Capitolo
21
Strane
coordinate e incontri
bizzarri
NDA Salve? c'è
ancora qualcuno che segue questa storia? se si, sappiate che
sono viva e se volete linciarmi ed uccidermi ne avete tutto il diritto.
mi dispiace di aver tardato ben cinque mesi, ma la scuola mi ha ucciso.
Se c'è ancora qualcuno che mi segue per favore mi dia il suo
parere. Solo per sapere se la storia vi piace e questo mio
modo, come avevo già preannunciato qualche mese fa di
cambiare storyline ad ogni capitolo e di unirle non è troppo
confuso. Questo è il mio primo esperimento di
questo genere. infatti non ci saranno Amelia Pond Eleven e
James Potter in questo capitolo ma Ten! Che amo e che mi mancava troppo
pe rnon inserirlo. Perciò si è un esperimento, ma
mi piacerebbe mi diceste se questa alternanza di storie (nel
prosimo capitolo tornerà il nostro trio non temete)
vi piace. Vi lascio alla citazione e al capitolo,
Ci vediamo sotto.
«C’è una
verità universale che dobbiamo affrontare:
che lo vogliamo o no, tutto quanto
arriva a una fine. E malgrado aspettasi con ansia questo momento, non
ho mai
amato gli epiloghi. L’ultimo giorno d’estate,
l’ultimo capitolo di un bel
libro, allontanarsi da un caro amico, ma la fine è
inevitabile. Arriva l’autunno,
chiudi il libro, dici addio. Oggi è uno di questi giorni per
noi. Oggi diciamo
addio a tutto quello che ci è famigliare, a tutto quello a
cui eravamo
abituati, andiamo avanti. Nonostante questo ci faccia male,
è ora di voltare
pagina. Malgrado ciò, ci sono persone che fanno talmente
parte della nostra
vita, che saranno presenti, ovunque andremo. Sono il nostro punto di
riferimento, la nostra stella polare. Sono... quelle piccole voci
dentro il
nostro cuore, che rimarranno con noi.. per sempre.»
[Alexis Castle
IV ep 23]
Londra Novembre 2009
POV Doctor 10
Quella sera, a
Londra, la pioggia cadeva fitta e
copiosa, ma non volevo rimanere in quella casa un minuto di
più, non avrei
potuto sopportarlo. Non volevo scoppiare a piangere lì
Perché era quello che
ero tentato di fare, mi veniva da piangere; per Donna, per averle
rovinato la
vita, per averle preso i ricordi delle nostre avventure, per non averle
potuto
restituire tutto, per non aver potuto mostrarle tutto ciò
che volevo fare
vedere.
L’avevo
portata insieme a Willfred nella sua
stanza. E poi ero rimasto li, a fissarla dormire, la mia povera Donna
Nobble.
Dormiva con
le mani giunte sullo stomaco, i lisci
capelli rossi sul cuscino, il viso disteso in un‘espressione
pacifica. Sapevo
che appena si fosse svegliata non avrebbe serbato più alcun
ricordo di me. E
sapere che ero stato io stesso a cancellarle la memoria, mi riempiva di
dolore.
Perché? Mi chiesi per
l’ennesima
volta. Perché rovino tutto quello
che
tocco? Prima Rose,
poi Martha, e ora
Donna. Perché sono riuscito a rovinare la vita a tutti?
Fu questo che
pensai rimanendo in piedi di fronte al letto di Donna.
Poi con gli
occhi lucidi diedi le spalle al letto, e mi chiusi la porta alle
spalle. Mi
accomodai su una poltrona nel soggiorno di casa Nobble, davanti a me
c’erano
Willfred e sua figlia Sylvia.
«Ha
ospitato la mia mente nella sua, ma era la
mente di un Signore del Tempo, tutta quella conoscenza la stava
uccidendo.»
spiegai.
«Ma
starà meglio adesso?» chiese Willfred
guardandomi preoccupato.
«Ho
cancellato i suoi ricordi totalmente. Ogni
traccia, di me, del TARDIS, di qualunque cosa fatta insieme, di
qualunque
viaggio, è sparita.» dissi tristemente.
«Ma...quelle
magnifiche cose che ha fatto...»
iniziò a dire Willfred
«Lo
so,»
dissi con voce piatta. «ma, quella versione di
Donna è morta.» dissi
sopratutto per convincere me stesso.
Mi sporsi in
avanti sulla poltrona, guardando le
persone di fronte a me e giungendo le mani in grembo.
«Perché
se dovesse
ricordare, anche per un solo istante, lei ne morirebbe.
Non gliene
dovete parlare. Non dovete menzionare me in nessun modo, per il resto
della sua
vita.» avevo detto. Quelle parole mi ferivano mentre le
pronunciavo. Non farmi
ricordare da lei, in nessun modo, ricordarla da solo... era
insopportabile, ma
per salvarle la vita avrei fatto questo ed altro.
«Ma
tutti non fanno che parlare di questo! Non
parlano che di come abbiamo attraversato lo spazio!» disse
indignata Sylvia
Nobble.
«Sarà
solo un racconto, uno di quelli in cui Donna
Nobble si perde sempre tutto.» dissi ricondannandomi, della
Donna che si
perdeva sempre tutto e che si sarebbe persa anche me alla fine.
«Ma stava
meglio insieme a lei!» protestò Willfred
sull’orlo delle lacrime.
«Non
dire così!» lo rimproverò sua figlia.
«No,
è la verità!» ribatté il
vecchio Will.
«Voglio
solo che sappiate, che ci sono tanti mondi
li fuori, sicuri nel cielo, sopratutto grazie a lei. Ci sono persone,
che
vivono nella luce... e che cantano canzoni di Donna Nobble, a centinaia
di
migliaia di ani luce da qui... non la dimenticheranno mai. Ma lei non
potrà mai
ricordarli.» dissi con la voce incrinata e rotta
dall’emozione e dal dolore.
«E
per un momento, per uno splendido momento ... è
stata la donna più importante
dell’Universo.» dissi con voce ancora
più rotta
minacciando il pianto.
«Lo
è ancora. Lei è mia figlia.» disse con
orgoglio Sylvia Nobble.
«Allora
forse dovrebbe dirglielo un po’ più
spesso» ribattei un po’ più acido di
quanto in realtà volessi essere.
Poi
l’avevo vista, Donna Nobble era arrivata strillando dalla sua
stanza.
«Cosa ci faccio sul letto vestita come una ragazzina?!
Perché nessuno mi ha
detto niente?!». Un sorriso triste
m’incurvò le labbra, non l’avrei mai
più sentita
urlarmi contro inviperita, ne chiacchierare su qualsiasi argomento,
riempiendo
i silenzi con chiacchiere senza senso. Povera Donna! Non sarebbe mai
più stata
la stessa, le avevo rovinato la vita.
E
non sapevo come rimediare. Non resistetti alla tentazione e le parlai.
«Salve
io sono John Smith» mi presentai. Lei mi
guardò un attimo, gli occhi verdi erano spenti e non si
fermano su di me che
per un minuto. Mi resi conto che sì, lei mi aveva
dimenticato.
Era
quello che volevi no? Mi disse una vocina
irritante nella mente. Poi il suo sguardo passò oltre,
come se non mi vedesse.
Mi strinse la mano
che le porgevo con
sbadataggine, per poi concentrasi di nuovo sul suo cellulare.
«Il
Signor Smith sta andando via» disse con freddezza
sua madre.
«Ah»
disse con noncuranza per poi continuare:
«Vinny è impazzita! Mi ha mandato 33 messaggi!
Sostiene di aver visto pianeti!
Pianeti, sé! Che cosa mi sono
persa sta’volta?» chiese poi, portandosi il
telefono all’orecchio e andando
verso la cucina.
Ma certo, mi
dissi non ero niente di speciale per
lei ora. Era solo
un uomo normale. Non
più il suo amico, non più il suo compagno di
avventure, non più il Signore del
Tempo ma John Smith un normale umano. Mi alzai dal divano con fatica,
come se
di colpo sentissi il peso dei miei 903 anni, d’età. Costrinsi le gambe a
muoversi, ad andare
verso la cucina, e a chinarsi per salutarla, un’ultima volta,
solo per un
ultimo addio.
«Allora
io vado» dissi a Donna, lei non mi guardò
nemmeno.
Mi rispose solo
cin un «Ah si! Salve!». Disse per poi riprendere a
ciarlare con il telefonino
incastrato tra l’orecchio e la spalla.
Mi voltai e
a passi lenti percorsi il piccolo appartamento dei Nobble a Chiswick.
Aprii la
porta d’ingresso e iniziai a incamminarmi sotto la pioggia
battente.
«Dottore
aspetti!» mi richiamò Willfred Mott, il
nonno di Donna. Io mi voltai verso quel vecchio così pieno
di vita e di
curiosità, lentamente.
Indicai la
pioggia. «Disturbo atmosferico! Ma
passerà! Tutto passa.» conclusi tristemente.
«Ti
saluto Willfred!» dissi in tono cortese
voltandomi e iniziando a camminare verso il TARDIS.
«Dottore,
che cosa ne sarà di lei? Chi le resta?
Voglio dire... tutti quei suoi amici... » mi chiese Willfred
angosciato.
«Loro
hanno tutti qualcun’altro. Ma va bene così.
Io sto bene.» risposi con una calma e una
tranquillità che non so da dove
venissero.
«Penserò
io a lei, Dottore» mi rispose Willfred.
«Non
dovrai mai rivelarle niente.» lo avvertii
pensando che si stesse riferendo a Donna.
«No,
no, no! Ma tutte le sere, Dottore, quando
farà buio, e usciranno le stelle, guarderò il
cielo anche per Donna. Io
guarderò il cielo e penserò a lei.»
disse Willfred solennemente.
«Grazie»
risposi commosso. Mi avviai verso il
TARDIS.
Mi voltai ancora una
volta verso quella villetta a
schiera, con il prato all’inglese ben curato, simile a tutte
le altre, dalla
parte opposta della strada. Una casa banale, ordinaria, in un quartiere
banale
e ordinario di Londra, ma dove abitava la persona più
speciale
dell’universo. A volte in un mondo ordinario capitavano persone
straordinarie.
Pensai, mentre la pioggia mi colpiva il viso e mi annebbiava la vista.
Rientrai
nel TARDIS, la consolle era silenziosa, mi aspettava anche lei muta nel
suo
dolore. Avviai il TARDIS e mi smaterializzai, andai via da quella
strada
ordinaria, in quel quartiere londinese, forse per non tornarvi mai
più. Gettai
la giacca in un angolo, rimasi in
piedi, a fissare il TARDIS con la camicia fradicia, per poi prendermi
la testa
tra le mani e iniziare a piangere.
Ed
ecco
come finisce sempre alla fine. Eccoci qui di nuovo. Pensai guardando il
TARDIS. Tu ed
io vecchia mia, di nuovo soli.
Resto sempre solo alla fine. I miei amici hanno tutti
qualcuno. Sarah
Jane Smith ha suo figlio, Jack Harkness, il buon capitano, ha il
Torchwood e la
sua squadra. Mickey Smith ha la sua vita.
Martha Jones ha la sua
famiglia. Rose ha me e la sua famiglia.
Io avevo Donna ma... ora.. io le ho cancellato i ricordi
perciò..
Sono di nuovo
solo. Solo, vecchio e
stanco Dottore. Era
in questi
momenti che pensavo che non l’avrei mai fatta, che i Time
Lords vivevano troppo
a lungo. E poi
tutt’a un tratto il
TARDIS, si avviò da solo e iniziò a ruotare.
«Ma che cosa..?» chiesi,
aggrappandomi ai comandi. I comandi erano impazziti, stavo andando alla
deriva,
e malgrado cercassi freneticamente di sbloccarli, non ci riuscivo. Fui
sbalzato
indietro, caddi, battei la testa e rimasi privo di sensi.
Quando ripresi conoscenza il TARDIS, si era fermato e sullo schermo
erano
comparse strane coordinate. Coordinate mai viste prima. Mosso dalla
curiosità,
feci un’analisi del circondario. L’atmosfera era
simile a quella terrestre e
l’anno era il 2750, a giudicare dalla data sul cronografo.
Ero atterrato su in
pianeta sconosciuto simile alla terra. Il TARDIS mi aveva portato
lì per un
motivo. Quale però?
Uscii e aprii le porte del TARDIS, mi trovavo in un
vicolo, di una città L’asfalto
era sporco e il TARDIS era nascosto tra due palazzi di mattoni
fatiscenti. Usci
sulla strada principale. C’era un lungo viale, che
però era deserto. C’erano
sol alcune persone che pattugliavano
la strada. L’unico altro essere umano che camminava per la
via, oltre ai
poliziotti, era una ragazza. Aveva sì e no diciannove forse
vent’anni. Era
piuttosto minuta. Camminava in fretta, come se temesse di essere
seguita. La
guardai dall’altra parte della strada.
Era alta più o meno 1.57, aveva la pelle
pallida, chiarissima. Gli
occhi sembravano scuri e i capelli erano
mossi e lunghi fino a meta schiena. Camminava spedita, e i tacchi dei
suoi
stivali ticchettavano nel silenzio della via. Aveva qualcosa di
famigliare
quella ragazza, qualcosa di strano, qualcosa che mi ricordava alcune
persone cui
non pensavo da qualche tempo.
***
Francis
Harper raccolse la sacca
negli spogliatoi della palestra, se la mise in spalla,
salutò le sue compagne
di allenamento e uscii nell’aria gelida di novembre. Era umido quel giorno e
grigio come tutti i
giorni che aveva trascorso li, da quando era arrivata a Londra quattro anni prima.
Non che le mancasse il Galles, per niente.
Okay, si forse il paesaggio gallese era più
bello di quello londinese, ma a parte quelle distese di pascoli verdi
cosa
c’era per lei
in quella casa a 20 km da
Cardiff? Niente, assolutamente niente. Sua sorella era emigrata in
Germania e
ora lavorava in una fabbrica a Berlino. Dal canto suo, Francis andava a
trovare
i suoi genitori tutte le volte che poteva, quando gli impegni al
college glielo
permettevano, ma non pensava a tornare.
Era a Londra ormai, non sarebbe tornata indietro per nulla
al mondo.
Nonostante tutte le sue difficoltà, a Londra si stava
laureando, aveva scoperto
uno sport in cui era brava: la Scherma, aveva delle buone amiche e con
tutta
probabilità anche un lavoro non appena si fosse laureata in
Letteratura
Inglese. Raggiunse l’auto stringendosi nel cappotto.
Aprì la sua piccola ma
confortevole BMW scassata. Sapeva
che
secoli prima quelle auto erano auto sportive. Ora invece, le BMW erano
solo delle
auto. Solo le classi sociali meno abbienti possedevano ancora
l’auto, tutti gli
altri volevano con speciali aerei chiamati Zeppelin, che
però non assomigliavano
per niente a quelli del XX secolo. Erano dei Jet che però
non inquinavano, visto
che l’umanità aveva finalmente capito
che i pianeti si surriscaldavano,e esistevano cose come
l’effetto serra,
anche se quella era una colonia umana ed erano su una nuova Terra.
Francis si chiese
per l’ennesima volta, se la vera Terra somigliasse almeno un
po’ al pianeta
dov’era nata. Apri la portiera e
s’infilò nell’abitacolo, mise la borsa
sul
sedile del passeggero e quella da palestra sul sedile posteriore. Stava
per
infilare la chiave e accendere la macchina quando la suoneria del suo
tablet interruppe
i suoi propositi. La suoneria era una vecchia canzone della Terra
Originale di
cui non sapeva il titolo, ma che le piaceva.
Cercò freneticamente in borsa il piccolo
tablet, che aveva preso da un
paio di secoli il posto del cellulare, poi se lo portò
all’orecchio.
«Pronto?» chiese, anche se aveva riconosciuto
dall’ologramma della persona
sul tablet che si trattava di Martine, una delle sue più
care amiche. Udii la
voce squillante dall’altro capo della linea.
«Ciao, scusa
se ti disturbo,
Francis, ma purtroppo non possiamo andare al cinema. Aye lo so che
c’eravamo
messe d’accordo, ma ne avrò per un po’
in ufficio, stato di emergenza»
Martine Hastings l’aveva conosciuta appena arrivata a Londra,
in un caffè e
da allora avevano costruito una splendida amicizia. La ragazza aveva
quattro
anni più di Francis e aveva frequentato la sua stessa
facoltà. Solo che quand’era
uscita un anno prima, il Sistema aveva deciso di spedirla al centro
controllo
di Londra. Il Sistema era quello che alla fine dei percorsi di studio
decideva
in quale ambito eri più utile alla società e non
potevi protestare o discutere
sulla decisione, quelli che lo facevano.... beh sparivano. Anche se
Francis
proprio non riusciva a capire come una persona come la sua amica
potesse essere
finita li, con la sua creatività.
Sperava con tutto il
cuore di non
avere la stessa sorte.
«Che tipo di emergenza?» chiese.
La persona dall’altra parte
della linea produsse un tipico «Mmph»
scozzese, che diceva e ribadiva ancora
il suo patriottismo ossessivo. Staccò un attimo il viso dal
ricevitore a quanto
pareva per urlare alla sua odiosa collega di lavoro Vaiolet, qualcosa
che
assomigliava a un: «Fatti, gli affari tuoi strega!»
in gaelico in modo che questa
non potesse capire. La conoscenza del gaelico scozzese di Francis era
notevolmente
migliorata nei quattro anni trascorsi insieme a Martine. Francis,
conosceva
solo il gaelico gallese, quando era arrivata a Londra. Però,
grazie all’ossessivo attaccamento
di Martine alle sue origini
scozzesi aveva iniziato non solo a capire il gaelico scozzese, ma ora
era persino
in grado di sostenere una conversazione in gaelico, con un
po’ di difficoltà
certo, ma ci riusciva. Finalmente la sua amica riprese a parlarle.
«Scusa, non la sopporto più. Dicevi?»
chiese.
«Qual è l’emergenza che ci impedisce di
vederci?».
«Oh aye! L’emergenza è una
cabina»
«Una cabina?! Che cosa? Scherzi?»
«No, non scherzo ionmhainn*.
E Aye
sono seria. Hai presente quelle cabine telefoniche che si vedono sui
libri di
storia a scuola?» Francis non riusciva a capire dove
volesse andare a
parare con quel discorso.
«Sì, ma cosa centra con
l’emergenza?»
«Che cosa penseresti se ti dicessi che l’emergenza
è una cabina telefonica
blu della polizia inglese, e che risale a otto secoli fa?».
« Penserei che è un pezzo da museo allora, e
dovete consegnarla al British.
E poi le cabine telefoniche non erano rosse?».
« Si erano rosse ma, non è questa la cosa
più strana; da quella cabina è uscito
un uomo Francis! Non scherzo!»
«Un uomo?» chiese la ragazza curiosa.
«Aye dobbiamo controllare
che sia
umano»
Da quando
l’umanità aveva iniziato a
esplorare lo spazio e a colonizzarlo, le Nazioni avevano cooperato
insieme affinché
tutte le razze vivessero in pace. Nonostante ciò i
cosiddetti “alieni” erano
percepiti come qualcosa di diverso. Per farla breve, la pace che
regnava tra gli
umani e le altre creature era più una pace cartaginese* che
altro. Gli alieni erano
considerati una minaccia dalla maggior parte della gente, sopratutto
quelli che
somigliavano agli umani.
Francis
sospirò, se dovevano
cercare, verificare chi fosse quel tizio e registrarlo ci avrebbero
messo tutta
la notte. Perciò addio film. «Va bene, domani,
però ci vediamo al Caffè.».
«The e cornetti?»
«The e cornetti» rispose Francis riagganciando.
Mise in moto e guido per i
45 km che la separavano dal suo confortevole appartamento. Non vedeva
l’ora di
ordinare una pizza al ristorante italiano, stendersi sul divano e
leggere un
bel libro. Una volta arrivata parcheggiò la macchina,
riprese le borse e si
avviò tranquillamente verso il condominio, dove abitava
cercando di evitare i
sorveglianti. Si rese conto di doversi sbrigare a entrare se non voleva
trovare
guai. Il coprifuoco era già scattato. Accelerò il
passo non abbastanza da far
vedere che stava per mettersi a correre ma neanche l’andatura
calma con cui era
scesa dall’auto. Non
voleva guai. Passò davanti
ai Sorveglianti brandendo il tesserino che attestava chi fosse e che
abitava là
e poi percorse a grandi falcate il marciapiede. Una volta oltrepassati
i
sorveglianti, l’unico rumore che sentii furono i propri passi
sull’asfalto. Man
mano che avanzava si rese conto che qualcuno la stava seguendo. No, non
la
stavano seguendo i passi che si avvicinavano, stavano correndo.
Qualcuno stava
fuggendo da qualcosa.
Francis si
voltò lentamente e fu
allora che lo vide, un uomo stava correndo verso di lei. Aveva un
abbigliamento
bizzarro, era alto almeno 30 cm più di lei, aveva capelli
castani, arruffati,
occhi castani, era magrissimo e indossava un completo
blu, un trench marrone che arrivava fino alle
caviglie, e ai piedi calzava scarpe da ginnastica.
La ragazza lo trovò strano ma nulla di
più.
«Ti ho raggiunta» disse l’uomo ansimando
e fermandosi proprio davanti a
lei.
«Scusi ... ci conosciamo?» chiese lei un
po’ stupita.
L’uomo sorrise.
«No, ma m’incuriosisci»
«T’incuriosisco?» chiese lei, anche se
lui le sembrava famigliare.
Lui annui
Proprio in quel
momento sentimmo dei
passi.
«Come ti chiami?» chiese l’uomo
sbrigativo.
«Francis... Francis Harper» rispose lei guardandosi
alle spalle. Non voglio guai, non voglio
guai vi
prego no!
«Francis.. mi ricorda qualcosa, ma cosa?! Comunque,
non importa! Francis non mi piace e poi è troppo lungo! Piff
mi farà perdere un
sacco di tempo!»
Certo come
se Francis fosse un nome lungo!
Pensò lei scocciata mentre i passi si avvicinavano e
lei desiderava solo andare a casa.
«Che cosa ne dici di Frannie?»
disse l’uomo
interrompendo il frenetico guardarsi in giro della
ragazza. Lei riportò lo sguardo su di lui e
sbottò
«E’ ridicolo! E poi ha sette lettere, come Francis!
Lo sapresti se sapessi contare stupido!»
«E’vero. Ha sette lettere, ma mi piace di
più!
Comunque io sono il Dottore» rispose l’uomo.
«Dottore? Dottore chi? Che razza di nome è
‘Dottore’?»
chiese Francis sempre più confusa
«Il mio» replicò con
tranquillità il Dottore.
«E’ ridicolo! Tutta questa situazione è
ridicola!
Devo andare a casa e...»
lo sproloquio di
Frannie fu interrotto dal Dottore
che si
era accorto dei suoi
inseguitori.
«Corri!» ordinò alla sua interlocutrice
«Cosa?!» chiese lei indignata
«Oh ma perché devo ripetere sempre tutto!? Corri!
Alons-y Frannie!»
Le prese la mano e iniziò a correre. Francis fu
trascinata in una corsa a perdifiato alla cieca. Dopo qualche minuto
ansimò un
«Aspetta» costringendolo a fermarsi.
«Se» ansimò «se
dobbiamo nasconderci, conosco un posto. Ma.. per favore,
non corriamo
alla cieca per mezza Londra.»
Era
stupido, ma sapeva che nel suo appartamento non gli avrebbero trovati.
Fu lei
questa volta a prenderlo per mano e trascinarlo verso il suo condominio. Corsero su per le scale,
per poi fermarsi al
terzo piano. Aprii il suo appartamento e lo fece entrare. Chiuse a
doppia
mandata e poi si appoggiò ansimante alla porta.
«Bene Dottore.
Qui non dovrebbero seguirci. Chi sei? Cosa ci fai qui? Chi
ti segue? Che
cosa vuoi da me’?» disse la ragazza tutto
d’un fiato. Il Dottore intanto si
guardava intorno. Interessato. Erano
in
un ingresso ordinato con un appendiabiti dove appendere, i capotti e un
cestino
per gli ombrelli. Il pavimento era con delle semplici piastrelle color
crema.
Dall’ingresso si poteva vedere una piccola cucina, la porta
semichiusa che dava
su un salotto. E dall’ingresso partiva un corridoio che
doveva condurre al
bagno e alla camera da letto. Era
un
piccolo appartamento, alla periferia di Londra.
Aspettate aveva detto Londra?
Sì,
aveva detto Londra. Per conferma il Signore del Tempo si
voltò verso la ragazza,
che però era sparita. Mentre parlava e poneva quella raffica
di domande a una
velocità impressionante, si era diretta la cucina. Francis,
infatti, si era
diretta in cucina per preparare un po’ di sano tea che
potesse calmarle i
nervi. Aveva portato in casa sua uno sconosciuto! Uno sconosciuto per
di più
ricercato!
Alla faccia del
tenersi fuori dai
guai complimenti Francis.
Il
Dottore arrivò nella piccola
cucina poco dopo, la ragazza stava seduta al tavolo con una tazza di
tea in
mano. Alzò lo sguardo quando lui entrò.
«Chi è lei?» chiese di nuovo Francis.
«Il Dottore, te l'ho detto»
«Va bene Dottore. Come sei arrivato qui?»
«Con la mia nave, ma dov'è esattamente qui?»
chiese sedendosi di fronte a lei.
«Siamo a Londra, Inghilterra.»
«Londra? Sei sicura? Questa non è
Londra» disse guardandola perplesso.
«Questa è la dodicesima Londra su questo
pianeta».
«La dodicesima Londra su quale pianeta?» chiese
curioso.
«Ma dove vivi? Questa
è la
ventiquattresima Terra» rispose lei stupita
«Ventiquattresima Terra? In che anno siamo?»
«Siamo nel 2754 a Londra numero 12. Hai detto di essere
arrivato su una
nave. Sei un alieno?»
«Sì, come hai fatto a capirlo?»
Lei lo guardo
storto, poi chiese
dubbiosa, e un po' spaventata dalla
risposta che lui avrebbe potuto fornirle
«Per caso sei arrivato con una cabina?»
«Si, il mio TARDIS lo stavo cercando, quando hanno iniziato a
inseguirmi. Sai
dov'è?»
«Il tuo che?»
«La mia nave, quella con cui sono arrivato qui»
La cabina telefonica di Martine! Ora
si che era nei guai! Lei aveva trovato l'uomo della cabina, l'alieno,
quello
che stavano cercando per registrarlo e per espellerlo se non fosse stato umano.
Nonostante le nazioni unite avessero stipulato un trattato con le altre
razze aliene, due secoli prima, essi erano ancora emarginati dagli
umani e dovevano
essere registrati per poi essere espulsi dal pianeta perché
rappresentavano una
“Minaccia” o almeno questo era quello che dicevano.
In verità guardando
quell'uomo Francis non riusciva a vederlo come un alieno pericoloso,
sembrava
un uomo molto alto, e di bell’aspetto ma nulla di
più. Sì, forse parlava in
modo complicato e veloce ma non sembrava né pericoloso,
né minaccioso.
E fu in quel momento con questa certezza che la vita di Francis Harper
cambiò
per sempre. È strano come la vita di una persona possa
cambiare con una piccola,
innocua, decisione.
E la vita di quella ragazza cambiò nel momento in cui decise
di aiutare il
Dottore.
«Ti stanno cercando perché sei un estrameo. Ti
stanno cercando perché
pensano che tu sia laieno» disse la ragazza, per poi
spiegargli.
«Se ti trovano e ti prendono ti registreranno, devi
andartene, subito!» lo
disse in tono grave.
«Di chi stai parlando?» chiese lui sporgendosi sul
tavolo.
«Della procedura. La Convenzione delle Nazioni. Circa due
secoli fa, le
Nazioni Unite hanno stipulato un trattato di pace con le altre razze
aliene, In
sostanza, il documento prevede che gli alieni stiano lontani dai
pianeti umani.
Se dissobbediscono, questi sono presi e registrati»
«Registrati? Che cosa intendi per registrati?»
chiese lui preoccupato.
«Non so che cosa voglia dire
registrati, ma so che dopo vengono mandati via.»
Lui la
guardò determinato con una
strana luce negli occhi.
«Beh io da qui non me ne vedo, non senza il mio
TARDIS» disse ostinatamente
scrutandomi con quegli occhi castani.
«Dove sono portati gli alieni e gli oggetti di loro
proprietà?»
Lei ci
pensò su un attimo poi si
rese conto che Martine le aveva detto che gli oggetti alieni erano
portati in
un centro con una strana sigla.
«Mi sembra che vengano portati al TORCHWOOD» gli
occhi del Dottore si
spalancarono. «Andiamo» disse con entusiasmo
afferrando il trench che aveva
posato sulla spaliera della sedia.
«Conosco un amico che ci può aiutare»
To be continued
Piccolo note
(1)
ionmhainn* è gaelico scozzese parlato
nelle
Hinglands e significa mia cara
(2)
Pace
cartaginese è una
finta pace come il trattato
di Versailles che nel 1918 pose fine alla 1 guerra mondiale e che viene ricordato come una
pace cartaginese
(3)
Sorveglianti in questo
futuro in quest’altro
pianeta si occupano della sicurezza
sono
un po’ una polizia però
potente e
spietata come vedremo
Angolo Autrice
*Marty esce piano piano* Ciao"" Scusatemi
ancora per favore. Oltre a scusarmi ancora per cinque mesi di ritardo, (non farò mai
più nulla del genere vi giuro
che aggiornerò regolarmente) vorrei ringraziare chi segue
ancora la mia storia
e Wendy Candy e Dubhe01 per le recensioni.
Spero il capitolo vi sia piaciuto.
Prende luogo come avrete capito dagli ultimi minuti The
Journey’s
End e
ripercorreremo le avventure
di
Ten da quel momento, ma non ci saranno solo quelle ce ne saranno anche
molte
altre, con Frannie. Si
, ho creato
Francis principalmente perché alla fine della quarta
stagione Ten è solo e io
non volevo che fosse completamente
solo.
Per cui mi sono immaginata una nuova compagna. Spero di
averlo reso bene. Ma
cosa ne pensate di Francis? E di quest’altro
Pianeta? E
di Ten? E il
TORCHWOOD che ruolo pensate possa
giocare? Inoltre posso svelarvi che la ragazza con i capelli corvini
nel benner
è Francis Harper! Nel prossimo capitolo ritorneranno Amy, James e Eleven alle prese con il biglietto del capitolo precedente. Ma ora arriviamo alla mia
piccola introduzione
a Shadowhunters. Riassumiamo quello che
ho detto su Shadowhunters e aggiungiamo qualcosa
Gli
Shadowhunters si possono anche
chiamare Nephilim, sono cacciatori di demoni,
devono mediare e
controllare che le altre creature sovrannaturali note come Nascosti
rispettino
la Legge. Sono stati mandati dall’Angelo Raziel su cui
torneremo. Hanno
sangue angelico
nelle vene. L’Angelo
Raziel ha lasciato per i Cacciatori 1 Gli strumenti mortali
che
consentono di sapere la verità,
evocare gli angeli e aumentare le fila di Shadowhunters, 2 la terra di
Idris, 3
il Libro Grigio in cui ci sono tutte le Rune di cui uno Shadowhunter
può aver
bisogno. queste tre cose sono state concesse dall’Angelo
Raziel, al primo
Nephilim, Jonathan Shadowhunter (da cui i cacciatori traggono il nome) Il
potere, nella
società Shadowhunters, viene
tenuto da antiche famiglie di cacciatori, anche se ci sono
delle istituzioni
precise che vedremo nello specifico. Tutti i cognomi delle
famiglie Shadowhunters sono
cognomi compositi. Ho detto che gli Shadowhunters devono far rispettare
la
Legge beh questa Legge è una convenzione che viene firmata e
rivista ogni
quindici anni e viene firmata dagli Shadowhunters e dai rappresentanti
dei Nascosti.
questa convenzione prende il nome di Accordi. Gli Accordi stabilisco i
rapporti tra gli
Shadowhunters e i
Nascosti le
responsabilità e i diritti
di ciascuno. La scorsa volta ho
parlato
di Idris è l’ho chiamato
“Patria degli
Shadowhunters”. Il paese donato da Raziel in cui nessun
demone può entrare, si
trova vicino al Lussemburgo al centro dell’Europa. Ha una
capitale non che
unica città, di nome Alicante,
protetta da torri che respingono i demoni e chiamata per queste torri
“Città di
Vetro” (titolo del terzo libro della Clare ) è
il centro politico degli Shadowhunters.
Li si tengono le riunioni del Clave e del Consiglio di cui vi
parlerò nel
prossimo capitolo Gli Shadowhunters sono
guerrieri, ma hanno due ordini monastici
i Fratelli Silenti (che non centrano nulla con Silente il mago anche se
ce lo
vedo Silente come fratello silente). E un ordine femminile le Sorelle
di
Ferro. I Fratelli
Silenti sono i medici,
gli archivisti i bibliotecari, i ricercatori degli Shadowhunters
insomma
custodiscono il sapere dei Nephilm ,risiedono nella città
sotterranea chiamata
Città Silente o più comunemente Città
Di Ossa. Ma vi dirò un po’ più in
là
qualcosa di più su di loro.. Le sorelle di Fero sono i
“fabbri” degli
Shadowhunters forgiano le loro armi, i loro anelli di famiglia e sono
le
custodi dell’adamas. di
cui vi
parlerò tra un po’. Risiedono nella
Città di diamante inaccessibile a chi che
sia tranne per una
istanza cui i
visitatori possono accedere.
Spero di avervi incuriosito. Aggiornerò
Sabato.
Alla
prossima settimana
Baci
Marty Evans