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Autore: BlueButterfly93    08/03/2015    10 recensioni
(REVISIONE STORIA COMPLETATA)
MIKI: ragazza che, come il passato le ha insegnato, indossa ogni giorno la maschera della perfezione; minigonna e tacchi a spillo. È irraggiungibile, contro gli uomini e l'amore. Pensa di non essere in grado di provare sentimenti, perché infondo non sa neanche cosa siano. Ma sarà il trasferimento in un altro Stato a mettere tutta la sua vita in discussione. Già da quando salirà sull'aereo per Parigi, l'incontro con il ragazzo dai capelli rossi le stravolgerà l'esistenza e non le farà più dormire sogni tranquilli.
CASTIEL: ragazzo apatico, arrogante, sfacciato, menefreghista ma infondo solamente deluso e ferito da un'infanzia trascorsa in solitudine, e da una storia che ha segnato profondamente gli anni della sua adolescenza. Sarà l'incontro con la ragazza dai capelli ramati a far sorgere in lui il dubbio di possedere ancora un cuore capace di battere per qualcuno, e non solo..
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Lo scontro di due mondi apparentemente opposti, ma in fondo incredibilmente simili. Le facce di una medaglia, l'odio e l'amore, che sotto sotto finiranno per completarsi a vicenda.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Ubriaca d'amore, ti odio!'
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Prima di lasciarvi leggere in pace, volevo rendervi partecipi di qualcosa. Parte della storia narrata in questo capitolo ed in particolare il percorso che affronterà Adelaide (che continuerà anche nel seguito della ff) è un argomento che mi sta particolarmente a cuore e che purtroppo ho vissuto in prima persona, non direttamente ma con una persona a me vicinissima e a cui ero molto, molto legata. Quando, all'epoca, ho scritto questo capitolo questa persona stava lottando ed era ancora in vita, le avevo dedicato questa parte di storia. A distanza di tre anni, mi duole scrivere che questa persona non c'è più. Nonostante ciò ho deciso ugualmente di dedicarle la storia di Adelaide, che sarà la mia rivincita e che cercherò di concludere nel modo in cui sarebbe dovuta andare la sua vita vera. 

Spero di non deludervi con argomenti troppo delicati. Ma la vita è anche questa, ed io che ho deciso di attenermi alla realtà scrivendo questa fan-fiction, avevo bisogno d'inserire anche quest'argomento. Che sia un invito alla riflessione e alla forza...

Buona lettura!

Dedicato a S. che spero mi stia guardando da lassù e che sia almeno un po' fiera di me.

 

 

Capitolo 20

Il male del secolo





 

MIKI

Inevitabilmente la mia vita era legata a quella di Castiel. Appena smettevo di pensarlo, subito dopo, accadeva qualcosa di imprevedibile che lo portava ancora a girovagare nei miei sensi. Sì proprio così. Se ci fosse stata una telecamera nel mio cervello ed un'altra nel mio cuore, tutti avrebbero potuto vedere un esserino dai capelli rossi con le sue scarpe rumorose, andare da una parte all'altra nel mio corpo. Metafore e similitudini a parte, anche quel giorno era accaduto. Un attimo prima -su quella terrazza- avevo immaginato un suo ritorno ed un secondo dopo ecco sua mamma sbucare dal nulla con un messaggio.

Ero ancora sul terrazzo quando il cellulare mi aveva avvertito della presenza di quel messaggio. Era dal giorno di Natale che non incontravo il volto premuroso di Adelaide, ma nonostante questo l'avevo sentita telefonicamente. Lavorava ancora in una compagnia aerea e quindi viaggiava spesso, era una donna molto impegnata, ma quando trovava il tempo si faceva sentire. Mi aveva detto che i rapporti con Castiel non erano migliorati ma che lo chiamava ugualmente. Stava cercando di fare la mamma che non aveva mai potuto essere, si era pentita di aver abbandonato il figlio in mani non materne, e per quello ne stava pagando -ogni giorno- le conseguenze. Purtroppo aveva dato tutto il suo amore ad un uomo che non meritava, ad un uomo che alla prima occasione l'aveva tradita fisicamente e non solo. Più tempo passava e più mi sentivo vicina a quella donna, avvertivo il suo senso materno, il suo affetto anche da un messaggio. Adelaide era una donna fortissima. Quando ricevevo sue chiamate ero ben lieta di risponderle, di raccontarle le novità, le avevo persino ammesso di essere cotta di suo figlio, era diventata una sorta di confidente; un po' come Rosalya ma un tantino più matura. In quel periodo della mia vita era più facile confidarsi con lei piuttosto che con zia Kate. 

Anche quel giorno, dopo aver ricevuto il suo messaggio, la chiamai. Cercai il numero nella rubrica, dopo aver piggiato il tasto verde, il microfono del cellulare cominciò a squillare. Rispose già al secondo squillo.

«Ehi Adelaide, come stai?»

«Ciao Miki, Và... E tu? Sei a scuola?»

«Sì, oggi primo giorno nel club», sospirai ripensando a ciò che era successo in quell'aula poco prima «ho letto nel messaggio che vorresti incontrarmi; dove di preciso?» senza troppi giri di parole arrivai dritta al punto.

«Se non hai altri impegni, sì. Al "Café de Flore" per le diciassette, va bene?»

«Non ho idea di dove si trovi, ma chiederò informazioni e arriverò a destinazione di sicuro, prima o poi...» risposi titubante sorridendo impacciatamente. 

«Sì non è molto distante dal Dolce Amoris..»

«Okay, allora a più tardi!»

«Va bene, a dopo!»

Fu Adelaide a chiudere la chiamata. Non aveva la solita voce pulita, allegra e vivace. Mi preoccupai ed iniziai a pensare che non dovesse dirmi qualcosa di così piacevole. Rimandai quella preoccupazione ad un momento successivo perché in quello avrei dovuto pensare alla quasi imminente sospensione dal club di musica. Ero stata fuori dall'aula per mezz'ora. Maledetto Castiel!

Di fretta abbandonai il terrazzo e l'idea del rosso che sarebbe potuto tornare da me, e mi diressi a passo svelto verso l'aula di musica. Scesi le scale e per sbrigarmi, vista la fretta, scivolai. Invece di poggiare il piede sul gradino che veniva subito dopo quello sceso, lo poggiai, o meglio lo lanciai nel vuoto, due gradini dopo. Persi l'equilibrio e caddi, così, all'indietro. Il sedere sbatté contro un gradino che via via percorse tutti gli altri restanti. In poche parole feci una rampa di scale tutta con il didietro. Fermai la caduta solo alla fine delle scale. "Ottimo equilibrio Miki, complimenti!" poi tenendomi dalla ringhiera, mi alzai. Il sedere era indolenzito, bruciava, come se qualcuno lo stesse pizzicando. Dal dolore, mi venne spontaneo mettere la mano proprio dietro lì e camminare. Non potevo permettermi il lusso di stare ferma a pochi minuti dalla fine della lezione. Come una vecchietta con il bastone, arrivai a destinazione anche se più in ritardo del previsto.

La porta dell'aula era chiusa, forse ancora nulla era perso, forse ero arrivata in tempo, forse...

«Dove credi di andare? La lezione è finita!» ogni mio forse, fu disintegrato dalla voce stridula della cantante.

La lezione era conclusa eppure lei era lì, come se sapesse ogni mio movimento, come se sapesse che prima o poi sarei tornata. Era lì ad aspettarmi come un leone che attende di sgranare la sua preda. In quel caso però, io ero la pecorella smarrita e lei la vipera pronta a mostrarmi la via giusta da percorrere, sì, quella verso il suo stomaco.

Senza rispondere al suo tono sgarbato ed irritante, mi voltai in direzione delle scale e feci per andarmene, ma nuovamente quella voce interruppe ogni mio futuro gesto.

«Tu non vai proprio da nessuna parte. Vieni qui. Devo parlarti!» per un attimo mi ricordò gli atteggiamenti di Castiel. Scossi subito la testa; dovevo smettere di pensarlo ogni attimo di secondo. 

«Cosa vuoi ancora da me? Lasciami in pace una volta per tutte!» di scatto mi voltai nella sua direzione furibonda, e dopo averle lanciato un'occhiata omicida, mi girai nuovamente per poter abbandonare quell'edificio e recarmi all'appuntamento con Adelaide. 

Nonostante le mie parole significanti, la vipera mi raggiunse bloccando la mia corsa e strattonandomi dal braccio mi trascinò dentro l'aula di musica, fuori da orecchie ed occhi indiscreti. 

«Togli subito quelle mani viscide da me, brutta vipera. Mollami!» urlai ad alta voce. Mi accorsi di avere una voce più acuta della sua se solo l'avessi voluto.

Guardandomi di sbieco lasciò la presa, si precipitò davanti alla porta e sbirciando se vi era qualcuno ad origliare, chiuse il masso di legno con forza. Poi si diresse verso me con fare minaccioso.

«Se non vuoi finire nei guai, se non vuoi ricevere un'altra convocazione dalla preside che ti farebbe perdere l'anno, devi stare lontana dal mio Castiel», marcò l'aggettivo "mio" ed il mio cuore perse tre battiti. Terribile da sentire, ma era la pura e semplice verità. Fino a prova contraria, Castiel era suo. 

Nonostante ciò, a causa di quella minaccia mi venne spontaneo spalancare gli occhi. Dovevo immaginarlo che avrebbe architettato un altro piano. Subdola e viscida stronza!

«E di cosa dovresti accusarmi? Sentiamo!» le chiesi poi con tono di voce disgustato e facendo una smorfia percettibile.

«Hai abbandonato l'aula prima della fine della lezione. Mi hai insultata davanti tutta la classe. Tu vuoi Castiel e mi torturi per questo... Tu sei gelosa di me!»

Davanti a quelle false insinuazioni corrugai involontariamente le sopracciglia. Aveva parlato con una tale convinzione da mettere in dubbio persino a me stessa ciò che feci realmente. Difronte a quelle sue parole persino io stavo cominciando a credere di aver fatto quello per cui mi accusava. Era brava, era una manipolatrice professionista. 

«Ma io non ho fatto niente di tutto ciò!» emisi con un filo di voce, turbata.

Davanti a tale bravura d'attrice non riuscii più a spiccicare parola. Ero rimasta colpita, ed anche se per aspetti negativi, dovetti ammetterlo.. iniziai a comprendere Castiel. Debrah era brava a manipolare, brava a far sentire in colpa, brava ad imprigionare -con i suoi artigli- chi le stava intorno.

«Oh sì! Ma questo non è importante» mi rispose facendo una mossa con le mani.

Parlava con un'aria di superiorità da far rabbrividire. Come se lei, nella scala gerarchica, fosse di dieci gradini più in alto di me. Poi continuò.

«La preside crederà me, non te!» aggiunse incrociando le braccia. In quei gesti, ancora una volta, riconobbi quelli di Castiel. Come se lo stesse imitando, come se volesse somigliargli un po'.

«Tu non puoi fare una cosa di queste. Non azzardarti!» iniziai anch'io come lei, a minacciarla. Non sapevo come difendermi, mi sentivo insicura. In quel momento avrei tanto avuto bisogno di una spalla, di qualcuno che mi proteggesse dalle grinfie di quella strega malvagia.

«Sì che posso, invece. Tu sei un inutile studentessa, io un'affermata cantante oltreché studentessa modello e assistente del professore Laurent», ghignò diabolicamente.

«Sai poi, potrei suggerire alla preside di non farti partire per Roma. Un soggetto che non segue le regole in una semplice scuola, sarebbe una mina vagante da sola in una gita scolastica...» continuò cercando d'incutermi timore. 

Aspettavo quel viaggio da ormai un mese, finalmente avrei passato del tempo con Castiel, con il vero Castiel, quello che era distante dall'arpia. Lei non poteva, non doveva permettersi di rovinarmi anche quel viaggio.

«Tu non farai proprio un bel niente. La preside non ti crederà!» strinsi le mani a pugno e digrignai i denti.

Con quel suo atteggiamento aveva dimostrato di essere terribilmente gelosa di me e Castiel, aveva il timore che quel viaggio l'avrebbe allontanata dal suo cagnolino fedele. Ma non aveva nulla da temere, Castiel le sarebbe rimasto accanto per com'era innamorato di lei. 

«Vedremo!» sorrise sicura di sé. «Allora cos'hai deciso, possiamo fare quest'accordo: sì o no?» nelle sue parole finalmente intuii un pizzico di ansia. La sua sicurezza stava andando a scemare nel momento in cui avevo mostrato di non cedere ai suoi ricatti.

Lei non era nessuno. Lei non poteva negarmi quel po' di felicità che mi stava per essere concessa. Castiel la maggior parte delle volte mi faceva innervosire, sì, ma con lui ero spensierata, con lui sentivo di essere realmente un adolescente, di avere la mia età, con lui ero me stessa... Con lui ero viva. Solo ed unicamente con lui. Lei non poteva farmi del male, non poteva togliermi lui. Non doveva permettersi.

«Certo che no! Non rinuncerò a parlare con Castiel solo per un tuo capriccio. Fa' quello che ti pare, accusami pure con la preside; non m'interessa! Tanto sono sicura che prima o poi Castiel capirà di che pasta sei fatta e ti lascerà. Resterai sola, come meriti di stare. Ora continua a minacciare e manipolare mezzo mondo, ridi e divertiti finché puoi. Ma ricorda una cosa: chi ride bene, ride ultimo!» strizzando un occhio, sorridendo falsamente, girai i tacchi e la lasciai sola nella sua cattiveria. 

Parlare di Castiel, parlare di qualcuno d'importante, mi aveva risvegliata dallo stato di paura in cui quella strega mi aveva fatto cadere. Pensando a quei capelli rossi, a quel sorriso sghembo, mi resi conto che lei non avrebbe potuto farmi nulla. Lei non poteva negarmi di stare accanto alla persona che più desideravo. Lui per me era come una calamitauna forza maggioreun'attrazione della quale non potevo farne a meno. Castiel per me era qualcosa d'imprevedibiled'imprescindibile. Quando provavo a stargli lontano stavo male ed inevitabilmente finivo per tornare a girargli intorno, finivo sempre per essere attratta da lui. Non potevo più negarlo a me stessa, non volevo più fingere di essere immune ai sentimenti. Lui aveva buttato giù la mia corazza, costruita in sedici anni di vita, senza neppure volerlo. E nessuno doveva permettersi ad allontanarmi dalla mia unica fonte di felicità. Mi bastava anche solo stargli vicino, sarei stata disposta a prendermi ciò che lui voleva concedermi, un'amicizia, un cuore spezzato, una notte di solo sesso, qualunque cosa. Sapevo che non mi avrebbe mai amata, ma non m'importava più al momento. Perché lui era come un evento soprannaturale, difficile da spiegare ma inevitabile da provare. Mi bastava solo che non smettesse di starmi accanto, in qualunque modo ne avesse intenzione. Ero la regina delle masochiste, ormai lo sapevo bene. 

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DEBRAH

La ragazzina viziata non aveva mollato come immaginavo e questo non lo avevo previsto. Al contrario, pensavo si sarebbe subito arresa, appariva come una di quelle bamboline fissate sulle apparenze, che pur di non esser viste di mal occhio avrebbero ceduto a qualsiasi ricatto. E invece no. Non avevo calcolato la fattispecie più importante: i suoi sentimenti per Castiel. Avrei dovuto fare maggiore attenzione, avevo sottovalutato la ragazza. Pure un cieco se ne sarebbe accorto, lei stravedeva per lui, avrebbe fatto qualsiasi cosa per stargli vicino e per difenderlo. Non potei negare che io non provavo neanche la metà dei sentimenti di Miki per Castiel. Io ero interessata ad altro, non avevo mai avuto il timore di ammetterlo. 

Per un film a lieto fine quelle parole sarebbero state perfette, peccato che quel film sarebbe terminato con un "the end" leggermente diverso da quello che ci si aspettasse. Io mi ero da sempre autodefinita la cattiva della storia, architettavo piani infallibili, mettevo il bastone tra le ruote a chiunque volesse ingannarmi, ero furba con una mente diabolica fuori dal comune. Per tutte quelle evidenze il mio lieto fine sarebbe stato: il successo, la fama, affianco a Castiel. Ce l'avrei fatta, avrei annientato una volta per tutte la stupida e piccola Micaela Rossi pur di riuscire nel piano. 

Con i miei buoni, per modo di dire, propositi, dopo la conversazione con Miki, mi diressi alla ricerca della direttrice. Sebbene fosse già pomeriggio, la sua diligenza, la portava, da sempre, a chiudere le porte del liceo insieme ai suoi colleghi o addetti. Così, con grande determinazione scesi le scale e mi recai dinanzi la porta del suo ufficio. Bussai. 

«Avanti!» mi rispose la voce autorevole della vecchia. Spinsi la porta ed entrai, senza accomodarmi o salutare arrivai dritta al punto che più m'interessava. Odiavo avere ansia o noie, volevo ottenere tutto ciò che desideravo subito.

«La signorina Micaela Rossi, durante l'attività dei club, mi ha mancata di rispetto. Ha abbandonato l'aula prima del termine delle lezioni senza il mio permesso, e come se non bastasse -nel poco tempo dove era presente- si è presa il lusso d'insultarmi e rispondermi. Esigo dei provvedimenti nei suoi confronti!» terminai con un sorriso che la sapeva lunga.

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MIKI

Avvertii zia Kate che avrei ritardato il mio rientro a casa. La chiamai, non le raccontai tutta la verità, non mi andava di avere altri battibecchi con lei, così fui costretta a mentire. Le comunicai che avrei girovagato tra i negozi in centro insieme a Rosalya. Una bugia a fin di bene.

Kate ed Adelaide erano come il Ketchup e la torta di mele, due mondi totalmente contrapposti.

L'una odiava l'altra, i motivi erano facilmente comprensibili, anzi no, il motivo era piuttosto comprensibile: Isaac. Solo con il pensare il suo nome mi si formava un nodo allo stomaco, sentivo i nervi partire dalle dita dei piedi e finire alla punta più in alto del corpo, la testa. Erano difficili da descrivere le sensazioni negative che quell'uomo mi faceva provare. Si era comportato da essere umano senza attributi, aveva avuto troppi comportamenti negativi. Io non ero nessuno per giudicare, non ero perfetta, ma ero legittimata a scegliere di non intraprendere alcun tipo di rapporto con lui. Sebbene ci fossero buone possibilità che lui divenisse il mio futuro zio acquisito, era più forte di me. Non lo sopportavo. L'unica nostra conversazione era avvenuta a Natale, quella che mi aveva portato ufficialmente a detestarlo. Non aveva neanche avuto il coraggio di avvertire Castiel dei pasticci combinati, aveva fatto di tutto per allontanare la madre dal figlio, era stato geloso di lui sin dalla nascita. Che tipo di uomo poteva essere un individuo del genere? Aveva persino avuto la premura di aizzare le due donne -più importanti della sua vita- l'una contro l'altra. A zia Kate aveva svelato che Adelaide sparlasse di lei, che la definisse una poco di buono e stessa cosa aveva fatto con Adelaide confessando che Kate la definisse con termini poco carini. Io, avendo vissuto la situazione dall'esterno e potendo sentire entrambe le campane, avevo intuito sin da subito il gioco dell'uomo. Avevo provato a rivelarlo ad entrambe le Signore, ma quest'ultime erano convinte che il mio giudizio non contava perché condizionato da una bassa stima nei confronti di Isaac. Convinte loro...

Mentre la mente si auto-lesionava riflettendo su quell'uomo stronzo, ero in procinto di recarmi all'appuntamento con la mamma del ragazzo per cui avevo perso la testa, nonché ex moglie del nuovo partner di zia Kate. L'uomo in questione era, tra l'altro, il padre di Castiel. Quindi visto e considerato che, in un certo senso, Adelaide e Kate erano rivali, fui costretta a mentire a zia per evitare ulteriori dissapori tra le due donne. Eh già... Bel casino!

Ero appena salita sull'autobus quando ancora ero intenta a fare i resoconti sulla mia vita incasinata. L'autobus era nuovo, al contrario di come invece, erano quelli di Roma scarabocchiati e malridotti. Andai affianco all'autista per chiedere a quale fermata si trovasse il bar del mio appuntamento, e dopo essermi rassicurata che mi avrebbe avvertita lui quando scendere, mi sedetti su un sedile. Come tutti gli autobus del mondo, anche questo, aveva dei sedili doppi e singoli, io mi sedetti in uno singolo.

Alla fermata dopo quella del Dolce Amoris (la fermata dove ero salita), salirono un ragazzo ed una ragazza. Su per giù avevano una ventina d'anni ciascuno, erano innamorati. Si sedettero davanti a me, nei posti doppi. Si cominciarono a baciare. A vedere quella scena, il cuore mi batté all'impazzata, la mente andò ancora una volta a lui, a come sarebbe stata la scena del nostro viaggio su quel mezzo pubblico...

Così, poggiai la testa sul vetro del finestrino e guardando la strada indietreggiare sotto le ruote enormi di quel mezzo, cominciai ad immaginarlo; Di nuovo... Era la seconda volta in una giornata. Stavo per divenire un caso perso.

L'autobus era pieno, strapieno. C'era solamente un posto vuoto, tutti gli altri occupati da passeggeri di età varie. Senza capire cosa avrebbe fatto, Castiel -tenendomi per mano- mi trascinò verso quel posto. Arrivati a destinazione, si voltò verso me, strizzò l'occhio destro e con una delle sue tipiche smorfie si sedette.

Per un attimo stesi il muso, pensando che avesse preferito fare il solito spaccone piuttosto che il galantuomo cedendo il posto alla sottoscritta; pensando che avesse pensato solo a se stesso. E invece...

Stendendo il braccio in avanti, mi sfiorò i fianchi e sollevandomi mi poggiò sulle sue gambe facendomi sedere su di lui. Nonostante stessimo insieme da ormai tre anni, provavo le stesse emozioni del primo giorno. C'era chi diceva che l'amore si dimostra soltanto nei primi mesi di fidanzamento, ma per me non era stato così. C'era chi diceva che prima o poi mi sarei abituata a lui, ai suoi gesti, ai suoi occhi, alle sue labbra, al suo fisico, ma per me non era stato così.

Perché per me, baciarlo, accarezzarlo, toccarlo era sempre stato come sentire una sensazione nuova mai provata prima; e tutto era come il primo giorno... Fare l'amore con lui, ogni giorno, era come la prima volta, fare la doccia insieme era, ogni giorno, come la prima volta e anche in quel momento, prendere l'autobus insieme era come prenderlo per la prima volta.

Per ringraziarlo di quel gesto inaspettato, poggiai le mani sul suo collo, e spingendo la sua testa verso la mia lo baciai appassionatamente.

Non c'importava della gente, non c'importava di chi ci potesse giudicare; il nostro amore era espansivo, pieno di gesti d'affetto, di contatti fisici. Noi eravamo quelli, prendevamo fuoco non appena l'uno sfiorava l'altra. Quando la sua lingua si fece spazio nella mia bocca, l'accolsi senza titubanza, ancora, dopo mille baci. Provai le stesse emozioni del nostro primo bacio, quello nello stanzino dei bidelli. Subito le farfalle si fecero spazio per svolazzare nel mio stomaco, il cuore batté fortissimo... tutto, tutto era come la prima volta.

«Signorina, è qui il Café de Flore. È stata fortunata che proprio qui di fronte hanno costruito una fermata di recente. Altrimenti avrebbe dovuto percorrere quasi un chilometro a piedi per arrivarci», e menomale che Adelaide aveva detto fosse vicino al mio liceo. A quanto parve il suo senso di orientamento era peggio del mio. 

La voce dell'autista aveva interrotto la mia fuga romantica con il cervello. Dovetti ammettere avessi sviluppato molta fantasia dopo l'arrivo a Parigi. Quella città mi aveva resa romantica, non per nulla era definita da tutti come "la città dell'amore". Ma in realtà per quanto mi piacesse scaricare le colpe -per il mio cambiamento- a quella città, per non ammettere quanto fossi in uno stadio avanzato con i sentimenti per lui, in cuor mio sapevo che i cambiamenti della mia personalità erano dovuti a quella persona. Castiel, senza volerlo, senza saperlo, mi aveva cambiata, mi era entrato dentro il cuore senza che neppure io volessi. E, per me, non ci sarebbe più stata possibilità di ritorno. 

«S-sì grazie mille! Arrivederci, allora» 

Forse ero stata parecchi secondi in silenzio come se fossi stata in uno stadio transitorio di shock.. Come se mi fosse accaduto qualcosa di entusiasmante. L'autista di sicuro aveva pensato fossi pazza, viste le occhiate che mi lanciò prima che abbandonassi quel mezzo di trasporto. 

Ma non potevo farci niente; Castiel faceva quest'effetto. Mi mandava il cervello in fumo, mi faceva bruciare il cuore, infiammava tutta me stessa lasciandomi senza via di fuga.

Scusandomi per l'attesa creata a tutti i passeggeri, scesi dall'autobus. Mi ritrovai subito difronte un'insegna enorme e bianca con su scritto, in corsivo "Café de Flore"Il bar era ad angolo, situato in un palazzo che prendeva due lati. Restai impietrita dinanzi alla maestosità di quel palazzo. Dopo aver squadrato ogni dettaglio abbassai lo sguardo e davanti a me si presentò una figura simile a quella di Adelaide.

"Aspetta un attimo, ma quella è, Adelaide!"

Corrugai le sopracciglia, mi strofinai gli occhi con le mani, la donna che mi si era presentata davanti non era la stessa conosciuta durante il pranzo di Natale. La donna difronte a me era trasandata, senza trucco e con i capelli spettinati, la riconobbi a stento solo dopo averle guardato affondo gli occhi. Indossava una giacca lunga e beige, delle scarpe sportive e dei pantaloni da tuta.

Fui in dubbio fino all'ultimo, non mi spostai di un millimetro per cercare di capire se quella donna fosse realmente lei o meno, ma ne fui finalmente certa quando si recò a salutarmi. Mi diede due baci sulla guancia, prima sulla sinistra poi sulla destra. Non sorrideva. La donna che avevo conosciuto un mese prima invece sì, e molto anche. L'avevo ammirata per la forza, per la determinazione che aveva dimostrato dopo il tradimento di Isaac, e vedere che forse, quella, era stata solo apparenza, mi fece rabbrividire. Lei si accorse delle mie occhiate indagatrici, ma fece finta di non notarle, non mi diede spiegazioni, non spiccicò parola e solamente con l'uso dei gesti m'invitò ad entrare nel bar.

Osservai i suoi suggerimenti, aprì la porta spessa e pesante del café e fece entrare prima me. Una volta dentro mi ritrovai in un posto molto accogliente. La parete che coincideva con l'entrata era interamente di vetro, mentre il resto di legno. Dappertutto s'intravedevano dei tavolini rotondi, piccoli e verdi che potevano contenere al massimo tre persone ciascuno. Intorno ai tavoli, delle poltrone in vimini rendevano l'atmosfera intima, come se ci trovassimo in un giardino di casa.

Adelaide mi fece strada, ci accomodammo in uno dei tavolini più appartati. In tutto il tragitto non avevo smesso di guardare il suo volto. Trasmetteva molta ansia, timore, preoccupazione, e da quegli sguardi cominciai a preoccuparmi. Sembrava di dovermi confessare qualcosa di davvero serio. Prima di arrivare a quel fatidico appuntamento avevo calcolato tante ipotesi, avevo cercato di capire cosa dovesse dirmi Adelaide di così importante da convocarmi all'improvviso. Avevo immaginato potesse essere a causa di Castiel, e quindi per il suo rapporto conflittuale con il figlio. Oppure avevo pensato potesse essere per Debrah, per cercare di eliminarla una volta per tutte. Poi, visti i discorsi di qualche ora prima usciti dalla bocca di Castiel, avevo immaginato che il suo invito al bar potesse trattare di quel segreto che sembrava nascondere Debrah. Delle tre opzioni pensate, forse l'ultima poteva avvicinarsi alle sensazioni che mi stava trasmettendo quella donna con il suo volto. Ma allora cosa aveva fatto Debrah di così grave? A quanto parve lo avrei scoperto da lì a poco. 

Trascorse qualche secondo in silenzio, poi con un sospiro si fece coraggio; afferrò le mie mani e le trascinò verso le sue. Le strinse come per darmi forza e nello stesso tempo prendersene un po' anche lei.

«Ecco, vedi.. il mio rapporto con Castiel non è più lo stesso da quando Debrah è rientrata nella sua vita. Sapevo sarebbe andata così, per questo ero così in pensiero quando sono venuta a conoscenza del suo ritorno. E dire che avevo ripreso ad avere un rapporto decente con lui solo da un annetto; e ora... Non so più come parlare a mio figlio, dovrei raccontargli molte cose, ma quando provo a farlo, lui non vuole sentire ragione», sospirò. 

Finalmente si era decisa a parlare. Quella che stava uscendo dalla mamma di Castiel era una voce disperata, una voce senza alcuna speranza. Non era più la stessa voce di una donna forte e determinata. Le emozioni del suo cuore erano mutate. 

Volevo chiarezza senza stare troppo sulle spine. Volevo sapere se il suo rapporto con Castiel fosse l'argomento che le aveva spento gli occhi, quello che l'aveva spinta a chiamarmi d'urgenza. 

Però non feci in tempo a chiederle delucidazioni perché giunse verso di noi un cameriere in un uniforme molto formale. 

«Cosa gradiscono le Signore?» ci chiese cordialmente.

«Per me una cioccolata calda, grazie. E tu Miki, cosa prendi?» mi chiese a sua volta Adelaide.

«Anche per me una cioccolata calda. Grazie!»

Se c'era una bevanda calda d'eccellenza, per me era la cioccolata calda. Era buona, riscaldava e riempiva i cuori. Era un dato di fatto in tutto il mondo: "la cioccolata è un ottimo anti depressivo". Era vero. E sperai fino all'ultimo che quel pomeriggio potesse tirare su il morale anche alla donna dinanzi a me. Ma ancora non sapevo quanto invece avesse tutte le ragioni per sentirsi distrutta e triste. 

-

DEBRAH

«Ecco... Avevo pensato ad esempio di annullare il viaggio a Roma come giusta punizione, o magari ad espellerla definitivamente dal club di musica, o ancora a delle ore di lavoro pomeridiano forzato presso il nostro istituto. Merita una punizione esemplare per come mi ha mancata di rispetto!» proposi qualche idea alla direttrice. 

Il mio piano sarebbe funzionato, ne ero sicura. 

Con le mie parole, notai dal suo sguardo, che però la preside s'innervosì. Si tolse gli occhiali dal volto e gesticolando con quelli ancora tra le mani, cominciò a rimproverarmi ingiustamente.

«Mi faccia capire signorina Duval, lei è qui solamente da un giorno in veste di assistente e si permette il lusso di proporre punizioni?! Se mi conoscesse bene saprebbe che io non prendo ordini da nessuno! Ora vada, vada... Torni a casa, di sicuro avrà compiti più interessanti da svolgere piuttosto che giocare a fare la preside del mio liceo!»

Anche la preside era contro di me. Tutto il mondo quel pomeriggio parve essere contro di me. Non poteva essere vero. Ed io non potevo crederci. Uscii da quella stanza sconfitta, inizialmente mi tirai un ceffone in volto per capire se quello che stava accadendo fosse realtà o finzione. Pensavo di star dormendo. Ma a giudicare dal bruciore che sentii sulle guance, giudicai tutto come vero.

Miki era la più amata, Miki era protetta da tutti, da chiunque, non c'era modo di sferrarle un colpo basso. Maledetta ragazzina!

A quel punto avrei dovuto architettare un ulteriore piano che la rendesse ridicola o meno interessante agli occhi di Castiel. 

Trascorso qualche minuto a passeggiare nervosamente tra i corridoi della scuola, trovai un piano infallibile. In quel modo ogni cosa sarebbe tornata al suo posto. Io sarei tornata ad essere al centro dei pensieri di Castiel, al centro dei pensieri dell'intero liceo. 

Grazie alla mia nuova idea, Miki non avrebbe avuto giorni facili e felici a Roma. Non avrebbe avuto la sua fuga romantica con il mio ragazzo. Quella ragazza aveva tentato di rubarmi la scena sin troppe volte, ma soprattutto pretendeva di volere ciò che era già mio da molto tempo prima. Lei non l'avrebbe avuta vinta. Perché è Debrah Duval a vincere ogni guerra, sempre!

-

MIKI

«Non farmi venire ansia, non girarci intorno. Dimmi cosa succede, Adelaide...» fui schietta e quasi supplichevole. 

A giudicare dal suo aspetto non mi parve che l'unico motivo della sua richiesta urgente di parlarmi fosse il rapporto conflittuale con il figlio. Avevo l'impressione ci fosse qualcosa di grosso, sotto. Sperai di sbagliarmi. 

«Sì ora ci arrivo, perdonami. Sai, non è facile per me parlarne...» abbassò lo sguardo sulle nostre mani ancora legate «Potrò sembrarti addirittura pazza dopo averti confessato ciò che sto per dirti. Insomma, nessuno oltre te saprà questa cosa... E alla fin dei conti ci conosciamo da poco, non abbiamo legami, non sei neanche la ragazza di mio figlio...»

Adelaide affrontò la questione girandoci intorno. Il tono della sua voce oscillava, fremeva, come se avesse paura a raccontarmi quella verità. Avevo percepito tutta la sua angoscia e mi sentivo morire dall'ansia. Bramavo per scoprire quella maledetta verità.

«L-la verità è c-che non so con chi altro parlare di questa situazione così delicata. Tu hai un cuore buono, Castiel sembra farsi ragionare da te; anzi sei l'unica a poterlo avvicinare in questi mesi. Inoltre so che per lui faresti qualsiasi cosa», si zittì improvvisamente.

Nessuno mai prima di quel pomeriggio, aveva associato il mio cuore all'aggettivo buono. Lei era stata la prima. Appena, poi, fece il nome di Castiel le palpitazioni presero il sopravvento. Non udivo più il mio fiato, sentivo solo il rumore dei battiti del mio cuore. Non capivo come e quando fossi arrivata a quello stato. La mia infatuazione per quel ragazzo era cresciuta a vista d'occhio nonostante avesse una ragazza. Non sarebbe dovuto accadere. 

«Ecco a voi», fece irruzione il cameriere che su un vassoio portò due tazze colme di cioccolata calda fumante. 

Le poggiò sul tavolo, una davanti a me e l'altra dinanzi ad Adelaide, poi ci lasciò di nuovo sole. Le tazze erano bianche, al centro portavano il marchio di quel locale. Café de Flore, il nome di quel posto non mi suonò nuovo, eppure non ci ero mai stata lì di questo ne ero più che sicura.

Per spezzare un po' la tensione cambiai temporaneamente discorso, «perché mi sembra di conoscere questo posto sebbene sia sicura di non esserci mai stata qui, prima di oggi?!»

«Beh... Questo era un posto frequentato da Picasso. Inoltre ci sono molti dipinti che raffigurano il locale. È un bar storico; pensa, è stato aperto nel lontano 1887. Ha ispirato un romanzo, c'è un film con questo nome. Insomma hai potuto sentirne parlare in molti ambiti, magari per questo non ti è nuovo!» mi rispose la donna, molto ferrata sull'argomento. 

«WOW! Sicuramente ne avrò sentito parlare per questo, allora!» le sorrisi.

Passò qualche minuto, la tensione poteva essere tagliata con un coltello, mentre lei non si decideva a concludere il discorso. Si limitava solo a soffiare sulla bevanda bollente. Ed io stavo per essere divorata dall'ansia. 

«Adelaide ti supplico, dimmi cosa ti è successo...» non ne potevo più, risultai esasperata dalla voce, ma era la verità. Volevo sapere cos'altro fosse accaduto.

Quell'attesa era diventata straziante.

Percependo la mia tensione mista ad esasperazione, la donna continuando a soffiare sulla cioccolata calda per farla raffreddare, finalmente parlò ed il mio mondo si bloccò dinanzi a quella frase.

«Ho un cancro!» mi confidò cruda, con un filo di voce, senza riuscire a guardarmi negli occhi. 

Ed il mio mondo inaspettatamente si bloccò dinanzi a quell'amara confessione. Non potevo crederci. Non volevo. 

«D-dove?» mi si spezzò la voce nel chiederle quella domanda difficile.

«Al fegato!»

Improvvisamente sentii un peso al centro del corpo, tra stomaco e pancia.

Per un attimo i battiti del cuore si fermarono, il fiato si affievolì.

Le mani cominciarono a tremare.

Non sapevo cosa risponderle, cosa dirle, come consolarla. Il mondo, la vita era bastarda.

«L'ho scoperto qualche giorno fa, dopo una visita oncologica. Da qualche mese continuavo ad avere dolori lancinanti alla pancia, il medico mi ha consigliato di effettuare dell'ecografie per precauzione ed ecco cosa ho scoperto...» si mostrò il luogo del suo male.

In famiglia non avevo mai avuto casi simili, o con quelle malattie, ma in TV tra un programma e l'altro avevo sentito parlare spesso di quel tipo di malattia. Negli ultimi anni, i dottori sostenevano che il tasso dei tumori fosse aumentato a causa di sostanze inquinanti nell'aria, cibi di scarsa qualità e l'elevato stress. Quella malattia invasiva e con poche possibilità di scampo veniva definita da molti esperti, il male del secolo. E come dar loro torto? I casi di gente colpita crescevano ogni giorno di più.

Il cancro era una malattia di varie entità, chi era fortunato -per modo di dire- lo aveva benigno, e quindi facilmente operabile e guaribile. Quello tremendo invece era il maligno. Quest'ultimo consumava le cellule buone, poteva essere operabile in alcuni casi, ma doveva essere sconfitto con la chemioterapia o radioterapia. Entrambe erano devastanti, soprattutto per una donna. 

«È operabile?» le chiesi con un filo di voce. Sapevo di non essere di conforto in quel momento, ma quella confessione mi aveva completamente spiazzata, non avrei mai immaginato una svolta del genere per quella chiacchierata. 

«Mi hanno garantito di sì. Sarà un'operazione abbastanza difficoltosa, ce l'ho da qualche anno e per questo motivo si è ingrandito nel tempo. I medici mi hanno detto, per farmi capire, che il cancro ha dormito per tutti questi anni ed ora che si è risvegliato mi provoca tutti questi dolori. Mi hanno spiegato tutto perché io ho voluto sapere. C'è il rischio che durante l'operazione si espandano delle cellule che poi potrebbero intaccare altri organi e provocare ulteriori tumori, ma se non effettuo l'operazione rischierei di morire ugualmente tra qualche anno o forse tra qualche mese, chissà... quindi meglio tentare di salvarsi che lasciarsi morire prima del tempo, no?!»

Parlò tenendo il volto basso e sorseggiando la cioccolata di tanto in tanto; ma a differenza di poco prima, nella sua voce non si poté percepire alcuna emozione. La sua disperazione, parlando, sembrava essersi rassegnata... ma la mia no!

Inevitabilmente tutta la mia tensione, la mia paura per ciò che le sarebbe potuto accadere sfociò in un pianto. Sapevo bene che quel gesto l'avrebbe mortificata, ma non riuscii a trattenermi. Quello che mi era appena stato descritto era un problema troppo grande da affrontare, più grande di me, più grande di Castiel e persino più grande di Adelaide. Ed io avevo solo sedici anni, mi sentii impotente. Più pensavo al modo di risolvere quella situazione, più mi sentivo impedita mentalmente, psicologicamente. Avrei fatto ricerche su internet, contattato i migliori medici specializzati per aiutarla. Dovevo farlo, dovevo sbrigarmi prima che potesse essere troppo tardi.

Le mie lacrime furono per Castiel, perché il sol pensiero che anche lui avrebbe potuto perdere la figura materna mi straziò l'anima. Inevitabilmente tornai indietro negli anni, a quando anch'io avevo perso la mia. Sì, era stato per cause diverse, la mia era fuggita, probabilmente ancora viva e vegeta, ma tutta quella storia era assurda e schifosa. Adelaide aveva sbagliato in passato, ma necessitava del tempo per rimediare ai suoi errori. Era finalmente disposta a donare tutto l'amore che non era stata capace di dare precedentemente al figlio.. Ma la vita era stata bastarda. Avrebbe rischiato di morire con il rimorso di non esser riuscita a fare il genitore. Invece, Teresa, la mia presunta madre, senza malattia alcuna aveva preferito fuggire da me, diretta chissà dove con un altro uomo. Si era creata un'altra famiglia, probabilmente, dimenticandosi di sua figlia. Il Signore dà il pane a chi non ha i denti, era un dato di fatto quel detto. 

La vita era così ingiusta, il destino era così codardo... ma non poteva finire così. Non quella volta; non l'avrei permesso. Adelaide doveva lottare, Adelaide doveva sconfiggere quel male, Adelaide doveva vedere suo figlio sposarsi, sarebbe dovuta diventare nonna, Adelaide aveva ancora una vita davanti. Era giovane, non poteva lasciare questo mondo per nessuna ragione. C'era ancora bisogno di lei, tra i vivi. Lei sarebbe guarita sì, ed io l'avrei aiutata a farlo.

Con i miei nuovi ed inaspettati obiettivi per l'imminente futuro, mi asciugai le lacrime, mi alzai dalla poltrona e mi recai affianco ad Adelaide. Le presi la mano e gliela strinsi, finalmente mi decisi di darle forza.

«Hai tante persone che tengono a te; devi farcela per loro, per te. Il giorno dell'operazione saremo tutti lì insieme, pronti a sostenerti, ad aiutare a rialzarti quando scivolerai. Insieme ce la faremo, vedrai!»

Dopo le mie parole sollevò il volto e notai i suoi occhi lucidi. Parve che non fui così convincente come immaginavo. Non le avevo diffuso forza.

«Ci sono altre cose che devo dirti. Mettiti comoda!»

Feci come mi diceva, tornai al mio posto ed iniziai a sorseggiare lentamente la mia cioccolata. Fino a quel momento non mi ero accorta delle lacrime di Adelaide. I lunghi capelli rossi e spettinati le avevano coperto il volto ed io da grande ingenua qual ero, non mi accorsi delle gocce cadute dai suoi occhi. A giudicare dagli occhi arrossati, intuii che avesse pianto per tutto il tempo.

«Mi sento sola; mi sento terribilmente sola in questo momento, Miki. Ed ho così paura.. Ho paura di morire, caspita!» il battito del cuore mi si fermò dinanzi alle sue parole crude.

Provai a farmi forza, a non scoppiare nuovamente in lacrime, non avrei potuto. Non avrebbe fatto bene ad Adelaide vedermi piagnucolare. 

«No, no.. stai tranquilla», le carezzai il braccio che aveva poggiato sul tavolo «Tu non sei e non sarai mai sola. Dopo aver raccontato la verità, in molti ti aiuteranno, vedrai. C'è Castiel, Bruno, ci sono io.» le elencai tutte le persone che le stavano intorno senza menzionare, volutamente, né Isaac e né zia Kate.

«Touché Bruno. Sì certo, come no...» commentò con una risata sarcastica.

«Come no? Bruno ti aiuterà. Perché non dovrebbe? A proposito lui sa già qualcosa?» le chiesi ingenuamente.

«Possibile che ancora nessuno l'abbia capito?» roteò gli occhi al cielo «Bruno era un attore che ho pagato per mostrare ad Isaac di essere felice e serena anche senza di lui! Nessuno vuole una come me, tant'è che ho dovuto pagare per avere un compagno».

"Eh no però... il mio cuore non può sopportare tutte queste novità in un colpo solo". 

L'ennesima confessione di Adelaide nel giro di mezz'ora, colpì un'altra volta il mio cuore. Zia Kate aveva rovinato la vita ad una famiglia e quel gesto estremo compiuto dalla donna seduta difronte a me, lo testimoniava. Affittare un uomo era un gesto estremo, dava la prova di quanto Adelaide si sentisse sola ed abbandonata da tutti gli uomini più importanti della sua vita. Se una fetta abbondante di torta andasse ad Isaac, l'altra fetta poco meno piccola andava decisamente a Castiel. La madre stava cercando in tutti i modi di recuperare il tempo perso con lui, ma il rosso non gliene aveva dato modo orgoglioso com'era. E stava sbagliando.

Compativo quella donna eppure non riuscivo a spiccicare parola. Ero rimasta pietrificata.

«Ed ora ecco arrivato il pilastro della conversazione. Avrei estremo bisogno del tuo aiuto..»

«Ma certo, dimmi pure. Farò tutto il possibile».

«Potresti svelare della mia malattia a Castiel? Non riesco a rivelargli una cosa del genere, non ho il coraggio di guardarlo in volto. Inoltre non mi rivolge la parola, e quando lo fa è solo perché non può farne a meno. Non saprei come potergli dire questa cosa... Castiel fa il duro con chiunque, ma in realtà è più fragile di quanto tu possa immaginare.»

Sebbene la situazione fosse drammatica, involontariamente, appena parlò di Castiel, mi s'illuminarono gli occhi e sulle labbra mi spuntò il tipico sorriso da ebete sognante. Quando mi accorsi di esser stata troppo esplicita con i gesti, socchiusi gli occhi e scossi la testa in segno di errore.

«No, Miki, no. Non hai sbagliato. La spontaneità è il lato più bello che può avere una ragazza della tua età. So cosa provi per mio figlio e sono sicura che prima o poi se ne accorgerà anche lui. Non potete far altro che finire insieme, voi due» mi strizzò l'occhio finendo per farmi arrossire.

Ad un tratto la negatività sparì dagli occhi di Adelaide, sembrava fosse stato proprio a causa della mia reazione nel sentir parlare del figlio. Le si lesse negli occhi grande forza e voglia di vivere, quella che avrebbe dovuto avere chiunque si trovava a lottare tra la vita e la morte.

Non risposi alle sue insinuazioni su un'ipotetica tresca tra me ed il figlio, ma la rassicurai per altro. «Appena troverò il momento adatto per dire la verità a Castiel, lo farò. Voglio esserti utile per qualcosa, almeno».

Non m'importò se al momento della confessione avrebbe reagito malamente, se mi avrebbe mandata a farmi benedire, se mi avrebbe detto di non immischiarmi nella sua vita.. Perché se l'avesse fatto, mi sarei lasciata scivolare ogni cosa per una causa giusta. 

«Grazie!» le partì un ringraziamento sincero, non solo con la bocca ma anche con il cuore, gli occhi e l'anima.

Dopo quelle confessioni, Adelaide si sentì sollevata. Non aveva rivelato a nessun altro della sua malattia, io ero stata la prima. Mi sentii incredibilmente lusingata sebbene inquieta. Aveva bisogno di sfogarsi, di sentirsi dire che non avrebbe affrontato quel male in solitudine, ma che con lei ci sarei stata io e di sicuro anche Castiel ed io risultai essere di ottimo aiuto, per fortuna.

Quando l'ultimo goccio di cioccolata toccò le nostre bocche, Adelaide apparì una persona nuova, o meglio simile alla donna conosciuta al pranzo di Natale. 

Continuammo a chiacchierare per tutto il pomeriggio, fin quando l'orologio segnò le diciotto e trenta. 

«Grazie per questo pomeriggio, necessitavo di sorridere un po'» mi confessò prima di lasciarmi andare alla fermata dell'autobus.

«Non ringraziarmi, è il minimo. Nonostante la nostra breve conoscenza io ci tengo a te, sei un'amica. E le amiche si vedono nel momento del bisogno, no?! Non esitarmi a chiamare, per qualsiasi cosa correrò da te. Vedrai, insieme il peso da portare sarà più leggero. Insieme ce la faremo!»

Rispose con un abbraccio forte e un bacio sulla guancia, dopodiché scomparve dietro quel bar ad angolo.

-

Il giorno seguente a scuola venni convocata dalla preside nel suo ufficio, quella volta senza Castiel. Immaginavo già cosa mi sarebbe spettato, Debrah quasi sicuramente era corsa da lei ad accusarmi.

Camminai lungo il corridoio percorrendo per l'ennesima volta quel tragitto. Sapere che quella mattina sarei stata da sola con la preside, senza alcuna compagnia, mi fece un certo effetto. Solitamente ero rasserenata dal fatto che insieme a me ci fosse il rosso. Quando c'era lui vicino a me, mi sentivo quasi protetta, come se non mi potesse accadere niente di così grave neanche se la natura delle mie convocazioni fosse colpa sua. 

Per la centesima volta mi ritrovai dinanzi quella porta, per la millesima volta ci bussai e per l'ennesima volta la preside rispose con un "avanti". Entrai e senza far passare alla battuta seguente, la preside, mi accomodai su una delle due sedie difronte alla sua scrivania. Involontariamente guardai la sedia vuota, chiusi gli occhi e m'immaginai Castiel accanto a me. Le farfalle nello stomaco mi rassicurarono.. dopo averlo pensato mi sentii a mio agio.

«Signorina Rossi, sono stata informata dei disturbi provocati da lei nel club di musica. C'è stato ancora un sol giorno di lezione, com'è possibile?»

«Posso sapere cosa le ha riferito la signorina Duval?» fui schietta e diretta. Non mi servivano giri di parole, volevo sapere cosa mi spettava e subito.

«Chi le ha detto che è stata lei ad accusarla?»

«Nessuno, in realtà. Lei non vede l'ora di farmi espellere da quel club. Vuole rendermi la vita difficile, allontanarmi da Castiel. Sbaglio o le ha per caso detto che le torturo la vita, che sono gelosa di lei e voglio a tutti i costi rubarle il ragazzo?»affermai sarcasticamente sicura di aver indovinato.

«Esatto. E lei ammette di aver avuto quest'intenzione?» fu sorpresa, la direttrice per la veggente presente in me. 

«A scuola bisognerebbe essere puniti per i comportamenti indisciplinati, non per fatti di vita personale. Quindi non credo abbiano importanza le allusioni della signorina Duval!»

«Infatti lei sarà punita per aver abbandonato l'aula senza permesso e per aver aizzato contro una mia assistente, non perché entrambe vi contendete quel mascalzone di Black», puntualizzò la donna paffuta.

«Benissimo! Quindi non ha alcun bisogno di conoscere anche la mia versione della storia, tanto entrambe sappiamo che crederà ugualmente alla sua assistente invece che a me.» M'innervosii leggermente. 

Non aveva senso che mi facesse delle domande con risposte già scontate. Come aveva sostenuto anche Debrah, la preside avrebbe creduto a lei: un'assistente, una cantante, non a me semplice studentessa con media discreta.

«Signorina Rossi, lei è sospesa dall'attività dei club per un mese a partire da oggi. Durante le ore pomeridiane, in sostituzione del club di musica, aiuterà l'impresa di pulizia a mettere in ordine il liceo».

Un mese di attività sospesa era parecchio, ma sicuramente meglio di non poter partire per Roma. Sebbene non volessi tornare nella mia città, passare del tempo da sola con il rosso, era divenuto di estrema importanza. 

«Partirò ugualmente per Roma, quindi?» in fondo era quello il mio interesse principale.

«Sì, anche lei parteciperà a quel viaggio. È già stata organizzata e prenotata ogni cosa a suo nome, non possiamo permetterci di annullare e sperperare così il denaro».

Da quel momento in poi nella mia mente s'inceppò un disco che continuò a ripetere ininterrottamente le solite quattro parole. Miki. Castiel. Roma. Una settimana. 

-

NATHANIEL

Puntuale come un orologio svizzero suonai a casa Rossi.. e Miki ritardataria, come l'orologio di un autobus, non era ancora pronta. Mentre l'attendevo con ansia ripensai alla precedente volta in cui mi ritrovai ad aspettarla nello stesso punto e nella stessa posizione, la notte della vigilia di Natale. La sera del ballo, giorno da dimenticare quello. 

Ma quella sera Miki -la ragazza dei sogni di ogni notte- sarebbe stata mia per un'intera serata, pensare al passato non sarebbe stato necessario. Nè Ciak e né Castiel l'avrebbero potuta distrarre da me. Lei avrebbe avuto occhi e orecchie solo per me. Ero emozionato, perché pronto a raccontarle ogni cosa sulla mia vita, pronto a spiegarle il motivo dei miei comportamenti scostanti. Lei avrebbe saputo tutto senza nascondigli. Nessuno conosceva il motivo della mia severità per quei principi di castità autoimposti. Nel corso degli anni avevo creato un muro, nel quale nessuno poteva spiare oltre quei pochi buchi tralasciati. Dover abbattere quel muro completamente mi fece sentire indifeso, particolarmente in ansia; per nessuna prima di quel giorno c'era stata la necessità di distruggere la mia corazza. Per lei però l'avrei fatto. Se avessi voluto avere qualche possibilità in più con Miki, avrei dovuto gettare nel fiume ogni maschera, solo in quel modo lei mi avrebbe compreso, avrebbe potuto scegliermi. Quella ragazza mi piaceva, mi attraeva davvero tanto, avrei fatto di tutto pur di conquistarla. 

Quando apparve davanti ai miei occhi come una visione, ogni ansia scomparve.

La vidi scendere ancora una volta da quella scala, aveva un portamento da modella non sarei rimasto per niente scandalizzato se qualche noto stilista, un giorno, l'avrebbe scelta per entrare nel suo team. Era bella da togliere il fiato. Aveva i capelli poggiati, tutti, sul lato destro del collo, erano ondulati e di quel colore particolare che le permetteva di distinguersi da tutte le altre. La ragazza dai capelli ramati. 

Indossava un vestitino corto sopra le ginocchia. Era rosso e nero. Stranamente dal solito era semplice. La parte superiore era nera, poco scollata ed a maniche lunghe. Dalla vita in giù era rosso con una stoffa ondulata sul fondo schiena. Quella sera non era il vestito, non era il suo corpo a notarsi maggiormente, ma era il suo viso.

Il viso emetteva una luce diversa, negli occhi le si leggeva tristezza, come se le fosse accaduto qualcosa di terribile. 

Sarei tanto voluto essere la sua medicina, ma in cuor mio già all'epoca sapevo che quel posto fosse, da tempo, occupato da qualcun altro. 

-

MIKI

Se non avessi promesso a Nathaniel una cena per chiarire, quella sera sarei rimasta chiusa in camera a deprimermi con canzoni sdolcinate. Avevo bisogno di riflettere, pensare e ancora pensare. Castiel e la sua famiglia avevano bisogno del mio aiuto. Avrei dovuto pensare ad un modo per dire al rosso la verità, quell'amara verità che l'avrebbe spiazzato e che probabilmente gli avrebbe cambiato la vita per sempre. Non sapevo come affrontare l'argomento e soprattutto quando trovare il momento giusto. Quel mercoledì sera sarebbe dovuto essere rilassante per me, ma non riuscivo proprio a stare tranquilla. La malattia di Adelaide era arrivata troppo in fretta e mi aveva sconvolto totalmente. Iniziai a pregare affinché potesse guarire. Una disgrazia del genere sarebbe stata impossibile da sopportare. Non di nuovo, non proprio quando avevo trovato una confidente, una persona per cui valesse la pena essere amica. Maledizione, quella donna non meritava un destino del genere!

Forse anche Nathaniel si accorse della tristezza trapelata dai miei occhi. Mi guardava attonito, ed oltre ai sorrisi ancora non avevamo spiccicato parola. Ci eravamo salutati, eravamo entrati nel taxi che ci avrebbe portati al ristorante e niente più. Sembrò un po' deluso dal mio umore, ma non poteva sapere cosa avessi dentro. 

Per evitare di comportarmi come la solita stronza spezzai il ghiaccio. 

«Allora... Dove mi porterai questa sera?»

Alle mie parole tirò un sospiro di sollievo, finalmente gli avevo dato un minimo d'importanza. Sorrise con tutti i denti che si ritrovava «Restaurant à la musique!»

"Che??? Ho sentito bene? Coglione che non è altro. Quello è il cazzo di ristorante di Debrah. Ma come cazzo si è permesso a portarmi nel territorio nemico?! Stronzo!"

Non appena le mie orecchie udirono quel nome mi si drizzarono tutti i peli del corpo, e dico tutti, non volevo, non potevo crederci. Spalancai gli occhi ed in concomitanza sollevai le sopracciglia in segno di stupore. Era così, ero stupita e nello stesso tempo delusa. Tutta la scuola, lui compreso, sapeva quanto io e quella ragazza ci odiassimo sin dal nostro primo sguardo. "Cretino, deficiente che non è altro!"

«È un fottuto scherzo questo? Ma sai di chi è quel ristorante?» per poco non invasi il suo sedile per strozzarlo. 

«Certo! Della famiglia Duval. Voglio che tutti sappiano di noi, Miki. Debrah è una ragazza a cui piace molto spettegolare. Domani l'intera scuola saprà che abbiamo cenato insieme».

«Noi? Di noi? Cosa dovrebbero sapere gli altri di noi?» la mia ira cresceva di secondo in secondo. Fui sicura di essere rossa in volto per la rabbia. 

Non potevo accettare una cosa del genere, non potevo accettare di vedere anche dopo la scuola quella vipera. E se ci fosse stato anche Castiel con lei nel suo ristorante, cosa avrebbe pensato di me? Non dovevo accettare quella cena, non dovevo fare un bel niente con quel biondo, ormai, senza cervello. Avevo sbagliato tutto, ancora una volta. Ero una fottuta frana nei rapporti sociali. Ma chi diamine se la sarebbe aspettata questa da uno come Nathaniel? Prima di perdere il posto da delegato era conosciuto da tutti come una persona particolarmente riservata, discreta, del tutto indifferente del giudizio altrui. Ma quello accanto a me, in quel taxi, quella sera, chi diamine era? Mi lasciò del tutto interdetta e con una voglia crescente di aprire lo sportello e darmela a gambe. 

«Che ci stiamo frequentando...» sorrise sarcasticamente come se fosse già ovvio. 

Ma ovvio un corno. 

«No Nath. Ero stata chiara quando ho accettato di accompagnarti. Questa sarebbe dovuta essere una cena di chiarimenti, non un vero e proprio appuntamento. La mia vita è già abbastanza incasinata, non voglio assolutamente trascinare anche te. Inizialmente, a Dicembre, avevo pensato che magari ci saremmo potuti dare una possibilità ma ora non lo penso più. È inutile girarci intorno..» sapevo di esser risultata insensibile nello sbattergli la verità così crudamente, ma quel suo trarre conclusioni affrettate mi aveva fatto imbestialire. 

Non ci eravamo parlati per settimane intere, avevamo ripreso ad avere rapporti civili solamente il giorno prima e lui era convinto che ci stessimo frequentando solamente per aver accettato di cenare con lui. Assurdo! 

«Lascia decidere me se volessi o meno essere trascinato nel casino che è la tua vita!»

«No, non ti voglio io! Non in quel senso», quasi urlai. 

In un momento come quello non avevo la minima intenzione di impegnarmi in una relazione seria, non ci tenevo a stare ancora male. La prima cotta della mia vita era stata un fiasco totale. In più anche Nathaniel mi aveva nascosto parecchie cose sulla sua relazione con Melody, non riuscivo a fidarmi ancora di lui. E poi... Lui non era Castiel. Non avevo idea di quante cose mi stessero frullando nella testa in un minuto, e in realtà non sapevo proprio che pensare, non sapevo con certezza quali fossero i miei sentimenti nei confronti dei due ragazzi. Non sapevo niente, ero confusa.

Lui non rispose a quella mia affermazione. Ma a giudicare dall'espressione del suo volto mi resi conto che quel messaggio era giunto al destinatario. Il sorriso era scomparso, non riusciva più a guardarmi negli occhi. Prese ad ammirare -dal finestrino del taxi- il paesaggio illuminato dai lampioni sulle strade di Parigi. Lo imitai.

Appena mi voltai a sinistra verso il finestrino, vidi spuntare le luci dell'insegna di quel maledetto ristorante. Lì dove i miei sogni si erano fermati, dove avevo conosciuto la mia rivale, dove avevo intravisto per la prima volta quella vipera, dove ogni tipo di relazione con Castiel aveva subìto un peggioramento drastico. 

Scendendo dall'auto e prima di entrare nel ristorante, chiusi gli occhi e ricordai con disperazione quel terribile giorno.

Era molto illuminato. Il soffitto era fatto di vetro, così da poter ammirare il cielo. Oltre i lampadari fatti a mo' di grappolo, vi erano due lampioni per ogni tavolo. Erano quei lampioni solitamente situati nei parchi. Era un posto molto suggestivo e interamente di legno. Come centro tavola erano sistemate delle chitarre e violini in miniatura per richiamare il nome del locale. Poi poco lontano dai tavoli c'era un palco vuoto con tutti gli strumenti. Sicuramente suonavano musica dal vivo. Mi s'illuminarono gli occhi nell'ammirare quel ristorante. Era davvero molto bello. Avrei tanto voluto fare i complimenti al proprietario.

«Ti ha accompagnata quel ragazzo sulla moto che c'è fuori?» mi chiese la stessa voce che aveva risposto al telefono poche ore prima. Aveva una voce particolare, mi era rimasta impressa per quel motivo.

Mi voltai in direzione della voce e mi si presentò una ragazza davvero, davvero bella. Era alta quasi quanto me, dei lunghissimi capelli castani e lisci le contornavano il volto. Ma la vera particolarità di quella ragazza erano i suoi occhi. Aveva dei grandissimi occhi celesti, parecchio chiari. Ammaliavano, ma non sembravano limpidi e buoni all'apparenza. Guardai la sua figura per intero e notai fosse molto magra ma con delle forme parecchio definite. Doveva avere quasi la mia stessa età ed un modo di vestire appariscente. In quel momento indossava dei pantaloni stretti di pelle nera, degli stivali alti ed un top parecchio scollato. Le sue braccia erano contornate da tatuaggi a dir poco volgari, a mio parere.

«Hai finito di farmi la radiografia?» si riferì al fatto che la stessi osservando più del dovuto. In effetti aveva ragione, eppure non mi sentii in dovere di chiederle scusa, la guardai di sbieco senza aprire bocca. Mi sentivo quasi minacciata da lei, non riuscivo a capirne il motivo.

«Allora, sei con lui o no?» mi rinfrescò la mente sulla prima domanda.

Conosceva Castiel?

«Sì, lui è con me. Perché?» corrugai la fronte in attesa della sua risposta.

«State insieme, insieme?» si dipinse un'espressione di fastidio sul suo volto e oserei dire gelosia.

«Ma questo è un ristorante o un programma di Maria De Filippi?» risposi sarcasticamente e nello stesso tempo innervosita. Mi stava stufando quella ragazza.

«Oh sei italiana! Bene, bene» sorrise diabolicamente. Ma era pazza o cosa?

«Continuo a non capire per quale motivo dovrebbe interessarti» alzai le sopracciglia, infastidita da lei e dal suo continuo ficcanasare.

«Sono l'ex ragazza di Castiel, ma lui mi appartiene ancora. Tornerà da me!»

"Oh beh... una delle tante, figuriamoci. Eppure perché continuo ad avere l'impressione che lei non fosse stata la sua ragazza solo per una notte?" Castiel era diventato nervoso appena avevo comunicato il nome del locale, non era voluto entrare. Stavo ricollegando tutto. Lei doveva essere la proprietaria del posto o qualcosa di simile.

«E a me dovrebbe interessare perché..?» le risposi, eppure m'interessava eccome, ma non volevo dare troppe soddisfazioni a quella strana ragazza. Sapevo mi stesse testando.

«Tanto lo so che sei gelosa da morire» mi provocò con aria di superiorità.

«Senti cara, vuoi darmi gentilmente un menu così posso finalmente andarmene e non rivederti mai più?»

Stavo realmente perdendo le staffe. Era bella, ma continuava a sentirsi la regina del mondo, come se tutto il mondo fosse ai suoi piedi, compreso Castiel. Non poteva sapere se lui provasse ancora qualcosa per lei, eppure lei era convinta che sarebbero ritornati insieme.

«Si vede lontano un miglio che ti piace» mi derise «peccato però, tu non sei proprio il suo tipo» si finse dispiaciuta.

«Dovresti dire peccato per te, invece. Io e Castiel stiamo insieme. Quindi evapora gentilmente, grazie!»

Sapevo di aver detto una bugia, ma non la sopportavo più. Dovevo farla scendere dal piedistallo in qualche modo e quello di dirle del mio fidanzamento con il rosso mi sembrò l'unica possibilità.

«Oh bene. Proprio ciò che mi serviva sapere. Allora, scrivi questo nome nella tua testa: Debrah Duval. Sarò il tuo terrore!»

Debrah Duval. Era lei, quindi, la famosa Debrah. Il nome che più volte avevo sentito nei corridoi a scuola, la storia che nessuno osava raccontarmi. In quel momento ebbi la conferma che lei non era stata solamente la ragazza di una notte per Castiel. Tutti affiancavano il nome del rosso al suo, doveva esserci un motivo.

Se solo fossi potuta tornare indietro con il tempo, avrei commesso un omicidio.. o perlomeno l'avrei rinchiusa in uno stanzino. Avrei sequestrato quella ragazza come i peggior delinquenti e l'avrei lasciata sola, al buio a morire di fame, si sarebbe meritato questo una come lei. Da quando lei era entrata nella mia vita, tutte le cose erano peggiorate. Io e Castiel ci parlavamo appena, Adelaide era stata, letteralmente, tolta di casa e dalla vita del figlio. Ed io stavo continuamente male, subivo boicottaggi, la vedevo dappertutto, lei era diventata un terrore, una persecuzione per me. E purtroppo ebbi il presentimento che il peggio sarebbe stato dietro l'angolo, non era ancora avvenuto.

Entrammo nel ristorante e subito mi guardai intorno. L'arredamento del locale era rimasto identico a Dicembre. Guardai dappertutto per assicurarmi che non ci fosse nessuno di mia conoscenza. Dopo lo scontro avuto il giorno prima non avevo intenzione d'incontrare quello sguardo perfido.. e tantomeno d'incontrare quello sensuale di Castiel.

Un cameriere molto giovane, direi quasi della mia stessa età, c'indirizzò verso un tavolo appartato. Era situato in una parete ad angolo con l'illuminazione a lume di candela. Per la prima volta mi sentii intimidita dalla presenza di Nathaniel. Non mi erano piaciute le sue dichiarazioni. Il ragazzo biondo del taxi non mi piaceva affatto, troppo diverso dal segretario delegato gentile conosciuto fino a quel giorno.

Quando mi superò per spostare la sedia e farmi sedere, però, rividi dei tratti del solito Nathaniel. Era un po' come se avesse tanti lati, varie sfaccettature di carattere, alcune belle, altre bellissime ed altre ancora brutte. Non seppi valutare se la mia personalità nascondesse dei lati masochisti, ma a tratti le parti, per così dire, brutte di Nathaniel m'incuriosivano, m'intrigarono. Sembravano una novità, un'attrazione per chiunque non l'avesse mai visto in quel modo. Ero talmente abituata a vederlo nei panni del ragazzo serio e perfetto da sembrare qualcosa di surreale la sua somiglianza al carattere di Castiel. E forse quel suo lato mi attraeva solamente perché vicino alla personalità del rosso. Maledetto pomodoro, era sempre nei miei pensieri!

Con fare svelto, dopo avermi fatta accomodare, si precipitò dal lato opposto del tavolo sedendosi al suo posto. Da lì iniziò a fissarmi negli occhi ed io arrossii di conseguenza. Chi se lo sarebbe mai immaginato?!? Io intimidita da uno come Nathaniel?!?

Il fatto spiazzante fu che quella sera, il biondo, aveva degli occhi limpidi, come se mi avesse dato il permesso di scoprire la sua anima, come se si fosse tolto la lente, quella protezione che mi aveva sempre impedito di avvicinarmi a lui.

«Mi permetteresti di ordinare anche per te? Conosco tutte le specialità di questo posto e vorrei fartele assaggiare», mi domandò spontaneamente. Era entrato in scena con quella richiesta futile, senza aggiungere altro in riferimento al discorso fatto nel taxi.

Feci cenno di sì con la testa senza sprecare fiato, non serviva. Quella sera gli avrei permesso di giocare tutte le sue carte, non gli avrei negato nulla, ero curiosa di capire fin dove si potesse spingere. Ero attratta da quel suo nuovo essere, sebbene gli avessi detto chiaro e tondo che non avrebbe avuto possibilità con me. Pian piano la rabbia provata verso di lui in auto stava andando a scemare. 

Chiamò educatamente il cameriere che dopo aver appuntato una serie di pietanze da ordinare, elencate da Nathaniel, se ne andò. 

«Allora» il biondo si schiarì la voce; «posso cominciare adesso. A tutto c'è un motivo, credimi Miki!»

Il momento della verità era arrivato, nessuno dei due sarebbe più potuto scappare. Io gli avrei raccontato parte della verità su Ciak e Nathaniel mi avrebbe reso partecipe di alcuni fatti importanti della sua vita. Certo, non era uno scambio equo, ma io non potevo permettermi di raccontare tutta la mia verità. Non potevo raccontare i segreti nascosti della mia vita, sulla mia infanzia, no.. quelle sarebbero state cicatrici indelebili mai svelate e scoperte da nessuno.

«Ho avuto altre ragazze nella mia vita, ma mai con nessuna sono andato oltre i baci e le palpate. Le ragazze che ho avuto sono state, da sempre, testate prima dai miei genitori e poi da me. Prima di valutare se avessi potuto o meno frequentarle, le facevo conoscere a loro. Melody addirittura mi è stata imposta dai miei genitori. Un po' come accadeva ai vecchi tempi. I nostri padri hanno progettato già il nostro futuro insieme, figli, ipotetico lavoro, casa... Tutto. Prima di Melody ero più libero di lasciare le ragazze, ma non pensare che ne abbia avute chissà quante. Prima di lei forse due. Potevo lasciarle solo perché non avevo disobbedito alle regole morali della mia famiglia. Ora che non voglio più neanche Melody sono usciti fuori vari problemi, sarà difficile convincerli di volere qualcun'altra..»

"Quindi vuol dire che io sono già stata testata? O sono in fase di prova? Com'è che funziona?!" la voce interiore del mio subconscio cominciò a punzecchiarmi. Non provai neanche a pensare a ciò che mi disse di Melody. Non avevo mai tollerato quel genere di famiglia dalle regole ferree. 

«Scusa se t'interrompo; ma io non sono stata testata da loro, vero? Non ho mai conosciuto i tuoi genitori. Oddio non mi dire che mi hanno spiata, hanno messo qualche microchip nei miei vestiti per capire se fossi o meno adatta a te?!» mi venne spontaneo chiedergli vista la sua continua insistenza nei miei confronti. Più volte mi aveva corteggiata, mi aveva esplicitamente detto di essere infatuato di me, e visto che assecondava solo le scelte fatte dai suoi genitori non capivo come potessi esser stata considerata degna di lui essendo orfana, indossando abiti provocanti e via dicendo. Le mie supposizioni lo fecero ridere.

Emise un sorriso che non gli avevo mai visto prima d'allora, un sorriso convinto e sincero, come se si aspettasse quella domanda, come se si fosse già preparato la risposta. Ed infatti rispose sùbito fiero.

«No, loro non sanno di te. O meglio ormai lo sanno grazie a Melody. È uscita fuori di testa quando ha capito che con te volessi fare sul serio ed è corsa a casa dei miei a spifferare ogni cosa. Ma non m'importa più. Tu sei diversa! Tu mi hai aperto gli occhi. Appena ti ho vista è scattato qualcosa dentro di me, un desiderio che non avevo mai provato per nessuna. Ho avuto l'istinto di cedere, la volontà di possederti anche se tu non fossi stata vergine o la mia ragazza. Tu mi mandi in tilt, Miki!» si portò la mano destra dietro la testa ed arrossì per le ammissioni appena fatte. Un gesto tipico di lui.

La sua sincerità mi spiazzò e m'intenerì nello stesso tempo. Nathaniel era un ragazzo costruito davanti agli altri, attento ad apparire sempre perfetto, ma c'erano dei momenti in cui riusciva a dimostrare la parte reale e sincera di lui come accadde quella sera. Finalmente aveva deciso di gettare via la maschera e lo stava facendo con me. Mi sentii lusingata. Nessuno, a detta sua, conosceva quelle parti di verità e soltanto io ne stavo avendo il privilegio. Dimenticai le insinuazioni fatte da lui nel taxi, grazie alle sue parole la rabbia verso di lui non esisteva più.

«Wow! Grazie...» non sapevo cos'altro aggiungere. Mi aveva spiazzata. Così cercai di chiarire alcuni dubbi «Vorrei sapere qualcos'altro... perché sia tu che la tua ipotetica ragazza dovete essere per forza vergini? Non riesco a capire questo passaggio».

Più volte aveva giudicato chi decidesse di amarsi in tutti i modi possibili, chi decidesse di avere una vita sessuale attiva, giudicava persino sua sorella per quello. Se fosse stato un principio morale della sua famiglia allora perché Nathaniel avrebbe dovuto osservarlo mentre Ambra no? 

Dopo aver formulato la domanda, il cameriere giunse verso il nostro tavolo porgendoci le pietanze ordinate da Nathaniel. Rimasi stupita, aveva ordinato tutto il Menu. Ci erano stati portati tanti assaggi di ogni pietanza, non saremmo mai riusciti a mangiare tutto.

«Chi dovrebbe mangiarle tutte queste cose? Siamo due persone non un esercito!» mi venne spontaneo enunciare.

E lui, aspettandosi anche quell'affermazione, rispose fiero e convinto «Ho il mio asso nella manica» facendomi l'occhiolino.

A meno che non avesse una sorta di buco nero nello stomaco, non capivo cosa potesse considerare asso nella manica. Tutto il tavolo era strapieno di cibo, ero davvero sbalordita. Aveva ordinato tutte le pietanze a base di pesce presenti nel menù, ad iniziare dall'antipasto di mare a finire con la grigliata di pesce. Assurdo!

«Non fare quella faccia» rise di me «non è niente d'inquietante. In alcuni punti della città, quando mi trovo in zona, do da mangiare a dei gatti randagi. I miei non mi permettono di tenerne qualcuno in casa, così mi diletto a curarne quanto più posso» mi rivelò il suo asso nella manica. Quella rivelazione mi stupì piacevolmente. 

Tra un boccone e l'altro, Nathaniel sembrò essere sempre più simpatico e naturale. Pian piano l'imbarazzo iniziale si sciolse, complice il fatto di non aver intravisto né Castiel e né Debrah, evidentemente erano entrambi altrove a fare chissà cosa. Scossi la testa. Non dovevo pensare a lui, non quella sera. Ritornai così a concentrarmi sul meraviglioso ragazzo seduto di fronte a me. Forse ad aiutarlo a renderlo diverso ai miei occhi era stato anche l'abbigliamento indossato per la cena. Aveva dei pantaloni beige e un maglione semplice nero. Ero abituata a vederlo in camicia e cravatta, ma mai in un maglione.

Quando i nostri stomachi furono abbastanza pieni, riprese a raccontare la sua verità. Partì dalla mia domanda fatta più di mezz'ora prima, alla quale non aveva ancora risposto. 

«Ciò che sto per dirti non è semplice da raccontare. Ancora oggi me ne vergogno molto, ma devo farlo per permetterti di capire».

Vidi nuovamente l'ansia nell'espressione del suo volto e nelle sue parole. A breve avrei scoperto cosa impediva a Nathaniel di vivere la vita come un ragazzo normale. 

-

DEBRAH

Sebbene ancora delusa dai comportamenti di Castiel del giorno prima, dovetti mettere da parte l'orgoglio e scrivergli un messaggio per permettere la realizzazione del mio piano. 

DEBRAH: Ciao amore che fai?

CASTIEL: Cazzi miei!

Dovevo immaginare quella risposta, ormai non ero più io ad essere privilegiata, non ero più io la sua eccezione. Da lui venivo trattata con sufficienza, come faceva con tutti gli altri. 

Così decisi di fingere, di non esser rimasta ferita dalla sua risposta e proseguii. 

DEBRAH: Io sono al ristorante, stasera mi tocca fare da lavapiatti. Bleah :(

Castiel a quel punto non rispose più, decisi così di tagliare corto per poter studiare la sua reazione a ciò che gli avrei riferito.

DEBRAH: Non hai idea di chi c'è qui a cenare nel ristorante..

CASTIEL: Chi? Un'accalappia pettegole?!?

DEBRAH: Puff che acidità... No. Sono due ragazzi della nostra scuola.

CASTIEL: Hai mai pensato di fare richiesta per entrare nel club del giornalino di Peggy? Ci sei tagliata per questo lavoro!

DEBRAH: Grazie per il consiglio, ci penserò :P Comunque ti do un indizio... la mia peggior nemica ed il tuo peggior nemico.

CASTIEL: I fratelli Daniels?!? Ahah com'è caduto in basso l'ex delegato... Non è capace di uscire con una ragazza che non sia sua sorella.. sfigato!

DEBRAH: Possibile che tu sia così idiota? C'è Nathaniel, sì, ma non con Ambra, è con un'altra ragazza... Le parole Italia, Roma e Paco Rabanne ti dicono qualcosa?

Come volevasi dimostrare, dopo quell'informazione Castiel non rispose. Lo conoscevo a tal punto da sapere che non rispondesse ai messaggi solo per rabbia o nervosismo ed evidentemente quella notizia di sapere Nathaniel e Miki insieme, l'aveva mandato su tutte le furie. A Castiel non era indifferente Miki, quella era la prova che aspettavo.

Una volta scoperte le carte mi sarebbe toccato giocare sporco, Castiel avrebbe dovuto odiare Miki Puzzi.

Grazie all'aiuto involontario di Nathaniel il piano di distruggere Miki sarebbe stato più veloce di quanto avessi immaginato. La piccola e dolce ragazza sarebbe rimasta non scottata ma ustionata da quella storia.

-

MIKI

Quando Nathaniel, facendo un respiro profondo, poggiò le mani -che avevo sul tavolo- sulle sue, capii fosse giunto il momento.

Finalmente avrei conosciuto la verità essenziale.

«Tutto cominciò quando mio padre era giovane. Era scapestrato, aveva ragazze in ogni posto nel quale metteva piede. Viaggiava molto visto che i suoi genitori, nonché i miei nonni, erano i proprietari di una nota linea di navi da crociera. Si ubriacava tutti i giorni ed andava oltre con ogni ragazza che gli piaceva.. fin quando incontrò mia madre. Avevano entrambi diciannove anni quando si conobbero. Lei era figlia di un uomo d'affari e si conobbero proprio su una delle navi dei miei nonni paterni. Mio padre se ne innamorò follemente per il semplice fatto che lo rifiutò.. era cattolica convinta e voleva conservare la sua verginità fino al matrimonio. Lei era diversa dalle altre, non cercava avventure anche se se lo sarebbe potuto permettere vista la sua bellezza evidente e vista la corte spietata che le facevano molti uomini. Inizialmente papà questa sua scelta non l'aveva accettata, lui voleva tutto da lei, così la lasciò andare e non ebbero contatti per più di quattro mesi.. Ma poi lui ritornò sui suoi passi; ritornò da lei, e grazie ad amicizie in comune riuscì a rintracciarla facilmente. La distanza lo aveva fatto riflettere e aveva maturato i suoi sentimenti. Così si sposarono.. Però a distanza di molti anni, quando mia madre era in dolce attesa di me ed Ambra, mio padre scoprì di avere tre figli, tutti dalle sue avventure di una notte. Mamma non lo accettò dapprima, ma in un secondo momento lo perdonò, promettendosi che avrebbero cresciuto il loro figlio lontano dai peccati terreni. Passarono momenti difficili e tutt'ora mio padre ne sta pagando le conseguenze. Sborsa sempre soldi a questi figli ed alle loro mamme, perché teme che si possa venire a sapere in giro. Essendo, ora, un uomo d'affari non può in nessun modo permettersi di avere una pessima reputazione. Ed ecco io.. fino a poco tempo fa...»

«Ehi, tranquillo. Con me la tua storia è al sicuro» carezzandogli la mano, lo tranquillizzai.

Si capiva da lontano un miglio che si sentisse a disagio e in pericolo nel rivelare tutti gli scheletri nell'armadio della sua famiglia. 

«I-io... Ecco, a me non importava nulla delle loro regole. Fino ai quattordici anni sono stato un figlio molto indisciplinato. Baciavo chi mi capitava, combinavo guai in giro. Più tempo passava e più i miei iniziavano a temere che crescendo avrei potuto fare di peggio, che sarei finito per ritrovarmi nella stessa situazione di mio padre...»

Mentre andava avanti con il racconto teneva gli occhi fissi in un punto vuoto, forse non aveva il coraggio di guardarmi, forse per lui era già un traguardo raccontare a qualcuno il suo passato. Nelle sue parole si leggeva tanta rabbia e pentimento. Prima di andare avanti con il racconto fece un respiro ansioso, poi spostando lo sguardo ed il volto verso il basso continuò:

«Così per ridimensionarmi, per educarmi, decisero di segregarmi nella biblioteca della villa di famiglia per giorni interi. Per me quella divenne la stanza delle punizioni. Non avevo nient'altro che libri. Solo quelli potevano farmi compagnia. Passai parecchio tempo in quella camera, mi rinchiudevano per tre giorni non appena commettevo qualche errore. Mangiavo e bevevo solo il cibo portato da loro. Mi allontanarono da tutte le amicizie, dormivo sul pavimento. Ora non starò qui a raccontarti ciò che mi accadeva lì dentro, ma ti basta sapere che quello che ho subìto mi è bastato per stravolgere il mio stile di vita. Sono diventato una specie di burattino nelle mani di mio padre, ma questa semi-libertà è d'oro rispetto a quella avuta in quel periodo, quindi mi sta bene così».

Sarebbe stato di gran lunga migliore ascoltare un altro tipo di verità, ad esempio se Nathaniel avesse fatto il voto di castità per un motivo religioso. Simulare una specie di carcere in casa era da matti, un po' come avere dei figli sparsi per il mondo. Non mi sarei mai aspettata quel tipo di realtà. Nathaniel aveva avuto un'infanzia terribile, per certi versi paragonabile alla mia.

Non avevo idea di come avrei potuto rispondergli, di come avrei potuto consolarlo. Il mio inconscio mi suggerì che in verità un modo c'era, ma io non volevo rivelare i dettagli della mia infanzia, quindi decisi di stare in silenzio. Parlare e riparlare, raccontare e raccontare ancora su dolori, ferite aperte non era il meglio per me. Volevo che la maggior parte del mio passato restasse chiusa in un cassetto, nel mio diario segreto dove mai nessuno ci avrebbe messo mani od occhi.

«Capisco ciò che ti è accaduto, e me ne dispiace molto.. Ma lascia che ti dica che non puoi permettere ad altri di scegliere la tua vita. Cavolo Nath, tuo padre se l'è spassata una vita intera.. Perché tu ora non potresti? Loro devono consigliarti, guidarti, com'è giusto che sia, ma non importi scelte. E poi.. Io credo che anche qualora decidessi di darti da fare con qualcuna, useresti le giuste precauzioni per non combinare guai. Non saresti così sciocco da mettere qualcuna incinta. Nella vita ci vuole il giusto equilibrio, non bisogna mai eccedere. E poi mica che tutti coloro che fanno sesso prima del matrimonio hanno figli... Ciò che è capitato a tuo padre è un evento singolo, lui è stato incosciente, era ubriaco la maggior parte delle volte per questo ha così tanti figli sparsi per il mondo. Questo a te non potrebbe mai capitare, sei attento ad ogni cosa, sei perfetto, del tutto cosciente e astemio. Apri gli occhi e vivi, Nath!»

Sperai di esser stata chiara con quel mio discorso. Avrei tanto voluto aprirgli gli occhi, fargli capire di quanto la vita scorra veloce, era un peccato mettersi freni; non poteva basarsi su avvenimenti accaduti al padre. Lui non era così imbecille da commettere gli stessi errori. 

«Oggi sono ciò che sono solo grazie all'educazione ferrea che ho avuto. Per questo non mi potrebbe più capitare quello che è accaduto a lui. Tu non sapevi come fossi prima, non mi conoscevi, solo Cast-» alzò di scatto il volto e finalmente cominciò a guardarmi negli occhi. Aveva le orbite di fuori. Sapevo quale nome stesse per enunciare, ma non lo fece. Si bloccò con una nuova espressione di dolore nello sguardo. Avrei tanto voluto scoprire per quale motivo i due avessero discusso. Rosalya me ne aveva parlato più volte, ma non conosceva il reale motivo del loro litigio. Sapevo che un tempo fossero stati migliori amici e che ad un certo punto avessero litigato, si fossero menati e mai più parlati. 

Non presi il discorso "Castiel", mi limitai a cercare di fargli cambiare idea sul fatto che i suoi genitori fossero legittimati a scegliere la sua vita al posto suo. «Non ti conoscevo, vero. Ma ti conosco ora e sei ancora in tempo per abbandonare le tradizioni e vivere la tua vita da normale adolescente spensierato. La vita è una e i diciassette anni non torneranno mai più. Nath, comincia a vivere. Prendi esempio da tua sorella», pensavo che non l'avrei mai detto, ma Ambra viveva di gran lunga meglio di lui. 

«Ah guarda, lei non so come fa.. I miei pensano che ancora sia vergine. Ha una tale capacità di rigirare le parole e di raccontare menzogne che a volte anch'io inizio a credere che stia raccontando la verità. Anch'io che conosco la verità dubito su quale sia la realtà quand'è lei a parlare.. Quindi immagina!»

In quel momento cercò di giustificarsi, di cambiare discorso. Sembrava non avesse alcun intenzione di cambiare idea, eppure neanche un'ora prima mi aveva fatto capire chiaro e tondo che a causa mia avesse avuto delle tentazioni, che io lo stessi facendo cambiare. Evidentemente si trovava in un momento di totale confusione. 

«E tu invece? Non dovevi dirmi niente?» mi chiese poi con fare sospetto. Non aveva più alcuna intenzione di parlare del suo passato ed io lo assecondai. Dopotutto mi aveva già rivelato gran parte della sua vita.

«Beh sì... Ciak è il mio migliore amico da quasi undici anni, ogni tanto giochiamo a stare insieme per capire quante persone ci scoprono. Qui a Parigi è la prima volta che veniamo scoperti. Ecco tutto, non abbiamo mentito per nessuno scopo malefico o motivo strano».

Non ero stata leale nei suoi confronti. Quantomeno meritava parte della verità, ma non potevo farlo attualmente. Lo avrei fatto al ritorno da Roma, avevo deciso ormai. Non potevo permettere che si sapesse la verità in quel momento.

Alla fine trovai la stessa scusante utilizzata con Castiel. Lo feci con una tale sicurezza da farlo cascare all'istante. Mi credette, ma ovviamente lui non poteva concepire cose come quelle. Lui non avrebbe mai fatto una cosa del genere, non avrebbe mai finto. Infatti ebbi la conferma dai suoi occhi, gli si leggeva disapprovazione, ma non mi disse ugualmente niente. Non rispose nonostante non approvasse quello che avevo fatto.

Ad un tratto sentii vibrare il cellulare che si trovava nella pochette vicino la mia gamba. Non ne capivo il motivo ma percepii un brutto e strano presentimento. Forse ero suggestionata dal semplice fatto che mi trovassi nel locale di Debrah. Eppure durante la cena non avevo visto nessuno, avevo squadrato ogni angolo per cercare lei o Castiel, ma di loro non c'era stata traccia.

Non lessi il testo di quel messaggio davanti a Nathaniel, viste le sue regole di bon ton mi avrebbe giudicata una maleducata se avessi preso il telefono a tavola, davanti a lui. Così inventai una banale scusa e mi recai alla toilette per leggerlo in pace. 

Una volta in bagno, presi il cellulare e lessi subito il mittente. Castiel. Era lui... quando non aveva nulla di meglio da fare sbucava davanti a me come un canguro saltellante. Poi m'illudeva e spariva di nuovo. Ma nonostante tutti i punti a suo sfavore che avrebbero dovuto farmelo odiare, non riuscii ad evitare di leggere quel messaggio. 

Miki vieni tra 15 minuti a casa mia, sola. Devo parlarti!

Ed io come una stupida falena avrei continuato a scambiare la fonte di luce della lampadina per quella della luna. Sarei volata intorno a lui ancora una volta, ma sapevo bene che avrei finito per bruciarmi prima o poi, perché ingannata e disorientata da quella fonte luminosa. 

  
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