Capitolo tre.
Dato che non penseremo mai nello
stesso modo e vedremo la verità per frammenti
e da diversi angoli di visuale, la regola
della nostra condotta è la tolleranza reciproca.
La coscienza non è la stessa per tutti.
Quindi, mentre essa rappresenta una
buona guida per la condotta individuale,
l’imposizione di questa condotta a tutti
sarebbe un’insopportabile
interferenza nella libertà di coscienza di
ognuno.
Gandhi
Erano passati due giorni da quella terribile serata.
Nonostante tutto non avevo fatto moltissimi progressi nella ricerca della mia
verità. Cheve si era offerto di frugare nella nostra biblioteca di città, per
scoprire se quelle leggende di cui parlavano i saggi della tribù, avessero un
riscontro scritto o fossero semplicemente favole, come sosteneva Cheve.
Per quanto mi riguardava non avevo fatto nessun passo avanti
e le notti insonni a frugare tra le cose della mia famiglia non avevano
prodotto alcun risultato. Ero…quanto meno frustrato dalla situazione e anche
peggio i miei sensi si erano affinati a
tal punto da rendermi pazzo. Sembrava tutto amplificato, dal mio udito, al mio olfatto,
dalla mia vista, alla mia forza.
Erano le due di notte ed ero ancora in cantina a frugare alla
ricerca di chissà cosa. Qualche istante dopo sentii il rumore di un’auto in
lontananza, non mi ci volle molto per capire che Cheve si stava avvicinando col
suo pick up sgangherato. Doveva essere ancora abbastanza lontano ma ero certo
che fosse lui. Sospirai e asciugandomi il sudore decisi che forse era meglio
tornare in casa.
Arrivai nel salone, feci in tempo a lavarmi il viso e nel
frattempo sentii il pick up fare le fusa arrivando sul sentiero sterrato,
guardai fuori dalla finestra e il suo viso serio, cominciò a distendersi non
appena mi vide affacciato alla finestra. Non aveva il solito sguardo afflitto,
la solita cappa di ansia si era leggermente diradata percependo la speranza che
albeggiava nel cuore di mio fratello.
Correndo Cheve raggiunge il porticato e poco dopo entra in
casa, con un lieve sorriso sulle labbra.
-Ho trovato qualcosa Toby..- disse portando con sé delle
fotocopie di articoli di giornali..
Erano vecchi di qualche anno, sicuramente di una decina, ci
mettemmo sul grande tavolo in cucina e iniziammo a leggere insieme qualche
articolo. Parlavano di Amandil e di una serie di omicidi efferati, sanguinosi e
violenti, di cui non si spiegava la ragione.
-A quanto pare all’incirca tredici anni fa qui ad Amandil
iniziarono ad esserci una serie di omicidi inspiegabili…- mi disse Cheve con
tatto.. –Molti addirittura attribuiti ad animali, anche se in molti dubitavano
di questa possibilità..-
-Quindi?- chiesi incerto..
-La cosa molto strana Toby è che quegli omicidi sono
terminati dopo..- disse con molto disagio.. –Insomma, non penso voglia dire
molto ma..-
-Cheve?- risposi con cautela.. –Sono pronto a tutto davvero..
Non preoccuparti per me…-
Sembrò rassegnarsi e alla fine si decise, sebbene con molta
riluttanza. Mi guardò con dolore, perché sentii nuovamente quel peso serrarmi
il cuore mentre il mio amico cercava le parole da dirmi.
-Gli omicidi sono terminati dopo la morte di mio padre e di
mia madre..- realizzai con un tuffo al cuore..
Cheve era sorpreso, ma non ribatté a quella affermazione.
Quegli omicidi senza motivo terminarono una volta che i miei genitori morirono,
quindi questo faceva di loro degli assassini?
Sbiancai immediatamente, non potevo e non volevo credere che
la mia famiglia uccidesse persone innocenti solo per il gusto di farlo. Era una
caso abominevole e crudele. Senza in minimo di cuore.
-Toby…questo non vuol dire che siano stati loro a uccidere
quelle persone..- disse con rimprovero.. –Non lo starai davvero pensando? La
tua famiglia era buona e caritatevole, mio padre non avrebbe voluto così bene a
tuo padre se fosse stato un assassino senza scrupoli..-
-Non possiamo saperlo!!- risposi con furia.. –Mio padre passava
molto tempo fuori casa, a volte per molte notti usciva! Io sapevo che andava al
lavoro…ma…come possiamo sapere se fosse la verità?-
-Si ma non possiamo nemmeno iniziare a colpevolizzare Tobias!
Non abbiamo nessun riscontro che ci porti a pensare che tuo padre fosse un
assassino..- disse insistendo.. –Ascolta! Questo articolo è di qualche mese
dopo la scomparsa dei tuoi genitori, qui viene scritto che dopo la loro morte
non si era più riscontrato alcun episodio violento ad Amandil.. E che la
tragica fatalità li aveva portati via, nessuno accusa i tuoi genitori di quei
crimini…-
-Non voglio credere che sia così Cheve..- dissi con
angoscia.. –Come potrei sopravvivere avendo quel peso sul cuore?-
-Ascoltami…- disse prendendomi saldamente per le spalle..
–Toby i tuoi genitori non erano assassini. Non è possibile! Su questo non
transigo, devi avere fiducia..-
-A rischio di mettere sotto sopra questa casa io scoprirò la
verità…- dissi sbattendo la mano sul tavolo.. –Io la scoprirò…-
Eravamo sfiniti, dovevamo riposarci un pò per continuare a
cercare. Mi guardavo attorno in quella casa e istintivamente mi chiesi dove
avrei nascosto qualsiasi cosa che riguardasse un segreto che non volevo
svelare. Mi rassegnai alla stanchezza, provavo rabbia e sgomento mentre Cheve mi
dava una pacca sulla spalla e mi esortava ad andarmi a riposare.
Quando mi decisi a muovermi mi resi conto che la stanchezza
mi stava sfiancando, avevo bisogno di riposarmi altrimenti non sarei riuscito a
reggere queste giornate assurde. Salutai Cheve mentre raggiungeva la stanza
degli ospiti ed io mi buttai sul letto, ancora vestito, cercando di trovare un
senso alla mia vita.
Stava andando tutto a rotoli, ero completamente solo e
impotente. Non avevo nessuno a cui aggrapparmi per sapere cosa mi stava accadendo.
Mi lasciai scivolare nel sonno a poco a poco, mentre ancora un barlume di
coscienza si ostinava a rimanere ancorato nelle mie viscere.
Il sonno si fece più pesante, mentre immagini iniziarono a
susseguirsi nella mia mente. Ricordi in cui ero piccolo, con i miei nonni e i
miei genitori, che si prendevano cura di me. E ancora visioni in cui mio padre
si raccomandava con me, per la sua assenza di qualche giorno, non voleva
facessi il discolo facendo impazzire tutti quanti. Sicuramente vi erano momenti
che non ricordavano, specialmente uno in particolare, mi ero introdotto
furtivamente in una stanza, avevo preso tra le mani un grande libro impolverato
e vecchissimo. Ma ero stato scoperto subito, severamente rimproverato dai miei
nonni e ammonito amorevolmente da mia madre, che sapeva quanto mio padre
tenesse con cura le sue cose. Quel libro era vecchio quanto Matusalemme…
All’improvviso tutto cambia. La notte mi avvolge, mentre sono
in macchina, mio padre e mia madre discutono di qualcosa di cui non afferro il
significato. Parlano di pericoli, di rischi troppo grandi da sostenere. Si
accorgono che sono sveglio, mi sorridono, amorevoli come sempre. Poi qualcosa
cambia, sento un rumore tremendo, qualcosa fa sbandare l’auto di mio padre, che
si schianta contro un albero. All’improvviso l’immagine cambia, adesso qualcuno
mi sta tenendo ben saldo contro di sé, così freddo come il gelo che mi
circonda. Mia madre e mio padre urlano di terrore, implorano pietà, supplicano
che mi sia risparmiata la vita. Ancora mi sfugge tra le mani una parte di quel
ricordo, adesso mio padre mi tiene saldamente le spalle, mi scuote leggermente,
sono scioccato e spaventato.
-Toby corri, non fermarti mai tesoro mio..- mi dice
abbracciandomi con angoscia.. –Sei tutta la mia vita Toby!! Non devi mai
dimenticarlo..-
-Papà vieni con noi..- urlo senza poterlo lasciare andare..
-Malika..- disse a mia madre.. –Per nulla al mondo devi
tornare indietro, corri più che puoi.. Proteggilo..-
Adesso sto correndo, mia madre mi esorta a non mollare, a
continuare a sfidare le mie possibilità. In lontananza si sentono urla e un
combattimento si sta consumando dietro di noi, non capisco cosa stia accadendo.
All’improvviso il tocco gentile della mano di mia madre scompare, mi blocco
immediatamente terrorizzato, sento solo la sua voce che grida e che mi supplica
di correre. Sono solo, è buio, mi guardo attorno e sento qualcosa. Qualcuno..
Quando mi sveglio la mia fronte è imperlata di sudore.
Stringo la mano e di nuovo sento quella sensazione assurda, come se qualcuno mi
abbia toccato e sfiorato fino a poco tempo fa. Mi alzo dal letto e appoggio la
fronte contro la parete fredda, come se potesse aiutarmi a calmare il tumulto
del mio cuore.
Cos’era quell’incubo? L’avevo vissuto? O era sola la
suggestione di quei giorni?
Cosa significavano quelle immagini?
Scossi leggermente la testa e a poco a poco, mi voltai verso
la finestra.
Era aperta..
Mi avvicinai lentamente, convinto che quando ero arrivato in
camera fosse chiusa.
No, anzi, era sicuramente chiusa.
Non feci in tempo ad arrivare accanto alla finestra che
sentii urlare Cheve.
Mi lanciai velocemente verso la stanza del mio amico, si
trovava dal lato opposto in cui si trovava la mia camera da letto, ma in
pochissimi secondi mi ritrovai ad aprire la porta. Mi precipitai all’interno e
trovai Cheve vestito, mentre intendo a guardarsi intorno mi osservava
tramortito.
-Toby…qui c’era qualcuno…- aveva gli occhi spalancati, quasi
increduli..
-Hai visto qualcuno?- chiesi con aria preoccupata..
-No…- rispose allarmato.. –Toby è così…c’era qualcuno qui!!
Ho percepito qualcosa, credo che mi abbia toccato, sono certo non fosse in
visita di cortesia..-
-So che è entrato qualcuno..- risposi con sicurezza..
-Come fai a saperlo?- mi chiede con occhi sgranati..
-La finestra..- risposi con certezza.. –Anche la mia era
aperta e sono certo fossero tutte chiuse…-
-Toby questa situazione non mi piace nemmeno un pò…- si agitò
percorrendo su e giù la stanza..
-Cheve non è la prima volta che succede..- gli dico con
stanchezza.. –All’inizio pensavo che fosse solo la mia fantasia, ma è qualche
settimana che qualcuno entra in casa e insomma, anche io ho le tue stesse
sensazioni! Di essere toccato..-
-Perché non me l’hai detto?- mi disse ora più incredulo che
mai..
-Perché…- ripetei con incertezza.. –Non mi hanno mai fatto
del male, chiunque sia sembra entrare ed andarsene con altrettanta velocità! Cosa
potevo dirti?-
Il mio amico si sedette sul letto, di rimando mi accomodai
accanto a lui.
Allora quelle sensazioni che avvertivo mentre dormivo erano
esatte. Il fatto che qualcuno di notte si intrufolasse in casa mia non mi
piaceva, forse aveva qualcosa a che fare con i segreti che nascondeva la mia
famiglia?
-Questa cosa sta diventando più grande di noi Toby..- mi
disse ragionando.. –Chi è entrato è veloce e scaltro..-
-Che intendi?- chiesi stupito..
-Che qualsiasi cosa sia entrata..- mi disse osservandomi
rapito.. –è anche più veloce di te..-
Quindi aveva anche notato i cambiamenti nel mio corpo, si era
reso conto che qualcosa si era modificato nel profondo del mio essere. Arrossii
un istante, imbarazzato dal fatto che sentirmi così alieno, estraneo, mi
provocasse questo grande disagio. Cheve mi strinse la mano sulla spalla.
-Quindi l’hai notato..- dissi con un alzata di spalle..
-Beh fratello..- esclamò spontaneo.. –dimmi come non si potrebbe notare..-
-Già..-
Cercai di controllare quella parte impulsiva di me che
avrebbe voluto urlare, disperarsi. Quanto mi mancava la mia vita monotona,
scandita dalle solite giornate tutte uguali, con il solo scopo di sopravvivere
e di barcamenarsi in tutte le mie difficoltà. Sospirai e quando mi alzai, mi
resi conto che forse non ci sarebbe stato più il tempo per quella vita che un
tempo mi dava tranquillità. La noia di tutti quei giorni uguali era sempre
meglio dell’incertezza di quell’ultimo periodo.
-Domani non verrò a scuola..- risposi con decisione.. –voglio
arrivare a un dunque Cheve, inoltre dovrò lavorare nel pomeriggio! Entro domani
sera voglio avere qualcosa in mano..-
Cheve annuì con poca convinzione, aveva promesso a suo padre
che sarebbe andato a scuola in ogni caso e che per nessuna ragione avrebbe
fatto sega. Ma vedevo bene che lo preoccupava lasciarmi solo. Quando arrivai
alla porta gli sorrisi incoraggiante e lui ricambiò seppur con esitazione. Lo
lasciai solo nel silenzio della sua stanza. Sospirò così forte che mi fece
tenerezza e inconsapevolmente l’avevo trascinato in questa situazione. Mi
sentivo davvero in colpa.
-Io farò tutto quello che è in mio potere per proteggerlo..-
gli sentii dire a denti stretti, con rabbia trattenuta.. –Chiunque tu sia non
mi porterai via mio fratello!!! Hai capito? Lotterò…con lui o anche solo…ma
lotterò…-
Lui era il fratello che non avevo mai avuto, anche io avrei
lottato per lui. Anche io avrei fatto tutto quello che era in mio potere per
proteggerlo. Ero in battaglia?
Non lo sapevo, eppure dentro di me provai quella angosciosa
sensazione che troppo sangue sarebbe stato versato.
Un timido raggio di sole scalda una guancia, mi accoccolo
nella sensazione di calore che si diffonde sulla mia pelle e sorrido. Mi piace
la sensazione che mi lascia nel cuore, quel calore di famiglia, di affetto. Poco
dopo, quella percezione svanisce, lasciando nella mia stanza una sensazione di
freddo e desolazione.
La sveglia segna le nove e mezza, mi sento stanco e
svogliato. Con fatica mi alzo dal letto e osservo il panorama fuori, sul lago
di Manitoba. L’auto di Cheve non c’è più, probabilmente è andato a scuola come
aveva promesso ad Adahy.
Quando scendo in cucina vedo un bigliettino, scritto con
molta fretta.
“Toby vado a scuola! Prenderò appunti così li dividiamo! Farò
un salto in biblioteca, sai perché.. Ci vediamo stasera, ti spiace se rimango
di nuovo da te? Forse avremmo cose di cui parlare se saremo fortunati..
A stasera fratello…”
Se saremo fortunati. Già.
Scrollai il capo in segno di diniego, l’odore del caffè si
sentiva ancora in cucina. Decisi che una buona colazione non poteva mancare. Presi
il latte dal frigo e lo vuotai in un piccolo pentolino per farlo scaldare.
Andai in dispensa per recuperare le mie brioches preferite. Nel frattempo mi
resi conto che avrei dovuto fare un pò di spesa perché la mia scorta cominciava
a farsi scarsa, cercavo sempre di non farmi mancare nulla approfittando delle
offerte che mi capitavano sotto mano. Spostai una scatola di biscotti, per
controllare quante cose mi mancavano e scontrai un pacco di pasta che andò a
finire sotto una mensola.
Non avevo voglia di raccoglierla, ma mi chinai a terra e
cercai di recuperare il piccolo pacco a terra. Arrivai con la mano a toccarlo e
all’improvviso sentii qualcosa muoversi, mentre traballava tra la parete ed il
grande armadio adibito a dispensa. Si vedeva chiaramente un pannello di legno,
appoggiato alla bene meglio alla parete, mi chiesi cosa ci facesse lì dietro,
ma non mi stupii più di tanto, Meredith e Carlos erano imprevedibili ed anche
un pò strani.
Appoggiai il pacco di pasta alla mensola e ritornai in
cucina, mentre il latte ormai era completamente caldo. Aggiunsi una sorsata
generosa di caffè, lasciai che la saliva mi riempisse la bocca e sorrisi
estasiato da quel profumo invitante.
Aprii la mia brioches e iniziai a mangiare voracemente.
Accesi qualche istante la televisione e nel telegiornale
nazionale, si parlava ancora di Mary Anne Solz, la ragazza che era stata uccisa
proprio lì, accanto a casa mia. Ma le brutte notizie non sembravano ancora
terminate, altre uccisioni erano state compiute in tutta la zona del Lago di
Manitoba, insieme a Mary Anne le vittime salivano a quattro. Mi accoccolai sul
divano con la mia tazza di latte caldo tra
le mani, mentre distrattamente ascoltavo il giornalista che parlava.
Nella mia mente vagava un sospetto. Queste morti improvvise e
la mia vita così repentinamente stravolta.
Non potevo e non volevo arrendermi. Non volevo macchiarmi
della morte di altre persone se in qualche modo potevo impedirlo. Bloccai per
un istante il mio corpo.
Perché dentro di me percepivo questa consapevolezza che non
era tutto un caso?
Potevo davvero fare la differenza?
Se davvero potevo cambiare il corso delle cose, se davvero
volevo mettere a tacere quel senso di frustrazione che mi assaliva mentre
pensavo a Mary Anne, la parola d’ordine era: guardare in faccia la mia realtà,
combatterla e scoprirla.
Posai la mia tazza sul tavolino di fronte al divano e andai
diretto in dispensa.
In una delle mie tante visioni nel sonno, ero bambino e avevo
trovato un libro vecchissimo in una stanza. Ora che ci ripensavo non ricordavo
di averla mai vista e non assomigliava a nessuna delle camere che vedevo ogni
giorno. Poteva solo essere una coincidenza, uno stupidissimo sogno che non
c’entrava nulla con la mia vita, con la mia attuale condizione, ma non potevo
trascurare la possibilità, che in questa grande casa ci fosse una stanza
segreta. Una stanza in cui non potevo entrare, una camera di cui non dovevo
conoscere i segreti.
Provai a spostare l’armadio tirandolo lentamente verso di me,
ma era veramente pesantissimo per una persona sola. Decisi allora di svuotarlo
un pò. Iniziai a togliere la cose più pesanti, a mano a mano portavo la roba
fuori dalla dispensa per evitare che mi ingombrasse nei movimenti.
Dopo dieci minuti valutai che avevo tolto molte cose e che
probabilmente sarei riuscito a tirare ancora un pò l’armadio, quanto bastava
per intrufolarmi dietro. Iniziavo a scorgere nitidamente il pannello appoggiato
alla parete e quando diedi l’ultimo strattone per allargare il passaggio in cui
potermi infilare, il mio cuore mancò di un battito.
Ero vicino alla verità?
Mi avvicinai con timore, il pannello era li appoggiato senza
troppi problemi, quindi pensai che lì dietro poteva non esserci assolutamente
nulla. Poteva essere l’ennesimo buco nell’acqua. Ricacciai indietro la
delusione che provai nello stesso momento in cui pensai a quella opportunità. Appoggiai
le mani sul rivestimento di legno, le mie mani vibravano di energia, era una
strana emozione, emanava forza e timore reverenziale. Presi coraggio e strinsi
le mani intorno a quel legno levigato e perfetto. E lo spostai.
Guardai di fronte a me.
Mio fratello era appena tornato. Sembrava un leone in gabbia
che girava avanti e indietro, sentivo la sua agitazione scorrergli nelle vene,
era sempre stato un debole. Nonostante quello era l’unica persona che mi
era cara. Eravamo troppo diversi, in
fatto di ambizione, di capacità, ma questa diversità ci univa.
-Smettila…mi stai facendo venire il mal di mare..- gli dissi
mentre raggiungevo la finestra..
-Come faccio?- disse con sgomento.. –Stanno arrivando…a meno
che non sia stato tu l’altra sera con…-
Lo osservai con un sorriso divertito. Davvero pensava che
potesse interessarmi qualcuno di tanto scialbo?
Scossi la testa sorridendo, ero un predatore, ma sicuramente
avevo gusti più esigenti.
-Quella ragazza non era il mio tipo..- dico solo con un sorriso
diabolico..
-Non voglio stronzate fratello..- mi dice severo.. –non
voglio iniziare una nuova faida qui..-
-è il destino di questa terra..- risposi con freddezza.. –Lo
sai che è così! Le cose non si posso più cambiare, a meno che non avessimo
agito anni fa con freddezza e lucidità, come ci era stato ordinato..-
-Perché non l’hai fatto allora?- mi chiese con impeto..
-E tu?- risposi tagliente.. –Tu eri lì con me…-
Non potei rispondere a quella domanda, perché era
assolutamente impossibile per me dargli un senso. Non riuscivo a ricordare come
fossi arrivato ad osservare i suoi occhi e rimanerne talmente affascinato da
annebbiarmi la vista. Questa mancanza di coraggio mi era costata cara, c’era la
possibilità di una nuova era per quelle terre. Ma per chi stava al di sopra di
noi, mio fratello ed io avevamo fallito.
-Io penso di sapere cosa ti ha frenato..- mi disse
improvvisamente con occhi truci..
-Tu non sai nulla fratello..-
-Cosa ci facevi lì l’altra sera?- mi inchiodò con il suo
sguardo freddo.. –Ti ho sentito…io so che eri lì! E se non era per la ragazza,
allora per chi era..-
-Smettila…- dico con noncuranza.. –Ero solo curioso…-
-Da quando siamo arrivati stanno già cambiando delle cose…-
rispose con aria afflitta..
-Cosa ti aspettavi?- lo rimproverai.. –Non saremmo mai dovuti
tornare! E la prima cosa che hai fatto è stata la più grande idiozia che
potessi fare..-
-E tu?- mi rimbrottò con rabbia.. –Dove vai ogni notte? Cosa
ti spinge a stare fuori casa così tanto?-
Sorrisi alla notte che si era affacciata. Le parole di mio
fratello non mi toccavano, non mi importava se pensasse che ero semplicemente
una mina vagante pronto a colpire dove capitava. Spesso seguivo la mia natura,
quello che ero stato creato per essere, questo non sarebbe mai cambiato.
Avevo il sospetto che entrambi ci fossimo spinti qui per dei
motivi ben precisi. C’era qualcosa che
mi legava con un filo invisibile a questa terra, negli anni in cui avevo vagato
a vuoto per il mondo, avevo provato una sofferenza nera come le tenebre che ci
avvolgevano. Questa sofferenza si era placata arrivando ad Amandil e
frequentando questi luoghi inospitali.
-Pensi che nostro padre..- disse con un filo di voce..
–sappia che siamo qui?-
-Lui è potente..- risposi con sicurezza.. –lui sa ogni
cosa...-
-Cosa dovremmo fare?- mi chiese incerto..
-Nulla..- risposi con decisione.. –Per ora non possiamo fare
niente! Quando sarà il momento decideremo da che parte stare..-
-Stai scherzando?- mi disse con furia cieca.. –Noi abbiamo
scelto già quella notte, possibile che tu non capisca?!? Eravamo ad un passo
dal compiere quello che nostro padre ci aveva ordinato e non l’abbiamo fatto,
secondo te perché?-
Perché? Me lo ero chiesto mille volte.
La prima regola di nostro padre era: nessuna pietà.
Non c’era spazio per la pietà nel suo mondo e lui si
aspettava le stesse cose da noi. Forse eravamo stati una delusione per lui in
quel frangente. Non potevo biasimarlo.
Presi una giacca dall’appendiabiti e decisi di uscire.
Improvvisamente l’aria in quella casa era diventata irrespirabile. Mio fratello
era troppo ansioso a volte e non faceva che mettermi di cattivo umore. Volevo
correre e cercare di dimenticare tutti i suoi discorsi inutili. Volevo
scordarmi che se non ero riuscito a portare a termine un compito tempo fa, difficilmente
ci sarei riuscito adesso.
E questa sconfitta inevitabilmente mi bruciava nel cuore.
Mio fratello osservò i miei movimenti, mentre mi mettevo la
giacca, il suo sguardo, si muoveva in segno di diniego. Cercò di raggiungermi
ma avevo già oltrepassato la soglia di casa e mi venne dietro di qualche passo.
-Ryan dove vai?- mi chiese angosciato..
Sapevo che una volta iniziato a correre le mie gambe, la mia volontà mi avrebbero spinto in
quel luogo bellissimo, contornato dalla foresta, non lontano da Amandil.
Rendermi conto che sarebbe stato così mi aveva messo a disagio.
-Ryan ti prego..- mi disse dietro di me la sua voce.. –non
farlo! Non tornare da lui, lascialo in pace! Finiremo con rovinare tutto..-
Non ci riuscivo. La mia volontà era a brandelli. Ogni volta
che mi imponevo di fare la scelta giusta, facevo il contrario di quello che
ritenevo corretto. C’era una forza dentro di me che mi attraeva e mi spingeva a
cercare motivazioni, risposte, scuse.
Iniziai a correre in direzione della città. Provai un senso
di libertà estremo mentre percorrevo quei sentieri e sentivo lontano la voce di
mio fratello imprecare nella notte.
-Ryan….- gridò ancora frustrato..
Ormai stava arrivando novembre, nella regione di Manitoba
presto la neve l’avrebbe fatta da padrona, l’inverno avrebbe popolato quelle
terre desolate, ghiacciando tutto ciò che incontrava. Mentre correvo
velocemente incontro all’aria gelata, non pensavo a nulla, quello era l’unico
momento in cui i ricordi non mi assalivano e potevo sentirmi libero. Un pochi
minuti mi ritrovai accanto alla Manitoba Highway 1 e pochi istanti dopo
agganciai il suo profumo, un aroma misto al cioccolato, vaniglia e cannella.
Quel suo profumo, quante volte ero stato tradito da quel suo aroma speziato,
allo stesso tempo dolce e pungente. Perché anche caratterialmente era così, a
volte freddo e trattenuto, quanto dolce e protettivo con chi amava.
Mi bloccai immediatamente ancora incerto se proseguire verso
Amandil e ignorare quel richiamo ammaliante che mi trasportava altrove, proprio
sulle coste del lago di Manitoba. Conoscevo bene quel luogo.
Cercai di dominare il mio istinto e con enorme fatica mi
voltai verso Amandil. Feci qualche passo nella direzione opposta al lago di
Manitoba, quando un’auto passò a velocità moderata sorpassandomi, mentre mi
accovacciavo nel mio rifugio dietro gli alberi. Riconobbi quel viso, gioviale e
allo stesso tempo serio, procedeva verso il lago.
Mi voltai in direzione dell’auto che procedeva con
tranquillità, in lontananza vidi che stava per svoltare nella strada lì
accanto, quella sterrata che portava alla spiaggia di Soulmate. Velocemente mi
avvicinai alla foresta accanto alla spiaggia, vinto e sconfitto dall’impulso di
capire per quale motivo il ragazzo andava lì così spesso. Non sarebbero state
domande che mi sarei dovuto porre, non erano affari miei. Eppure eccomi lì,
mentre il paesaggio mozzafiato che di giorno allietava quella spiaggia, era
avvolto nell’oscurità. Mi accucciai alla bene meglio dietro un cespuglio fitto,
nel punto più vicino alla macchina del giovane che era ancora lì, con i suoi
riflessi rallentati a stringere le mani sul volante.
Sospirò così profondamente che percepii il suo tormento
distintamente.
-Cosa devo fare..- si chiedeva tra sé e sé..
Prese in mano dei fogli, sembravano fotocopie di vecchi
giornali e quando mi spostai velocemente arrampicandomi sull’albero affianco mi
accorsi di avere una visuale migliore. Mi nascosi alla bene e meglio attraverso
l’intricato motivo di rami e foglie, i suoi occhi non avrebbero mai potuto localizzarmi.
Rimasi stupito nel comprendere che quel giovane indiano stava indagando su
vecchi omicidi avvenuti nelle terre di Amandil. Il mio cuore, inevitabilmente,
mancò di un battito.
Scavare troppo a fondo nella vecchia storia di Amandil non
avrebbe fatto altro che fargli scoprire cose spiacevoli, a cui nessuno probabilmente credeva e quei pochi,
che avevano avuto la sfortuna di sapere, preferivano scordare, se non
dimenticare. Cosa stavano cercando?
-Come cavolo faccio a dirgli una cosa del genere?- si ripeté
sbattendosi le mani sulla testa.. –Ma non posso mentirgli!-
Guardò dritto davanti a sé, il suo viso cambiò espressione e
mi resi conto che dalla finestra dell’abitazione, un viso stravolto stava
osservando l’auto appena arrivata. Mi nascosi ancora meglio, inconsciamente,
come se potesse realmente vedermi e aspettai che il ragazzino indiano
raccogliesse le sue informazioni e si dirigesse verso la casa sul lago.
Sentivo le tempie tamburellare, il respiro era irregolare. Il
fatto che questo ragazzo andasse a scavare negli archivi di Amandil non mi
rendeva tranquillo, per quale motivo farlo?
Non appena raggiunse
casa e chiuse l’uscio, scivolai agilmente giù dall’albero che era stato fino ad
ora il mio rifugio. Con tranquillità iniziai a correre delicatamente sulla
spiaggia e raggiunsi la casa con estrema facilità. Con un balzo felino mi
ritrovai sul corrimano della ringhiera in legno e molto cautamente, scesi sul
porticato cercando di evitare cigolii sospetti. Mi accovacciai sotto la
finestra e poco dopo captai i due ragazzi parlare concitatamente.
-Gli omicidi sono
terminati dopo la morte di mio padre e di mia madre..-
Quelle parole mi fecero battere più velocemente il cuore.
Non solo quel ragazzino aveva trovato degli articoli che
parlavano di Amandil e dei misteriosi omicidi di tredici anni fa, ma ci stava
pure ricamando sopra. Istintivamente mi chiesi cosa stessero cercando in
realtà.
Mi assalì il panico. Non poteva essere così non volevo
crederci.
Cercai di non fare rumore e feci capolino dalla finestra,
guardando i due ragazzi innervositi e tesi, muoversi con agitazione. L’indiano
aveva appoggiato le mani sulle spalle di lui, lo stava spronando a non
lasciarsi travolgere da questa notizia perché avrebbero trovato la verità che
cercavano. Mi nascosi dietro la parete e un motto di terrore mi percorse il
corpo, non dovevano trovare nulla.
Quelle leggende ormai erano molte e sepolte, molti non ci
credevano nemmeno più e così doveva essere. C’era stato un patto un tempo, un
patto che avevamo sicuramente infranto tornando qui. E se loro fossero stati
vivi, non ce lo avrebbero di certo perdonato, eravamo stati deboli io e mio
fratello.
Quando osservai nuovamente dentro la stanza, i due ragazzi si
erano tranquillizzati e poco dopo avevano spento la luce per lasciare la cucina
e rifugiarsi nelle loro stanze.
Con agilità cercai di raggiungere l’angolo ad est della casa,
arrampicandomi senza problemi, arrivai sul tetto del porticato e lentamente
scivolai al di sotto di una finestra.
Mi sentii un ladro, non era la prima volta che lo facevo.
Sapevo che lui era lì, che quella era la sua stanza. Ogni
cosa di quella camera era impregnata del suo profumo dolciastro, a volte
pungente e speziato, come stasera che sembrava ansioso. Si era toccato
nervosamente quei suoi riccioli neri, cercando forse conforto, forse un
appiglio a cui appoggiarsi. Quando crollò esausto sul letto, rilassai
leggermente i nervi e coperto per metà dalle tende, mi arrischiai a guardarlo
meglio.
Aveva quel corpo così tonico da fare invidia a qualsiasi
uomo. Gambe lunghe e muscolose al punto giusto. I suoi capelli nerissimi,
riccioli gli conferivano un’aria quasi da fanciullo anche se sicuramente era
più virile dei molti ragazzi della sua età. La sua serietà tradiva una maturità
che raramente era facile trovare in ragazzi così giovani.
Quando mi risvegliai da quelle considerazioni, scossi il capo
e mi resi conto che non si muoveva più convulsamente come qualche minuto prima,
doveva essersi addormentato. Non c’era assolutamente alcun motivo che mi
spingesse a rimanere li, fuori al gelo ad osservare qualcuno dormire. Mi voltai
in direzione del lago e sospirai con pesantezza, la notte inghiottiva tutto
quello che incontrava.
Io stesso vivevo in un’unica e perpetua notte.
Non solo la mia vita era un buio immenso, anche la mia anima
era oscura come quel nero che inghiottiva il lago e tutte le cose belle che
esistevano. Cercai di muovere qualche passo in direzione della foresta, mi
sarebbe bastato un salto per arrivare a terra e fuggire velocemente.
-Al diavolo…- borbottai..
Ritornai sui miei passi e arrivato affianco alla finestra,
lasciai che i miei occhi si posassero liberamente sul suo corpo, stava
respirando pesantemente, segno che doveva essersi addormentato. Cercai di
essere delicato nei movimenti, appoggiai la mano sulla finestra e mi concentrai
profondamente.
Feci leggermente pressione sul legno, mentre la mia mente si
concentrava sulla serratura, non volevo cigolasse, quindi questo dovevo fare in
modo che la maniglia ruotasse su se stessa molto lentamente, altrimenti avrei
rischiato di compromettere la mia intrusione. Quando strinsi a fessura i miei
occhi, bastava ancora un piccolo sforzo per far si che gli infissi si
spalancassero.
Sospirai dal sollievo quando la finestra si aprii, non
emettendo alcun suono.
Gradualmente cercai di scavalcare la parete che mi divideva
dalla stanza e quando fui nella sua stanza, il suo aroma mi colpì tanto forte
da provocarmi un capogiro, ogni cosa sapeva di lui lì dentro.
Mi avvicinai al suo letto e non riuscii a far altro che
osservarlo, mentre quel suo sguardo mascolino, era ingentilito da una bocca
carnosa e ben definita, era incredibile che esistessero al mondo uomini tanto
perfetti. Non mi stupivo che ogni donna che lo guardasse perdesse la testa per lui e non riuscisse più
a formulare pensieri coerenti. Quel ragazzo era dannatamente bellissimo.
-Tobias…- sussurrai con voce irriconoscibile..
Mi sedetti sul letto con gesti misurati e ponderati, gli ero
troppo vicino, quel genere di errore che solitamente non avrei commesso così
alla leggera.
Sentii l’impulso di toccarlo, il suo corpo emanava un’energia
che non riuscivo a spiegarmi. L’ultima volta che l’avevo visto, non avevo colto
niente di simile in lui, o forse ero stato troppo impegnato a scrutarlo per
percepirlo?
Sfiorai i suoi capelli neri come l’ebano, quelle onde gentili
che gli cascavano sulla fronte e qualche ricordo affiorò nella mia mente.
Ricordi che non volevo far riaffiorare, momenti della mia vita di cui non ero
mai stato fiero, ma che facevano parte del mio oscuro essere.
Quando sfiorai il suo viso, una frustrata mentale mi assordò
con il fragore dell’incubo di Tobias. Fu qualcosa di terribilmente angoscioso,
perché nello stesso istante in cui lo captai dovetti allontanarmi come bruciato
dall’intensità del dolore che stava provando. Sentii una fitta all’altezza dell’inguine,
un dolore pungente, come se qualcosa mi avesse colpito con forza. Non
comprendevo cosa mi avesse trafitto così, con quell’ondata di sofferenza tanto
intensa, le sue emozioni o l’energia che sprigionava il suo corpo.
Quando mi concentrai e sfiorai nuovamente il suo viso, cercai
di sopportare alla bene meglio l’ansia che lo stava attanagliando, percepii
chiaramente delle parole, qualcuno che urlava, ma non volevo toccarlo troppo,
rischiavo si accorgesse della mia presenza. Purtroppo però in questo modo il
mio potere era limitato, potevo risalire a immagini e specialmente a parole, ma
con molta più fatica.
Quello che mi spinse ad arrestare quel contatto fu lo sguardo
che captai nella parte finale del sogno, provai uno sgomento tale da ritrarmi
velocemente accanto alla porta, mentre realizzavo che Tobias si stava
svegliando. Aprii velocemente la porta della stanza e la richiusi con velocità,
cercando di evitare rumori inopportuni.
Al di là della porta nessuno si stava muovendo, almeno per il
momento. Avevo il cuore a mille, mentre ancora con cautela cercavo di capire se
Tobias aveva avvertito la mia presenza. Pensai che normalmente non doveva
accadere, ma l’energia che emanava quel ragazzo era anomala.
In fondo al corridoio percepii il sonno pesante del ragazzino
indiano. Prudentemente mi accostai alla sua stanza e aprendo l’uscio, mi
intrufolai all’interno richiudendomi piano la porta dietro.
Cheveyo si era arrotolato nel copriletto, dormiva
scompostamente, ma era evidente che il suo non fosse un sonno tranquillo.
Decisi di sondare il terreno e di capire cosa stessero cercando di preciso,
forse provando a comprendere i suoi pensieri avrei trovato la chiave di volta
per interpretare la loro indagine.
Avvicinai la mano alla sua tempia, cercando un lieve contatto
che mi permettesse di rintracciare il flusso dei suoi pensieri, mi concentrai
per qualche istante e all’improvviso vidi, tra le immagini che agitavano
Cheveyo, uno spasmo in cui Tobias si dimenava toccandosi nervosamente il collo.
L’ultima immagine che vidi, particolarmente sfocata, ricordava un ciondolo, a
terra su di un pavimento.
Non riuscii a vederlo bene e da vicino, difficile capire di
cosa si trattasse. Quando cercai di ritrarmi, Cheveyo si agitò sul letto
finendo per scontrare la mia mano gelata. Fu questione di un attimo, feci
appena in tempo a correre verso la finestra e ad uscirne, che un urlo echeggiò intorno
al silenzio assordante di quella notte gelida. Fu questione di altri pochi
secondi e la porta della camera si spalancò, Tobias era corso dal suo amico.
Rimasi sconcertato per un momento che mi sembrò eterno. La
mia mente era ancora confusa, non sapevo spiegarmi la velocità con cui Tobias
aveva raggiunto la camera del suo amico, appena pochi secondi dopo da quando
aveva urlato. Arrivai alla conclusione che nel tentativo di concentrarmi per
ascoltare l’indiano, avevo trascurato i movimenti di Tobias non accorgendomi
che si aggirava per casa.
Sicuramente non ero stato prudente questa notte. Preso dalla
curiosità mi ero spinto troppo oltre e avevo lasciato delle prove.
L’indiano si era accorto della presenza di qualcuno e Tobias
gli confermò che accadeva da qualche tempo.
Dovevo andarmene, non potevo più aspettare, avevo già fatto
troppi danni per stasera.
Agilmente balzai giù dal tetto del porticato e atterrai sulla
terra morbida, attutita del manto erboso. Mi osservai intorno e iniziai a
correre velocemente verso casa, avevo voglia di sbollire tutta la tensione e di
ragionare sulle poche notizie che avevo racimolato.
Quando arrivai al piccolo bosco dei pini, rallentai sapendo
che ormai ero a casa. Sospirai pesantemente, avevo un sacco di domande a cui
dare una risposta, ma nessun elemento da prendere seriamente in considerazione.
Quando arrivai in prossimità di casa, notai che mio fratello era alla finestra
e si rilassò vistosamente quando intravide la mia figura al limitare del bosco.
Sapevo che aveva avvertito la mia presenza già da molto tempo.
Quando aprii l’uscio mi investì il calore familiare di quelle
solide mura e la tensione dei momenti passati si sciolse velocemente, mentre mi
sfilavo il cappotto. I suoi occhi smeraldo arrivarono con cautela e non appena
varcò la soglia che divideva il corridoio dal salone, il suo sguardo cambiò.
Aveva percepito l’aroma singolare di Tobias, ne ero certo.
-Sei andato da lui..- disse solo con certezza..
-Non puoi saperlo..- risposi con aria canzonatoria..
-Ryan il suo aroma è impregnato nei tuoi vestiti..- mi accusò..
-Smettila..- gli dico seccato.. –Non ho proprio voglia di
farmi rimproverare..-
-Non capisci?- mi incalzò con cautela.. –Lui ci odierà Ryan,
lo sai meglio di me..-
-Odiare…- dissi sorridendo aspramente.. –Non sarebbe né il
primo né l’ultimo..-
Percorsi quel breve tratto che mi separava del salone, mi
avvicinai al camino accesso e lasciai che il fuoco mi inondasse con il suo
calore. Era bello percepire sulla propria pelle quel senso di vita, che troppo
spesso mi mancava nella mia esistenza di eterno fuggiasco.
-Ryan…- disse lui avvicinandosi a me..-Tobias si sta
trasformando..-
Mi voltai verso di lui con sguardo indecifrabile.
All’improvviso la terra tremò sotto i miei piedi e rimasi pietrificato, come
una statua di marmo incapace di provare emozioni e sentimenti. Ma in realtà il
mio cuore stava bruciando, letteralmente bruciando.
-Che stai dicendo?- dissi appena consapevole delle parole che
avevo pronunciato..
-Penso che sia così Ryan…- rispose con angoscia..
-Quell’energia che ho sentito…- dissi con consapevolezza
adesso..
-L’hai percepita anche tu?- disse scuotendo il capo..
-Come non avrei potuto?- risposi in un fiato.. –è talmente
intensa e vibrante che difficilmente potresti ignorarla..-
-Questo vuol dire solo una cosa fratello..- sentenziò con
sicurezza..
-Enrique sta tornando..- esclamai adesso più sicuro che mai..
Il silenzio che ci investì era pieno di significato. Sapevamo
entrambi cosa volesse dire che quell’uomo tornasse nelle terre di Amandil. E
sapevamo anche quale unico destino attendesse Tobias.
In ogni caso a noi non sarebbe cambiato granché, in qualsiasi
modo ci saremmo comportati forse saremmo arrivati al punto che Tobias ci
avrebbe odiato in egual modo. Non c’era modo di recuperare, o di migliorare la
situazione, l’eredità che avevamo sulle spalle era troppo gravosa per
dimenticare.
Sospirai e lasciai che quei pensieri mi scivolassero addosso,
avevo sempre saputo quale destino ci aspettava. Ma mio fratello non era così,
il suo viso era contrito, arrabbiato, i pugni serrati nella morsa del rimpianto.
Non aveva mai voluto rassegnarsi al destino, aveva lottato perché le cose
potessero cambiare, ma quando il tuo sentiero è segnato, non c’è molto da fare.
Amavo quella sua rabbia, quel suo voler cambiare il mondo.
Ma quando Enrique sarebbe tornato, sapevamo entrambi che non
ci saremmo potuti esimere dai nostri compiti, dai nostri ruoli. Eravamo nati
per sottostare al suo volere e ai suoi comandi.
Sapevo che la nostra ribellione lo aveva irritato, né ero
certo, ma ero anche sicuro del fatto che una volta tornato qui ad Amandil, la
fredda necessità di portare a termine le sue decisioni, lo avrebbe spinto a
dimenticare i nostri fallimenti. Ovviamente più per necessità che per affetto.
Dopo quella volta, mio fratello ed io, avevamo deciso di
andarcene. Sparimmo senza lasciare alcuna traccia, decisi a cambiare il corso
degli eventi. Eravamo stati ingenui, perché la guerra di Enrique non si sarebbe
mai placata con la nostra ribellione.
Quella fredda e chiara constatazione, mi gelò il sangue nelle
vene, la libertà che fino ad ora avevo saggiato, era solo un piccolo dessert
che Enrique ci aveva lasciato gustare, per poi ricordarci i nostri obblighi.
Era questa la verità, eravamo riusciti a ribellarci perché
lui ce lo aveva permesso, altrimenti ci avrebbe riportato dalla sua parte con
la forza.
-È inutile ribellarsi al destino fratello..- risposi con
gelida consapevolezza.. –Siamo nati per un compito ben preciso, lo sai!!-
-La sua vendetta?- rispose con rabbia.. –Secondo te questo è
normale? Assecondare i suoi capricci secolari?-
-Capricci o no..- dissi con denti serrati.. –siamo stati
cresciuti per questo!! Per
assecondarlo...-
-No…siamo nati per vivere la nostra vita e le nostre
battaglie..- rispose sicuro.. –Non le sue Ryan!!-
-Sarà anche così…- esclamai con freddezza.. –Ma la dura
disciplina su cui abbiamo giurato, non prevedeva le nostre battaglie, ma le
sue…-
Il suo sguardo si fece afflitto, la dura ostinazione che
leggevo nei suoi occhi meno risoluta.
-Sulla base di quale ideale dovrei accettare di buon grado i
suoi ordini?- mi chiese a denti stretti..
-Perché sai qual è il prezzo da pagare..- risposi con
stanchezza..
I suoi occhi si sbarrarono, ricordava perfettamente la
minaccia che incombeva sulla persona che amavamo di più al mondo, l’unica che
abbia mai combattuto per noi. Ero disposto a qualunque cosa pur di proteggere
questa persona, anche a uccidere se fosse stato necessario.
Lui ci considerava dei deboli proprio per questo sentimento
che avevamo radicato nel cuore. Per Enrique quelli come noi non dovevano avere
distrazioni dettati da sciocchi sentimentalismi, eppure anche lui un tempo aveva amato e aveva fatto
di quel suo amore, la motivazione della sua vendetta.
La verità è che eravamo ricattabili, qualcuno di noi due si
sarebbe dovuto sacrificare ed io, ero disposto a farlo.
Ero cresciuto nella freddezza di stanze buie e glaciali,
nelle punizioni con verghe e fruste, tutto per proteggere chi amavo. Il
sacrificio non mi spaventava, ma avevo anche io timore. Forse paure che mai
avrei voluto ammettere con me stesso ed era per questo che ero diventato un
oscuro essere nelle mani di un freddo assassino. Sapevo avere il giusto
distacco dalle cose nel momento in cui le portavo a termine, non importava se
dopo, nel silenzio della mia gabbia, ero disgustato da me stesso e dal senso di
colpa per quello che ero in grado di fare.
-Eravamo solo due bambini…- disse lui scuotendo il capo..
-Quando quella via ti
viene presentata come l’unica strada che puoi intraprendere, non credo
che tu abbia scelta ..- risposi con consapevolezza.. –Tu non sai che hai altri
percorsi, che puoi decidere per te stesso, non siamo mai stati cresciuti con la
possibilità di scegliere.. Ma solo di obbedire..-
Lui annuì ma sapevo che dentro il suo cuore si stava
alimentando un piccolo focolare, quella ribellione di anni fa, gli animava
ancora il cuore e lo spirito. Era voluto tornare, chissà poi per quale motivo,
non l’avevo mai capito ed ora eravamo incapaci di fuggire. Avremmo dovuto
raccogliere le poche cose che ci appartenevano e andarcene prima che la nostra
vita tornasse in mano al carnefice che la usava per i suoi scopi, eppure qualcosa
ci tratteneva.
Quando mi alzai dal divano mio fratello mi trattenne per un
braccio, sentivo la sua presa ferrea, nella morsa del suo tocco, sentivo l’affetto
che nutriva per me.
Ero sempre stato spesso freddo e impassibile, lo accusavo di
essere una femminuccia sentimentale a volte, ma invidiavo e amavo quel suo lato
umano che io ormai non avevo più.
Tutte le decisioni sbagliate che avevo preso non avevano
fatto altro che macchiare le mie mani di vite innocenti, la mia anima ormai era
dannata, non me ne pentivo se questo
voleva dire esimere mio fratello da questo fardello.
-Ryan…- disse incerto..
-Cosa c’è?- chiesi con tranquillità..
-Per caso hai mai sentito parlare del “Butterfly on the dagger”?-
aveva quello sguardo timoroso che a volte lo distingueva..
-Che cosa vuol dire?- risposi confuso.. –Sinceramente non so
di cosa tu stia parlando..-
-È una vecchia leggenda Ryan…- esclamò vago... –Me la
raccontava sempre..-
Si riferiva a nostra madre.
La sua voce era un sussurro. Non sapevo se sarebbe mai stato
disposto a dirmi più di questo, sembrava preoccupato e sinceramente ansioso di
non dirmi altro. Non che mi importasse di conoscere altre cialtronerie. Non avevo
mai sentito parlare della “Buttefly on the dagger”, nessuno si era mai
premurato di raccontarmi quella storia, quindi probabilmente era un qualcosa
che non ci riguardava.
-Perché? Riguarda noi?- chiesi con noncuranza..
-No…- disse scuotendo il capo con vigore.. –Niente di tutto
ciò..-
-Riguarda Tobias?- chiesi con riluttanza..
Lui sgranò un pò gli occhi ma riprese subito il controllo. Lui
non mi avrebbe mai mentito, i suoi occhi erano tranquilli e seri, quando mi guardò
sembrava sorpreso ma sorrise timidamente.
-No..- disse con decisione.. –Non c’entra nulla! Era solo una
mia curiosità..-
-Quindi non c’è niente che dovrei sapere..- affermai con sicurezza..
-No..- disse osservando il fuoco..
Lasciai mio fratello ad osservare il calore che si propagava
nella stanza.
Non sapevo quante cose lui sapesse su di me, sui miei
segreti, sul mio destino. Forse se fossi stato più attento, oggi avrei capito
che Nicholas conosceva il mio destino.
Forse aveva capito più di me. Nel salone i suoi pensieri vagavano senza sosta, mentre si prendeva la testa fra le mani e cercava una risposta razionale a ciò che pensava o che sospettava.
Eccomi con questo nuovo capitolo. A poco a poco sto scrivendo la storia di Tobias e vi chiedo perdono se non riesco a postare più spesso. Spero che questo nuovo capitolo vi piaccia e fatemi sapere cosa ne pensate, vorrei creare un clima di mistero e suspance, ma ovviamente gli unici che potete dirmi se sto raggiungendo lo scopo siete voi con i vostri pareri e perchè no, con le vostre opinioni negative. Se pensate ne valga la pena continuate a seguirmi e vi ringrazio anticipatamente!! Un abbraccio Asia...