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Autore: BlueButterfly93    22/02/2015    2 recensioni
(REVISIONE STORIA COMPLETATA)
MIKI: ragazza che, come il passato le ha insegnato, indossa ogni giorno la maschera della perfezione; minigonna e tacchi a spillo. È irraggiungibile, contro gli uomini e l'amore. Pensa di non essere in grado di provare sentimenti, perché infondo non sa neanche cosa siano. Ma sarà il trasferimento in un altro Stato a mettere tutta la sua vita in discussione. Già da quando salirà sull'aereo per Parigi, l'incontro con il ragazzo dai capelli rossi le stravolgerà l'esistenza e non le farà più dormire sogni tranquilli.
CASTIEL: ragazzo apatico, arrogante, sfacciato, menefreghista ma infondo solamente deluso e ferito da un'infanzia trascorsa in solitudine, e da una storia che ha segnato profondamente gli anni della sua adolescenza. Sarà l'incontro con la ragazza dai capelli ramati a far sorgere in lui il dubbio di possedere ancora un cuore capace di battere per qualcuno, e non solo..
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Lo scontro di due mondi apparentemente opposti, ma in fondo incredibilmente simili. Le facce di una medaglia, l'odio e l'amore, che sotto sotto finiranno per completarsi a vicenda.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Ubriaca d'amore, ti odio!'
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Capitolo 19

Ira inaspettata








CASTIEL

Non era avvenimento quotidiano passare un provino con un famoso stilista e ricevere immediatamente un impiego. Era tutto molto bizzarro. Rabanne si era dimostrato, tra l'altro, molto generoso nei miei confronti. La parcella risaliva addirittura a 1600 euro. Erano eccessivi per l'impegno di qualche ora se messi in paragone con uno stipendio di un operaio che lavorava fino a dodici ore al giorno sotto il sole cocente. Sebbene mi sembrasse uno schiaffo alla povertà avevo accettato di fare la pubblicità di quel profumo. Quei dannati soldi mi servivano per salvare, da una morte certa, Demon. Il veterinario mi aveva spiegato che avesse una specie di tumore e che se non avessi trovato i soldi per l'operazione e per degli antibiotici specifici, il mio amico non ce l'avrebbe fatta. Demon per me non era un cane, ma era un amico, un fratello, l'unico ricordo bello della mia infanzia. C'era un rapporto speciale tra me e quel cagnone, ci proteggevamo a vicenda e in quel momento sarebbe toccato a me il compito di salvarlo. Lui mi aveva salvato talmente tante di quelle volte che oramai avevo perso il conto. Nessuno era a conoscenza della malattia del mio cane, non avevo informato neanche Debrah di questo. E nemmeno uno doveva saperlo. Solo Lysandre sapeva qualcosa. Ero parecchio restio a raccontare i fatti strettamente personali, un tempo con la mia ragazza avevo trovato una confidenza tale da riuscirmi a confidare anche con lei, ma temevo che quell'intimità non sarebbe mai più ritornata con lei e né con nessun'altra.

Ripensando al provino, quella serata era stata strana per le sensazioni percepite stando accanto a Miki. Anche solo sfiorarle i capelli era stato emozionante. Per tutto il tempo avevo sentito come un foro nello stomaco, il cuore trepidante quando la stringevo. In quelle riconobbi le stesse emozioni provate con Debrah durante il primo anno della nostra storia. Quando ero totalmente cotto di lei, per la prima volta innamor... "No, non posso, non devo utilizzare lo stesso verbo per un'altra donna, sto divagando, devo aver sbattuto la testa da qualche parte senza essermene neppure accorto. Smettila Castiel, smettila!" 

Non sapevo ancora cosa rappresentasse Miki nella mia vita, di certo non l'amore, ma ero ormai sicuro che fosse indispensabile. 

Quell'ammissione fatta a me stesso mi stupì. Nessuno era più indispensabile nella mia quotidianità da tanto, troppo tempo; mentre Miki era entrata nei miei pensieri così per caso e per motivi non del tutto piacevoli, anzi inizialmente quasi la odiavo, ma poi nei mesi a seguire si era impossessata completamente della mia testa. Non c'era momento in cui i miei pensieri non andassero a lei, in un modo o in un altro, in bene o in male era lei ad occupare la gran parte delle mie riflessioni. E non sapevo neanche più se fosse solo per il semplice fatto di non esser riuscito, ancora, a portarmela a letto.

Dopo esser giunto a casa in sella alla mia moto, mi ricordai di dover leggere il suo diario segreto, dovevo farlo per arrivare alla fine di quel puzzle che continuava ad assillare la mia mente. 

Pur potendo risultare indiscreto decisi di riaprire il cassetto che custodiva quel mistero. Volevo denudare una volta per tutte il passato di quella ragazza. Certo, non sarei stato come Peggy, non avrei raccontato a tutti la sua storia, ma volevo vederci chiaro per una cosa mia personale. Il legame tra Ciak e Miki non mi convinceva, sentivo ci fosse qualcosa di strano tra loro...

Con ansia aprii il cassetto chiuso a chiave. Malgrado avessi deciso da un pezzo di leggere, presi quei fogli con indecisione, avrei pur sempre invaso l'intimità di una donna senza che questa me n'avesse dato il permesso. Infatti prima di chinare il volto sulla carta, pensai a come l'avrebbe potuta prendere Miki se solo avesse saputo che avrei sbirciato nella sua infanzia. Forse non mi avrebbe rivolto la parola per molto tempo. O forse, peggio ancora, non mi avrebbe mai più guardato in faccia. Non potevo ideare nemmeno una tra le due situazioni. Non potevo immaginare una vita senza Miki. Era vero, quella ragazza la maggior parte delle volte era irritabile, mi faceva perdere le staffe, aveva dei comportamenti vezzosi, ma nonostante questo lei era unica... In molte situazioni l'avevo ferita eppure lei continuava a venirmi dietro, cercava di proteggermi e salvarmi ad ogni costo, ed io anche se facendo finta di non accorgermene, ne rimanevo ogni volta colpito. Quei suoi comportamenti così affettuosi mi avevano da sempre portatoad un passo in più verso lei... e a cento in meno da Debrah.

Quando finalmente ero deciso ad intraprendere la lettura di quelle righe, venni disturbato. Qualcuno aveva suonato alla porta di casa. Scesi frettolosamente le scale. Ero irritato da quel terzo incomodo, chiunque esso fosse stato. Così, sgarbatamente, arrivato sull'uscio della porta, abbassai la maniglia sorprendendomi di trovare lei dietro quel masso di legno.

«Posso entrare?» mi chiese con la voce d'agnellino innocente.

Feci cenno di "sì" con il capo e la invitai ad entrare. Sebbene fosse la mia ragazza, quella sera avrei preferito restare in solitudine. Aveva già dato troppo con l'intromissione nel provino, ed ero parecchio in collera con lei. 

Senza proferire parola si recò verso il salotto, si posizionò davanti al camino e cominciò a fissarmi con uno dei suoi sguardi che un tempo risvegliavano la parte nascosta di me. Eppure in quell'istante non mi suscitò alcun effetto, neanche un brivido, il nulla totale. Dal suo sguardo intuii sin da subito le sue intenzioni, ma non glielo feci capire. Nella quiete di entrambi, raggiunsi anch'io il salotto e mi accomodai su uno di quei divani che un tempo adoperavamo spesso come oggetto per le nostre notti piccanti. D'un tratto cominciai a pensare ai miei sentimenti, a quelli che al momento non provavo più per lei. Un tempo quando mi provocava, quando mi faceva quello sguardo le saltavo subito addosso, non le davo il tempo neanche di respirare. Mentre dal suo ritorno dopo due anni, guardandola ero capace di vedere soltanto il male, il male che mi aveva provocato e dal quale, ancora, non era riuscita a farsi perdonare. Eppure stavo ancora insieme a lei. 

Non riuscivo a spiegarmene il motivo, ma c'era qualcosa dentro me che mi legava ancora a quella ragazza e, dentro me, sapevo anche a cosa fosse dovuta quella paura di lasciarmela alle spalle. Quella donna era pericolosa.

Forse per porre fine a quelle torture, a quei dubbi, avrei dovuto lasciarmi andare, perdermi nel suo corpo, fare l'amore con lei, ed in quel modo, liberare la mente eliminando ogni pregiudizio verso quella ragazza diabolica. Con quel nuovo buono proposito provai a guardarla in attesa di eccitarmi. L'esaminai partendo dalla testa e finendo ai piedi. Era vestita strana, diversa dal solito. Aveva un impermeabile beige che terminava appena sotto il sedere. Le gambe erano nude, coperte solo da delle autoreggenti trasparenti con un particolare di pizzo sulla gamba che lasciavano intendere che sotto quel cappotto ci fosse ben poco di vestiti. Per finire aveva un paio di scarpe a décolleté nere, lucide e altissime.

Nonostante le avessi guardato ogni centimetro di stoffa e di pelle, non riuscii ad eccitarmi. Non capivo cosa mi stesse succedendo, era quasi come se desiderassi il mio stesso sesso, come se non provassi alcun piacere nel vedere una bella donna, ma non desideravo Debrah neanche un po'.

«Mi dici che ti prende?» mi chiese giustamente.

«Nulla!» non avevo altre parole, non mi sarei giustificato, non serviva.

«Ma che cazzo Cass, guarda qui...»

Pronunciando quelle ultime parole, iniziò a sbottonarsi il cappotto. Lo fece con lentezza, come se stesse aspettando che finissi io il lavoro. Vedendomi impassibile, inscenò una specie di spogliarello. Dopo aver sbottonato il cappotto, lo fece scendere via dalle spalle e delicatamente scivolò a terra. Aveva un completino intimo davvero troppo succinto. Non potevo negare di quanto avesse sempre portato bene quegli abitini. Era nero, rosa e molto trasparente. Al posto del reggiseno vi era un corpetto che le copriva il busto fino al sedere, se così si poteva dire, visto che s'intravedeva ogni pezzo di pelle. Sul seno, dei pezzi di pizzo rosa facevano da contrasto a quel colore nero, troppo scuro, del resto della stoffa. Il perizoma anch'esso rosa e nero, richiamava il sopra delle coppe del corpetto. Il mio amichetto finalmente si risvegliò, ma nonostante ciò non mi alzai dal divano. Avrebbe dovuto sedurmi lei quella sera. Io non avrei mai più fatto prime mosse. Appena dopo essersi tolta le scarpe mi giunse vicino, come desideravo. Aprendo le gambe si accomodò sopra di me, mi fissò dritto negli occhi e sussurrando: «mi era mancato tutto questo» cominciò a baciarmi.

Restai come pietrificato, sentii di avere realmente il cuore di pietra. Ogni notte, ogni giorno, ogni pomeriggio di quei due anni passati senza lei avevo sognato quel momento, ma quando finalmente stava per accadere realmente non riuscivo a provare niente. Il vuoto più totale. Non potevo comprendere come fossi arrivato a quello stato, ma ci ero arrivato e fare del buon sesso non era più quello che mi serviva. Con lei avrei voluto fare l'amore, non del semplice sesso. Il sesso, quello sarebbe potuto accadere con tante altre ragazze, Debrah non era la donna giusta per questo, non dopo il nostro passato. Ed anche se all'epoca avessi solo diciott'anni ne avevo avute di esperienze nella vita, avventure di una notte; e ciò che mi serviva in un momento come quello era credere ancora nell'amore, credere in qualcosa che neanche i miei genitori erano stati capaci di darsi e darmi. Dopo la notizia del loro divorzio, in me era scattato qualcosa. Probabilmente avevo messo più sale in zucca. Ero cambiato sul serio, d'un tratto non vedevo più Debrah come la ragazza giusta per me, come unica donna della mia vita, non pensavo solo al sesso, pensavo a cose più importanti. Ero diventato un ragazzo davvero troppo confuso come non ero mai stato. Da sempre la sicurezza e la determinazione mi avevano contraddistinto dagli altri, in ogni situazione, ma ormai non ero più sicuro di nullaNeanche del fatto che l'amore esistesse davverosebbene volessi provarlo a tutti i costi.

Non amavo Debrah come un tempo, eppure continuavo a starci insieme, come se a tenermi unito a lei ci fosse una catena chiusa con un lucchetto del quale si era persa la chiave. In un certo senso lei era quello che mi restava del mio passato, della mia infanzia una volta che neanche Nathaniel c'era più nella mia vita. 

O forse stavo con lei per quel maledetto guaio combinato anni prima. Debrah avrebbe potuto rovinarmi se solo avesse voluto...

I baci si fecero più intensi, lei cominciò a toccarmi sul basso ventre, poi scese ancora più sotto fino ad arrivare al membro. Lo carezzava in attesa di sentirlo di nuovo duro, come mi capitava sempre con lei. Ma non diventò come lei desiderava. Così, infastidita mi sbottonò i pantaloni. Stava per mettere la mano nei boxer quando la fermai. Afferrai la sua mano vogliosa e la tolsi fuori dalla mia intimità.

Finalmente avevo trovato il coraggio: «Vuoi spiegarmi per quale motivo sei arrivata sul set facendo quella sceneggiata? Sembravi una fuori di testa!» ero stato brusco nei modi, ma se lei non aveva accennato al discorso, allora toccava a me farlo.

«Ma ti sembra momento, questo?» mi rispose infastidita corrugando le sopracciglia. Mi fece capire di non aver intenzione di parlarne, ma io continuai...

«Sì. Adesso rispondi!» gli imposi.

«Mi avevi sussurrato tutte quelle frasi eccitanti al telefono, come non facevi da anni. Mi ero illusa che venendo lì avremmo trovato il modo per farlo selvaggiamente. Mi eccitano un botto i posti in cui c'è il rischio di essere scoperti, lo sai. E poi... ho troppa voglia di te!» finendo di pronunciare le ultime parole, tolse fuori la lingua e si leccò il labbro inferiore. 

Per qualche strano motivo non sembrò essere quella la sua unica motivazione ad indurla ad interrompere il provino. 

«C'era bisogno di fare quella sceneggiata, allora? Rabanne si è incazzato una bestia per la tua entrata e fino all'ultimo ha tentennato sul darmi la parte. Poi per fortuna ha capito che due come noi non li avrebbe trovati facilmente e ci ha dato l'impiego dimenticando la tua stupida irruzione. Fai, comunque, in modo che non accada più!» non potei fare a meno di rimproverarla. 

«Ah! Quindi alla fine farai il lavoro con quella puttana?» ignorò del tutto la mia ramanzina arrivando dritta al punto che interessava a lei.

«Non è una puttana. Smettila di chiamarla continuamente così!» quell'insulto fatto alla ragazza dai capelli ramati m'infastidì più del previsto. Se Debrah fosse stata un uomo, un pugno dritto in faccia da parte mia, non gliel'avrebbe risparmiato nessuno. «Il suo nome è Miki, e si da il caso che grazie a lei prenderò un bel compenso!» involontariamente ero finito per difendere Miki dalla mia ragazza, non mi sarei mai ritenuto capace di un gesto come quello verso di lei, ma già più volte l'aveva screditata, insultata, additata, non era corretto usare quei nomignoli per una ragazza buona come Miki. 

«Solo perché te l'ha data, ha acquistato il diritto di essere difesa da te? Non ti facevo un ragazzo così debole!» mostrò la sua gelosia con un'espressione disgustata sul viso, mentre ancora sedeva sulle mia gambe. 

«Lei non me l'ha data!»

«Da come lo dici sembra quasi ti dispiaccia» sgranò lievemente gli occhi sorpresa da quella nuova versione di Castiel. 

«No, n-non...»

Non mi diede il tempo di giustificarmi che subito cambiò discorso: «Comunque spero che almeno con i soldi guadagnati penserai ad un regalo da fare a me! Potremmo fare un viaggio, tu ed io soli, che ne pensi? Magari a Roma. Potremmo andare a trovare mia sorella.» sorrise sensualmente, pensando di farmi lo stesso effetto di due anni prima, ma non era più così.

Debrah aveva avuto un'infanzia difficile. I suoi genitori si erano separati decidendo comunque di continuare a gestire insieme un ristorante di famiglia. Il padre aveva tradito la moglie con una donna italiana, di Roma, e con lei aveva avuto un'altra figlia. Lei avrebbe dovuto capirmi meglio di chiunque altro, ma nonostante sapesse dell'imminente divorzio dei miei genitori non mi era stata vicina come speravo, o forse ero semplicemente io stesso a rifiutare le sue particolari premure.

«Sì, come no...» risuonò quasi come una presa in giro, la mia, ed in effetti lo era. Al momento avevo a cuore solamente la salute di Demon, partire con Debrah non era di certo presente nella lista delle future cose da fare. «Comunque ora perdonami, ma ho da fare. Ti dispiace rimandare quest'incontro piccante ad un altro giorno?!» liquidarla all'improvviso mi fece apparire uno stronzo, come ero sempre stato con tutte ma mai con lei. 

Dopotutto dovevo vendicarmi nel mio piccolo di tutte le pene subite da lei negli ultimi due anni. 

Senza aprire bocca si alzò infuriata dalle mie gambe. Prese frettolosamente il cappotto, le scarpe e senza indossarle si diresse verso l'uscita. Non la seguii con lo sguardo, non ne avevo voglia. 

Attese qualche secondo prima di aprire la porta e andarsene, forse aspettandosi un mio gesto, un mio ipotetico pentimento, ma non vedendo alcuna implorazione da parte mia, spalancò furiosa la porta e sbattendola se ne andò.

Era giusto così.

-

DEBRAH

Debrah Duval rifiutata sessualmente dal coglione di Castiel Black. Incredibile ma vero. Tutti i nostri coetanei, a Parigi, erano a conoscenza di quanto io prevalessi nel nostro rapporto; lui non aveva fatto nient'altro che assecondarmi, amarmi, desiderarmi, pendere dalle mie labbra per tutta la nostra relazione. Ma magicamente non era più così. Aveva dei comportamenti contrastanti dal mio ritorno e avevo giusto un'idea del motivo che mi aveva allontanata dal suo cuore. Più che motivo, della persona

Uscii da quella casa totalmente sconcertata, frustrata come non mai, ed infuriata ai massimi. 

Le avevo provate tutte. In tutti i modi avevo tentato di sedurlo, avevo speso quasi duecento euro per quel maledetto completo intimo di Victoria's Secret, sicura che non avrebbe resistito al mio fascino in lingerie, ma ogni mio tentativo era andato fallito. Maledetto! Aveva avuto la mente impegnata da chissà quale pensiero mentre mi spogliavo, mentre lo toccavo, mentre mi guardava... Ero sicura stesse pensando a quella puttana dai capelli ramati.

Non avevo neanche più parole per come mi aveva fatto sentire poco prima il rosso. Rifiutata, derisa, non amata. Sembrava quasi che si volesse riprendere tutto il bene regalatomi due anni prima. Come se volesse farmi del male volutamente, per rivoltarmi tutto il dolore che gli avevo provocato. Era vero, mi ero comportata da falsa, traditrice, ma dovevo farlo. Davanti ad un occasione come quella che mi si era presentata non potevo rifiutare. Non volevo che lui mi rubasse la scena, non volevo che ci fosse sempre quel Nathaniel tra me e lui. E pensare che Castiel ancora crede di esser stato realmente tradito dal biondo, mi fa sorridere. Castiel spesso voleva giocare la parte del furbo, ma in realtà nella nostra storia non lo era stato per niente. Probabilmente perché avevo organizzato il piano nei minimi dettagli, ma la verità era pur sempre quella. Lui era tutto il contrario di come voleva apparire.

Prima di rientrare a Parigi, ero stata informata accuratamente da mia madre che Castiel fosse stato selezionato per entrare a far parte dello staff di uno stilista famoso. Io invece, due anni prima ero partita grazie ad un contratto discografico, avevo fatto tour in tutta l'America. Il primo anno era andato a gonfie vele, ero stata abbondantemente pagata, coccolata e viziata dai privilegi da star, ma poi qualcosa andò storto. La casa discografica mi sferrò un gancio destro, fui truffata, e senza neanche rendermi conto di come, restai senza un soldo e disperata. Ma poi, una fredda sera di Dicembre la mia cara mamma mi aveva illuminata. Castiel stava avendo più fortuna di me, così mi aggrappai alla concezione di me e lui di nuovo insieme. Sapevo per certo, tramite amici in comune, di non esser stata ancora dimenticata da lui, che seducendolo sarei potuta rientrare nel suo letto e nelle sue grazie, che in quel modo lui mi avrebbe raccomandata allo stilista per cui lavorava. Ci immaginavo già su tutte le riviste più importanti del mondo catalogati come la coppia più bella dentro e fuori al set.

Ma tornando mi resi conto di starmi sbagliando di grosso, la mia era stata una semplice e banale illusione. 

Perché una volta rientrata a Parigi trovai un'altra presenza accanto a lui, un'altra che involontariamente aveva suscitato influenza sui pensieri del mio Castiel. Quella Miki, con la sua aria innocente da finta ragazzina per bene, era sempre con lui. Sia fisicamente che mentalmente. Si era persino impossessata del suo cuore, ne ero certa. 

Il giorno di Natale avevo pensato di averla fatta franca, ma nel giro di pochi giorni capii il contrario. Perché oramai riservava a lei tutte le attenzioni, sguardi, apprensioni che un tempo erano solo ed unicamente per me. Castiel dava tutto alla persona amata ed io ne avevo avuto la prova.

Vederlo sul set fotografico con un'altra che non fossi io, aveva provocato un enorme frustrazione in me. Non avevamo mai avuto la stessa loro sintonia fuori dal letto, quella sintonia che loro parevano avere anche solo con uno sguardo, con un tocco. Era stato tremendo da ammettere, ma la stupida e piccola Miki dava più sicurezze al mio Castiel, attenzioni che io non avevo mai neanche sognato di trasmettere a nessuno. Ero sempre stata una persona fredda nei sentimenti, neanche nella recita riuscivo a smuovermi.

Nonostante conoscessi quei particolari di certo non avrei lasciato Castiel nelle mani di quella. L'avrei sedotto, tratto verso di me e ci sarei riuscita. Debrah Duval non fallisce mai. 

Perché lui sarebbe sempre stato di mio possesso; mio e di nessun'altra.

-


CASTIEL

Senza dare importanza all'abbandono di Debrah, salii nella mia camera. Quella volta non mi sarei fermato davanti a niente e nessuno. Dovevo leggere quel diario e volevo farlo all'istante. Ma ancora una volta qualcosa mi distrasse: il mio cellulare. Lo schermo si illuminò, e questo voleva dire l'arrivo o di una chiamata o di un messaggio. Solitamente non davo attenzioni a quell'aggeggio tranne che in cause che mi stavano particolarmente a cuore. Questa era una di quelle volte.

Il cellulare era posto vicino ai fogli del diario segreto per quel motivo potei vederlo all'istante, avevo la modalità silenzioso e se non avessi posato gli occhi lì, non l'avrei mai visto. Con scatti veloci mi lanciai, come un giaguaro contro la sua preda, sul cellulare. Caddi sul letto e subito sentii una molla scattare, capitava sempre con movimenti bruschi, era capitato spesso anche mentre io e Debrah facevamo l'amore. Scossi la testa per eliminare quei vecchi ricordi e diedi attenzione allo schermo dell'aggeggio elettronico. A leggere quel nome mi venne spontaneo blaterare ad alta voce: «Cazzo è lei!» con grande stupore aprii il testo, e da lì, una serie di messaggi idioti come solo noi potevamo scambiarci.

MIKI: Spero resterai sempre come questa sera. Dolce Notte :-*

CASTIEL: Mi sa che hai sbagliato numero. Io non sono il tuo modello, mi dispiace deluderti ma sono Castiel!

MIKI: Guarda che ancora ho 18 anni.. non ne ho 60. Ci vedo bene per fortuna! :P

CASTIEL: Ehi.. non copiarmi i messaggi, tra l'altro malamente visto che non hai 18 anni!

MIKI: Oops.. ti senti per caso chiamato in causa?

CASTIEL: Eh.. te le ho scritte io quelle parole oggi pome

MIKI: Già, ricordo bene.

CASTIEL: Allora che vuoldire quel messaggio?

MIKI: Che vuol dire si scrive così come l'ho scritto io, non tutto attaccato :P

CASTIEL: Saccente dei miei stivali non azzardarti a cambiare discorso.

MIKI: Tu non porti gli stivali :)

CASTIEL: Smettila, sei irritante!

MIKI: Allora, visto che hai detto più volte di non essere un vecchio e di vederci bene: rileggi l'sms, riflettici su e poi capirai il significato. Non è difficile, vedrai. Vado a nanna ora... Buonanotte :*

Ma che diamine... mi aveva lasciato lì con il cellulare in mano a sorridere come un beota nel rileggere i nostri messaggi. Non riuscivo a capire cosa volesse dire con quel messaggio. Di sicuro le era piaciuto come mi ero comportato, ma non avevo fatto nulla di strano, ero rimasto me stesso come sempre. Erano passati un bel po' di minuti, ed ero ancora a rileggere quelle parole: Spero resterai sempre come questa sera.

"Potrebbe avere tanti significati, non capisco, davvero, non capisco, cazzo!" "Ovvio, per accendere la tua mente bacata c'è bisogno di me!" rieccola, la mia coscienza. "Ho bisogno di suggerimenti" dissi tra me e me. "Ed io sono qui per questo! Comunque bando alle ciance... Devo correggerti su una cosa. Tu non ti sei comportato come sempre, sul set sei stato dolce con lei, certo ti saresti potuto risparmiare quella chiamata da deficiente con Debrah, ma lei ha apprezzato ugualmente i tuoi gesti!"

Nonostante le delucidazioni della mia vecchia amica coscienza, non riuscii a capire. Miki non poteva sapere che io non stessi mentendo durante il provino. Dall'ira di non riuscirla a capire lanciai il cellulare che cadde sul pavimento provocando abbastanza rumore. Si era tolta la batteria, la cover, e non volevo sapere se si fosse o meno disintegrato il vetro. Non m'interessava. In quel momento avrei voluto avere davanti Miki per capire quali fossero le sue intenzioni, quali fossero i significati di quelle parole, non comprendevo nulla ma morivo dalla voglia di risolvere quell'enigma.

Per non pensarci più, cercai i fogli di quel diario. Era quello il momento giusto per leggere, né il cellulare, né la porta mi avrebbero più fermato. Né Debrah e né Miki mi avrebbero più distratto.

«Dove sono finiti?!» nell'attimo di pace, i fogli erano spariti dalla mia vista. Da sdraiato, sul letto, li cercai con lo sguardo in ogni angolo della stanza, ma non c'erano, si erano come volatilizzati. Facendo poi, mente locale, mi ricordai che erano sul letto.. infilai la mano sotto la mia schiena, ed eccoli. Appena toccai il foglio fresco e liscio emisi un lieve sussulto. Era giunto il momento della verità. Li presi, mi alzai e mi sedetti sul letto. I fogli erano stropicciati, cercai di stirarli un po' con la mano. 

Ecco la pagina dopo le presentazioni. Avrei voluto conoscere per filo e per segno la vita di quella ragazza, ma rimossi questa curiosità. Per il momento mi sarei limitato a sbirciare per scoprire il reale rapporto tra lei e Ciak. 

"Caro diario,

ora che ho imparato a scrivere posso raccontarti tutto quello che ho fatto fino ad oggi. Come ben sai, non s'impara a scrivere da subito a scuola. Sto imparando meglio ora che faccio la quarta elementare. Per questo ti racconterò le cose più importanti accadute a scuola. Come tutti i bimbi fanno, anch'io voglio raccontarti del mio primo giorno di scuola elementare. Quel che ricordo bene è che, a detto degli altri compagni, il mio è stato diverso e molto più brutto, anzi no, il peggiore. Peggiore è aggettivo dispregiativo?? Ma comunque, quello che voglio dire è che è stato il più brutto brutto, bruttissimo. Tutti i bimbi, si fanno le foto con i loro fratelli o genitori, con il grembiule e lo zaino nuovo, prima di andare a scuola.. Io invece no. Io sono andata a scuola a piedi già dal primo giorno, mentre all'entrata tutti gli altri bimbi erano accompagnati dai loro genitori. Io mi sono preparata la merenda sola, mentre gli altri genitori hanno preparato tutto per i loro figlioletti. Ma ora basta. Non voglio parlarti di cose brutte. Voglio parlare della cosa più bella del mondo, anzi no, di meglio, della persona più buona e bella di tutto l'universo.. tu starai pensando che è la mia mamma, o il mio papà.. eh no.. non sono loro, io a loro non gli voglio bene perché sono cattivi con me. Io voglio parlarti del mio compagno di banco e migliore amico Francesco. Ora si fa chiamare da tutti i bimbi Ciak perché io stessa l'ho chiamato così per scherzare. Lui è fissato con i film, il cinema, lo spettacolo. Io invece lo odio quel mondo. E poi.. dice che Ciak è un nome figo. Si, figo è una delle parole che abbiamo sentito dire da ragazzi più grandi di noi, pare che significa bellissimo. Ciak, è un bimbo bravo. Non mi chiede mai dei miei genitori, lui non è come gli altri bimbi cattivi della mia classe. È bravissimo e mi ha detto che saremo per sempre amici."

Certo, in quarta elementare non si scrive benissimo. Si è ripetitivi, si utilizzano i congiuntivi sbagliati e spesso si divaga da un discorso all'altro. Lessi più e più volte il passaggio che parlava del modello, e scoprii fossero amici, da piccoli. Avevano una lunga conoscenza alle loro spalle. Senza saperne il motivo invidiai per l'ennesima volta quel Ciak. Aveva il privilegio di conoscere tutte le sfaccettature della complessa personalità di Miki, di averla vista crescere, mutare, diventare donna. Una lieve fitta mi colpì lo stomaco. 

Per capire meglio, andai avanti con le pagine, e via via con gli anni. Lì dentro aveva scritto davvero ogni istante della sua vita. Quel diario era un malloppo di centinaia e centinaia di pagine. Arrivai quasi alla fine del librone, sarebbe dovuto essere di non molto tempo prima, quando lei era già un'adolescente.

"Caro diario,

stare con Ciak è davvero qualcosa d'incredibile... Anche se involontariamente, quando sono triste riesce sempre a tirarmi su di morale. Quando penso a quella donna che mi ha abbandonato come un cane c'è sempre lui, che con un sorriso illumina la mia giornata. Lui non sa del mio passato, non sa nulla e non ha mai chiesto nulla. Non è mai stato indiscreto. Di me conosce le stesse e identiche cose che racconto al resto dei compagni, al resto della gente. Lui meriterebbe di sapere la verità perché è stato sempre sincero con me, ma se ci sono momenti che sono tentata a dirgli tutto, poi mi tiro indietro. Ho paura che mi possa giudicare, che tra di noi possa cambiare tutto, che possa finire la nostra amicizia. Ed io non voglio... perché noi siamo stati sempre gli amici inseparabili, gli unici che pur essendo uomo e donna abbiano continuato ad essere solo amici, nessuno dei due prova o ha mai provato qualcosa per l'altro, e sarà così per sempre. Per questo, ora non posso rovinare tutto per persone che non meritano."

Le righe appena lette risalivano ad un anno prima della sua partenza per Parigi. Ciò dimostrò che i miei sospetti erano fondati. Miki e Ciak non stavano realmente insieme. Un inspiegabile senso di sollievo s'impossessò di me, ma nello stesso tempo sentii la rabbia montare. Mi aveva mentito. Aveva raccontato delle menzogne a me e a tutta la scuola, ma perché? Doveva esserci per forza una spiegazione. Miki non era un tipo da fare le cose per divertimento, tanto per ingannare. 

Così decisi di proseguire nella lettura, arrivai all'ultima pagina per cercare conferma. Forse per qualche strano motivo aveva semplicemente mentito sugli anni del loro fidanzamento, forse stavano insieme da poco.

Decisi di leggere l'ultimo giorno della sua permanenza in Italia. Lì si sarebbe nascosta tutta la verità su loro due. Senza capirne il motivo, il cuore cominciò ad avere un battito accelerato per l'imminente scoperta della verità.

"Caro diario,

oggi parto. Mi trasferirò a Parigi da zia Kate. Ha comprato ed arredato casa nuova vicino ad un liceo, dice che ormai non c'è motivo di mantenere due case e di stare lontane. Dice di sentirsi sola. In realtà non mi dispiace lasciare l'Italia. Questo Stato mi ha sempre solo dato sofferenze, mi ricorda avvenimenti spiacevoli e sarà un sollievo lasciarlo per sempre. Forse in questo modo, dimenticherò quelle mani, quel respiro, quella persona orribile. Forse con la partenza si elimineranno totalmente i ricordi dolorosi che ho dei miei genitori. È tutto un bene! Ma qui lascerò anche un pezzo del mio cuore; il mio migliore amico Ciak. Credo continueremo a sentirci, spero che verrà a trovarmi ogni tanto a Parigi, lo spero... Ora sto aspettando che mi venga a prendere.. Andremo al mare per l'ultimo giorno, gli racconterò finalmente la verità, e gli dirò che partirò. Questa sarà la parte più dolorosa. Mi mancheranno le nostre passeggiate in via Condotti, i lunghi tragitti percorsi in moto, le giornate al mare, le sue confessioni sulle sue notti piccanti con ragazze, le nostre chiacchierate sulla moda, mi mancherà ogni momento trascorso con lui.. Perché ogni momento è stato speciale, puro proprio come la nostra amicizia."

Bene, quello poteva bastare. Miki avrebbe dovuto spiegarmi parecchie cose. Di certo non avrei potuto rivelarle di aver letto il suo diario segreto, ma in qualche modo l'avrei indotta a spiegarmi il motivo di ogni cosa. 

Quell'ultima pagina di diario mi aveva lasciato l'amaro in bocca, un buco nel cuore, nello stomaco. Mi sentivo tradito, odiavo le persone bugiarde eppure non riuscivo a farne a meno di circondarmene continuamente. Miki era stata l'ennesima delusione, chissà quante altre cazzate mi aveva raccontato in quattro mesi di conoscenza. 

Di lei non avrebbe dovuto importarmene. Continuavo a ripetere quel mantra, mentre lei pian piano s'insinuava maggiormente nella mia testa e ancor peggio nel cuore. Perché dolente o nolente la ragazza dai capelli ramati era diventata una delle persone più importanti. Una dalle quali non sarei riuscito a farne a meno. Non sarebbe dovuto accadere, ma era accaduto e quella consapevolezza non faceva altro che spaventarmi. 

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MIKI

La mattina seguente mi svegliai di buon'umore grazie ai messaggi scambiati con il rosso prima di dormire. Sapevo di esser stata contraddittoria, che nel provino mi aveva provocato fastidio quel suo cercare continuamente Debrah, ma una volta rientrata a casa sentivo il bisogno di scrivergli, di mostrargli la mia vicinanza e lo avevo fatto con quel messaggio. Il sapere della malattia di Demon mi aveva stravolta. 

Quella mattina per recarmi a scuola non avrei avuto il passaggio di Ciak, non sarebbe passato a prendermi con il suo autista personale, la sera prima avevamo litigato e conoscendolo ci avrebbe messo un po' per farsela passare, quasi sicuramente non mi avrebbe rivolto la parola per qualche giorno. Non potevo biasimarlo. Così partii a piedi. 

Appena oltrepassato il cancello di casa trovai Nathaniel ad aspettarmi. Non sapevo cosa volesse, né tantomeno avevo voglia di ascoltare le sue ennesime scuse o il suo finto interesse nei miei confronti. Dopotutto sebbene si fosse dimostrato gentile la maggior parte del tempo, sebbene fosse un ragazzo perfetto fisicamente, non avevo intenzione di stare a sentire anche le sue scuse. Anche lui era come gli altri, era interessato a più donne, non aveva chiuso definitivamente con la sua ex ed io non avevo il minimo proposito d'infilarmi in un triangolo amoroso. Così quella mattina fui diffidente nei suoi confronti, lo salutai con un cenno del capo, e m'incamminai senza aspettarlo. Io proseguivo svelta verso la scuola e lui dietro me, cercava di stare al mio passo.

«Miki rallenti per piacere?! Dovrei parlarti», mi supplicò con il fiatone. 

A quella richiesta mi fermai senza avvertirlo e finì involontariamente con il sbattermi addosso. Mi sfiorò la schiena delicatamente, nonostante la mia improvvisa frenata riuscì ad attenuare la collisione. Non si spostò dopo quel contatto, e ciò non era da lui.

«Perché quando siamo insieme ho sempre la percezione che tu abbia paura di me?» me ne uscii con quella sparata, senza riflettere, senza guardarlo negli occhi. Ma era ciò che pensavo dal primo momento in cui lo conobbi.

Puntavo il dito contro i suoi sentimenti. Probabilmente volevo scolparmi per non essere abbastanza interessata a lui, uno dei ragazzi più belli del Dolce Amoris. Certamente un ragazzo come Nathaniel al proprio fianco sarebbe stato migliore rispetto a Castiel, lui mi avrebbe fatto passare meno pene rispetto al rosso; ma al cuor non si comanda ed io avevo scelto di essere masochista.

Mi aveva mandato messaggi, sembrava fosse interessato a me durante il provino, ma in fondo sapevo che stesse soltanto mentendo. Io non potevo piacere realmente a Castiel; lui aveva tutto da Debrah. Lei era bella, lei aveva il suo amore.

Inesorabilmente mi ritrovai ancora una volta a pensarlo. Anche quando non c'entrava avevo la capacità di trovare un filo conduttore del discorso per pensare al rosso. Incredibile, ma vero. 

Fortunatamente fui distratta da Nathaniel. Non pensavo potesse essere capace di quei gesti. Mi afferrò delicatamente per le braccia e mi fece fare un giro su me stessa. Così mi ritrovai faccia a faccia con lui. La distanza era minima, potevo sentire il suo fiato nervoso sul mio collo. Si fece forza. Se prima continuava a tenere lo sguardo basso, ora non più. 

«Ti va di venire a cena con me? Così potrò spiegarti ogni cosa», mi guardò dritto negli occhi come non aveva mai fatto. La vergogna che avevo sempre percepito in lui, svanì. Sembrava avesse avuto una trasformazione. Sembrava mi avesse letto il cuore e la mente, come se sapesse che tipo di ragazzo mi piaceva; o meglio...Chi mi piaceva.

«D'accordo, ma non farti strane idee. Verrò a cena per ascoltarti, per porre fine ai dubbi, non perché io abbia diverse intenzioni con te. Tu sei un ragazzo gentile, perfetto, non smetterò mai di ringraziarti per la sorpresa del ballo. Ma i-io sto insieme a C...»

Bloccò la mia frase per prendere parola: «Miki non mentirmi. Dì la verità. L'ho capito, sai?! Tu e Ciak non state realmente insieme!» 

Era per caso un mago? O semplicemente io e Ciak eravamo dei pessimi attori? 

Respirai intensamente per incoraggiarmi: «Avevo deciso di raccontare la verità dopo il mio rientro dalla gita a Roma, ma già che ci sono lo dico ugualmente a te; no, io e Ciak non siamo mai stati insieme. C'è un motivo se abbiamo inscenato questa farsa. Ne parliamo domani a cena, ok?» conclusi con un sorriso nervoso. Non ero per nulla abituata alle confessioni. 

«Facciamo alle venti?» mi chiese semplicemente con un sorriso sincero. Non mi giudicò per aver mentito, gli fui grata.

«D'accordo!»

E con uno strano senso di sollievo c'incamminammo nuovamente diretti verso scuola. La verità non era male da raccontare, dopotutto.

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CASTIEL

Dovevo trovare il momento giusto per parlarle. 

Dovevo capire per quale motivo avesse mentito a tutti così spudoratamente. Ma soprattutto perché avesse mentito al sottoscritto.

La mattinata trascorse noiosamente come tutte le altre. I professori delle varie materie si alternavano ed io non trovavo un attimo di quiete per poterle parlare in privato. Grazie alla sua testolina bacata anche il modello nonché suo migliore amico, sedeva in banco con noi, e non avevo alcuna intenzione di aprire il discorso in sua presenza. Così decisi di rimandare alla fine delle lezioni. 

L'orologio appeso in aula segnava le undici meno dieci. L'ora dell'intervallo. Sebbene morissi dalla voglia di evadere da quella specie di carcere per fumare una sigaretta, la aspettai. Uscii fuori dall'aula e attesi davanti alla porta il suo arrivo. Solitamente, durante la pausa passeggiava con Rosalya per i corridoi, quasi sicuramente l'avrebbe fatto anche quel giorno. Miki si faceva desiderare in tutto e per tutto. Ed io non ero conosciuto per la mia pazienza, anzi al contrario.

«Amoreee... Mi stavi aspettando?» la voce squillante di Debrah che proveniva alle mie spalle mi fece sbuffare dal fastidio. 

Quella ragazza aveva il potere di arrivare nei momenti più sbagliati, quasi come se fosse a conoscenza dei miei pensieri ed intenzioni. 

«Oh che dolce.. Volevi per caso farti perdonare per ieri?!» 

Odioso. Ecco com'era il suo tono di voce.

Le sue mani toccarono prepotentemente i miei addominali e le sue braccia mi strinsero. Con Debrah non serviva parlare, giustificarsi, cercare di dirle di essere impegnati, lei capiva sempre tutto a modo suo.

Davanti alle sue moine restai immobile. Sapeva che in pubblico odiassi tutti quei gesti amorosi ed espliciti eppure continuava a fare sempre peggio, come se lo facesse di proposito, quasi come se per lei non avessi voce in capitolo. Sciolse l'abbraccio. Si alzò sulle punte e spingendomi contro gli armadietti -posizionati accanto alla mia aula- cominciò a baciarmi.

Non feci in tempo a scrollarmela di dosso che... «Ehm, scusate il disturbo; dovrei conservare dei libri!» la voce di Miki mi provocò una fitta allo stomaco.

Debrah mi aveva spinto contro il suo armadietto. Ma che diamine, proprio il suo?! Senza aprire bocca mi spostai e prima che potessi tirare via anche Debrah, lei intervenì.

«Guarda caso proprio ora hai l'urgenza di posarli. Ammettilo; l'hai fatto di proposito per interromperci!» La lingua appuntita della mia ragazza cominciò ad attaccare Miki. Non sapeva mai quando era il caso di stare in silenzio. 

«Si dà il caso che questo sia il mio armadietto e poso la mia roba quando mi pare e piace. In più mi duole informarti che non sei al centro del mio mondo. Fattene una ragione e smettila una volta per tutte di rompere con le tue accuse infondate!» Miki fu chiara e coincisa. Amavo il suo modo di smontare ogni insinuazione di Debrah. Ghignai non potendone fare a meno.

La ragazza dagli occhi di ghiaccio non potendo controbattere a quella risposta così vera, si voltò verso di me, mi raggiunse e ricominciò a darmi baci a stampo.

La tolsi malamente; mi stava innervosendo ogni secondo di più. «Ti ho sempre detto di evitare le smancerie in pubblico. Basta!» la spostai dal mio corpo e me ne andai in cortile lasciandola sola. 

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MIKI

Ciak il giorno dopo del provino non si sforzò a salutarmi. Neanche una parola rivolta per sbaglio. Era la prima volta che ci capitava, il primo vero e proprio litigio importante negli anni della nostra amicizia. Sapevo di essere in torto, di avergli promesso di risolvere la storia sul finto fidanzamento il prima possibile, ma non potevo permettermi di farlo al momento. Tra qualche giorno sarei dovuta partire per il viaggio vinto da reginetta del ballo e se avessi raccontato uno scoop come quello, Ciak sarebbe stato costretto a sopportare domande insistenti, pressioni varie, da solo e non potevo abbandonarlo in un momento come quello vista la fetta abbondante di colpa che avevo. Per quel motivo decisi quindi di rimandare il racconto della verità a dopo il mio rientro in Francia. Era l'unica soluzione. Sarebbe stato comodo continuare a raccontare una bugia, dire magari che io e Ciak avessimo deciso di lasciarci di comune accordo e di restare amici dopo la nostra rottura, ma se avessi voluto una minima possibilità di recuperare parte del vecchio rapporto tra me ed il mio migliore amico, avrei dovuto raccontare la reale storia, o quasi tutta. Sapevo di rischiare di diventare lo zimbello del Dolce Amoris, ma non potevo fare altrimenti. Preferivo di gran lunga l'amicizia di Ciak piuttosto che esser vista di buon occhio dalla scuola. Tanto, in un modo o in un altro parecchi studenti mi ritenevano già una cattiva influenza. 

Mentre calcolavo e meditavo sulla versione da raccontare a tutta la scuola, la lezione di fisica proseguiva. Quella sarebbe stata l'ultima ora di lezione, finalmente. Dopodiché ci sarebbero state la pausa pranzo e le attività nei club. 

La direttrice durante la prima ora di lezione, tramite gli altoparlanti sparsi per la scuola, ci aveva accennato le novità. Per il club di musica era stata scelta un'assistente -anche lei studentessa del Dolce Amoris- che aiutasse le vocalist del club. Nel club di basket ci sarebbe stato un ex alunno del liceo ad allenare i cestisti. Nel club di giardinaggio idem. 

Ma la grande novità stava nell'unire, per lo spettacolo di fine anno scolastico, i club di musica e teatro. Entrambi gli spettacoli sarebbero stati mostrati in un'unica serata. Ancora non sapevo bene che genere di spettacoli facesse il Dolce Amoris, ma a detta di Rosalya erano da veri professionisti. Una leggera ansia mi si formò al centro dello stomaco sebbene mancassero ancora cinque mesi prima di quel concerto. Mi sarei dovuta esibire davanti ad un pubblico, cantando, e sarebbe stata la prima volta per me. I miei unici spettatori, fino a quel giorno erano stati Ciak e zia Kate, che da anni si sorbivano le mie ore infinite di canzoni cantate al karaoke. 

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Durante la pausa pranzo, mi recai nell'aula della mensa in compagnia di Rose. Non sapevo dove fosse quella grande stanza adibita per il pranzo -quello sarebbe stato il nostro primo giorno nei club e il primo giorno di mensa- quindi mi feci guidare dalla mia amica.

Salimmo al primo piano. Al termine della rampa di scale svoltammo a sinistra, camminammo qualche metro e quando ci ritrovammo davanti ad una porta abbastanza grande di vetro infrangibile e di ferro rossa, Rosalya mi fece segno di entrare.

«Mon amour, siamo giunte a destinazione», mi annunciò fingendo un inchino. «L'anno scorso pranzavo sempre con Alexy ed il fratello, Nathaniel e la sua rag... mhm... Lasciamo perdere, non mi è mai piaciuta quella lì», fece una smorfia buffa. «Comunque sia credo che, viste le circostanze, quest'anno finalmente abbia deciso di cambiare compagnia», sorrise mostrando tutti i denti.

Sapevo bene che si trattasse di Melody, sebbene non avesse pronunciato ad alta voce il suo nome. «Qualora ci fosse io non avrei problemi; è lei ad averne con me».

Finalmente entrammo nella mensa. Era una stanza enorme. Sembrava una di quelle aule viste nei film americani. Di certo, niente a che vedere con quelle italiane. Quella del Dolce Amoris mi ricordò quella del film "High School musical". Le mura erano pitturate per metà di rosso e per metà di bianco, la parte inferiore rossa e la parte superiore bianca. Per accedere ai tavoli vi era una rampa di scale bianca con ringhiera rossa. I tavoli erano di diverse forme, alcuni erano quadrati, altri rotondi ed altri ancora rettangolari. Tutti però erano rossi.. di quel rosso acceso, molto bello. Intorno ai tavoli rotondi e quadrati vi erano delle sedie rosse; mentre a quelli rettangolari -i tavoli più grandi- vi erano invece delle panche lunghissime di legno al posto delle sedie. Quella sala era molto vistosa. La direttrice non solo aveva avuto gusti molto singolari per la scelta del nome del liceo, ma anche per gli arredamenti.

«Sono finita in un telefilm, per caso, e non me ne sono accorta?» mostrando i tavoli, chiesi sarcasticamente alla mia amica che continuava a camminare affianco a me.

Lei si limitò a sollevare le spalle in segno di comprensione ed assenso. Dopo aver ammirato la sala dall'alto, scendemmo le scale. C'era molta confusione e fu impossibile trovare un intero tavolo libero. Gli unici posti non occupati erano quelli in un tavolo rettangolare semi-pieno. 

«Vieni, mettiamoci qui», disse Rose trascinandomi con sé da un braccio. 

Ci accomodammo, non feci in tempo a guardarmi intorno che subito fui disturbata da una voce dannatamente alta e fastidiosa a destra del tavolo. «Sarà mai possibile che devo averti sempre tra le scatole? Invadi l'aria sporcandola!»

Non sapevo più con quale nomignolo dispregiativo chiamarla, poiché anche le vipere si sarebbero offese se paragonate ad una come lei. Aveva passato ogni attimo dalla sua apparizione a fingersi la vittima della situazione, o almeno lo faceva in mia presenza.

«Uhh davvero?! Perché a me risulta di aver fatto il contrario...» lasciai la frase in sospeso spostando lo sguardo per un istante volutamente su Castiel, seduto accanto a lei, per poi ritornare a guardare la regina delle vipere: «Mi sono sempre preoccupata di ripulire l'aria viziata provocata dalle vipere» accennai un sorriso furbo. 

Colpita ed affondata. Il mio riferimento era stato chiarissimo.

«Non metterti contro di me. Non provarci proprio; tu non sai di cosa sono capace!» divenne rossa in volto per la rabbia. Ed infatti aveva capito bene. 

A quel punto decisi di non risponderle, bastava e avanzava la mia frecciatina di qualche secondo prima. Debrah non mi faceva paura. 

Castiel invece era stato per tutto il tempo in silenzio, giocando il ruolo di spettatore. Eppure giurerei di aver intravisto l'accenno di un sorrisetto sul suo volto, dopo la mia battuta. Mi si scaldò il cuore al sol pensiero che quel sorriso potesse esser stato reale. 

Mi voltai dando loro le spalle, senza preoccuparmi di cambiare posto. 

«L'hai stracciata, amica mia» sussurrò Rose dandomi una piccola gomitata sul braccio. 

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Dopo aver fatto la fila per prelevare il pranzo poco appetitoso offerto dalla mensa, ci accomodammo nuovamente ai nostri posti. D'istinto cercai Ciak con gli occhi; non conosceva molte persone in quella scuola e non avrei voluto per nulla al mondo che pranzasse in solitudine. Sapevo che non mi parlasse, ma era pur sempre il mio migliore amico da ormai dieci anni e non potevo abbandonarlo. Sbirciai per tutta la sala, ma di lui nessuna traccia. 

Dopo qualche minuto giunse anche Alexy a pranzare con noi, mentre il fratello a detta sua era impegnato in un torneo importante al Nintendo e si era rifugiato in qualche aula nascosta della scuola per giocare indisturbato. Nathaniel era ancora intento a supplicare la direttrice per riammetterlo nel posto di segretario delegato, visto che la mia richiesta era stata vana. 

Tra una chiacchiera e l'altra il tempo passò, e pian piano giunse il tanto atteso momento delle attività dei club. Sebbene avremmo dovuto partecipare allo stesso spettacolo a fine anno, la preparazione si sarebbe svolta separatamente, quindi Rosalya ed Alexy, facendo parte del club di teatro, si diressero nel sottoscala adibito in una specie di teatro arrangiato. Io invece mi recai verso l'aula di musica. Rosalya mi aveva spiegato dove si trovasse, così cercando di fare mente locale alle sue indicazioni, m'incamminai. L'aula si trovava sullo stesso piano della sala mensa, non a sinistra della scala ma a destra. Dopo qualche minuto di smarrimento la trovai.

L'ansia s'impossessò nuovamente del mio corpo. Non ero una cantante, non avevo mai preso parte a lezioni di canto e non avevo una voce da usignolo, ero semplicemente intonata a detta di chi mi aveva già sentita canticchiare. Il timore di poter richiamare l'attenzione su di me, mi bloccò sull'uscio dalla porta. Non ero abituata ad avere gli occhi puntati addosso per qualcosa di diverso dai vestiti poco coprenti, e la situazione mi gettò in uno stato d'imbarazzo ancor prima di presentarsi. Per un attimo pensai che avrei dovuto scegliere un club del tutto diverso da quello, un club dove non avrei dovuto espormi troppo, come ad esempio il club di giardinaggio. Ma i fiori e le piante nelle mie mani morivano ancor prima di essere piantati nei vasi, mentre per praticare sport ero sempre stata troppo pigra. Cantare invece mi faceva entrare in un mondo parallelo, in un mondo tutto mio. Un mondo dove avrei potuto sfogarmi qualora fossi stata triste, gioire qualora fossi stata felice. La musica di per sé aveva sempre contribuito a farmi evadere dalla realtà, era stata la medicina in una vita piena zeppa di virus.

Ingoiai pesantemente la saliva e con prodezza mi decisi finalmente a varcare la soglia della porta. I maledetti tacchi che mi ostinavo a indossare quasi ogni giorno, fecero rumore e tutti i presenti si voltarono nella mia direzione. Inevitabilmente arrossii. Sarei voluta sprofondare almeno tre metri sotto terra. 

Notai Lysandre seduto su una sedia, l'unico compagno presente della mia classe. Altri apparirono come volti conosciuti, ma solo di vista. Sicuramente li avevo incontrati di qua e di là tra i corridoi del liceo. Evitando gli sguardi e prendendo un respiro d'incoraggiamento scelsi un posto lontano da tutti recandomi a sedere con finta disinvoltura. Volevo starmene in disparte e per una volta non attirarmi noie, come invece ero solita fare dal mio arrivo a Parigi. Trovai un posto libero accanto alla finestra, da cui si poteva godere di un'ottima vista del cielo e del verde giardino del liceo.

La stanza era diversa dal resto del Dolce Amoris, sembrava essere una specie di sala di registrazione. Le mura erano tutte rivestite in legno, fatte di quel materiale insonorizzato che permettesse di non far udire i suoni al di fuori della stanza. Le sedie erano rosse e davanti a queste, per ogni posto, vi era un leggio con degli spartiti sopra. Al centro dell'aula, una cattedra di legno era l'unico elemento che potesse ricordare di essere in un'aula scolastica. Di lato alla cattedra, a sinistra, si trovavano una batteria, una chitarra, un piano e tre microfoni, situati proprio difronte alla sottoscritta. Ero, infatti, in prima fila. 

Guardai i microfoni ed un brivido mi percorse la schiena. Mai prima di quel momento avevo avuto quelle reazioni alla sola vista di un semplice amplificatore per la voce. Non capivo il motivo ma continuavo ad essere inquieta. Mi voltai verso il resto dei compagni, ispezionandoli. In quell'aula vi erano soltanto cinque donne compresa me e tutto il resto erano maschi. 

All'improvviso la preside irruppe nell'aula attirando l'attenzione generale. «Ragazzi, buonasera. Alzatevi in piedi e date il benvenuto alla vostra compagna nonché nuova assistente del professor Laurent, professore del club di musica per chi non lo conoscesse. Purtroppo il Signor Laurent oggi non sarà qui con voi per problemi di salute, ma lo sostituirà egregiamente la signorina Debrah Duval. È un grande onore averla nuovamente qui con noi. Siete molto fortunati, starà con voi un anno intero. Attraverso i suoi consigli ed esperienza musicale internazionale avrete l'opportunità di fare tesoro di molti aspetti di questo mondo particolare. Vi lascio in buone mani. Vi raccomando, comportatevi bene. Buon lavoro!»

Non sapevo se mi convenisse più ridere o piangere. Ancora una volta il destino, Dio, o quel che caspita era, aveva dimostrato di detestarmi. Non solo sarei stata costretta a vederla gironzolare per i corridoi col ragazzo di cui ero tremendamente infatuata, da quel giorno in poi sarebbe stata persino una sorta di professoressa per me. 

La guardai entrare e cercai di auto-convincermi che da persona matura avrebbe sicuramente lasciato fuori da quell'aula le faccende personali, che vista la sua esperienza sarebbe stata una persona parecchio professionale. Ma più la guardavo e più mi resi conto che invece mi avrebbe dato il tormento maggiormente di come continuava a fare nella quotidianità.

«Salve a tutti. Allora, come vi ha giustamente preannunciato la direttrice sono da poco rientrata in Francia dopo un tour americano e dopo il mio primo album. Ho venduto cinquecento mila copie in un solo anno...» con la sua voce stridula e fastidiosa, si accomodò sulla cattedra accavallando le gambe e mostrando gentilmente -grazie alla gonna corta- il perizoma di pizzo nero. 

Continuò a vantarsi della sua esperienza internazionale per cinque minuti buoni, ed io ovviamente non ascoltai neanche una parola. Se Castiel fosse stato presente in quel preciso istante, l'avrebbe interrotta nel bel mezzo del suo monologo per deriderla con una battuta simile: "E allora, visto che sei così famosa, com'è che sei qui nel ruolo di regina delle sfigate alla ricerca dei suoi cinque minuti di fama?!", ma ovviamente il rosso non avrebbe mai fatto una battuta del genere, sia perché non era lì e sia perché era il fidanzatino fedele della vipera in questione. 

Dopo varie moine finalmente tirò fuori da una cartellina l'elenco di tutti gli iscritti a quel club e senza alzare la testa dal foglio decise l'attività che avremmo svolto quel pomeriggio.

«Per oggi mi limiterei ad ascoltare la voce di tutte le vocalist, giusto per capire le loro capacità. La voce, all'interno di una band è fondamentale come lo è anche la bella presenza del cantante che è quello maggiormente esposto al pubblico. Perché si sa: anche l'occhio vuole la sua parte!» sull'ultima frase mostrò se stessa, orgogliosa di essere nella lista delle cantanti di bella presenza. 

Ed il primo conato di vomito minacciò di uscire dalla mia anima, non solo per la sua enorme autostima, ma anche per quello che ci aveva comunicato. Quel giorno le ore nell'aula di musica sarebbero state incentrate tutte sulle vocalist. Io ero una di loro. Avrei dovuto cantare, magari a cappella, davanti a venti sconosciuti. Mi maledissi di aver scelto quel club mentre un nodo in gola non mi permise di respirare bene. 

Pronunciò correttamente i nomi e cognomi di tutte le aspiranti cantanti, mentre quando arrivò il mio turno ovviamente non poteva comportarsi da persona intelligente. 

«Poi abbiamo Micaela Puzzi...» davanti al suo errore voluto, tutta la classe si mise a sghignazzare. 

Con un colpo di tosse attirai l'attenzione su di me, senza scompormi. Debrah alzò la testa dal foglio sorridendo diabolicamente, mentre io senza timore e senza far fuoriuscire battute acide che in sua presenza mi venivano quasi naturali, la corressi: «il mio nome è Micaela Rossi. R-o-s-s-i!» conclusi con uno spelling del cognome, sollevando un angolo della bocca.

Aveva cominciato ad attaccarmi, voleva che io reagissi, ma non lo feci. Risposi con educazione e lei non se lo aspettava. Mi guardò di sbieco e con un sorrisetto, quel sorrisetto che emetteva quando stava per mettere in atto uno dei suoi piani diabolici. Infatti così fu. Con mosse sensuali, per attirare il pubblico maschile, si alzò dalla cattedra iniziando a girare e rigirare tra le sedie degli alunni. Tutti gli occhi erano puntati su di lei, le donne la guardavano con invidia, gli uomini con bramosia. L'unico che rimase impassibile alle sue mosse, probabilmente perché ne era abituato, fu Lysandre. La guardava di sottecchi con disapprovazione per poi ritornare a fissare lo spartito, quel pentagramma ricco di note di chissà quale canzone. Evidentemente non doveva stargli poi così tanto simpatica quella ragazza.

Debrah aveva tanto criticato il mio modo di vestire ritenendolo non idoneo ad un luogo scolastico eppure quel pomeriggio anche lei aveva una gonna, forse ancora più corta di come la portavo io. Indossava una maglia scollata dalla quale le s'intravedeva il reggiseno di pizzo nero. Una con quell'abbigliamento non doveva neanche poter entrare dentro un liceo. Io, nonostante indossassi minigonne e scarpe con tacco lo facevo con una certa dignità e di certo non mostravo a tutti il mio intimo, non mi ero mai permessa d'indossare maglie così eccessivamente scollate. Aveva esagerato e potevo metterci la mano sul fuoco che quell'abbigliamento lo avesse indossato solo per mostrarmi che lei, quei vestiti, sapesse portarli meglio di me. Mi avrebbe voluto dimostrare che lei sapeva essere più provocante e sensuale della sottoscritta se solo avesse voluto. Ma io non le diedi alcuna soddisfazione, dal mio viso non lasciai trapelare nessuna emozione. Anzi per testimoniare la noia che mi trasmetteva, sbadigliai nel momento in cui passò affianco a me. Agendo in quel modo, però, fu come servirle la prossima mossa da compiere su un piatto d'argento.

«Visto che ti stai annoiando così tanto, comincerai tu a cantare. Ecco tieni; questa è la canzone. È famosissima in tutto il mondo, non dovresti avere difficoltà.» pronunciando quelle parole si diresse verso me dandomi un foglio, quasi lanciandomelo, con un sorrisetto che non lasciava prevedere nulla di buono. Debrah aveva la capacità di fingersi vittima in un modo degno da premio Oscar. Nessuno poteva capire che stesse fingendo, nemmeno uno, tranne chi la conosceva bene, tranne chi l'aveva vista agire, cambiare come cambia il vento.

Diedi un'occhiata al foglio. In alto era riportato il titolo della canzone e della cantante. Sgranai gli occhi istintivamente. Mi aveva dato un pezzo difficilissimo da cantare e tra l'altro dovevo farlo a cappella. La canzone in questione era: "My heart will go on" di Céline Dion. Canzone parecchio vecchia, ma intramontabile. Oserei dire, brano temuto da tutti gli interpreti con poca estensione vocale. Solo chi aveva una voce pazzesca e potente poteva cantare una cosa del genere, ma non le diedi ugualmente soddisfazione. Non mi sarei tirata indietro; non davanti a lei. 

In un attimo tutte le mie ansie e paure si affievolirono, mi alzai e mi recai davanti agli strumenti. Non utilizzai il microfono, non sarebbe servito visto che non ci sarebbe stata la musica come sottofondo.

Calò il silenzio in aula. Tutti mi guardavano, ed iniziai a cantare fissando il vuoto. Il cuore mi scalpitava ma non mi feci abbattere. 

«Every night in my dreams I see you, I feel you. That is how I know you go on... Far across the distance and spaces between us, You have come to show you go on...»

Nella parte bassa me la cavai, il problema arrivò quando provai a cantare le note acute. E Debrah era proprio quel momento che stava aspettando con trepidazione. In quella parte la voce mi tremò, stonai e non riuscii più a continuare. Abbassai il viso e divenni paonazza per la figuraccia appena fatta.

L'assistente si mise a ridere e dopo di lei anche il resto della classe. Sapevo di non avere le capacità vocali necessarie per cantare un brano di quel genere, ma ci avevo provato ugualmente.

«Hai fatto più errori di quanti capelli tieni in testa. Brava. Sei un caso disperato», rise malvagiamente. Pronunciò quelle parole con disprezzo e cattiveria. Poi avvicinandosi, mi parlò all'orecchio ma facendosi udire chiaramente anche dal resto dei presenti: «ti do un consiglio spassionato. Ritirati. Questo club non è adatto a te!»

Eccolo lì il suo piano. Mettermi in ridicolo davanti a tutti per poi darmi la botta finale. Se prima avessi l'intenzione di non cedere alle sue provocazioni, di non fare il suo stesso gioco, in quel momento cambiai opinione. Mi aveva stancata. Le avrei risposto ed anche pesantemente. Ma non mi diede neanche il tempo di farlo. Mi sfilò con presunzione il foglio dalle mani e senza aggiungere altro cominciò a cantare lo stesso brano, ma dalla parte alta.

«Near, far, wherever you are. I believe that the heart does go on... Once more you open the door, And you're here in my heart; And my heart will go on and on. There is some love that will not go away».

Era maledettamente brava. Aveva una voce acuta, degna di una gallina nel sentirla parlare, ma nel canto era bravissima e tremendamente dotata. Sicuramente uno dei suoi punti forti erano gli acuti. 

Senza aspettare ulteriori umiliazioni, abbassai nuovamente il volto e mi diressi al mio posto. Ma prima che potessi accomodarmi qualcuno irruppe nel silenzio improvviso della stanza. 

«Debrah, bello vincere facile vero? Sei stata scorretta, come aver rubato le caramelle ad un bambino. Cantare le parti alte è stato sempre il tuo forte, non è di certo una novità. Ma perché non hai cantato anche le parti basse? Avevi il timore di fare una figuraccia? Come mai non hai cominciato la canzone dall'inizio? Eh, perché non lo fai ora? Dai tesoro, fai vedere a tutti come sei brava!» la derise. Ed i miei occhi fuoriuscirono dalle orbite per la sorpresa. 

Quell'intrusione non me la sarei mai aspettata... non dal suo fedele cagnolino. Castiel aveva spalancato la porta e senza preavviso aveva cominciato a sputare veleno sulla sua ragazza. Mi aveva difesa. Castiel Black aveva offeso la sua ragazza per difendere me. Me. Me. Cazzo. Micaela Rossi. Per poco, per la felicità di quell'evidenza, non volai tre metri sopra al cielo. 

Ma la stanza non era insonorizzata? Come aveva potuto seguire la scena? Qualcuno nella mia testa mi suggerì che in questo caso ci fosse stato lo zampino del caro Lysandre. 

Castiel aveva cantato insieme a Debrah per molto tempo, lui la conosceva più di tutti, conosceva il suo tallone d'Achille, ma non avrei mai pensato che sarebbe stato capace di rivoltarsi in quel modo. Si era svegliato all'improvviso, magicamente si era strappato il collare d'addosso ritornando in sé; il caro, vecchio stronzo e scorbutico ragazzo dai capelli rossi era di nuovo tra noi.

A quelle parole la dominatrice sconfitta divenne non nera, ma viola dalla rabbia e dall'invidia. Il suo ragazzo si era intromesso nel suo piano diabolico, rovinandoglielo. Così dirigendosi verso di lui gli urlò contro. «Come ti permetti ad offendermi in questo modo? Esci subito fuori da quest'aula o sarò costretta a chiamare la direttrice! Ma che diamine ti salta in mente?» gli poggiò le mani sulle spalle con l'intenzione di voltarlo e farlo uscire dalla stanza, ma Castiel non si mosse neanche di un centimetro. 

«Cosa si prova ad essere interrotti durante il proprio lavoro?!» mise entrambi le mani nelle tasche anteriori degli jeans e, con nonchalance, sollevò un angolo della bocca formando quel sorriso da stronzo che da sempre mi aveva fatto impazzire. 

Evidentemente si riferiva all'intrusione sul set di Rabanne. Si era vendicato. Non voleva difendermi, ma solo vendicarsi per la scenata fatta dalla sua ragazza, la sera prima. Un moto di delusione mi pervase. Mi ero illusa ancora una volta.

«Và via!» ringhio Debrah.

«Sì, io me ne vado volentieri; ma lei viene con me!» rispose schietto puntando il dito verso la mia direzione.

Non capivo se fosse diventato strabico, se stesse parlando di un'altra ragazza dietro me o di Debrah, rivolgendosi a lei con tono formale. Ma quello non era di certo linguaggio usuale di Castiel. Mi voltai a 360 gradi per capire se dietro o affianco a me ci fosse un'altra ragazza, ma non c'era nessuno.

Castiel mi guardava imbambolato, Debrah rideva a causa del nervosismo. La stava umiliando. Lei che aveva sempre portato i pantaloni nel loro rapporto, all'improvviso si era vista tutto ribaltato.

«Tu sei tonta solo dove vuoi apparirlo. Cammina fuori, devo parlarti!» giunse verso di me, Castiel, mi afferrò la mano e mi trascinò fuori sotto lo sguardo inebetito dei presenti e il sorrisetto di Lysandre. 

Per un attimo il mondo sparì. Castiel mi stava tenendo per mano anche se in un modo poco garbato. La prima farfalla iniziò a gironzolare indisturbata nel mio stomaco.

Era furioso anche con me, sebbene non avessi colpe. Debrah ci seguì e, quando ci ritrovammo fuori dall'aula, chiuse la porta dietro di sé e urlò ancor più di prima. Di certo la voce acuta non le mancava; rimbombò per tutto il corridoio.

«Castiel ma che cazzo ti prende? Mi gioco il posto così, ti rendi conto?»

«Io invece mi stavo per giocare l'unica vita che mi era stata donata, per colpa tua, pensa te...»

«Allora è questo il problema? Non sei riuscito ancora a perdonarmi? Io ti amo Castiel, sono tornata in Francia solo per te. Smettila di torturarti con il passato!» per poco non vomitai la minestra mangiata a mensa. Quelle parole suonarono più false del plagio di una canzone. 

«Sta' zitta per una buona volta e tornatene lì dentro dagli unici ragazzi che possono ancora sbavare per te. O preferisci che racconti a tutti qualcosa sul tuo piccolo segreto

«Non hai la situazione in pugno come pensi, sappilo Castiel!»

Assistetti a quella scena totalmente stupita della piega che avevano preso i loro discorsi. Debrah aveva un segreto? Doveva essere un qualcosa di estremamente importante vista la sua totale dedizione ad ascoltare gli ordini di Castiel, infatti dopo la sua risposta rientrò in aula senza rivolgermi neanche uno sguardo. In un secondo si erano ribaltati i loro ruoli, ero incredula e avevo passato tutto il tempo nel limitarmi a spostare lo sguardo da uno all'altra. 

Dopo che Debrah sparì dalla nostra vista, Castiel afferrò il mio polso e mi trascinò verso chissà dove. 

«Si può sapere che sta succedendo? E lasciami che mi fai male!» cercai di farmi mollare il polso, ma lui non mollò la presa, continuò a camminare velocemente senza degnarsi di darmi spiegazioni. 

Non capivo e non sapevo dove mi stesse portando. Arrivammo alle scale e le salimmo. Salimmo il primo piano, il secondo e poi il terzo. Conoscevo quella strada, portava al terrazzo, il luogo dove mi recavo quando avevo bisogno di stare in solitudine.

Quando arrivammo a destinazione, aprì il portone d'entrata. Mi liberò finalmente il polso che cominciò a pulsare. Alzai il volto e vidi Castiel dirigersi verso il punto finale del terrazzo e sedersi sulla ringhiera. Poi cominciò a sbattere i piedi nervosamente contro quell'ammasso di ferro.

«Castiel per favore non giocare, scendi da lì. Potresti cadere!» mi rivolsi con apprensione, facendo qualche passo per avvicinarmi a lui.

Non mi rispose, non mi degnò neanche di uno sguardo e tanto per cambiare non ascoltò le mie richieste. Restò seduto sulla ringhiera e si limitò ad incrociare le braccia. Quello era un gesto tipico da lui, e mi piaceva così come il suo ghigno. Aveva dei modi unici che lo distinguevano dalla massa. 

Dopo qualche altro secondo imbarazzante di silenzio si scomodò finalmente a comunicarmi ciò che doveva sin dalla sua irruzione nell'aula di musica. 

«Perché cazzo hai finto di stare insieme a quel coglione del tuo migliore amico?» mi lanciò una breve occhiata accusatoria per poi spostare nuovamente lo sguardo.

"Perché volevo dimostrarti di stare bene anche senza te, volevo fingere che tu non fossi niente per me", avrei dovuto rispondergli con quelle parole, con la verità, ma non lo feci. 

Mi aveva scoperta prima del dovuto, mi aveva sorpresa e lasciata senza parole. Non avevo ancora generato un piano da raccontare agli altri sul mio finto fidanzamento con Ciak, né tantomeno qualcosa da raccontare a lui, lui... La causa scatenante di tutta quella recita. 

Così mi limitai a non rispondere alla sua domanda. Dopotutto avevo imparato da lui a farlo. Incrociai le braccia al petto ed abbassai il volto. Restai immobile poco distante da dove mi aveva lasciata. In quel momento non percepivo più sensibilità alle gambe, sentivo come se queste stessero cedendo. Volevo sprofondare sottoterra, nascondermi in un masso di sabbia e non uscire mai più. Avevo sempre avuto delle giustificazioni in ogni situazione, avevo sempre avuto la risposta pronta, una menzogna a portata di mano, ma non quella volta. In quattro mesi di conoscenza ero sempre stata io a rimproverare Castiel per un qualsiasi sbaglio, ero io ad averlo lasciato senza parole, ma quel giorno i ruoli si erano invertiti anche nel nostro rapporto. Io ero la cattiva, lui il buono.

Nonostante fosse già toccata a lui la prima mossa, vedendo che io non mi attingevo a rispondere, decise di spezzare nuovamente il ghiaccio, quell'ammasso di ghiaccio che avevo costruito con il silenzio. Restai con il volto basso, ma come un cane dall'udito sviluppato, potei capire, dai rumori, cosa stesse facendo. Si alzò in piedi sulla balaustra facendomi mancare un battito e poi scese da lì con un salto. Cominciò a camminare a passo lento e quando i passi si fecero pian piano più rumorosi e vicini capii che era proprio verso me che stava giungendo. 

Ad un tratto non sentii più nulla. Non vi era alcun rumore. C'erano solo le sue Timberland difronte alle mie Guess. Calò il silenzio. Nell'aria poteva sentirsi il cinguettio degli uccellini che ignari dell'aria che tirava, si posavano da qualche parte su quel terrazzo. 

Castiel si avvicinò ancor di più a me. Intorno ogni rumore atmosferico mi giunse ovattato, non c'erano più neanche gli uccellini o passi, percepivo solo il suono del fiato del ragazzo che tanto mi piaceva. Quando lui stava a quella vicinanza, intorno a me sarebbe anche potuto cadere il mondo ed io non mi sarei spostata. Nel suo respiro, in quel momento, si poteva udire tutta la tensione. Prima di fare altri movimenti restò immobile per qualche secondo. Poi, poggiò pollice ed indice sotto al mio mento e lo alzò. Il battito del mio cuore sovrastò il suono del suo respiro tanto che batteva forte. Non rifiutai di farmi toccare da lui, anzi mi faceva, ogni giorno di più, piacere. 

Inevitabilmente il mio sguardo andò a finire nei suoi occhi. Visto che ci trovavamo sul punto più alto dell'edificio, il sole batteva fortissimo su quello spazio aperto. I raggi solari negli occhi di Castiel gli generarono un colore quasi surreale. Divennero come magnetici, il mio sguardo fu attratto dal suo come una calamita, una forza innaturale. I suoi particolari occhi grigi con il sole sembrarono quasi azzurri, di un celeste scuro, opaco, ma bellissimo. Quelle sfumature di colore rientrarono tra le mie tonalità preferite in assoluto. 

«Allora, perché hai finto di stare insieme a lui anche durante il gala di Rabanne?» insistette di nuovo, sibilando diversamente la domanda.

«E tu? Tu come fai ad esserne certo che sia stata finzione?» riuscii a malapena a sussurrare di risposta. La sua vicinanza abbatteva ogni mia corazza. 

Non capii da dove provenisse tutta la sua sicurezza. Sembrava sapere con certezza che io avessi finto, quasi come se gliel'avesse svelato qualche persona fidata.

«Non ti hanno insegnato che è segno di cattiva educazione rispondere con una domanda ad un'altra domanda?» ovviamente non poteva perdere occasione di ammonirmi.

«Non mi hai ancora risposto!»

«Neanche tu se è per questo. Comunque lo so e basta. Ora rispondi alla mia domanda; odio le persone bugiarde».

«Touché, senti chi parla! Stai con la ragazza più meschina e bugiarda che possa esistere al mondo e vieni a fare la paternale a me?» sapevo che con quel mio atteggiamento si sarebbe innervosito maggiormente, ma quello era l'unico modo per uscire illesa da quel confronto. Dovevo prendere tempo e riflettere su che scusa inventare. 

Infatti le mie previsioni risultarono esatte, dopo la mia risposta si alterò passandosi entrambe le mani tra i capelli in segno di disperazione e cominciò a camminare avanti ed indietro allontanandosi da me. 

«Ma cazzo Miki! Per chi mi hai preso? Per uno scemo? Smettila di girarci intorno e sputa il rospo!» si fermò poco distante da me e gesticolò per poi riprendere la sua camminata impaziente.

«In realtà ho mangiato la minestra oggi, non un rosp-» l'occhiata glaciale che mi gettò mi fece stoppare immediatamente ogni specie d'ironia, così per prendere altro tempo tergiversai. «Okay, la smetto. Prima che ti dica tutto, però mi spieghi perché insisti così tanto? Insomma che importa a te che io abbia o meno mentito, o ancor di più il motivo?»

A quella mia domanda si fermò di spalle, non potei guardarlo negli occhi per capire se stesse o meno mentendo. «Odio essere preso per il culo!» rispose secco. Non ne sapevo il motivo, ma ebbi la percezione che quella non fosse l'unica verità. 

«Ma se la tua ragazza lo fa da anni...» mi venne spontaneo ribattere. 

Quando si voltò di scatto nella mia direzione e mi guardò con sguardo omicida, mi passò ogni voglia di contraddirlo e finalmente mi decisi ad inventare la prima scusa che mi venne in mente. 

«D'accordo ti racconterò tutto, ma non aspettarti chissà quale storia... Diciamo che... È tutto cominciato per gioco. Poi è diventato una specie di rito tra amici; lui è il mio migliore amico da dieci anni, ormai. Sin da piccoli fingiamo di stare insieme, in alcune circostanze. Ci piace giocare e vedere se qualcuno si accorge che non facciamo sul serio. Tu sei il primo ad averci scoperti, nessuno ci era mai riuscito in tutti questi anni, meriteresti un premio!» gesticolai nervosamente e poi alla fine gli sorrisi impacciatamente. Non amavo mentirgli. Mi sentii un mostro. 

«In realtà basta guardarti negli occhi per capire ciò che provi!» e gelandomi sul posto con quella frase, abbandonò la terrazza scomparendo dietro la porta.

Mi aveva lasciata sola, a meditare, a torturarmi come sempre a causa delle sue frasi ambigue. Cosa aveva intuito? Aveva capito quanto fossi infatuata di lui? Che non gli avessi raccontato la verità sul motivo della recita con Ciak?

Quel giorno ce la misi tutta a cercare di capirlo, ma senza risultati. Castiel era peggio dei giochi enigmistici. Con ira inaspettata si era ribellato a Debrah, con ira inaspettata mi aveva quasi dimostrato di tenerci a me, con parole inaspettate dopo avermi dichiarato guerra si era arreso abbandonando la battaglia. Era scomparso dietro la porta senza salutare, senza farmi capire se mi avesse o meno creduto. Maledetto!

In neanche un'ora aveva cambiato per sin troppe volte umore. Avrei dovuto consigliargli un ottimo psicologo per curare la sua bipolarità. 

E se invece quella fosse stata solamente una recita? Un piano architettato con la sua ragazza. Se si fosse messo d'accordo con Debrah per farmi espellere dal club di musica o ancor peggio per farmi perdere l'anno in modo da non essere più in classe con lui? 

Tantissime domande stavano girando nella mia mente e altrettante risposte si alternavano in un circolo vizioso. Non potevo giungere da sola alla soluzione del rebus o sarei ammattita dietro a lui. 

Tra mille dubbi e senza alcuna voglia di rientrare nell'aula di musica, percorsi tutta la terrazza recandomi infine affianco a quella balaustra che fino a pochi minuti prima aveva retto lo strano ragazzo. Lì percepii sulla pelle la sua vicinanza, sentii il suo odore, il suo profumo che ancora inebriava l'aria. 

Ovunque andasse lasciava il segno. Chiusi gli occhi e alzai il volto verso il cielo.

Immaginai un suo ritorno.

Pentendosi di come mi aveva lasciata, tornò indietro. Non avrebbe voluto farsi notare subito, ma le sue Timberland rumorose non glielo permisero. Udii i suoi passi sin dalla porta. Lentamente giunse verso me, poggiò il suo fisico muscoloso sulla mia schiena. In quel momento persino il suo membro era felice di vedermi. Lo sentivo. Nonostante i vestiti, ogni sua parte di corpo poteva essere percepita. Forse perché aspettavo da troppo quel momento, forse perché ormai  conoscevo quei tratti così virili e marcati a memoria, ma lo sentivo e lo volevo tutto per me, in quel momento e per sempre.

Poggiò le sue mani sui miei occhi. Erano profumate, di un profumo che dalla sera prima avevo imparato a conoscere bene. Profumava di "ivre" il nostro profumo, il profumo della pubblicità.

«Basta guardarti negli occhi per capire tutto ciò che provi», mi sussurrò nell'orecchio sinistro.

«In che senso? Vorrei capire, per favore!» quasi lo pregai di porre fine alle mie torture mentali.

La sua risposta avrebbe spiegato molte cose.

«Non hai mai guardato nessun altro come invece guardi me; e come mi guardi tu non mi ha mai guardato nessun'altra».

Aveva spiegato tutto con una specie di scioglilingua, e quel tutto cominciava a piacermi.

«E tu? Tu cosa provi?» il cuore iniziò a battermi all'impazzata, aspettavo di porgli quel quesito sin dal nostro primo bacio.

L'eventuale sua risposta avrebbe potuto cambiare ogni cosa, tutto.

Non mi aveva mai dimostrato di tenerci a me, anzi aveva sempre provato ad allontanarmi. Eppure c'era qualcosa che mi aveva portata a stargli vicino nonostante tutto, a continuare a lottare nonostante lui stesse con un'altra.

Peccato che non avrei mai saputo cosa mi avesse potuto rispondere. Il mio sogno ad occhi aperti fu interrotto.

Il rumore della vibrazione del mio cellulare rimbombò nell'aria. Maledicendo chiunque avesse inventato ogni forma di tecnologia, estrai lo smartphone dalla tasca.

Mi era appena arrivato un messaggio. 


Hai da fare questo pomeriggio? Possiamo incontrarci? Dovrei parlarti.

ADELAIDE <3

 

  
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