Anime & Manga > Naruto
Ricorda la storia  |      
Autore: I m a witch    18/02/2015    2 recensioni
Era trascorsa una settimana dal tradimento di Orochimaru. I tre ninja leggendari, i tre sennin, si trovano improvvisamente a un bivio, costretti a scegliere tra ambizioni, tentazioni, rimorsi e delusioni; perché anche la mente del ninja più forte cede di fronte al gioco del destino.
**Questa storia partecipa al contest "Scegli la tua carta, scrivi la tua storia!" indetto da LoLLy_DeAdGirL sul forum di EFP**
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Jiraya, Orochimaru, Tsunade
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Prima dell'inizio
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
la strada

La strada dell’eremita

 

 

“Yes, there are two paths you can go by 
But in the long run 
There's still time to change the road you're on.”

Stairway to Heaven- Led Zeppelin


 Jiraya amava trascorrere il tempo sulla Montagna degli Hokage e riflettere. Solitamente sedeva sulla testa dello Shodai, dato che il Nidaime e il Sandaime avevano entrambi dei capelli piuttosto scomodi. Era un’abitudine che aveva sin da piccolo, nata forse dal fatto che il maestro Sarutobi lo spedisse sempre lì dopo ogni guaio, intimandogli di riflettere sulle sue azioni. Quelle ore di punizione erano presto diventate dei momenti catartici, un’irrinunciabile occasione per ritrovare se stesso, colui nascosto dietro la maschera da maniaco dalla risata facile. In quei momenti riusciva a trovare la pace, come se l’altezza del monte gli desse una prospettiva diversa non solo del Villaggio, ma anche della propria vita.

 Quella sera, però, non riusciva a svuotare la mente. Aveva poggiato la testa sulle ginocchia, chiudendo gli occhi e cercando di trovare quella tranquillità che da una settimana, ormai, gli era preclusa. Strinse i pugni, trattenendo a stento l’istinto di fare a pezzi qualcosa, magari proprio quella stessa montagna che tanto spesso lo aveva aiutato, che significava molto per lui e per tutti gli abitanti di Konoha.

 Era molto buio, ormai, quasi tutte le luci del Villaggio erano spente e non si vedeva nessuno per le strade. Sembrava quasi una notte come tante altre, ma Jiraya non riusciva a dimenticare il fatto che, esattamente una settimana prima, Orochimaru li avesse traditi, fuggendo chissà dove per progettare chissà cosa.

 Orochimaru era scappato, lasciandosi ogni cosa alle spalle: il suo Villaggio, la sua squadra, i valori in cui aveva sempre detto di credere. Aveva abbondonato quella fiamma che li aveva uniti, rinunciato al loro credo, scelto di intraprendere un cammino oscuro, pericoloso, seminato da scie di atroci esperimenti, barricandosi all’interno di un laboratorio sterile e asettico. Era proprio un laboratorio l’ultima cosa che restava di lui, in quel posto, la prova di una tragica realtà che era sempre stata sotto al naso di tutti ma che nessuno era mai riuscito a vedere. A volte l’evidenza dei fatti si nasconde proprio dove c’è più luce, gli avevano sempre detto le persone anziane, insegnandogli l’ennesimo stupido proverbio che finiva puntualmente per rivelarsi veritiero. La prima volta in cui Jiraya aveva messo piede lì dentro per poco non aveva vomitato. Fino a quel momento si era rifiutato di credere a quello che gli era stato detto, alle parole di quell’Anbu che, alle cinque del mattino, lo aveva svegliato per avvisarlo che Orochimaru era fuggito dal Villaggio della Foglia in seguito al suo tradimento.

 Orochimaru aveva voltato le spalle a quella maledetta montagna.

 Tsunade non aveva esitato un solo istante: aveva creduto subito a quelle parole, senza nemmeno avere le prove in mano. Jiraya l’aveva accusata di essere troppo precipitosa, ma si era dovuto ricredere. Orochimaru li aveva davvero traditi, usati. Aveva negato il giusto credo ninja alla ricerca di un qualcosa di impossibile da trovare.

 Jiraya aveva capito subito che strada Orochimaru avesse scelto di intraprendere: quella della conoscenza. Una conoscenza spietata, contro natura, senza alcun rispetto per la vita. Era giusto sacrificare centinaia di esseri innocenti solo per sfamare la propria sete di sapere? Eppure, in qualche modo Jiraya lo comprendeva. Erano simili, pensò, e per un attimo credette persino di non poterlo biasimare. In fin dei conti erano conosciuti da tutti come eremiti. Sempre in cerca di solitudine, pronti a spingersi un po’ più in là, abbandonando quella strada agevole che chiunque avrebbe potuto percorrere, desiderosi di raggiungere mete che nessun altro, oltre loro, avrebbe mai potuto intravedere. Ciò nonostante non poteva fare a meno di sentire un peso soffocante al petto, una morsa che lo costringeva ad aprire la bocca, in cerca di aria.

 Nella sua mente si agitavano pensieri contrastanti. Era tentato di partire in quello stesso momento, pronto a riprendere Orochimaru e riportarlo al Villaggio, anche a costo della propria vita, eppure sapeva che non sarebbe valso a niente. Il suo ex compagno di squadra aveva scelto consapevolmente la sua strada da percorrere, ed era una strada che avrebbe incrociato la sua solo nel momento dello scontro finale. Che fare, allora? Starsene lì con le mani in mano, augurandosi che prima o poi Orochimaru finisse col morire senza lasciare alcuna traccia? No, era fuori discussione.

 Scattò in piedi, risoluto. Sapeva bene cosa fare. Non avrebbe continuato a piangersi addosso, avrebbe agito. C’era un’opportunità migliore: riprendere i suoi allenamenti, tenere duro e sperare di affrontare Orochimaru, un giorno, facendogliela pagare per tutto il dolore causato.

 Anche lui avrebbe preso una strada altrettanto tortuosa, volta al superamento dei propri  limiti. Non aveva nemmeno bisogno di fare i bagagli.

 Il Monte Myoboku lo attendeva.

 

 

***

 

 

 Orochimaru non si era fermato neanche per un attimo, nemmeno dopo una settimana dalla sua fuga. Non era mai stato così stremato, neanche dopo la battaglia contro Hanzo la Salamandra. Durante il viaggio era stato costretto a prendere un bastone da terra, aiutandosi nel cammino. Era stato umiliante, ma quel suo corpo debole era solo una condizione temporanea. Finalmente trovò un nascondiglio adatto, un’isolata caverna del Paese del Fulmine. Lontano da Konoha, lontano da tutti quegli insegnamenti bigotti e moralisti che lo soffocavano, che sopprimevano le sue reali capacità. Lì avrebbe potuto dare sfogo a tutti i suoi desideri, alle sue ambizioni: avrebbe potuto sfamare la propria mente con quel pane che gli era sempre stato negato. Non c’era anima viva, lì, nessuno che potesse dirgli cosa fare o come comportarsi. Era finalmente libero.

 Non si sarebbe fermato finché non avesse finalmente compreso i misteri del loro universo, le eterne regole del chakra, la forza che si celava dentro ogni ninja. Avrebbe scavato a fondo, nei corpi e nel sangue, godendo di ogni sua scoperta e sentendosi come un dio; e proprio come un dio avrebbe creato il ninja perfetto, la quintessenza del potere, e lui stesso sarebbe divenuto tale, spietato e immortale. Nessuno lo avrebbe distolto dalle sue intenzioni.

 Era un traguardo ancora lontano, lo sapeva bene. Per anni aveva sognato di poterlo raggiungere, frenato dai limiti imposti da quegli stupidi del suo Villaggio, troppo codardi per compiere le grandi gesta che solo a lui erano destinate. Non sarebbe tornato sui suoi passi, su quella strada dritta e lastricata d’oro che lo aspettava a Konoha, la strada dell’eroe. Il suo cammino sarebbe stato unico, in salita, ma con un premio ben più grande ad aspettarlo.

 Non aveva rimpianti.

 Solo due nomi continuavano ad affollargli la mente: Jiraya e Tsunade.

 Sarebbero stati due spine nel fianco, lo sapeva bene. Avrebbero cercato di ostacolarlo con ogni mezzo a loro disposizione e, benché si ritenesse il più grande ninja vivente, sapeva anche che loro due sarebbero stati gli unici a poterlo davvero fermare.

 Non c’era da preoccuparsi, pensò: non avrebbero fatto in tempo a prenderlo.

 In certi momenti si ritrovava a pensare che sarebbe stato magnifico se anche loro due avessero avuto i suoi stessi progetti: avrebbero potuto raggiungere la gloria insieme, come una squadra. Ovviamente erano solo dei pensieri del tutto illogici, e non poteva fare a meno di darsi dello stupido. Non aveva bisogno di nessuno, né tantomeno aveva mai tenuto davvero a quei due idioti. Non era mai stato legato a nessuno; il suo animo non sentiva l’esigenza di quell’istinto abominevole chiamato affetto. Avrebbe lasciato l’amore agli stolti; che se lo tenessero pure! Lui ambiva soltanto al meglio, al potere e al sapere, due facce di un’unica, meravigliosa medaglia d’oro che presto o tardi sarebbe stata sua.

 

 

***

 

 

 Tsunade imprecò.

 Lanciò i dadi, sudando.

 Hai perso, peccato. Riprova ancora.

 Un nuovo tentativo, una nuova sconfitta. La metafora della sua vita, in poche parole.

 Il denaro scorreva via come un fiume, lontano dal suo portafogli.

 Quei due stupidi pezzi di plastica a sei facce e lei non erano mai andati molto d’accordo, ma non le importava. Non si era mai preoccupata dei soldi e forse era per quello che, nonostante la sua innaturale sfortuna, continuava a scommettere nella vana speranza di poter vincere qualcosa, prima o poi.

 Il denaro non era la prima cosa che perdeva, e di certo non la più importante.

 Innumerevoli volti affiorarono alla mente di Tsunade, visi di persone amate che non avrebbe mai più rivisto. Si chiese come mai la vita continuasse ad accanirsi contro di lei in quel modo. Una settimana prima aveva perso l’ennesima persona sulla quale credeva di poter contare, tutto a causa di un tradimento. Suo nonno le aveva sempre insegnato a ridere e a ritrovare la forza anche nelle situazioni più buie. In certi momenti, però, quegli insegnamenti non sembravano essere serviti a nulla. Lei non era suo nonno, il grande Hashirama Senju: non era in grado di rialzarsi e andare avanti, di perdonare il tradimento di un amico e di un compagno. Non era capace di ingoiare, di far scorrere l’acqua sotto i ponti, di ignorare il fatto che lui avesse scelto la follia piuttosto che il bene della sua gente.

 Sospirò, alzandosi dal tavolo da gioco. Notò immediatamente lo scontento generale dei suoi avversari: avevano gradito le vittorie facili e non volevano certo che lei se ne andasse, non prima che avesse sperperato anche i suoi ultimi, inutili risparmi.

 Pagò il conto e andò via, camminando per le strade di Konoha, il villaggio fondato da suo nonno molti anni prima. Troppi ricordi erano concentrate in quelle vie, nei muri degli edifici. Erano ricordi di un ipotetico futuro felice, in cui il suo fratellino era ancora vivo, l’uomo che amava ancora al suo fianco e il suo compagno di squadra, uno dei suoi più fidati amici, ancora al Villaggio con loro. Invece Nawaki e Dan erano morti, e Orochimaru li aveva traditi. Quanto avrebbe voluto che fosse morto anche lui; almeno avrebbe evitato di doverlo andare a cercare in giro per il paese, con la consapevolezza che quella serpe stesse progettando piani loschi e crudeli a loro spese. Se fosse morto sarebbe semplicemente andata a visitare la sua tomba ogni settimana, magari portandogli qualche fiore di tanto in tanto e, soprattutto, avrebbe parlato di lui con i ragazzini di Konoha, descrivendolo come un grande eroe sacrificatosi per il loro bene. Invece eccola lì, tra la delusione e l’amarezza, a mugugnare tra sé e sé in cerca di una via d’uscita. Era stanca di quella vita. Era la nipote del primo Hokage e tutti si aspettavano da lei il meglio, tutti pretendevano che proteggesse il Villaggio a ogni costo, anche a scapito della propria vita, dei propri sogni, dei propri sentimenti.

 Jiraya avrebbe sicuramente seguito Orochimaru fino in capo al mondo, impegnandosi con la solita cocciutaggine della sua testa dura. Lei che avrebbe fatto? Lo avrebbe abbandonato, così come Orochimaru aveva fatto con loro due?

 Scagliò un calcio a un sasso per strada, mandandolo a sbattere così forte contro a un muro da creparlo.

 Perché non c’era un’alternativa? Perché non poteva semplicemente andare via, lasciandosi tutto alle spalle?

 Si fermò, folgorata da quel pensiero.

 Già, perché?

 Sarebbe stato così facile andare via da lì, dimenticare ogni costrizione e vivere alla giornata, sempre in un posto diverso, sola e senza responsabilità.

 Più ci pensava più le sembrava il piano perfetto.

 Si affrettò verso casa, prendendo una borsa e lo stretto indispensabile. Non si soffermò più di tanto su quell’appartamento che la aveva accolta per sei anni. Non l’avrebbe più rivisto, ma non avrebbe certo sentito la sua mancanza.

 Varcò la soglia dell’imponente porta del Villaggio della Foglia ed eccola lì, libera, mentre correva di albero in albero, ridendo senza più alcun pensiero.

 Basta con i problemi, col dolore, coi tradimenti, con le responsabilità. Nessuno l’avrebbe più riconosciuta come la nipote del grande Senju, come la Principessa delle lumache; non sarebbe stata più la ragazza tradita da uno dei suoi migliori amici. La sua vita sarebbe cambiata, lontana da quell’inferno che aveva sempre considerato casa.

 

  
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Naruto / Vai alla pagina dell'autore: I m a witch