Un
raggio di sole si posò sugli occhi chiusi di Chiara, che,
mugugnando
infastidita, si svegliò da quello che era stato il primo
vero sonno ristoratore
da quando aveva messo piede su Asgard.
Stropicciandosi
le palpebre appesantite dalla lunga dormita, si alzò a
sedere e sentì scivolare
le coperte del letto sopra la propria pelle: “Che
strano…” pensò tra sé e
sé,
accarezzando le morbide lenzuola di seta color smeraldo “Non
ricordo di essermi
messa a letto”, poi un flash le balenò nella mente
e si sporse di lato per
verificare se Loki fosse ancora sul pavimento.
Non
vide nessuno, se non una chiazza scura sul tappeto, a testimonianza del
sangue
perduto dal dio dopo lo scontro con il giovane elfo.
Da
quanto tempo si era addormentata? E che cosa era successo nel frattempo?
Saltò
giù dal letto e uscì di corsa fuori dalla stanza,
desiderosa di scoprire la verità
su quello che era accaduto la sera prima: perché un elfo,
con la cui terra
Asgard aveva stretto da generazioni una profonda e salda alleanza,
avrebbe
dovuto attentare alla vita del sovrano? Il suo regno non era forse in
pace con
quello degli Æsir? Era stato un gesto isolato oppure, dietro
quell’attacco così
diretto, c’era qualcosa di più
dell’avventatezza e della follia di un giovane?
E perché Loki quella sera stava ricoprendo il ruolo di
Odino? Era sempre stato
lui a regnare al posto del vero sovrano? E, se sì, che fine
aveva fatto il vero
Odino?
Con
la testa piena di domande, Chiara corse per i corridoi del palazzo
illuminati
dalla luce della mattina inoltrata, finché non
arrivò alle porte della sala del
trono; ignorando completamente gli ordini delle guardie, che tentarono
inutilmente
di arrestare la sua avanzata, entrò nell’ambiente
dorato, interrompendo una
riunione in corso tra il sovrano, Thor, Sif, i Tre guerrieri e alcuni
altri
militari.
Vedendola
arrivare così irruentemente nella stanza, Thor le corse
incontro con
un’espressione di profondo sollievo sul viso: -Chiara, grazie
al cielo sei
qui!- disse in un soffio il Dio del Tuono.
Le
accarezzò il volto con le sue grosse mani, studiandone la
pelle in cerca di
ferite o di tumefazioni: -Dopo quello che è accaduto ieri
sera, non ti abbiamo
più trovata da nessuna parte! Temevo che gli elfi ti
avessero rapita! Stai
bene? Cosa ti è accaduto?
-Io
sto bene, non ti preoccupare- gli rispose la ragazza con un sorriso
intenerito:
la premura di quel gigante buono la commuoveva ogni volta; poi chiese:
-Che
cos’è successo ieri sera? Io non
capisco…
-Gli
elfi hanno attentato alla mia vita- disse Odino, dall’alto
del suo scranno -E
poi sono fuggiti via come conigli, ma tu lo sai meglio di tutti, non
è vero,
midgardiana?
Sul
volto dei presenti, e in particolare su quello di Chiara, si
disegnò
un’espressione sorpresa: -Cosa volete dire?-
domandò la ragazza, chiedendosi
chi fosse veramente l’uomo con cui stava parlando in quel
momento.
-Mi
domando cosa ti abbiano promesso per convincerti ad affrontare una
missione
così disperata, ma mi congratulo per le tue
abilità: sei davvero una grande
attrice!
Tutti
gli occhi erano puntati su di lei e il clima era diventato pesante
all’interno
della sala: l’accusa che Odino le stava rivolgendo era
gravissima e Chiara non
riusciva davvero a capire cosa l’avesse portato a formulare
quell’insinuazione.
-Maestà-
disse la ragazza, misurando attentamente le parole e sforzandosi di non
prestare attenzione allo sguardo costernato di Thor -Io non capisco a
cosa vi
stiate riferendo: non avevo mai visto un elfo prima di ieri e non avrei
mai
attentato alla vita di nessuno in alcun modo. Vi prego di credermi.
-NON
MENTIRMI!- urlò il sovrano battendo violentemente Gungnir
sul pavimento -Hai
permesso al sicario di scappare! Questo è un atto di
tradimento nella mia
corte!
-Era
solo un ragazzino!- gridò la ragazza, tentando di sovrastare
la voce del
sovrano, ma quello la ignorò e continuò
imperterrito nella sua accusa: -Ora mi è
tutto molto chiaro: gli elfi tramano alle mie spalle e usano una
sciocca
ragazzina asgardiana per intrufolarsi nel mio palazzo e avere un aiuto
interno
nel momento dell’attacco. Hai recitato molto bene la tua
parte, umana: così
fragile e spaventata, sei persino riuscita a ingannare il cuore di mio
figlio e
hai sfruttato la sua bontà per avvicinarti a me! Avrei
dovuto lasciarti marcire
in eterno nelle prigioni!
Il
volto di Thor era sconvolto da quella rivelazione e Chiara
sentì il cuore
stringersi in una morsa: -Thor, ti prego…- gli disse,
cercando di non piangere
per la vergogna -Non è vero niente! Non crederci! Io non ho
nulla a che fare
con quello che è successo.
-Mi
fidavo di te- rispose il dio, lanciandole uno sguardo carico di
disprezzo e
allontanandosi da lei quasi fosse stata una lebbrosa.
Fu
un colpo terribile, doloroso come una pugnalata al petto e le lacrime
cominciarono a scendere sul volto della fanciulla, rigandole le guance
e il
collo.
A
quel punto Odino si alzò e, avvicinandosi a lei a passi
calmi e cadenzati,
proseguì: -Ora che sei stata scoperta, non hai
più alcun valore per gli elfi e
forse loro si aspettano che ti faccia giustiziare per quello che hai
fatto, ma
a questo punto tu non sei più nulla: solo
un’inutile pedina su una scacchiera
troppo grande. Sei davanti al pezzo più importante, mia
cara, piccola,
sacrificabile pedina e ora che il tuo gioco è stato svelato,
non servi più a
niente. Non vale nemmeno la pena sporcare con il tuo sangue immondo la
lama
della più vecchia e arrugginita delle spade del mio regno,
perciò ritieniti
fortunata: sono un re magnanimo e ti condanno all’esilio,
mentre per i tuoi
amici elfi la pena sarà la guerra.
Era
di fronte a lei, a un palmo dal suo viso, e Chiara avrebbe persino
potuto
contare i peli della sua barba che cresceva sul mento squadrato, ma non
fu
quelli che osservò, bensì l’occhio
sano, puntato inquisitorio su di lei: era
diventato verde.
-Perché
lo stai facendo?- chiese in un sussurro la ragazza, affinché
solo il suo
interlocutore potesse sentirla
Lui
non disse nulla, ma le prese il viso tra le mani e poggiò le
labbra sulla sua
fronte, lasciandovi quello che sarebbe stato facilmente confuso con un
bacio,
ma non appena il contatto tra i loro volti venne interrotto, Chiara
sentì la
testa alleggerirsi, le palpebre farsi sempre più pesanti e,
alla fine, la sala
del trono e i suoi occupanti svanirono alla sua vista, sostituiti solo
da buio
e silenzio.
Dopo
un tempo che non riuscì a definire con certezza, la ragazza
riuscì ad aprire
appena gli occhi: la sua vista non era ancora nitida ma riusciva a
distinguere
due figure imponenti davanti a sé.
Poi
la voce di Odino: -Riportala a casa, Heimdall.
-N…No…-
cercò di dire la ragazza, ancora intontita -Per favore,
Heimdall, aspetta….
Ma
era troppo tardi e l'incantesimo con cui il Dio degli Inganni l'aveva
colpita
era ancora attivo, così i suoi occhi tornarono a chiudersi
mentre il suo corpo
veniva risucchiato nel vortice del Bifrost.
Di
nuovo il buio. Di nuovo il
silenzio.
Bip…Bip…Bip…Bip…
Un
cicalio fastidioso perforò i timpani della ragazza,
facendole quasi male; cercò
di muoversi, ma il suo corpo era troppo pesante e l’incavo
del gomito destro le
bruciava.
Aprì
lentamente gli occhi e le sue pupille si strinsero alla forte luce
artificiale
che illuminava l’ambiente; dopo qualche secondo
riuscì a distinguere sopra di
lei un soffitto bianco a pannelli quadrati, mentre un forte odore di
disinfettante si insinuò nelle sue narici.
Inclinò
leggermente la testa verso destra e vide un grosso parallelepipedo
scuro con
uno schermo, su cui correva una linea verde a zig zag; a fianco del
parallelepipedo, un’asta argentata sorreggeva un sacchettino
trasparente
collegato con un tubo al suo braccio.
“Sono
in ospedale?”
-Sei
sveglia?- chiese una voce emozionata alla sua sinistra -Mamma,
papà! Si è svegliata!-
urlò, poi, la voce, seguita da un rumore di passi e dal
tocco delicato di una
mano sulla spalla della ragazza.
-Chiara?-
sussurrò una voce femminile -Come ti senti?
Voltò
a fatica il capo indolenzito a sinistra e vide sua madre, suo padre e
suo fratello
minore; i loro volti erano segnati dalla stanchezza e
dall’apprensione dei
giorni interminabili trascorsi nella sua ricerca, ma per lei non erano
mai
stati tanto belli.
-Mi
siete mancati- disse, allungando appena le braccia nella loro direzione
e ricevendo
un caldo abbraccio dalla sua famiglia. L’emozione era
palpabile nell’aria e gli
occhi di tutti erano inumiditi dalla gioia; si strinsero per qualche
minuto,
finché non vennero interrotti da un’infermiera che
entrò nella stanza e chiese
di poter dare un’occhiata alla ragazza.
La
donna segnò i valori riportati sul monitor,
controllò la funzionalità della
flebo e prese la temperatura della paziente, poi chiese: -Allora, mia
cara, mi
sai dire come ti chiami?
-Chiara-
rispose quella, con la testa ancora un po’ indolenzita.
-Bravissima,
e mi sai dire chi è quell’uomo?-
domandò l’infermiera indicandole suo padre.
-Quello
è il mio babbo.
-Ottimo,
molto bene. Mi sai dire quello che ti è successo?
-Mi
dica lei cosa crede che mi sia successo- rispose Chiara, inquisitoria:
non le
piaceva il tono che quella donna le rivolgeva.
-Ti
hanno trovata in mezzo ai campi che farfugliavi delle frasi senza
senso,
urlando parole incomprensibili. Temiamo che tu possa aver avuto una
forma di shock.
Tra poco dovremmo avere i risultati delle analisi del sangue,
così cerchiamo di
capirne la causa.
-Credete
forse che mi sia drogata o che abbia bevuto?- domandò
ancora, aspra: per una
qualche ragione, quella donna la faceva innervosire.
-Tesoro-
disse sua madre -Sei sparita per quasi due mesi. I tuoi rapitori
potrebbero
averti drogata o peggio! Potrebbe esserti accaduto di tutto.
“Non
immagini fino a che punto!” pensò tra
sé la ragazza, poi si rivolse di nuovo
all’infermiera: -Finora avete trovato qualcosa di strano?
-I
valori vitali sono nella norma e sul tuo corpo non sono state trovate
tracce di
violenza. Anche dalla visita ginecologica non è emerso
niente di insolito. Al
momento ti stiamo idratando e aspettiamo i risultati delle analisi.
-Tu
non ti ricordi nulla?- domandò suo padre, accarezzandole una
guancia; nel suo
sguardo si riusciva a leggere distintamente l’apprensione e
la paura che quella
domanda portava con sé.
-Ecco
io…- esordì la ragazza, ma le parole si spensero
in gola: come avrebbe potuto
spiegare quello che aveva visto, le cose che aveva vissuto e le persone
che
aveva incontrato? Una fitta al cuore la colse al ricordo
dell’amico, che la
credeva una traditrice, e di Loki, che l’aveva diffamata
ingiustamente davanti
a tutti, accusandola di tradimento solo poche ore dopo che lei gli
aveva
salvato la vita.
-Io
desidero che questa questione venga affrontata solo tra i membri della
famiglia- riprese Chiara, squadrando l’infermiera, che
prontamente si alzò e
uscì dalla stanza.
-Dicci
tutto, tesoro- disse sua madre, stringendole la mano tra le sue.
-Non
so come sia potuto accadere- incominciò la ragazza -E per
tutto il tempo in cui
sono stata via mi sono interrogata sul motivo e sulla
modalità della mia
scomparsa, ma vorrei che prendesse per autentiche le mie parole e che
capiste che
quello che sto per dire è dettato dalla migliore
lucidità mentale di cui sono
capace, va bene?
Preoccupati,
i suoi famigliari annuirono leggermente con la testa e si misero ad
ascoltare
attentamente; Chiara raccontò del suo risveglio nelle
prigioni del palazzo,
della creatura che le aveva salvato la vita, di Thor, di Odino, della
sua
schiavitù, delle persone che aveva incontrato e delle azioni
che aveva
compiuto; descrisse gli elfi e raccontò
dell’attentato al Padre di Tutti, ma
non accennò minimamente a Loki e al ruolo che aveva
interpretato in quella
storia.
Alla
fine del racconto, suo padre e sua madre si scambiarono uno sguardo
ricco di
significati che Chiara non riuscì a cogliere e, dopo averle
dato un bacio sulla
guancia, uscirono dalla stanza, lasciandola sola con il fratello.
-Hai
incontrato davvero gli dei nordici?- chiese incredulo Francesco -E
com’era il
martello di Thor? Era forte?
-È
piuttosto piccolo rispetto a quello che ci si
potrebbe aspettare- rispose Chiara -Ma scaglia dei gran fulmini!
-Forte!-
esclamò emozionato il ragazzo e Chiara
rispose a quell’entusiasmo con un sorriso: le era mancato
tantissimo quello
scemo del suo fratellino e poterlo rivedere sembrava un piacere quasi
impossibile, come se le fosse in qualche modo proibito e che presto le
sarebbe
stato di nuovo sottratto.
Dopo
qualche altra domanda che Francesco,
incuriosito e affascinato dalle avventure della sorella, continuava a
porle, la
porta della camera si aprì di nuovo, facendo entrare una
donna sulla
cinquantina, con un lungo camice bianco e i capelli biondi raccolti in
uno
chignon, seguita dai genitori.
-Ciao
Chiara- disse la signora -Sono la dottoressa
Augusti e sono il medico che ti ha tenuto sotto controllo in queste ore.
-Piacere…-
rispose la ragazza, studiando perplessa
la sua interlocutrice.
-Ho
appena dato un’occhiata alle tue analisi e ai
tuoi parametri vitali e ti posso dire che sei sana come pesce, mia
cara, ma
vorrei comunque che ti facessi vedere nei prossimi giorni e, magari,
facessi
una chiacchierata con il dottor Di Stefano, così gli spieghi
un po’ quello che
ti è capitato, che ne dici?
-Mi
faccia indovinare, dottoressa, questo signor Di
Stefano è per caso uno psicologo?
-Veramente
è uno psichiatra, mia cara.
Senza
aggiungere altro, la ragazza si tolse l’ago dal
braccio e il sensore per il battito cardiaco dal dito e si
alzò dal lettino.
-Dove
credi di andare?- domandò sorpresa la
dottoressa.
-Me
ne torno a casa, cara signora,
perché non ho alcuna intenzione di perdere il mio
tempo con chi ha già deciso di sottopormi a
un’inutile terapia perché è troppo
ottuso per capire la veridicità delle mie parole. Non ho alcun disturbo mentale,
né mi sono
inventata quello che ho raccontato per dissimulare un qualche trauma:
quello
che ho detto mi è accaduto veramente e io non
vedrò nessuno psichiatra o
psicologo o chiunque altro!
-È
per il tuo bene, pensa ai tuoi genitori!-
insistette la donna, cercando di riportare a letto la sua paziente.
-I
miei genitori sono già fortunati ad avermi di
nuovo con loro; sono maggiorenne e sono libera di rifiutare la cura, se
ne ho
voglia, quindi datemi dei vestiti e lasciatemi tornare a casa mia.
Ciò
detto, si avvicinò verso un angolo della stanza,
dove giaceva la borsa che i suoi le avevano preparato per la permanenza
in
ospedale, la aprì, ne estrasse degli indumenti ed
entrò nel bagno per
cambiarsi, il tutto sotto lo sguardo attonito dei suoi parenti e del
medico.
Una
volta che si fu chiusa la porta alle spalle, la
ragazza si guardò allo specchio: la fanciulla calma e
allegra di solo un giorno
prima era svanita, al suo posto vi era una sconosciuta dallo sguardo
freddo.
Cercando
di ignorare quel volto che la osservava
attraverso lo specchio, Chiara si lavò alla bell’e
meglio al lavandino dello
stretto bagno e indossò i suoi vecchi abiti, jeans e
maglietta, ritornando ad
essere, in apparenza, la solita studentessa di due mesi prima.
Esalò
un profondo sospiro ed uscì, tornando nella
stanza dove la sua famiglia l’aspettava per il rientro a casa.
Senza
scambiarsi una parola (Chiara poteva immaginare
in che stato si trovassero i suoi genitori in quel momento e non
cercò di
sforzarli a fare conversazione: quando se la sarebbero sentita di
riaffrontare
l’argomento, avrebbero parlato), scesero le scale e si
avviarono all’uscita
dell’ospedale, dove un ragazzo dai capelli scuri e dalla
corporatura robusta,
aspettava ansioso appoggiato al corrimano di metallo.
Chiara,
alla vista del ragazzo, si bloccò, come
pietrificata, finché egli si accorse del loro arrivo e
le corse incontro.
-Marco…-
esordì la ragazza, quando quello le si fu
parato davanti, ma non riuscì ad aggiungere altro
perché Marco l’avvolse in un
abbraccio commosso, sussurrandole felice all’orecchio: -Sei
tornata!
Dopo
un primo momento di rigidità, Chiara rispose
all’abbraccio del fidanzato, stringendolo forte a
sé e respirando a pieni
polmoni il suo profumo così familiare.
Prendendola,
poi, delicatamente per la mano, come se
temesse che potesse andare in frantumi da un momento
all’altro, Marco la
condusse verso la propria auto parcheggiata poco distante
dall’ingresso
dell’ospedale e l’aiutò a salire.
Quando
tutti si furono accomodati all’interno
dell’abitacolo, il ragazzo diede gas e l’auto
uscì dal parcheggio, dirigendosi
verso le campagne senesi sotto al caldo sole di agosto.
Durante
tutto il viaggio, Chiara continuò a pensare
alle parole del re di Asgard e allo sguardo deluso e ferito di Thor,
ma,
soprattutto, si domandò se la guerra tra Asgard e
Âlfheimr avrebbe nuociuto ad
Angnis, a Myria e agli altri bambini del palazzo che aveva conosciuto.
Avrebbe
dato chissà cosa per poter tornare ad Asgard e assicurarsi
che non accadesse
loro del male: si sentiva addosso il peso di quella guerra assurda.
Anche
se sapeva di non esserne responsabile, sentiva
che avrebbe dovuto essere lì per aiutarli. In fondo ora
aveva degli affetti
anche ad Asgard ed erano in pericolo.
Il
tempo, trascorso in mezzo a quei pensieri, volò
in un lampo e presto la macchina imboccò il sentiero
sterrato che conduceva
alla villetta dove Chiara e la sua famiglia vivevano da sempre.
Nulla,
notò la ragazza, era cambiato in quell’abitazione,
tranne forse le piante del giardino, che apparivano meno rigogliose e
curate
del solito.
Ad
attenderli, i nonni di Chiara, padre e madre di
suo padre, stavano sotto al portico, aspettando ansiosamente che
l’auto si
fermasse e permettesse alla loro adorata nipotina di raggiungerli.
Non
appena li vide, la ragazza scese dall’auto e
corse loro incontro, stringendoli poi in un abbraccio ricco
dell’affetto più
profondo e sincero: erano le persone con cui era cresciuta e con cui
aveva
costruito la propria personalità giorno dopo giorno; ai suoi
nonni Chiara
doveva tutti i migliori ricordi della sua infanzia ed erano le due
persone che
più amava al mondo, sicché le strinse a
sé come se potesse svanire di nuovo
lontano da loro in un battito di ciglia.
-Bentornata-
la voce della nonna era rotta
dall’emozione mentre le accarezzava dolcemente i capelli
scompigliati con le
sue mani nodose; suo nonno, invece, non disse niente, ma le sorrise e
ricambiò con
entusiasmo l’abbraccio: non erano necessarie le parole
affinché si capissero,
tra loro due c’era sempre stata un’intesa unica e
speciale, che Chiara non
aveva con nessun’altro.
Quando
la famiglia si fu riunita, si sedettero tutti
assieme nel salotto e, mentre la nonna preparava il the, Chiara
ripeteva il suo
racconto, cercando di spiegare al meglio delle sue capacità
oratorie i fatti
incredibili che le erano capitati nel regno di Asgard.
Cercò
di decifrare le espressioni dei suoi parenti
man mano che gli avvenimenti venivano snocciolati: i suoi genitori
avevano
delle facce preoccupate e continuavano a lanciarsi occhiate eloquenti;
Francesco pendeva dalle sue labbra, osservandola con i suoi grandi
occhi
castani, avido di apprendere tutti i dettagli di
quell’incredibile avventura;
Marco era seduto sulla sedia a fianco del tavolo e appoggiava la testa
sul
pugno chiuso, sembrava incredulo e, notò Chiara, il suo viso
si accigliava ogni
volta che ella parlava del Dio del Tuono; sua nonna la osservava
stringendo tra
le dita la tazza di the fumante e, talvolta, lanciava uno sguardo
preoccupato
in direzione dei suoi genitori. L’unico che sembrava prendere
sul serio il suo
racconto era, come la ragazza si aspettava, suo nonno, il quale,
sorseggiando
lentamente la sua bevanda calda, la osservava interessato e concentrato.
Alla
fine del suo racconto, cadde il silenzio e,
dopo qualche minuto passato senza che nessuno dicesse nulla, Chiara
annunciò
che sarebbe andata nella sua stanza a riposare.
Non
appena ebbe varcato la soglia della sua camera,
si lasciò cadere a peso morto sul letto e si mise a fissare
il soffitto: la sua
memoria volò alle prigioni e alla vana ricerca del suo
lampadario. Ora
quell’oggetto era lì, esattamente dove ci si
aspettava che fosse, ma Chiara
continuava a non sentirsi nel posto giusto, nel luogo dove avrebbe
dovuto
essere in quel momento.
Ad
Asgard, probabilmente, stava già imperversando la
guerra e lei era lì, su un altro pianeta, ad osservare il
soffitto. Aveva
ragione Loki: era solo un’inutile pedina in una scacchiera
troppo, troppo
grande per lei.
Qualcuno
bussò alla porta, interrompendo il filo dei
suoi pensieri, e Chiara andò ad aprire, trovandosi di fronte
suo nonno con
in mano due grosse
tazze colorate.
-Ciao-
disse l’uomo, con un grande sorriso -Ho pensato
che potesse essere il momento giusto per un buon gelato.
-Nocciola
e stracciatella?
-Nocciola
e stracciatella!
-Tu
sì che mi capisci!- disse la ragazza ricambiando
il sorriso e facendolo accomodare sul divanetto vicino alla finestra.
Quando
l’uomo si fu adagiato sui cuscini della
poltrona, disse, porgendo alla nipote una delle due tazze:
-È stata davvero
un’esperienza particolare su Asgard, non è vero?
-Già…-
rispose la ragazza, mettendosi in bocca una
grossa cucchiaiata di gelato -Cosa ne pensi di quello che ho
raccontato?-
aggiunse poi.
-Penso
che tu non ci abbia detto tutto- rispose
quello, guardandola profondamente negli occhi attraverso le spesse
lenti degli
occhiali da vista -Ti conosco da quando sei nata e ti ho vista
crescere, perciò
posso dire di saper capire quando mi nascondi qualcosa. Ho ragione?
Chiara
sorrise e, affondando il cucchiaino nel
gelato, rispose: -Come sempre.
-Allora
cos’è che hai omesso? Qual è il
problema che
ti turba?
A
quel punto a Chiara non rimase che rispiegare, per
filo e per segno, tutta la storia con l’aggiunta di Loki e
delle sue trame:
dall’iniziale tentativo di spaventarla presentandosi a lei
come la sua paura,
al Vincolo Sacro fino alla serie di
accuse con annessa condanna all’esilio.
Quando
la ragazza ebbe terminato, il nonno rimase
per una manciata di secondi in silenzio, valutando attentamente quello
che gli
era stato appena narrato, poi, dopo aver mangiato l’ultima
cucchiaiata di
gelato, disse: -Chiunque sia questo Loki e qualunque cosa egli abbia
combinato
nella sua vita, non posso che essergli grato.
-Cosa
intendi dire?- domandò la ragazza, sorpresa da
quell’affermazione inaspettata.
-Gli
sono grato perché, non appena ha fiutato il
pericolo di una guerra, il suo primo pensiero è stato quello
di metterti in salvo,
di rimandarti a casa dalla tua famiglia. Ha dovuto mettere assieme
tutta quella
messinscena per far sembrare il tuo allontanamento un fatto plausibile,
visto
che fino a quel momento aveva insistito per tenerti ad Asgard, ma il
suo scopo
era portarti al sicuro, dove non avresti corso alcun rischio.
Quell’uomo mi ha
rimandato indietro la mia nipotina e non potrei essergli più
riconoscente.
Chiara
non sapeva cosa dire: non aveva considerato
la cosa sotto quel punto di vista, ma le sembrava piuttosto
inverosimile che
una creatura come Loki potesse interessarsi
all’incolumità di qualcuno
all’infuori di se stesso.
Aprì
bocca per ribattere, quando un’altra voce
femminile alle sue spalle l’anticipò: -I miei
complimenti, nobile vegliardo,
lei è un uomo molto saggio.
Angolo
dell’autrice:
salve a tutte quante e bienvenidas alla fine del capitolo 18! Un
caloroso
abbraccio alla nuova arrivata che ha aggiunto la storia tra le seguite J
Dunque,
eccoci qua: Chiara è stata rispedita piuttosto malamente a
casa, dove deve
confrontarsi con una realtà che fatica ad accettare gli
eventi da lei vissuti.
La sua famiglia e la sua casa erano ciò che la ragazza
desiderava, ma li ha
riavuti in circostanze che non si aspettava ed ora si trova divisa a
metà tra
la tranquillità offertale dalla sua vecchia vita e la
minaccia della guerra che
incombe su chi le è divenuto caro.
Che
ne dite? Il nonnino c’ha visto giusto? O forse Loki voleva
solo liberarsi di
Chiara, magari, già che c’era, dando anche un
dolore a Thor?
E
di chi sarà la voce alle sue spalle? Scommetto che ci siete
già arrivate ;)
Vi
mando un grandissimo abbraccio e vi ringrazio con tutto il cuore per
essere
qui, capitolo dopo capitolo, ad onorare il mio lavoro con la vostra
attenzione
e il vostro interesse.
Un
abbraccione e alla prossima :)
Lady
Realgar