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Autore: _Hyperion_    18/02/2015    0 recensioni
Non è friendzone, lo giuro!
Dal primo capitolo:
"Decisi che già mi piaceva. Sembrava una caricatura, un personaggio direttamente uscito dai cartoni animati. Lui, ignaro dei pensieri che gli stavo rivolgendo, era seduto da solo infondo alla mensa intento a mescolare, quasi meccanicamente quella che lontanamente assomigliava ad una zuppa".
Genere: Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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~~Giovedì 10 settembre 2009
“Alexandraaaa!”


 E ancora “Alexandra, svegliati!”
“Si, Joy, sì. Sono sveglissima! Che c’è, abbiamo clienti?”. Sarcastica.
“Forse! C’è una piccola folla proprio qui fuori, probabilmente sono stati attirati da qualcosa o da qualcuno.. magari entrano! Vado a vedere!” cinguettò la bionda ossigenata.
Caldo. Faceva un fottuto caldo. A Londra in Settembre. Probabilmente sarebbe finito il mondo di li a poco. Dal canto mio, me ne stava accasciata in canotta e pantaloncini dietro il bancone del negozio in cui lavoravo. Probabilmente ancora per poco, dato che Joy, la proprietaria, era sommersa dai debiti e gli affari andavano piuttosto male. Improvvisamente ebbi uno stranissimo Deja-vu che fu interrotto dalla voce più eccitata che mai di Joy, già di ritorno. “Lexie, o mio dio. Tu non ti rendi conto! Sta entrando qui! O mio dio fa qualcosa, truccati, fatti bella! Insomma, renditi presentabile!”
“Grazie mille per i complimenti, cara. Innanzitutto dimmi chi diavolo sta entrando e augurati che compri qualcosa” le risposi pensando che alla fine non ero poi così male anche senza essere ricoperta da tonnellate di trucchi come lei.
“La popstar, Mika! Sta entrando qui! Da noi! E ovviamente gli regalo tutto, cosa vuoi che gli facci pagare!”
“Fico”, conoscevo alcune canzoni di Mika ma non volevo dare a vedere a Joy la mia curiosità e poi lei non poteva pensare di regalargli tutto, già eravamo messe male..
Tornai a disegnare cerchietti su un block notes mentre urla, probabilmente di fans, provenivano dal di fuori del negozio. Era già capitato che qualche personaggio famoso entrasse da noi per po' uscirne immancabilmente a mani vuote.. erano i pochi che apprezzavano i nostri particolarissimi capi d’abbigliamento.
I miei pensieri furono interrotti dalla voce stranamente bassa di Joy: “Alexandra Ellie Lewis, lui ti sta fissando da 10 minuti e tu disegni scemenze senza degnarlo di uno sguardo?”
Ma di che diavolo parlava? Alzai gli occhi e li posai sulla figura immobile che mi fissava a 5 metri di distanza, incastrata tra due scaffali. Effettivamente, l’uomo sui venticinque mi guardava, ma non sapevo esattamente il perché, magari aveva bisogno di un consiglio su che cravatta abbinare all’elegante vestito nero che indossava. Una strana sensazione accompagnata da un prurito alla base della nuca, si impossessò dei me, così chiesi sottovoce al mio capo: “Perdona la mia ignoranza, ma è lui?”. Non ci fu bisogno di alcuna riposta, mi fulminò direttamente con gli occhi.
Così mi avvicinai, notando il fascino del personaggio che avevo di fronte.
Quegli occhi. Li avevo già visti, ma dove? I ricci corti, ma neanche troppo, mi ricordavano prepotentemente qualcosa …
“Salve” dissi neutra.
Lui, paonazzo, per tutta risposta frugò nella borsa a tracolla ed estrasse un foglietto spiegazzato da un’agenda. Lo aprì e me lo mostrò. Vidi un disegno a carboncino di un ragazzino giovane e riccioluto con occhiali e orecchino. Poi lessi la dedica e risi isterica prima di portarmi una mano alla bocca.
“Michael!!” urlai finalemente.
“Ma allora sei tu, Lexie! Mio Dio, ti ricordi?”. La sua voce, come il suo aspetto, era cambiata: molto più profonda e sensuale.
Non ci potevo credere!
Ci guardammo per un attimo: lui ventiseienne famoso e amato, io ventunenne quasi disoccupata.
Improvvisamente si avvicinò Joy, della quale mi ero dimenticata l’esistenza: “Ma allora lo conosci!”.
Non potei fare altro che allargare le braccia e sorridere.

Erano passati sette lunghi anni ma di certo non mi ero dimenticata di lui, o meglio: non mi ero dimenticata di Michael Penniman, nerd diciannovenne. Ma adesso chi mi trovavo davanti? Una popstar egocentrica e piena di se, oppure il ragazzino alto e magro con una tonnellata di boccoli in testa (ora quasi del tutto comparsi)?
Bella domanda.
Lo fissai estremamente convinta che dovesse essere lui il primo a parlare.
“Bhe, non mi dici niente?” chiese dopo due minuti abbondanti in cui era calato il gelo.
 “Pensavo fosse tuo dovere spiegare o raccontarmi qualcosa dato il pasticcio lo hai combinato te..”  sussurrai facendo riferimento all’ultimissima volta in cui ci eravamo visti.
Sfoderò un sorriso sincero che notai essere una delle cose che non aveva perso nel diventare adulto “Ricordo benissimo quanto fui stronzo all’epoca, però ora non mi conosci quindi…” ghignò per poi continuare “ti va di prendere un caffè con me, ora?”
Stavo ragionando su: uno, Michael Penniman non aveva mai, e dico mai, chiesto ad una ragazza di uscire anche solo per una cioccolata calda, al tempo del liceo, esclusa me e due, non potevo abbandonare così il negozio, quando Joy che nel frattempo si era abbassata oscenamente la scollatura della canottiera, venne in mio soccorso cinguettando: “Ma certo, caro, Alexandra accetta volentieri e spontaneamente l’invito!”.
Lui rise di gusto e quindi disse: “Bene, te la riporto fra mezz’ora, quaranta minuti al massimo. Nel frattempo preparami impachettati questi quattro completi” disse a Joy indicando alcuni dei capi più strani e allo stesso tempo costosi che avevamo esposti e aggiunse “quando torniamo te li pago, tranquilla. Mi piacciono molto” e mentre mi prendeva per un braccio con l’intento di trascinarmi fuori di lì, lanciai un occhiata al mio capo che ancora annuiva incredula. Tra me stessa pensai che probabilmente stava già mandando a quel paese il proposito di regalare a Michael tutto ciò che avrebbe voluto.
L’effetto dell’enorme popolarità del mio accompagnatore si ripercosse su di noi, nello specifico su di me, non appena varcammo attaccati la soglia della boutique. Se inizialmente una ventina di giovani fanciulle si avvicinarono calpestandosi i piedi a vicenda e per nulla decise ad ascoltare i richiami per nulla convinti delle loro madri distanti pochi metri, per avere un autografo o una foto dal loro idolo, quando mi notarono si fermarono quasi impietrite. Vistosamente imbarazzata alzai la testa non trovando lo guardo di Michael che, dal canto suo, se la rideva di gusto. Non capii il perché ma quando lui alzò una mano per salutare il gruppetto di  fans, le ragazze iniziarono a parlare non troppo a bassa voce fra di loro, alcune ridendo isteriche altre lanciandomi sguardi di puro odio. Riuscii a captare qualcosa tipo “fidanzata” e “ingiustizia”, ma prima che potessi anche solo pensare di chiarire l’errore, un grosso Land Rover accostò di fronte a noi e Michael mi aprì la portiera posteriore, una volta seduta si mise al mio fianco sussurrandomi di lasciarle perdere.
Circa una decina di minuti dopo arrivammo ad un bar, e giuro, nonostante vivessi a Londra da sempre, non avevo mai visto quel posto in vita mia. Era collocato al piano interrato di un lussuoso hotel a cui non avevo mai fatto caso; non appena entrammo potei ammirare la magnificenza del posto: sembrava una sala da ballo di un palazzo asburgico, mi resi conto che, se non fossi stata accompagnata da Michael, probabilmente non mi avrebbero nemmeno fatta entrare. Mentre cercavo di non essere accecata dal riflesse dei lampadari di oro e vetro sentii il mio compre riassumere la storia del locale, che appresi essere di proprietà di un qualche chef pluristellato. Le cose vanno fate bene oppure non vanno fatte proprio, sembrava essere la  filosofia di vita della persona che si stava sedendo di fronte a me ad un tavolo collocato infondo alla sala.
Michael esordì interrompendo il filo dei miei pensieri: “So per certi che ti stai sbagliando!”, al che lo guardai strabuzzando gli occhi e girandomi convita che stesse parlando con qualcuno dietro di me. Vedendo la mia perplessità si spiegò meglio: “Ho notato il tuo sguardo stupito al limite del contrariato, appena abbiamo messo piede qui dentro, quindi intuendo i tuoi leciti pensieri ci tengo a dirti che sicuramente ti stai sbagliando”.
Perseverai nel mio mutismo, che no era altro che un muto incitamento nel continuare il suo monologo. E così fu: “Ho scelto questo posticino principalmente per tre motivi: il primo è che fanno della crema al limone divina che ti toccherà assaggiare, dato che mentre guardavi in aria ho ordinato”. Pausa studiata. “Il secondo è che parlare in un bar normale non sarebbe anzi, non lo è mai, fattibile per ovvi motivi. Qui è tranquillo, diciamo che non tutti possono entrare”aggiunse studiando le parole e notando il mio disappunto continuò  “bene, ora mi crederai anche qualcosa tipo razziata, se solo sapessi! Ma, ogni cosa a suo tempo! Dicevo, la terza motivazione, cioè quella a cui tengo di più, è che voglio dimostrarti quello che non sono. Nello specifico che non sono cambiato più di tanto dall’ultima infelice volta in cui ci siamo visti”.
“Interessante. E secondo te portarmi in locale di lusso perché altrimenti un branco di adolescenti con gli ormoni a mille ti salterebbero addosso, è il modo migliore?” sputai tutto d’un fiato guardandolo fisso negli occhi.
Fummo interrotti dall’arrivo di due porzioni di quella che doveva essere la famosa crema al limone. La assaggiai e effettivamente meritava molto, non osai chiedere il prezzo però.
Dopo due minuti in cui fummo entrambi occupati a gustare ciò che ci era stato servito, Michael rese la parola: “Immaginavo giusto allora. Il fatti di potermi permettere alcune cose è solo la conseguenza della fatica che ho fatto in questi sette anni in cui non ci siamo visti. I soldi non fanno la felicità, lo so. La musica si però, ed è quello che è successo a me. Credimi se, potessi tornare indietro non mi comporterei mai come ho fatto, di certo però la mia partenza sarebbe avvenuta comunque, se non me ne fossi andato ora non sarei così. Non sarei felice. Ed è questo che voglio farti capire: io sono felice, finalmente!” concluse con una nota di entusiasmo. Per la prima volta da quando lo avevo rivesto, ritrovai sul suo visto quell’espressione da bimbo di cinque anni che pensavo avesse perso e ne fui immensamente felice.
“Sono contenta per te davvero, non avevo dubbi che ce l’avresti fatta. Più che il talento, serve determinazione e tu sei la persona più determinata e testarda che conosco, o meglio, che ho consociuto…”
“Oh no, Lexie! Tu mi consoci, ti mancano solo un paio di dettagli, diciamo e poi sebbene vengo chiamato quasi sempre Mika, il vecchio Michael è sempre entro di me” e mi fece l’occhiolino.
“Come hai fatto a trovarmi? È stato un caso?” domandai curiosa attendendo la riposta che arrivò immediata: “Più o meno, era già da un po che volevo incontrarti ma non sapevo come fare. Poi un giorno mia mamma è passata vicino al vostro negozio e ti ha vista dentro. Inutile dire che ti ha immediatamente riconosciuta, ‘non è cambiata di una virgola’ cito testualmente” disse facendomi ridere.
Chiacchierammo del  più e del meno, arrivando in alcuni momenti a ritrovare la complicità di sette anni prima, sebbene pensai dentro di me che ciò che aveva fatto e detto fin’ora non era ancora completamente sufficiente per dimostrare  che era rimasto il vecchio ragazzo che svevo conosciuto sui banchi di scuola. Improvvisamente mi ricordai di essere al mondo e di avere un pure u lavoro, così guardai l’ora sul display del mio cellulare: erano le cinque di pomeriggio, due ore da quando avevo accettato, Joy in verità, l’invito. E proprio Joy immaginai essere incazzata nera mentre chiudeva infuriata il negozio senza aver guadagnati nulla per l’ennesima giornata di fil trovandosi anche con una dipendente i meno. Lo dissi a Michael che ridendo di gusto comunicò al cameriere di metter la spesa a cono suo e mi fece segno di alzarmi. Mentre uscivamo dal locale mi accorsi per la pria volta delle altre persone che lo popolavano, tutti erano rigorosamente vestiti bene, persino le bariste facevano una figura migliore della mia. Mentre loro portavano dei corsetti (che avrebbero fatto comparire le tette anche a chi proprio non le aveva) e delle lunghe gonne sulla tonalità dell’ocra, io avevo un paio di pantaloncini di jeans abbinati ad una canottiera crema e delle sneaker bianche basse: una sedicenne nel corpo di una ventunenne insomma. Fortunatamente mi salvava il trucco, che però veniva giudicato insufficiente e al limite dell’inesistenza da Joy, che ogni mattina svuotava un tubetto di fondotinta per, a suo dire, rendersi presentabile.
In dieci minuti ero nuovamente al negozio, dopo aver salutato Michael feci per scendere dal Suv quando la sua mano mi bloccò: “Senti” mi disse piano e fui sorpresa nel notare un leggero imbarazzo nella sua voce “ti devi presentare una persona, è piuttosto importante quindi ci terrei che venissi da me a cena uno di questi giorni, sai ho imparato a cucinare”.
Sebbene diffidente pensai che non ci fosse nulla di male ad andare a casa sua a cena: “Penso si possa fare, magari semi lasci un contatto ti faccio sapere quando…”
“Sarebbe questo sabato alle 20” disse velocemente interrompendomi. Rimasi a bocca aperta, quindi aveva già organizzato tutto, convito che avessi sicuramente accettato!
“E questo è l’indirizzo..” aggiunse porgendomi un foglietto. Lo lessi e notai che distava solo pochi chilometri da casa mia: “Bhe, ve bene. Accetto! Ora devo andare, altrimenti il mio capo mi ammazza. Ci vediamo sabato” e un attimo prima che chiudessi la portiera della vettura lo sentii urlare: “Ti mando un Taxi!” così voltandogli la schiena per evitare che vedesse la mia risata trattenuta, alzai il pollice in modo che vedesse che avevo capito.
Non appena entrai nel negozio mi trovai vanti Joy, che anziché essere incazzata mi sommerse di domande tipo “Due ore e non ti ha nemmeno chiesto di sposarlo?” ma mentre stavo per risponderle mi venne in mente un cosa: “Oddio, scusa Joy! Devo avergli fatto passare di mente l’dea di compare i vestiti, mi dispiace molto! Se vuoi sabato gli dico che li hai qui impacchettati e pronti”.
“Ma no, cara! Poco dopo che ve ne siete andati ha telefonato una signora, ha detto di chiamarsi Joannie” sorrisi immaginandomi la signora Penniman invecchiata di sette anni ma sempre gentile e cortese “mi ha chiesto il numero di conto corrente ed ha inviato i soldi necessari per l’acquisto dei capi. Pensa, ne ha addirittura chiesti tre capi per ognuno dei quattro scelti da Mika!” disse saltellando incredula per poi fermarsi e guardarmi intensamente.
“Quindi lo rivedi sabato! O mio dio, Alexandra, o mio dio! È la volta buona che chiudiamo baracca e burattini e diventiamo ricche sfondate!” disse usando in modo inappropriato il plurale.
Ma perché glielo avevo detto?!



Angolo autrice:
che dire, la puntualità non è il mio forte...
Beatrice.

  
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