mascherare con un inchino.
Zeus non era imponente quanto Poseidone, ma era comunque alto, aveva le spalle larghe e occhi color cielo, e quando sorrideva comparivano due fossette ai lati delle sue guance e calde rughe attorno ai suoi occhi. In sua presenza l’aria si caricava di una strana tensione, che pizzicava sul viso come elettricità statica.
 -Stai molto bene vestita così.- mi squadrò con attenzione, soffermandosi sulle mie labbra tinte di un rosa tenue, sulla curva indifesa della mia gola. -Da quanto tempo non ci vediamo? Sembri ormai una donna fatta!-
Mamma mi cinse protettiva le spalle.
-È sempre Kore, la nostra bambina. È solo quest’abito a farla sembrare più grande.-
-Dici? Eppure…- Zeus continuava a squadrarmi. Mi parve che il suo sguardo indugiasse un istante di troppo sulla mia scollatura, e subito mi diedi della sciocca per quel pensiero. Abbassai lo sguardo, camuffando il mio imbarazzo con un nuovo inchino.
-Sei troppo gentile, signor Padre.-
Una risata contagiosa scosse l’aria, unita a un tenue sentore di salmastro.
-Zeus, caro fratello! Dove nascondi il nuovo frutto dei tuoi poderosi lombi?-
Poseidone arrivò alle spalle di Zeus e gli diede una manata tra le scapole con fare giocoso, ma la smorfia che mio padre non riuscì a trattenere sembrò di autentico fastidio.
-Fratello, è bello rivederti ma la tua espansività rischia di uccidermi!-
Poseidone si puntellò le mani sui fianchi ed ebbe un’altra delle sue risate scroscianti ed espansive, che fecero calare attorno a lui un velo di imbarazzo. Era così possente che provai l’istinto di celarmi dietro mia madre.
Anfirite lo raggiunse da dietro, appoggiandosi al suo braccio e sorridendo verso di me con aria timida, quasi di scusa. La Nereide indossava un abito bianco dalla scollatura vertiginosa, che seguiva le forme sinuose del suo corpo ed era talmente sottile da lasciar intravedere le areole rosate dei suoi seni.
Poseidone le cinse la vita con un braccio, possessivo, poi sorrise all’indirizzo di mia madre, facendo schioccare la lingua contro il palato.
-Cara Demetra, sei bellissima!-
Sentii mia madre irrigidirsi e rispondere con un sorriso insolitamente freddo.
-Grazie, caro fratello.-
Prima che lo sguardo invadente di Poseidone si posasse su di me, mamma gli volse le spalle e mi guidò verso Apollo, che porgeva elegantemente il braccio ad Afrodite. Dietro di loro, Efesto zoppicava penosamente, senza distogliere nemmeno per un istante lo sguardo adorante dalla bellissima moglie.
In verità, non voglio rievocare quella festa più del necessario.
Ricordo che mi sudavano i palmi e che la gonna azzurra del mio abito si impigliava dappertutto. Trovavo invadenti gli sguardi degli altri dei, e tuttavia mi sforzavo di sorridere a tutti: non volevo scontentare mia madre, non volevo deludere Leucippe, non volevo essere scortese con nessuno.
Ad un certo punto sbirciai il bracciale di fiori che avevo al polso -piccole margherite di un bianco delicato, l’unica cosa su cui l’avessi avuta vinta- e trattenni il desiderio di correre via.
Mamma era bellissima, come sempre: aveva fianchi morbidi, seni grandi, braccia tornite e accoglienti. Gli dei la guardavano passare e le dee le sorridevano amichevoli, irresistibilmente attratte dal suo sguardo caldo e dal suo sorriso luminoso. Io, vestita con gli stessi colori ma dotata di ben altre forme, non potevo fare a meno di sentirmi una sua copia sbiadita.
Rallentai progressivamente il passo, rimanendo indietro mentre Demetra si avvicinava alla piccola culla in cui riposavano Ares ed Eris, il miei nuovi fratellini. Indietreggiai furtivamente e subito trasalii, rendendomi conto di aver urtato qualcuno.
-Ti stai chiedendo se sarai mai come lei?-
La voce era roca e suadente, morbidamente femminile, e mi fece rizzare i capelli sulla nuca mentre mi voltavo.
Memore degli sforzi di Leucippe di migliorare i miei modi, feci un breve inchino.
-Buon giorno, signora zia.-
Era mi guardò con sufficienza; gli occhi verdi screziati d’oro erano ombreggiati dalle lunghe ciglia scure.
-Ti sta bene questo vestito, Kore.- Quel nomignolo affettuoso aveva sempre un suono sbagliato quando usciva dalle sue labbra: una nota di malcelato disprezzo, come quello di una donna piacente e matura che si rivolgesse a una ragazzetta tutta gomiti, ginocchia e ossa.
Abbassai lo sguardo.
-Grazie.-
-Dovresti vestirti così più spesso.-insistette Era. Mi posò un dito inanellato sotto il mento, costringendomi a sollevare il viso. -Sembri meno scialba.-
Farfugliai un altro ringraziamento e sgattaiolai via, desiderosa di sparire.
Vagai con lo sguardo tra la folla, cercando la figura di Leucippe, e andai a sbattere contro un petto sconosciuto.
-Eccola che arretra… hai già seminato la tua ancella?-
Nonostante l’isolamento in cui vivevo, costantemente circondata da ninfe nel castello di mia madre, era impossibile non riconoscere quella voce ridente. E, se anche non l’avessi riconosciuta, avrei percepito il calore del Sole sotto le dita, che mi cinse le spalle come un dolcissimo abbraccio. Arrossii fino alle orecchie e sollevai lo sguardo, incontrando un paio di occhi color oro e un viso bellissimo, circondato da una criniera di selvaggi capelli color fuoco.
-Helios!- mi staccai dal suo petto come se mi fossi ustionata e strinsi le mani una dentro l’altra, come a serbare un po’ del suo calore.
Helios sorrise.
–Quasi non ti riconoscevo! Oggi sei molto diversa da come ti vedo di solito!-
Quella frase implicava che, dall’alto del cielo, lui ogni tanto mi osservasse. Sentii i il cuore accelerare i battiti e una sensazione di calore arrampicarsi su per le mie guance.
–Io… ti sono arrivata addosso, scusami!-
Helios fece un inchino furfantesco, degno di Ermes.
-C’è un modo per rimediare: mi concedi un ballo?-
Demetra si intromise nella conversazione con il solito garbo, ma il suo tono fermo non ammetteva repliche.
-Kore è ancora troppo giovane per accettare inviti.-
Negli occhi felini di Helios scintillò una convinzione diversa, ma il dio celò il disappunto con il sorriso più luminoso che avessi mai visto.
-Posso invitare te, allora, dolce Demetra?-
-Me?- Per un istante mia madre parve sorpresa da tanta audacia, ma assecondò il gioco, lusingata.-D’accordo, se lo desideri. Kore,- mi bisbigliò avvicinandosi -non allontanarti!-
-Sì, mamma. Non preoccuparti.-
Li guardai fendere la folla in direzione dei danzatori, delusa.
Ripensai a Helios, al calore del suo petto che potevo ancora sentire sulle braccia.
Ripensai alle parole di Leucippe
(presto ti accorgerai del tuo effetto sugli uomini)
e all’osservazione acida di Era
(questo vestito ti rende meno scialba).
Guardai gli altri dei: ognuno di loro si distingueva dagli altri, portando con fierezza le insegne del proprio potere, della propria natura.
Io non ero nulla, non avevo in me nulla.
Cosa ci faccio qui, in mezzo a loro?
Ero chiaramente nel posto sbagliato: non mi ero mai sentita fuori posto mentre mi arrampicavo da sola sugli alberi, o correvo per i prati e i boschi insieme alle mie ninfe.
Fu allora che vidi Leucippe.
La mia ancella era sotto un arco di pietra invaso di glicine, il capo rovesciato all’indietro mentre parlava con Ermes e lo guardava in viso, come a cercare nei suoi occhi di mercurio il nucleo di verità celato nei suoi amabili inganni. Ermes le prese la mano e le baciò le nocche. Leucippe rise, ma non ritrasse le dita.
Non l’avevo mai vista così felice con me, al palazzo di mia madre. E non avevo mai visto nemmeno Ermes sorridere in quel modo, come se lei fosse il centro dell’universo e lui fosse grato di poterla sfiorare.
Ebbi un tuffo al cuore: mi sentii abbandonata. Peggio: mi sentii tradita.
Serrai gli occhi e per un attimo mi parve di sprofondare al suolo, e poi ancora più giù: nell’oscurità della terra, dove lo sguardo luminoso di Helios non arrivava e mai sarebbe arrivato.
Percepii qualcosa, in quel buio: un rombo lontano, lontano che…
Grida di sorpresa mi spinsero a riaprire gli occhi: Leucippe e Ermes stavano guardando il terreno: dei rampicanti erano emersi dalla terra e si avvinghiavano attorno alle loro caviglie.
Leucippe sollevò lo sguardo nella mia direzione e mi vide.
Le voltai bruscamente le spalle, inoltrandomi a grandi passi nel folto della selva.
-Kore!-
Sentivo la sua voce alle mie spalle, ma la ignorai. Udii il suono dei rampicanti che venivano strappati, i passi goffi di Leucippe nella mia direzione.
-Kore, dove stai andando? Non dovresti allontanarti. Tua madre si preoccuperà!-
-Lasciami in pace! Torna a quello che stavi facendo!-
-Kore, tu non mi stai ascoltando!-
-E’ vero!- sbottai, lanciandomi in corsa lungo il pendio del monte Olimpo.
Leucippe scattò dietro di me, ma ovunque posassi i piedi fiorivano rampicanti, arbusti e alberi.
-Kore!- Leucippe scostò esasperata i rami di un cespuglio di biancospino, e continuò a correre dietro di me. Un groviglio di bosso le sbarrò la strada.-Kore, aspetta!-
Ma io non ero più lì.
 
§§§§
 
Corsi per molto tempo.
L’acconciatura mi si sciolse lungo la schiena, l’orlo dell’abito si sbrindellò. Le scarpine erano scomode e mi fermai un istante a sfilarle, lanciandole dietro di me con un grido liberatorio.
Quel comportamento avrebbe molto scontentato mia madre, ma in fondo in quel momento ero sola, no? Ero sola nel bosco, ero sola nella mia fuga.
A ben guardare, ero sola anche alla festa, introdotta a un gioco le cui regole sembrano chiare a tutti, meno che a me!
La luce del Sole mi attirò fuori dal folto del bosco, in una radura.
Il cielo era un fazzoletto azzurro sopra la mia testa, le fronde verdi degli alberi ritagliavano arabeschi cangianti di ombre e di luce. Rivolsi il viso verso il cielo, lasciando che la luce verde che filtrava attraverso le foglie mi sfiorasse le palpebre.
Inalai a fondo.
Profumo di erba tenera, fiori di biancospino, terra umida di pioggia.
Se ascoltavo profondamente, sentivo il battito del mio cuore contro lo sterno. Ancora una volta mi parve che la mia coscienza scivolasse verso il basso, verso qualcosa che stava ancora più giù della terra coperta di erba e di foglie: un magma oscuro e sotterraneo di cui ero solo vagamente consapevole. Dall’oscurità, un brusio confuso mi chiamava: lo sentivo vicino, come se avessi potuto sfiorarne l’origine anche solo tendendo la mano, ma per farlo avrei dovuto
(cadere)
affondare le dita nell’oscurità che lo circondava.
Qualcosa mi spinse ad aprire gli occhi: il suono affannoso e irregolare di un respiro.
Qualcuno si agitava nel centro della radura.
Avanzai guardinga, curva nell’erba alta come un animale selvatico.
Lo raggiunsi, ma non riconobbi subito ciò che stavo contemplando.
Era a terra, gli occhi vitrei rivolti al cielo. La sua schiena era curva come un arco, e lui si artigliava la camicia con entrambe le mani, snudando il petto.
Mi inginocchiai accanto a lui: le sue pupille dilatate mi fissarono senza vedermi. Un filo di saliva schiumosa gli colava agli angoli delle labbra, distorte in una smorfia di dolore. Gli sfiorai la fronte, i capelli ispidi, e  sussultò con tanta violenza che ritrassi di scatto la mano.
Dopo un istante gli premetti due dita sul collo. Sentii il ritmo irregolare del suo cuore.
-Sei umano, vero?- Un tremito scosse il corpo dell’uomo; gli accarezzai il collo per calmarlo, come avrei fatto con un animale del bosco. -Cosa c’è? Cosa ti succede?-
-Non può vederti.-
Tre parole fendettero l’aria. Tre parole, e la temperatura sembrò abbassarsi, la luce del sole perdere brillantezza, come se un’ondata di gelo si spandesse da un punto preciso ai margini della radura.
Sollevai lo sguardo verso il punto da cui proveniva la voce. Scrutai la parete di rami e foglie senza riuscire a distinguere nulla.
-Chi c’è lì?-
Il cuore dell’umano continuava a pulsare sotto le mie dita, il sole a splendere sopra le nostre teste, magnifico e indifferente. Il dolce ronzio delle api selvatiche aveva qualcosa di irreale.
Vi fu un movimento: qualcosa che potei indovinare, più che vedere. Ebbi la sensazione che, se avessi chiuso gli occhi, l’oscurità dietro le palpebre mi avrebbe consentito una percezione più distinta, e così feci.
Un volto bianco: bianco come le ossa, come il marmo sulle tombe dei morti.
Mani grandi e affusolate, premute sulla superficie di un elmo invisibile.
Riaprii gli occhi, nervosa.
-Chi c’è? Mostrati, non avere paura!-
-Paura… ?- La voce suonò sommessa, incolore. -Grazie per avermi rassicurato.-
C’era sarcasmo? Il tono era troppo monocorde perché potessi esserne sicura.
Un movimento fece tremare le ombre verdi sul limitare del bosco. Mi ci volle un istante perché i miei occhi, così abituati alla luce, riuscissero a distinguere l’uomo che veniva avanti.
…no, mi corressi, non un uomo. Un dio.
Sebbene sull’Olimpo non lo avessi mai visto.
Era vestito di nero, come se l’oscurità gli fosse rimasta attaccata addosso. Ed era alto, così alto che, avvicinandosi, torreggiò sulla mia figura rannicchiata.
Portava una maschera bianca, dai lineamenti delicati; tra le orbite della maschera si annidava l’oscurità più completa. Poi un muscolo si contrasse sulla sua guancia: le labbra esangui si tesero agli angoli, bianchissime palpebre calarono a ombreggiare gli zigomi, e io capii che quello che stavo fissando non era una maschera ma un volto, e l’oscurità in fondo alle orbite erano i suoi occhi.
Sentii la pelle accapponarsi sulle braccia, i capelli rizzarsi sulla nuca. Ogni fibra del mio corpo, ogni tendine o muscolo mi ordinò di fuggire.
L’umano sotto di me tremava: tremava come avesse la febbre, come tremavano gli animali del bosco quando un predatore li inseguiva, come aveva tremato Leucippe quando aveva parlato dell’Averno.
Il dio avanzò. La sua ombra si allungò su di me, e mi ritrovai rannicchiata dentro.
Sentii il suo potere pesarmi addosso, riversarsi per la radura inclinando i fili d’erba. Sotto il peso di quel potere, le corolle dei fiori si reclinarono, i bordi dei petali si raggrinzirono.
Chiunque egli fosse, non era certo una divinità minore.
-Cosa ci fai qui? Perché non sei alla festa?-
-Festa?- Le labbra esangui del dio si assottigliarono un istante. Una lieve scrollata di spalle fece tremare l’oscurità perfetta del suo mantello. –Io non mi curo di queste cose.-
Il dio si accovacciò nell’erba, portando lo sguardo sull’umano. Tese verso di lui la mano più bianca che avessi mai visto.
-Lascialo andare!- scattai. -Non vedi che ha paura di te?-
Il dio riportò gli occhi neri su di me. Era un’ombra di impazienza, quella che gli leggevo nello sguardo?
-Questo umano mi appartiene. O mi apparterrà tra poco. Nessuno può farci niente, nemmeno io.-
Le mie labbra si dischiusero inopportune. Non seppi cosa stavo per dire finchè non udii la mia voce tremare nel silenzio della radura.
-Sei lui, vero?- Inorridii della mia audacia, eppure non riuscii a trattenermi.- Tu sei Ade!-
Le iridi nere mi scivolarono addosso come se mi mettessero a fuoco per la prima volta: studiarono i miei capelli arruffati e sciolti, il mio abito sgualcito, le braccia abbronzate piene di graffi, le mani affusolate, prive di anelli, i piedi orgogliosamente nudi.
Mi scambierà per una ninfa dei boschi, pensai.
Gli occhi neri del dio si socchiusero impercettibilmente.
-Tu,- disse -sei Persefone.-
 
§§§§
 
Angolino dell’autrice (altrimenti noto come: considerazioni inutili che però allietano il cuore di una fan girl)
  1. La mia Persefone, di cui finalmente svelo le sembianze, ha la bellezza schiva e spigolosa di Mia Wasikowska. In questo capitolo ho cercato di trasmettere la complessità e le contraddizioni che sento proprie di questo personaggio/archetipo: spero di esserci riuscita e di non averlo banalizzato o appiattito. Il dialogo iniziale con Leucippe prende spunto alla lontana da un dialogo presente nel libro Lemonade, di Nina Pennacchi.
  2. Finalmente entra in scena Ade. In quanto a complessità, lui mi darà un sacco di filo da torcere, lo sento!
*Saliman si prende la testa fra le mani e si dondola nell’angolino*
  1. Demetra ha preso forma mentre ne scrivevo: diciamo che potrebbe avere le fattezze di Charlize Theron.
E niente, che vi aspettavate? o_ò
L’avevo detto che si trattava di note abbastanza inutili!
   
 
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