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Autore: FairLady    19/02/2015    1 recensioni
Una persona può cambiare totalmente per un'altra? Può annullarsi per un'altra?
Questa è la storia di Mark e Marta, gentilmente concessomi da Ohra_W, e del percorso che, in qualche anno, li porterà a capire cosa realmente vogliono e di cosa hanno veramente bisogno.
Dal primo capitolo:
"E, a un tratto, quella donna si era trasformata nella sua ossessione personale. Era possibile che fossero stati sufficienti cinque minuti, in cui, per altro, non era successo assolutamente nulla di anche solo lontanamente rilevante, per farlo impazzire? "
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Mark Owen, Nuovo personaggio, Quasi tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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Erano passati ormai svariati giorni da quell’ultima sera in cui si erano visti, Marta e Mark. Le pareti lucide e fredde di un bagno non erano mai state per lei così preziose, così care. I suoi pensieri erano un nastro continuo che trasmetteva sempre le stesse scene, in sequenza. Gli sguardi, i sospiri, le parole dette – e, soprattutto, quelle non dette; la fugace e intensa consapevolezza che quei pochi minuti insieme l’avrebbero forse riportata indietro ad ansie e preoccupazioni che tempo prima aveva deciso di eliminare dalla sua vita. Purtroppo, però, aveva anche recentemente scoperto che senza quelle amare sensazioni non sarebbe più stata in grado di vivere.
Le giornate avevano ripreso a scorrere apparentemente tranquille e, dopo le vacanze, tutto era tornato alla solita routine: lavoro, casa, casa, lavoro… saltuariamente – quando non doveva fare doppio turno in hotel – palestra e corso di giapponese; e tutte queste attività erano a tratti intervallate da brevi telefonate di Mark che terminavano sempre troppo velocemente.
È sempre troppo impegnato, tra lavoro e quella che dopotutto è la sua famiglia.
Troppo impegnato per vederla, troppo anche solo per stare al telefono con lei più di cinque minuti.
Non che si dicessero granché, poi.
«La promozione sta andando bene, siamo tutti molti eccitati all’idea del tour, ti ho riservato un pass per le date inglesi…»
Lavoro, lavoro e sempre lavoro. Si parlava quasi sempre di lui, dei ragazzi, dei viaggi e mai, a parte qualche rarissima volta, gli aveva sentito pronunciare un “mi manchi”, “vorrei vederti”, “scappo per due giorni e ti raggiungo”. Ok, sì, forse l’ultima ipotesi sarebbe stata al limite del fantascientifico, ma… accidenti!
«Se la temperi ancora, quella matita, finirai con il temperarti anche il dito», Gale richiamò la collega all’attenzione, visto che evidentemente se la stava viaggiando su un altro pianeta. «Me lo spiegherai, prima o poi, quello che sta succedendo o devo continuare a vivere di supposizioni basate su quanto bene ti conosco?»
Era vero, Marta, da quando era tornata in Inghilterra, non aveva mai parlato a nessuno di quanto successo in Italia. Si era limitata a brevi racconti goliardici di aneddoti quasi mai accaduti veramente, e aveva pompato parecchio su quanto si fosse divertita e quanto avesse riso tra partite a carte e abbuffate di panettone. Tutto pur di non dover raccontare la verità di giorni passati con addosso un pigiamone di due misure più grandi e il cardigan di suo nonno pieno di toppe inzuppati di lacrime, e goffi tentativi di dimenticare l’indimenticabile.
Tutto, pur di non doverle raccontare che Mark è tornato prepotentemente nella mia vita, che sto soffrendo ancora come un cane e che, anche se so che è vergognosamente sbagliato, l’unica cosa che allevia un po’ quel dolore è il pensiero che prima o poi potrò rivederlo, perdermi nel suo sorriso e farmi risucchiare via l’orgoglio da quei baci che non so più scordare.
«Penso che opterò per la seconda che hai detto; sono certa che le tue supposizioni non saranno così distanti dalla verità. Da qualunque punto di vista la guardi, la mia vita al momento è opaca come un brillante tarocco.»
Marta aveva detto a Gale già molto più di quanto avesse mai pensato di fare; Gale aveva capito molto più di quanto Marta potesse credere.
«Non sta a me giudicare cosa è giusto e cosa no: la vita è vostra; però stai attenta, per favore. Sono certa che le sue siano state davvero belle parole, ma tra il dire e il fare…»
«Non faccio che ripetermelo, Gale», rispose la ragazza all’amica, con un tono più stizzito di quanto avesse voluto. «Me lo ripeto di continuo, ma è così difficile dare retta alla ragione, quando il cuore ha una voce così acuta, così straziante.» Avrebbe voluto mordersi la lingua, Marta; più ne parlava, più il sentimento di illegale appartenenza che sentiva per quell’uomo che non era mai stato suo veramente – e forse non lo sarebbe mai stato – ingigantiva, coprendo tutto il resto. Si alzò di scatto dallo sgabello, abbandonando matita, temperino e l’ultimo brandello di lucidità mentale che possedesse; s’incamminò verso lo spogliatoio per dare sfogo a quella frustrazione dirompente, come tante volte aveva già fatto in passato. Prima di sparire dietro la porta, però, si volse ancora in direzione della collega.
«Grazie per aver capito senza che abbia avuto bisogno di parlare.»
Le lanciò un bacio volante e si chiuse dentro a quel piccolo sgabuzzino, così stretto intorno alla sua figura sempre più esile, che forse le avrebbe impedito di andare in pezzi.
 
***
 
Erano rientrati a Londra da una mezz’ora e l’unico pensiero di Mark era Marta. In realtà, non era trascorso un minuto senza che la sua mente corresse a lei, ma dopo quella sera niente era stato in grado di smuovere la sua attenzione da quegli occhi scuri e appassionati.
Pensava solo a lei. Non alla sua famiglia, a Emma… al piccolo. No, il solo volto che riuscisse a vedere era quello dell’unica donna che fosse stata capace di rapirgli la vita come nessuna prima; i suoi giorni senza lei erano vuoti e privi di senso, come un venticinque dicembre senza albero di Natale. Stando in giro per la promozione, in quel periodo, si era accorto che nemmeno il successo avrebbe potuto qualcosa contro quella mancanza; nonostante fosse riuscito a sentirla ogni giorno, anche solo per pochi minuti, quel buco nel petto non aveva mai accennato a chiudersi. Di quell’incontro, ai ragazzi, aveva raccontato poco: una breve discussione alla quale erano seguiti dei chiarimenti e la promessa di restare amici; forse aveva sbagliato ancora una volta, ma non se l’era sentita di dire tutta la verità, almeno fino a quando non fosse riuscito a mettere chiarezza con Emma e tutti i tasselli di quel puzzle sempre incompleto fossero stati messi finalmente al loro posto.
Appena furono usciti dall’aeroporto, come di consuetudine, i ragazzi si salutarono e ognuno andò per la propria strada diretto a casa. Tutti, meno uno.
 
A Londra ormai era l’imbrunire; l’aria, fredda e tagliente; la pioggia, fine e fastidiosa.
Mark avrebbe dovuto correre verso casa – e magari, per strada, fermarsi a prendere un mazzo di fiori per la sua compagna e un giocattolino nuovo per il piccolo Elwood –, ma l’unica direzione che riuscì a prendere lo stava conducendo all’albergo dove Marta lavorava.
Era certo che si fosse risentita per quelle spoglie telefonate, povere di tutte quelle emozioni che aveva per forza dovuto reprimere di fronte ai suoi amici; gli ultimi messaggi erano stati un susseguirsi di cordiali scambi di battute e poco più. Aveva provato a spiegarsi per sms, ma l’esperienza gli aveva insegnato che sarebbe stato meglio farlo di persona, per evitare fraintendimenti.
Un’ora più tardi fu nel parcheggio di quell’hotel, ché al solo guardarlo il suo corpo fu percosso da quei soliti, profondi brividi; sperò in cuor suo che Marta fosse lì, perché non era certo di riuscire ad attendere oltre: provava un dolore fisico, un desiderio prepotente di stringerla e trasmetterle così tutto quello che a parole non era mai stato capace di raccontare.
S’incamminò verso l’ingresso, lentamente; gli stava salendo l’ansia, la cosa che più temeva era rovinare tutto… non voleva più compiere passi falsi che avrebbero potuto portare Marta ancora lontana da lui. Si fermò di scatto sotto la pioggia – perché diamine non aveva portato l’ombrello? - quando la intravide al di là dei vetri: meravigliosa nella sua semplicità, un cappotto lungo che le copriva quasi completamente quelle gambe stupende, il cappello calcato in testa e un ultimo saluto al suo collega, da lontano.
La vide uscire a testa bassa dalle porte scorrevoli, mentre lui tentava di mandare giù qualcosa che gli si era fermato in gola – o forse era il cuore che galoppava lungo la trachea.
Marta alzò il viso per controllare la strada, in procinto di attraversarla, e i loro sguardi si incrociarono. Il cuore di Mark finì la sua corsa, pompando pericolosamente in testa; non era possibile, non poteva provare quelle devastanti emozioni, non alla sua età… eppure lei era capace di qualunque cosa, lo aveva capito ormai. Riusciva a renderlo inerme, disarmato, incontrollabile; incapace com’era di proferire parola, fu lei ad attraversare e avvicinarsi. Aveva l’ombrellino da borsetta stretto in mano – probabilmente aveva avuto intenzione di aprirlo qualche secondo prima –, ma lasciava che la pioggia le scorresse addosso. I suoi occhi erano lucidi, letali; saperla triste a causa sua faceva male, come una pugnalata in pieno petto.
 
***
  
«Ciao…», avrebbe voluto mettere più voce, ma ciò che uscì dalla bocca di Marta fu quasi un sussurro; forse perché non credeva davvero che Mark fosse lì di fronte a lei, sotto la pioggia che si era fatta battente e con quegli occhi dolci che la stringevano già, ancor prima delle braccia.
Eccola lì la ragione di quel sentimento che non era stata in grado di spegnere: il suo sguardo, capace di spogliarle l’anima in un secondo; le sue labbra, prima incerte, poi aperte a svelare quel meraviglioso sorriso che l’aveva fatta innamorare.
«Ciao…» le rispose, avvicinandosi ancora di più a lei nel tentativo di azzerare quella distanza che si era fatta anche troppo dolorosa.
Mark alzò una mano verso il viso di lei, la liberò dal cappello e le sistemò una ciocca di capelli ormai zuppa dietro l’orecchio, finendo poi per accarezzarle il volto; a Marta si piegarono le ginocchia.
Emozione immensa di sentire di nuovo quel tocco sul suo viso; sollievo, calore, come una coperta calda appoggiata su un’esistenza vissuta all’addiaccio.  
«Dimmi che non te ne andrai più, dimmi che sarai mio, anche se dovesse essere ancora una gigantesca bugia. Dimmelo come se ci credessi davvero…» la sua era quasi una supplica; lo stava pregando e, per la prima volta, non si sentì patetica. Aveva bisogno della sua presenza e di vivere l’amore in quel modo solo loro; anche se a piccoli sorsi, ma intensi e preziosi.
«Piccola...» quella preghiera a mezza voce doveva aver fatto il proprio lavoro, perché Marta vide lo sguardo di Mark dipingersi di un’espressione incredula e felice, al limite della commozione – o forse si era già commosso, ma la pioggia nascondeva ad arte le lacrime.
«Zitto, per favore… prima di qualunque altra cosa, baciami», intraprendente come non lo era mai stata, s’impadronì di quelle labbra, spegnendo il dolore sordo che l’aveva straziata nell’ultimo periodo. Non sarebbe guarita, non subito - forse mai -, ma quelle piccole dosi di lui sarebbero state il suo antidolorifico naturale.
Si potevano scorgere sorrisi, in mezzo a quei baci. Si potevano percepire sospiri, tra le carezze che quel vicolo buio dietro l’hotel stava nascondendo; e non sembrava importare a nessuno dei due se il giorno dopo avrebbero avuto la febbre alta, l’importante era solo il calore che sentivano in quel momento.    
Quando, dopo un tempo indefinito, presero fiato e i loro occhi si incontrarono nuovamente, i loro volti erano luce pura; le fronti madide appoggiate una all’altra e sorrisi a non finire. Erano felici, di nuovo, pur sapendo che quel tipo di beatitudine, soprattutto nella loro situazione, non avrebbe avuto vita facile.
«Piccola… - tornò a ripetere lui, fissandola con intensità -, io sono un casino, uno di quelli veri. Sono pieno di difetti. Ma se mi vuoi, anche così, imperfetto e incasinato, sono tuo.»



I have so many, so many flaws
If you take me, take me they’re yours

 
   
 
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