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Autore: AlessiaDettaAlex    20/02/2015    6 recensioni
Che i trentaquattresimi Hunger Games abbiano inizio!
Alyss Knight si è offerta volontaria alla mietitura per proteggere Laree Amberdeen, la ragazza che ama. Ma, oltre a sopravvivere all'arena, ha un altro obiettivo importante da adempiere: nascondere alle telecamere di Capitol City la sua relazione omosessuale con la giovane Laree, che potrebbe costare loro la vita a causa delle ferree leggi di Panem a riguardo.
[Capitolo 1]
«No!» grido con rabbia, «non lei!» tremo di terrore e di fatica, quando la raggiungo davanti al palco. «Mi offro volontaria come tributo al suo posto!». Non posso credere di averlo fatto sul serio. Un brivido mi corre lungo la schiena, di paura ed eccitazione insieme, nella consapevolezza che sto per morire. Sto per morire per lei.
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[Capitolo 4]
"Noi tributi siamo solo questo: gli agnelli più belli, giovani e forti del gregge, strappati dai propri compagni per attendere al sacrificio da tributare a dèi oscuri. E il nostro sangue bagnerà l’altare dei potenti, tra grida di giubilo e l’eco lontana del lamento degli ultimi, che piangeranno per lunghi secoli i loro figli."
Genere: Avventura, Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio, Tributi edizioni passate
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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E anche all'inizio di questo capitolo ecco il nuovo personaggio che vi presento. Il disegno di oggi rappresenta... *rullo di tamburi*
Roy Cutter!




 

Capitolo 9

Non so quanto tempo è passato da quando sono caduta da quell’albero. Sono qui immobile a trattenere i gemiti, cercando di tenere sotto controllo anche la rabbia contro me stessa. Non è molto confortante sapere che non sopravvivrò al secondo giorno di Giochi. Layla mi starà sicuramente maledicendo per la mia incoscienza… ma di che mi preoccupo? Alla fine, comunque, sarò io a morire, non lei. Lei è già sopravvissuta.
È a questo punto che uno scampanellio familiare mi arriva alla orecchie. Riapro gli occhi giusto in tempo per vedere un piccolo paracadute argentato volteggiare sul mio addome. Non riesco a crederci, il mio primo dono da parte di uno sponsor! Lo agguanto al volo e svito il tappo del contenitore di plastica: al suo interno ci sono tre pillole giallastre, di forma ovale appena accennata. Non perdo molto tempo a ingoiarne una.
Mi lascio giacere inerme a terra, tirando un grosso sospiro.
Con tutto il casino che ho combinato non immaginavo proprio che Layla avrebbe convinto qualcuno a puntare su di me. Come è possibile? Quale pazzo scommetterebbe su un tributo che è uscito ferito dal bagno di sangue e a causa della sua stupidità si è ritrovato addosso un intero branco di ibridi famelici? Il mio cervello continua a rimuginarci su, mentre il tempo passa.
Poi, l’illuminazione: sono rimasta ferita al bagno di sangue, ma dopo aver affrontato e ucciso da sola ben tre tributi. Sono stata inseguita da un branco di ibridi, ma dopo aver fronteggiato e vinto un singolo lupo grosso il triplo di me. E sono riuscita a sopravvivere a tutto questo con le mie sole forze. È chiaro che, se uno sponsor deve scegliere a quale tributo dare una mano, sceglierà sicuramente quello che ha già dimostrato di sapersela cavare da solo, nonostante tutto. Sarebbe del tutto inutile sponsorizzare qualcuno che non sa affrontare le sfide dell’arena, o che non ci prova nemmeno. Un sorriso trionfante mi increspa le labbra. Forse posso farcela.
Credo sia passata quasi mezzora quando un formicolio e un forte dolore alla parte bassa della schiena, nel punto in cui sono atterrata, mi fa stringere i denti; ma qualche secondo dopo è già sparito. Forse è arrivato il momento di provare ad alzarsi. Punto i gomiti a terra e mi tirò su lentamente: il mio corpo sembra rispondere bene. Mi posiziono a sedere e da lì mi alzo in piedi, ma mi ritrovo quasi subito a dovermi aggrappare a un albero per non cadere. Raccolgo il primo ramo lungo e robusto che mi capita tra i piedi e decido che mi farà da bastone finché la mia schiena non riuscirà a sostenere il mio peso da sola. Perché non ci penso nemmeno a starmene un giorno a terra ad aspettare la completa guarigione. E poi ho fame.
Raccatto la mia roba da terra e mi accorgo di una cosa che mi fa agghiacciare, letteralmente: la mia coperta non c’è più. Dov’è che l’ho persa? Mi spremo le meningi per un po’, cercando di fare il punto della situazione, quando mi rendo conto di averla lasciata sul mio albero-rifugio quando sono fuggita dal lupo… ma ora non ho la più pallida idea di come ritrovarlo. Tra la fuga e la lotta non riesco proprio a ricordare in che direzione sono scappata. Abbasso lo sguardo e mi accorgo della lieve pendenza del terreno: prima di incontrare gli ibridi era una vera e propria salita. Evidentemente sono scesa. Questo è bene, perché anche per recuperare la corda per le trappole dovevo risalire. Spero di incappare nella mia coperta prima che faccia buio.
Mi metto in cammino, a passo malfermo e sostenuta dal bastone. Alzo lo sguardo verso il sole: è mattino presto, spero di arrivare a destinazione abbastanza in fretta perché ormai non mangio da ventiquattrore e sono già esausta. Mano a mano che salgo il pendio si fa più ripido e io mi guardo intorno ansiosa cercando di riconoscere il mio vecchio albero. Nulla. È tutto così terribilmente uguale, in una foresta d’abeti. Se non ci fosse questa pendenza che mi indica almeno a che punto sono del versante della montagna non so davvero come farei. Poi io non ho mai avuto un gran senso dell’orientamento: al 6 ero in grado di perdermi persino per la via di casa di Laree. Il vecchio Sirius, non potendo venirmi in aiuto sotto gli occhi di tutti, aspettava sempre che si facesse notte prima di venirmi a cercare – in caso non fossi ancora tornata. Più di una volta mi sono ritrovata in braccio a lui nella mia locomotiva dopo essermi addormentata in lacrime nascosta in un vialetto. Lui c’era sempre per tirarmi fuori dai guai. Più volte mi aveva detto che se avesse potuto sarebbe accorso da me subito, sarebbe stato disposto ad accogliermi in casa sua per sempre, mi avrebbe nutrita e protetta come si conveniva a una bambina ancora piccola, sola al mondo: ma non poteva, perché sarebbe stato sicuramente scoperto. E a quel punto, chi altri mi avrebbe preso sotto la propria ala? Sicuramente il comandante Basil, ma per tagliarmi la testa.  
Il sole si sta alzando lentamente ma inesorabilmente e io comincio a perdere le speranze di ritrovare la mia coperta. Lo stomaco si lamenta e capisco che adesso la mia priorità è il cibo.
Uno scricchiolio di rami poco lontano da me, ma proprio nella direzione in cui sto andando, mi mette in allarme. Alleggerisco il mio passo – per quanto il mio sostegno possa permetterlo – e avanzo nascondendomi tra le foglie degli abeti più massicci. Nel mio campo uditivo fanno capolino delle voci umane. Resto in ascolto per un po’, cercando di capire di chi si tratta.
Un maschio che sghignazza, più che ridere.
Una ragazza che lo sostiene, di cui conosco la voce ma che non riesco ad associare a un volto.
Altri tributi che parlottano tra loro.
Sono quasi sicura di trovarmi di fronte ai Favoriti quando una voce da bambino, terribilmente familiare, mi fa emettere un gemito di sorpresa.
Roy.
Avanzo ancora di qualche passo e mi nascondo dietro a un folto cespuglio. Mi sporgo appena e li vedo: Gilbert, Coreen, il tributo del 5, la ragazza del 9 e Roy. La Gilda al completo. Sembra che stiano discutendo su come attaccare i Favoriti: Roy, che non partecipa alla discussione, sta ammucchiando dei rami secchi per farci un falò. Dulcis in fundo, alle loro spalle c’è proprio il mio obiettivo: la parete rocciosa dalla quale penzolano le corde di cui ho bisogno per cacciare.
Sono bloccata qui. Non posso farmi avanti in nessun modo senza essere vista. La tentazione di lanciare un coltello al cuore di ognuno di loro è tanta, ma è rischiosissimo pensare di poterli attaccare e uccidere tutti senza fallire e senza quindi ritrovarsene almeno altri tre addosso. Ho provato a fare una cosa del genere alla sessione privata con gli strateghi e non è che sia rimasta molto soddisfatta del risultato… so cosa mi direbbe Layla: non è saggio attaccar briga ora.
E poi c’è Roy.
Scuoto la testa nel tentativo di allontanare quell’ultimo pensiero. Alla fine decido di girare i tacchi e tornarmene da dove sono venuta.
«Ehi Roy» la voce superba di Gilbert mi blocca all’improvviso.
Questo è male. Non dovrei interessarmi di come si rivolgono al mio compagno di distretto, ma non riesco a fare a meno di rimanere a guardare.
«Laggiù ho visto della legna che può esserci utile, va’ a prenderla» continua il capo della Gilda.
Nascosta tra le foglie vedo Roy annuire e voltarsi verso la mia direzione.
Merda.
Ma, mentre mi aspetto di essere scoperta e poi brutalmente uccisa, succede l’impensabile: vedo il corpo di Roy aprirsi in due. Il suo sangue schizza fino al mio cespuglio e io me lo ritrovo sulle mani, che tremano. I pezzi del mio amico cadono a terra, mentre un colpo di cannone risuona in testa, rimbalzando nelle pareti del mio cervello più e più volte. Dietro, Gilbert fa roteare la sua grossa ascia nera bipenne, imbrattata di caldo liquido rosso. L’immagine di ciò che ho appena visto si ripete davanti ai miei occhi ancora e ancora, e non so davvero come fermarla. È come un video che il mio cervello riavvolge e ritrasmette senza sosta. È un incubo, una visione, immaginazione, ma in nessun modo riesco ad associare tutto questo alla realtà. Il mondo fuori di me si è bloccato all’istante della morte di Roy, e un vuoto assoluto mi preme contro il petto. Mi rendo conto di aver smesso di respirare solo quando questo vuoto si trasforma in dolore.
Roy è morto. Così, davanti ai miei occhi. Senza che fossi pronta o in qualche modo mi fosse dato di prepararmi a quello che stava per succedere. Il piccoletto spaventato che ha condiviso con me questa settimana di preparazione a Capitol City mi ha appena lasciato veramente sola in quest’arena.
«Allontaniamoci da qui, altrimenti l’hovercraft non può venirlo a prendere».
È la voce di Coreen a trascinarmi di nuovo a terra. Mi accuccio meglio tra le foglie e attendo che se ne vadano.
«Aspettiamo che lo prendano e poi ritorniamo. Questa è una buona postazione» aggiunge Gilbert.
Quest’ultima affermazione mi convince del fatto che non riuscirò mai a raggiungere quelle corde. Perciò non c’è più nulla per me qui. Nemmeno Roy.
Mi rialzo lentamente aiutandomi col bastone e, il più discretamente che posso, riscendo il pendio. Quando sono sicura di essere abbastanza lontana dalla Gilda scaccio con aggressività le lacrime che minacciano di scendere a momenti – non posso mostrarmi debole proprio adesso – e decido che posso dedicarmi all’unica attività da cui potrei trarre profitto: la caccia. Con le corde sarebbe stata tutta un’altra storia, ma purtroppo devo accontentarmi dei miei coltelli. Cammino senza fermarmi mai o guardarmi indietro, accompagnata ancora dall’eco lugubre dell’ultimo cannone.
La fame sta iniziando a farsi insopportabile. È ormai quasi il tramonto e finora ho trovato solo due lepri che ho provato ad uccidere lanciando coltelli, fallendo miseramente. Loro sono troppo veloci, io troppo stanca. Mi fa ancora male la schiena e il mio bastone purtroppo non riesce a sostituire del tutto la mia schiena come vorrei. Ho perso anche molte ore di sonno a causa degli ibridi. Mi fermo a sedermi per una ventina di minuti sotto a un albero, sorseggiando acqua dalla mia borraccia. Devo accamparmi prima che faccia buio. Dopo l’esperienza di questa notte non ci penso neanche lontanamente a stare a meno di cinque metri da terra. Cerco e trovo finalmente l’albero che fa per me: grosso, dai rami bassi e robusti, che permettono un’arrampicata abbastanza agevole. E una folta chioma che mi protegge da occhi indiscreti. Mi ritaglio un passaggio tra le foglie, salgo e capisco subito che la fame e gli ibridi stanotte non saranno i miei unici nemici: senza coperta il freddo sembra pungermi dritto nelle ossa, nonostante il mio equipaggiamento tutt’altro che leggero. Mi piazzo su un ramo abbastanza comodo e stringo tra le braccia lo zaino, tremante.
Arriva la notte e il sigillo di Panem appare nel cielo: il sorriso innocente di Roy splende un’ultima volta su questo mondo. Rimango a fissarlo finché non scompare, e anche allora non ho il coraggio di muovermi. Sento all’improvviso la gola chiudersi e faccio una smorfia nel tentativo di non far scendere le lacrime che già si stanno formando ai bordi degli occhi. Piangere non va bene. Potrei essere ripresa dalle telecamere in questo preciso istante e poi chi scommetterà più su di me? Mi ripeto le parole di Sirius, il suo avvertimento di non affezionarmi a nessuno, di non cedere mai, ma ormai è tardi. Non riesco a trattenere un singhiozzo e affondo la testa nella stoffa dello zaino, concedendomi di sfogare il dolore che provo in questo momento in un pianto silenzioso.
Roy non c’è più. La creatura innocente che portava la luce in questo covo di pazzi è morta davvero. Mi chiedo perché alla fine siano sempre i buoni a morire per primi. È stato tradito dal suo alleato. Così, senza motivo apparente. Ma non era proprio Gilbert che lo aveva difeso a spada tratta durante il bagno di sangue? L’ho visto coi miei occhi: ha rischiato la sua vita per proteggerlo. E allora perché colpirlo alle spalle solo il giorno dopo? Perché illuderlo in quel modo?
Roy avrà ritrovato sua madre? La starà abbracciando felice, in questo momento? Mi starà guardando piangere per lui da lassù? E poi, di preciso, cos’è questo lassù? Esiste? Laree sosteneva di sì. Ma io?
Quando sento di aver finito le lacrime – e le domande – tiro un profondo sospiro e lascio appoggiare la testa sul tronco duro. Devo cercare di dormire, almeno questa notte.
Il freddo mi fa tremare, la fame mi torce lo stomaco. Ci provo in mille modi, ma sembra davvero che io non abbia speranza di addormentarmi. Vicino, uno stridore metallico e una lunga serie di ululati svegliano definitivamente il mio cervello. Ora ci si mette anche la paura. Sento gli ibridi allontanarsi e a un certo punto un colpo di cannone rompe il parziale silenzio che caratterizza il bosco. Mi accorgo di avere il cuore a mille. Ogni fruscio mi fa saltare e credo di cominciare a capire a cosa servano questi lupi notturni: farci venire i nervi a fior di pelle e annullare le dormite rigeneranti dalle possibilità dei tributi. Mi costringo a chiudere gli occhi e a calmare il battito.
Dopo quelle che mi sembrano due ore di sonno indisturbato mi sveglio di colpo al suono lugubre di nuovi ululati, stavolta più lontani. È inutile, sono terrorizzata all’idea di trovarmeli sotto l’albero da un momento all’altro. La notte va avanti a tira e molla tra la mia stanchezza e i lupi che rincorrono prede lanciando richiami raccapriccianti. Ogni stridio mi fa drizzare tutti i peli. Quasi ringrazio di vedere i primi segni dell’alba, nonostante sia più stanca, infreddolita e affamata di prima.
No, una notte così non la voglio più passare. Devo assolutamente trovare l’uscita di questo bosco infernale. E del cibo. Soprattutto del cibo.
Appena vengo colpita dai raggi del sole scendo dall’albero: la testa mi gira terribilmente, e le palpebre mi sembrano di piombo. L’unica costatazione felice è che la schiena sembra finalmente reggere il mio peso senza l’ausilio di strumenti esterni. Per il resto, se non trovo qualcosa da mangiare temo ci lascerò le penne molto presto. Ma dove sono finiti gli sponsor? E Layla?
Prendo a camminare attraverso il bosco in senso laterale rispetto alla cima della montagna, decidendo che è meglio smettere solo di scendere o salire. Sono costretta a muovermi tenendomi agli alberi, perché ho come l’impressione che il mondo si possa ribaltare da un momento all’altro. Prima che me ne renda conto finisco con la faccia a terra. Sono inciampata? Ho avuto una specie di mancamento? Cercando di tirarmi su con le braccia ficco il naso in un cespuglio, e un piacevole odore di more mi pervade i sensi. Spalanco gli occhi: quelle sembrano davvero delle more! Ne afferro una e me la rigiro tra i palmi ansiosa. Sì, non c’è dubbio. Ho fatto diecimila esercizi di riconoscimento di bacche e frutti di bosco, al Centro di Addestramento. La butto in bocca e un piacevole sapore dolciastro mi ridà la vita. Svuoto il cespuglio – ci trovo almeno una ventina di frutti – e ne mangio quasi la metà, mettendo da parte le altre. Non è certo un bottino che può soddisfare una diciottenne che non mangia da due giorni e ha camminato per chilometri, ma è un inizio. Mi rialzo rincuorata e riprendo la mia ricerca di altre fonti di cibo. Credo sia quasi mezzogiorno quando noto una rientranza nella terra a ridosso di un tronco di pino. Se è la tana di qualche animale sono davvero fortunata. Mi accovaccio e provo a guardare nel piccolo buco: delle uova color ocra macchiate di nero stanno ammucchiate in un letto di aghi rinsecchiti. Ben cinque uova di pernice. Ne rubo subito due, bucandole col coltello e bevendone il contenuto. Se ci sono delle uova ci sarà anche una mamma-pernice. Credo proprio che mi piazzerò qui ad aspettarla. Mi metto dietro l’albero ad affilare uno dei miei diciannove coltelli mentre studio la zona. Questo punto del bosco è diverso da quello a cui mi sono abituata in questi giorni. Gli abeti sono sempre più radi e al loro posto ci sono sempre più pini di montagna. Questa cosa mi inquieta un po’, visto e considerato che è più difficile arrampicarvisi e trovarci riparo, perché rispetto ai loro cugini sono meno robusti e hanno rami più alti con chiome meno folte.
Uno vicino battito d’ali mi rimette sull’attenti. Mi sporgo leggermente e la vedo: una bella e grassa pernice bianca che atterra. Non posso lasciarmela sfuggire assolutamente. Miro e lancio, trafiggendola al collo.
Per oggi non morirò di fame! Accorro verso mia preda immobile, insanguinata. Uova e carne, non poteva andare meglio di così. Sventro e pulisco la pernice col coltello, poi raccatto le tre uova rimaste e le chiudo in borsa. Ora è il momento di fare un bel fuocherello e arrostire il cibo. Probabilmente accendere un fuoco qui ed ora non è una delle mie trovate migliori, ma conto di concludere in poco tempo e poi continuare a muovermi verso la direzione che sto seguendo da stamattina.
Accendere un fuoco è più difficile di quel che ricordavo dall’allenamento: ci sto dietro da almeno ventina di minuti prima di ottenere una scintilla decente che attizzi i miei legnetti freschi. Arrostisco per bene la mia pernice e ne approfitto per mangiare un’ala. Il resto va tutto in borsa. Mi rammarico di non avere né un sacco né una foglia larga su cui poter avvolgere la mia carne, ma per quanto poco igienico possa essere devo buttarla nello zaino così com’è.
Riprendo il cammino. Continuo a guardarmi intorno: sinceramente sono un po’ preoccupata per dove passerò la notte. Se dovessi scontrarmi con gli ibridi non riuscirei ad arrampicarmi facilmente, qui. Un mal di testa martellante mi fa compagnia sin da quando ho trovato le more, e ho un disperato bisogno di riposare.
In lontananza, all’improvviso, appare una zona rocciosa: il morbido letto d’erba che faceva da tappeto al bosco, si trasforma in un inferno di rocce gigantesche e spuntoni. Lontano mi sembra di sentire anche lo scroscio di una cascata. Zona impervia, niente alberi. Probabilmente tra le insenature rocciose ci sarà qualche grotta, ma l’idea di addentrarmi lì non mi alletta per niente. Questo posto non mi piace. Trovo più saggio rimanere al limitare del bosco. La sera sta calando e io mi arrampico sul primo albero agibile che trovo – e fortunatamente lo trovo. Do un’occhiata alle mie provviste: l’acqua della mia borraccia sta finendo. Bevo tutte e tre le uova rimaste per cena, nel tentativo far tacere il languore che mi supplica di addentare anche la pernice. Ma non posso permettermi di mangiarla ancora. Mi rannicchio sul un ramo e, già intirizzita per il freddo, riesco a tenere gli occhi aperti giusto il tempo di vedere il volto del ragazzo morto questa notte, accompagnato dall’altisonante inno di Panem: il sorriso del maschio del 5, uno degli alleati della Gilda, scompare dal cielo.

 
Note di me
Boom baby!
Con un discreto ritardo, ecco il grandioso - sè, come no - capitolo 9! Spero possiate perdonarmi, davvero, ma esami e impegni vari mi hanno tenuta piuttosto lontana dalla scrittura.
Che dire di questo capitolo? Ah già. La morte di Roy. Riesco quasi a sentire i vostri pianti da dietro il pc *tende le orecchie*
Ha fatto molto male anche a me ucciderlo. In quel modo poi... così, allegramente. Voi ve lo aspettavate? Spero di no, perché volevo un effetto sorpresa su tutti i fronti ù_u
Coooomunque. Il resto del capitolo è tutto "lezioni di sopravvivenza alla Bear Grylls", quindi non ho molto da aggiungere. E se vi ha fatto cagare, sinceramente, lo capisco. La vera novità viene il prossimo capitolo, non temete.
La prossima pubblicazione dovrebbe verirficarsi - sì, "verificarsi" come se fosse un'eclissi solare - tra circa una settimana, non so il giorno preciso. Pertanto, stay tuned.
Datemi feedback!
Un abbraccio,
Adam (citazione della citazione della mia cara Its Ellie <3)
*coff coff* Alex.
   
 
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